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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Lost in the Hotel
Come ci sono finita in questo culo di mondo? Quali strade ho percorso senza rendermi conto? Mi chiedo quali bassifondi del cuore abbia dovuto inseguire e quali certezze sono dovute crollare per ridurmi così in questo stato pietoso? Per ritrovarmi qui…






Photo Gavin Prest







Come ci sono finita in questo culo di mondo? Quali strade ho percorso senza rendermi conto? Mi chiedo quali bassifondi del cuore abbia dovuto inseguire e quali certezze sono dovute crollare per ridurmi così in questo stato pietoso? Per ritrovarmi qui…

Lost in the Hotel, secondo piano, due stelle! Perché da questa finestra non se ne vedono altre. Qui non si ha paura della fine del mondo perché qui si è già varcato l'ultimo confine. Ma il destino è stato benevolo, mi ha fatto trovare una stanza, “la meno schifosa, la numero tre”! Ripasso a mente una vecchia canzone, ricordo solo la prima strofa, ma non mi viene in mente né il titolo e né chi la cantasse. Mi sforzo di ricordare e allora sussurrandola mi guardo intorno e fisso sul muro quel disegno osceno e fisso dal soffitto una lampadina fioca appesa ad un filo elettrico, e poi solo un letto ed un lavandino venato di giallo da anni di gocce.

Sono distesa sul letto e mi abituo a questa penombra, mi abituo all’attesa, e mi chiedo chissà poi cosa stia aspettando e se davvero qualcosa tra poco dovrà succedere. Intanto mi abituo a contare i secondi, mi abituo a cadenzare il respiro fino alla prossima goccia che spacca il silenzio. Lost in the Hotel, accanto al mio letto c’è solo una sedia sbilenca, ma non ci sono attaccapanni per appendere il mio cappello rosso di raso e l’unico vestito che mi è rimasto indosso come colla da giorni. Le calze le ho tolte, quella sinistra s’è smagliata e non ho un cambio.

Lost in the Hotel, lentamente sto prendendo l’aspetto di questo degrado, lentamente l’odore dello schifo, dell’incuria che mi circonda, come questa puzza di muffa mista a immondizia che oramai s’è impregnata fin sotto le mie mutande. Già, Lost in the Hotel, ultima stazione, ultimo respiro prima dell’inferno, perché anche un ateo in questo posto avrebbe dei dubbi, perché anche un credente dubiterebbe sulla bontà di quel Dio.

Sento delle voci, arabe, straniere, che sanno di delinquenza, di branco affamato, di infelici a cui è stata tolta ogni speranza. Sento dei rumori che sanno di masturbazione, perché non c’è amore qui, ma solo bisogno perché non ci può essere sentimento dove sono finita devastata nel cuore. “Dal letame nascono i fiori”, mi ripeto cantando cercando poesia, ma non trovo il rispetto che chiedo, la dignità dei miei ricordi offuscati, il decoro di ciò che immagino fossi. Eh sì, anche la gentilezza e i violini, i miei abiti da sera, i cappelli da principessa, i cavalieri cortesi e gli uomini onesti che mi hanno insegnato le buone maniere, e poi la grande sala e i lampadari a gocce, una musica antica che danza con la seta della mio vestito leggero.

Lost in the Hotel, nonostante il freddo mi sento dentro un torpore appiccicoso. E se non potessi più svegliarmi? E se tutto ciò non fosse che un sogno? No, no i sogni non possono essere così sgraziati, piuttosto un incubo, perché se davvero stessi sognando starei sicuramente altrove. Cerco di girarmi nel letto, ma non ci riesco, nonostante il freddo sto sudando. La mia mente si sforza, cerca un appiglio, un viso, due mani, una casa, un cane che gioca in giardino, una madre, dei figli, forse un padre, ma non ricordo chi sono, in quale viale i miei tacchi passeggiavano al mattino.

Mi sforzo devo assolutamente ricordare e allora mi pare di sentire l’odore dei tigli in fiore, forse è un indizio, ma non ricordo quale marca di profumo aggraziava la mia pelle, quale tono di rossetto mi faceva più signora. Sarò stata brava a fare l’amore? Niente, nulla, sento solo un grosso dolore dentro il mio petto che mi dà fastidio e mi minaccia, come il fumo di una sigaretta al mattino, come gli occhi di un magrebino che mi insegue nella notte. E se fossi stata violentata? Certo è possibile, sono troppo bella per escluderlo totalmente, troppo donna per essere ignorata.

Oddio se avessi almeno una sigaretta! Soffierei il fumo sulla faccia di uno dei miei tanti spasimanti, come di certo ho fatto tante volte, perché ero davvero bella, bella come una pompa di benzina quando sei a secco, bella come un drugstore quando non ci vedi dalla fame! Qualcuno m’avrà pure fatta sentire come mi sento, e qualcun altro m’avrà pure scaricata su questo piazzale alle prime luci dell'alba oppure messa semplicemente su un taxi come una drogata in astinenza o una puttana malata ed infetta.

Lost in the Hotel, qui ci si arriva solo di notte! Ed io ora ho fame e mi guardo intorno, mi rendo conto che la mia dignità ora passa attraverso un paio di calze nuove e una scatola di biscotti, la mia dignità è quello stesso drugstore illuminato lungo la strada. Già la mia dignità! Ma io ora mi sento come un vegetale che non sente altro che fame e freddo, vorrei solo raggiunge quel drugstore, comprare dei biscotti ricoperti di cioccolata e una marca nuova di calze. Ecco questo sarebbe sufficiente! Ma posso uscire?

Lost in the Hotel, passano i minuti, forse delle ore, inizio a dubitare che sia davvero un hotel. E se fosse un ospedale, oppure una prigione, una casa di cura per malati di cuore? Non vedo altro motivo e non c’è pena più grave per questo inferno! Certo sì, forse sono stata solo una povera innamorata. Devo assolutamente ricordarmi come cavolo sono finita qui! Chi era il mio uomo e perché ci siamo lasciati. Forse ho sofferto o forse ho fatto soffrire perché in amore quando ci si lascia non c’è mai un vincitore. Si perde sempre e quando va bene si perde entrambi!

Qualcuno bussa alla porta, ma non apro, non posso, ho le gambe nude e le mie calze sono appoggiate sulla spalliera. Nemmeno un vetro per riflettere la mia dignità. Neanche una foto per specchiarmi. Dio come sarò sciatta! Mi guardo intorno, niente, nemmeno un assorbente per farmi sentire ancora viva, uno spazzolino da denti per ricordare il mio colore preferito o un orologio per far scorrere il tempo in modo che non sia sempre presente. Qui sembra che tutto si sia fermato!

Bussano di nuovo. Penso. Chissà potrebbe essere il portiere che vuole vedere le mie tette, e poi toccarle, e lisciarle perché mai ne ha viste di più belle, mai nei suoi anni ha affogato il naso dentro un cofanetto così prezioso, morbido e sodo allo stesso tempo. Sono belle sì, cavolo se lo sono, chissà se valgono il prezzo di una stanza o una scatola di biscotti al cioccolato? Ma mai mi offrirei ad un portiere d’albergo, per classe e per cultura, ma anche perché le mie tette s’accorgerebbero della differenza, dal tatto e dal modo, rispetto ai signori e cavalieri che negli anni hanno apprezzato le mie grazie.

Lost in the Hotel, bussano ancora e c’è troppa violenza perché io possa essere almeno desiderata. Sarà sicuramente qualche disperato che vuole rifarsi gli occhi sulla mia pena, sulla ricrescita dei capelli, sulle mie unghie scrostate come questo muro che ad ogni colpo perde pezzi di intonaco. E poi perché dovrei aprire? Qui nessuno mi conosce, nessuno mi chiama per nome, anche se ora non sono certa di averne uno o un qualcosa che da lontano gli rassomigli. Oh sì certo, avrò un nome bello ed armonioso, dal suono rotondo come le mie curve, un nome con cui chiamare una gran dama. Viola, Rosa, Margherita, mi vengono in mente solo nomi di fiori, non m’importa ora quale sia, ma vorrei sentirlo pronunciare solo per essere ancora desiderata.

Oh sì certo, lui mi chiamerà, mi verrà a riprendere, mi offrirà un passaggio di ritorno, ma chissà per dove, chissà in quale altro posto al mondo potrei addormentarti, magari accanto a lui che sicuramente esiste e di sicuro m’avrà coperta di baci, m’avrà deliziata per notti intere proprio nel punto in cui quel poveretto del portiere può solo sognare.

Forse non sarà stato l’unico, forse sarà solo l’ultimo di una lunga serie. Chissà quanti uomini si staranno domandando dove sia finita e quanti in questo momento mi staranno aspettando e in fila stanno aspettando il proprio turno. Perché solo così posso essere stata! Ma qui non me lo diranno mai, come non mi dicono l’ora, il mio nome o la stagione che si vede dalla finestra.

Lost in the Hotel, come ci sono arrivata in questo culo di mondo? Mi ripetono che ho un segreto da rispettare ed un corpo da badare. So che lo dicono per il mio bene! Perché davanti ad una bellezza simile, c’è sempre un malintenzionato in agguato, uno scippatore di tette, un ladro di sogni, un truffatore di mente che ti tocca avidamente il cuore e le cosce, c'è sempre un delinquente straniero che attenta ai tuoi seni.

Ogni tanto qualcuno entra deciso senza bussare, lui solo ha la chiave di questa stanza. È decisamente un bel signore elegante anche se è sempre vestito di bianco. Ed ogni volta gli chiedo perché mai indossa un camice anziché un vestito scuro e non so una cravatta di seta che lasci intuire il suo rango. Lui sorride, ma non mi risponde, porta con sé un ombrello a scacchi e un mazzo di rose gialle, che poi non sono rose e nemmeno gialle. Mi chiedo sempre se sia solo una visita di cortesia o ci sia dell’altro, se di sfuggita abbia per caso intravisto il mio sedere ancora sodo, ma il più delle volte sono certa che venga per le mie cosce e per il mio seno abbondante.

Lui entra e si siede su questa sedia sbilenca, ha una faccia apprensiva e mi chiede: “Signora come si sente?” Me lo chiede ogni volta e paziente mi aspetta come se fossi malata! Poi parla, parla, dice che l’ombrello serve per ripararmi dai reati della mia mente e le rose per addolcire le ingiustizie dei miei sogni. Sarà, ma parla lentamente, ha una voce calda e io lo sto ad ascoltare, anche se non voglio che si faccia illusioni per cui mi volto contro il muro e non lo guardo mai negli occhi. Però poi lui insiste, calmo mi aspetta, e allora gli dico che non sogno da tempo e che non sento dolore dalle parti del cuore, ma penso solo alla mia dignità, a questa calza smagliata che prima o poi dovrò pure rammendare.

 





FINE


 



















Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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