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Adamo Bencivenga
A Ostia si aggira un
serial killer
Photo Gavin Prest
È
notte fonda, fuori Roma è sotto una pioggia battente, al
terzo piano dello stabile centrale della Procura di Roma
la dottoressa Ambra Comi, sostituto procuratore, sta
sorseggiando un caffè. Un attimo di pausa per poi
immergersi di nuovo in quei faldoni di carte, foto,
documenti e rilievi scientifici finora raccolti della
vicenda criminosa che le è stata affidata.
Legge e rilegge quelle carte. Ora sta
osservando la foto di Davide Ferro, capelli bianchi e
occhi profondi azzurro mare, uno stimato dermatologo di
57 anni con studio nel quartiere residenziale dell’Eur
in viale dell’Umanesimo. È sposato da 27 anni con
Claudia Giacomi, professoressa di italiano e latino alla
scuola media Parrini. I due si sono conosciuti ad una
festa di amici, durante i festeggiamenti del nuovo anno.
Era il primo gennaio del 1990. Praticamente un colpo di
fulmine, dopo tre mesi si sono sposati andando ad
abitare in un lussuoso appartamento in affitto sempre in
zona Eur. Dopo due anni, grazie ad una consistente
eredità di un lontano parente di lei, sono andati a
vivere in una bella villa a schiera fronte mare di loro
proprietà nella zona di Ostia. Dopo circa venti anni
sono ancora insieme, nel frattempo hanno avuto due figli
maschi, due cani e quattro gatti. Appassionati d’arte e
cucina hanno viaggiato molto, risultano membri del Lions
Club del locale distretto e hanno partecipato a diverse
iniziative benefiche. Insomma una coppia all’apparenza
tranquilla e benestante.
Quindi tutto bene
finché un venerdì del 12 Dicembre del 2010, rientrando
in casa a bordo della sua bella BMW, Davide Ferro si
accorge che il telecomando del cancello è scarico per
cui ferma la macchina davanti alla sua villa e scende.
Prima di aprire il cancello con la chiave incontra il
suo vicino di casa, a passeggio col cane, e si ferma a
parlare con lui. Parlano del più e del meno, un accenno
alla squadra di calcio locale, prima in classifica, e
poi di certi lavori di manutenzione del manto stradale e
della rete elettrica. Mentre stanno per salutarsi Davide
Ferro vede con la coda dell’occhio un uomo incappucciato
che sta scavalcando la siepe della sua casa e poi in
tutta fretta si allontana lungo la stradina che porta
alla spiaggia. Davide non lo ferma, non urla e non
segue l’uomo, ma preoccupato apre di fretta il cancello
pedonale con la chiave ed entra immediatamente nel
giardino. Affannato percorre il vialetto a piedi e
chiama la moglie: “Claudia, Claudia sei in casa?” Ma
Claudia non risponde. Lui nota la grata della porta di
servizio insolitamente aperta, allora di corsa entra in
casa, si dirige verso la sala e poi la cucina e
purtroppo fa una terribile scoperta: sua moglie immersa
in una pozza di sangue è distesa sul pavimento della
cucina. Grida, cerca di rianimarla, poi chiama il 112. A
detta dell’operatore l’uomo è piuttosto agitato tanto
che non ricorda l’indirizzo di casa. Urla soltanto di
fare in fretta. La telefonata viene subito localizzata e
sette minuti dopo i soccorsi arrivano sul posto. Tentano
di rianimarla, ma purtroppo la donna non respira.
Tentano di nuovo, ma Claudia Giacomi non risponde perché
è stata sgozzata con un grosso coltello e purtroppo per
lei non c’è nulla da fare, il medico non può che
accertarne la morte.
Le indagini affidate
appunto al sostituto procuratore Ambra Comi vanno avanti
per alcune settimane, si esclude immediatamente il
movente della rapina in quanto la casa al momento
dell’omicidio risulta essere in ordine, non ci sono
effrazioni, i cassetti sono tutti chiusi e tra l’altro
non risulta che sia stato rubato alcun gioiello né tanto
meno la somma in contanti di circa duemila euro che la
donna teneva in un cassetto della sala da pranzo.
Vengono ascoltati i colleghi della vittima, alcuni
vicini e parenti, tutti escludono che la donna potesse
avere una relazione sentimentale parallela, circostanza
confermata anche dall’analisi del cellulare di lei per
cui viene scartata anche l’ipotesi del movente
passionale.
Davide Ferro e i figli della coppia
vengono interrogati più volte finché salta fuori che il
marito della professoressa Claudia Giacomi non è uno
stinco di santo. Per ben due volte la donna ha dovuto
ricorrere alla cure dei sanitari per percosse. I vicini
di casa e soprattutto il medico di famiglia confermano
la circostanza anche se la donna in entrambe le
occasioni non ha sporto denuncia affermano che quei
lividi erano frutto di cadute accidentali e altro. Ma
gli stessi figli della coppia confermano che il loro
padre, spesso a cena, dopo aver bevuto qualche bicchiere
di troppo, alzava le mani sulla loro madre per motivi
irrisori, chiamandola troia, cretina ed altro. Lei di
solito non reagiva chiudendosi in bagno piangente. I
figli però non conoscono la vera ragione di quelle
violenze, sanno solo che tra il padre e la madre non
corre buon sangue, ma ignorano il motivo scatenante che
salterà fuori nel corso delle indagini soltanto
successivamente.
Quindi scartata l’ipotesi del
ladro e del delitto passionale le indagini prendono un
indirizzo specifico, a quel punto vengono riesaminati
nuovamente gli istanti che precedono e seguono il
delitto e tutti gli elementi che, in un certo qual modo,
potrebbero condurre all’incriminazione del dermatologo.
Purtroppo in casa non viene trovata l’arma del delitto e
i vestiti di Ferro sono intrisi di sangue, dovuti al
tentativo di rianimare la moglie negli minuti che
precedono l’arrivo dei soccorsi. Ma ci sono dei
particolari che non quadrano e sono messi sotto esame. È
a questo punto che Ambra Comi scopre che dalla
chiacchierata col vicino alla chiamata al 112 sono
trascorsi ben 18 minuti e che la donna ha avuto un
rapporto sessuale poco prima di soccombere al suo
assassino. Il medico legale dai rilievi non trova tracce
di sperma, ma afferma con sicurezza che il rapporto non
può risalire alla sera precedente. Con chi ha fatto
l’amore Claudia Giacomi?
Altro particolare è la
circostanza dell’incappucciato che scavalca la siepe. Il
fatto non viene confermato dal vicino di casa e le
telecamere installate in giardino risultano inattive a
causa di un guasto da oltre due settimane. Davide Ferro
interrogato su quei particolari conferma che il vicino
potrebbe non aver visto l’incappucciato scavalcare,
conferma di non fare l’amore con sua moglie da tempo
immemorabile e ovviamente di non avere avuto quel giorno
alcun rapporto sessuale con lei, avendola trovata in una
pozza di sangue. Conferma inoltre di aver attraversato
di corsa il giardino e alla vista del cadavere di aver
chiamato immediatamente i soccorsi per cui, si chiede
Ambra Comi: “Cosa ha fatto Davide Ferro in quei diciotto
minuti?”
Unico indizio che disturba l’ipotesi di
un ennesimo femminicidio avvenuto in famiglia è un
brandello di pelle umana, trovato sotto le unghie della
vittima, che non corrisponde al DNA del marito e non a
quelli del ragazzo addetto alle consegne di regali di
Natale e al postino, ovvero le due persone che in quel
pomeriggio hanno bussato a casa Ferro, i quali non
indagati si sono comunque sottoposti all’esame.
Ambra Comi non si dà per vinta, decide per il momento di
mettere da parte quell’indizio e scavando nella vita
dell’uomo e in particolare dall’analisi degli SMS nel
suo cellulare e delle sue email viene a scoprire che
Davide Ferro ha una storia parallela con una giovane
assistente del suo studio. Da quel materiale Ambra Comi
ricostruisce tutta la storia: Sabrina Vinci è una
bellissima ragazza di appena diciannove anni,
studentessa di Psicologia a Roma III, per mantenersi gli
studi va tre pomeriggi a settimana nello studio del
dermatologo. Dai messaggi e dalla testimonianza
dell’anziana segretaria di Ferro, viene fuori che il
dermatologo, innamorato della giovane, per trattenerla
in quella relazione, le promette a chiare lettere che
lascerà prima o poi la moglie per vivere insieme a lei.
Sabrina all’inizio è dubbiosa e sicuramente non
disposta, in quanto fidanzata, a intrecciare una
relazione col suo capo. Ma Davide Ferro insiste, i suoi
messaggi si fanno sempre più romantici e pieni di
premura per la ragazza, i mazzi di rose diventano sempre
più abbondanti e di un colore rosso deciso, finché dopo
un litigio col suo ragazzo, Sabrina accetta un invito a
cena. Per dare più veridicità al suo sentimento il
dermatologo quella sera non ci prova, la riaccompagna a
casa senza alcun tentativo di approccio, ma da lì la
strada per lui si fa rapidamente tutta in discesa, tanto
che Sabrina la sera seguente si lascia andare e insieme
consumano il loro primo rapporto in un motel della zona.
Quando ormai la relazione è conclamata i due amanti si
intrattengono nello studio, di solito il lunedì e il
giovedì sera, dopo le visite. Fanno l’amore, nonostante
lei abbia ancora una relazione affettiva con il suo
ragazzo.
A quel punto il sostituto procuratore
decide di interrogare la ragazza. Sabrina Vinci conferma
la relazione e il proposito di convolare a nozze col
dermatologo, cosa ancora più fattibile dopo la morte
della signora Claudia. Ammette però che dal giorno del
delitto i due non si sono più visti, anzi lui le ha
anche proibito di andare nel suo studio pur dandole il
dovuto, circostanza che lei spiega per il dolore
dell’amante per la perdita della moglie escludendo
sdegnata qualsiasi altra ipotesi. A domanda
specifica descrive Ferro come un tizio molto passionale
al limite del morboso, ammettendo, incalzata dagli
inquirenti, che anche con lei spesso il Ferro non
esitava ad alzare le mani, scusandosi immediatamente
dopo e alle volte, addirittura, chiedendo umilmente
perdono in ginocchio. Dall’alto dei suoi studi non può
non constatare che il suo amante abbia una personalità
piuttosto instabile e per questo motivo quei cambi umore
troppo repentinamente. Racconta poi di un episodio in
cui il Ferro aggredì e malmenò il suo ex ragazzo sotto
il portone della sua abitazione minacciandolo di morte
se avesse ancora frequentato quella che lui riteneva la
sua donna. Dopo quell’episodio e venuto a conoscenza di
tutta la relazione, il ragazzo aveva lasciato
definitivamente Sabrina.
Conclusa la fase
preliminare Ambra Comi, seppur in assenza di prove
schiaccianti sull’omicidio e nella totale mancanza di
altri indiziati, rinvia a giudizio l’imputato con
l’accusa di aver ucciso sua moglie. Due giorni dopo
Davide Ferro a bordo della sua BMW e in compagnia di una
donna francese viene fermato dalla polizia di frontiera
di Ventimiglia. Portato negli uffici della questura
dichiara di essere diretto a Parigi per un week end di
piacere escludendo ogni intenzione di fuga. Ovviamente
gli inquirenti non credono a quella versione e lo
arrestano.
Sei mesi dopo inizia il dibattimento
che termina con la richiesta di condanna all’ergastolo
dell’indiziato. La difesa sicura dei fatti non chiede il
rito abbreviato insistendo sul tizio incappucciato che
scavalca la siepe e soprattutto su quel brandello di
pelle trovato sotto le unghie della vittima, ipotizzando
così una rapina non portata a compimento a causa del
sopraggiunto arrivo del marito della vittima. L’accusa
invece insiste sulla vita parallela del Ferro e della
sua intenzione di sposare l’amante e non ottenendo la
separazione consensuale, oggetto di furibonde litigate
tra moglie e marito, decide di disfarsi della moglie
uccidendola. Ambra Comi ricostruisce in aula quei
diciotto minuti, ovvero da quando il Ferro entra in casa
e la moglie è ancora viva. La donna sta lavando i piatti
ed è di spalle alla porta. Lui entra in cucina, la
prende da dietro e la convince ad avere un rapporto
sessuale sul pavimento durante il quale la immobilizza e
alla fine le taglia la gola. L’arma del delitto è
sicuramente uno dei tanti coltelli che la donna tiene in
bella mostra sul piano cucina. I giudici a quel punto si
riuniscono in camera di consiglio, ma prima che emettano
la sentenza avviene un fatto nuovo.
*****
Uno studente di medicina legale, un certo
Francesco Orefice, prendendo in esame alcuni campioni di
DNA per la sua tesi, scopre casualmente che il DNA
rilevato nel campione trovato sotto le unghie della
vittima Claudia Giacomi corrisponde, perfettamente e
senza ombra di dubbio, ad un altro DNA trovato sempre
tramite un brandello di pelle umana sotto le unghie di
una donna uccisa nove mesi prima del secondo delitto.
Dalla scheda allegata lo studente Orefice scopre che le
modalità di quell’assassinio sono esattamente le stesse.
La donna Carla Manticone, di 56 anni e non sposata, è
stata prima violentata e poi sgozzata nella sua
abitazione. Anche in quel caso la donna era stata
trovata cadavere distesa sul pavimento della cucina.
Dagli atti risulta che un pescatore che passeggiava
lungo il canale antistante la casa aveva affermato con
sicurezza di aver visto un uomo uscire dalla villa con
un grosso cappuccio scuro in testa. Il delitto era
avvenuto in zona Tor San Lorenzo, una località di mare e
di villeggiatura, distante circa 30 km dalla casa del
dermatologo.
A quel punto lo studente avverte
immediatamente il suo professore e da lì la notizia
arriva prima alla questura e poi sul tavolo del
sostituto procuratore Ambra Comi la quale avverte
immediatamente i giudici del processo in corso. I
giudici prendono atto dei nuovi elementi e dispongono
immediatamente di sospendere il processo e danno
incarico al procuratore di acquisire agli atti la
documentazione delle precedenti indagini, sospese a suo
tempo per mancanza di indiziati.
Davide Ferro in
custodia preventiva viene immediatamente scarcerato e i
giornali del luogo escono in prima pagina con il titolo
a caratteri cubitali: “Il Serial Killer di Ostia”. Con
ampi articoli si pone l’accento sulle stesse modalità
dei due delitti e soprattutto nei pezzi in cronaca si
invitano le donne in casa a chiudere porte e finestre
alimentando così una vera psicosi di un fantomatico
serial Killer che sgozza ed ammazza le sue vittime in
cucina. La notizia così diffusa stimola la fertile
fantasia criminale di vari mitomani. Arrivano in
Procura, nelle redazioni dei giornali e al Commissariato
di zona varie lettere composte da caratteri di giornali
in cui si indicano diversi possibili autori dei due
delitti. Oppure gente che si autoaccusa anticipando a
breve un altro delitto. La polizia decide di
intensificare la vigilanza, soprattutto notturna,
specialmente nelle stradine periferiche ed isolate dove
sono presenti villette a schiera. Alcuni fogli locali
inattendibili addirittura diffondono altezza, peso e un
falso identikit dell’uomo con tanto di cappuccio. Cosa
per altro assolutamente non veritiera in quanto Davide
Ferro e il pescatore hanno sempre dichiarato di non aver
mai visto l’incappucciato in volto. Nella speranza di
una cattura imminente qualcuno decide di non uscire di
casa, le donne sole si fanno istallare da ditte
specializzate grate e sistemi di sicurezza in casa,
altri infine si organizzano in gruppi e danno luogo a
presidi e fiaccolate notturne.
Intanto in
procura, alla presenza dello stesso Dna e quindi in
presenza di un unico colpevole, si decide di unificare i
due casi. Ambra Comi concentra tutti i suoi sforzi per
stabilire esattamente i punti coincidenti, confronta e
studia le dinamiche e i rilievi scientifici, interroga
di nuovo i testimoni, in primis Davide Ferro e il
pescatore, ponendo l’accento questa volta sul famoso
incappucciato, figura decisamente trascurata nella
precedenti indagini, ma, come in una vicenda processuale
che si rispetti, sarà il caso fortuito a indirizzare le
ricerche nella giusta direzione.
Francesco
Orefice, lo studente di medicina legale, che dal giorno
della scoperta dei due DNA perfettamente uguali, ha
iniziato a seguire il caso, rilascia interviste ed è
indicato dai giornali come un vero e proprio eroe. Da
quel giorno non si perde neanche un minuto delle
udienze, prendendo appunti e conducendo una sua indagine
personale. Tramite il padre, comandante del locale Corpo
dei Vigili Urbani, viene a scoprire un particolare
all’apparenza insignificante ossia che Davide Ferro
risulta moroso per due multe non pagate e contestate
all’incirca due anni prima. Per puro caso decide di
approfondire la circostanza, trascurata dalle indagini
ufficiali della Procura, e scopre casualmente che una di
quelle due multe è stata contestata per un divieto di
sosta rilevato alle ore 23:27 in via del Piroscafo nel
comune di Ardea, ovvero il comune che comprende la
località di Tor San Lorenzo. Consultando la mappa della
zona scopre che Via del Piroscafo è l’ultima traversa a
destra di via delle Baleniere, ossia la strada in cui
abitava la prima vittima Carla Manticone.
Riferisce tramite email la strana coincidenza al
procuratore. Ambra Comi sente di avere in mano la chiave
a lungo cercata e mette alle strette Davide Ferro.
Convocato in Procura il dermatologo non può che
confermare la circostanza della multa e sostiene che,
essendo un pescatore dilettante, alle volte si recava
presso quel tratto di canale, lungo il quale
parcheggiava la sua auto. In effetti, da informazioni
raccolte sul posto, viene fuori che quel canale alquanto
pescoso è meta di diversi pescatori della zona, ma Ambra
Comi quella sera da sola nella sua stanza della Procura
si sta domandando: “Davide Ferro e Carla Manticone si
conoscevano?” Legge e rilegge le carte: la donna viveva
sola in quella villetta davanti al canale e piuttosto
fuori mano, aveva dei parenti lontani vicino Padova, per
cui nessun testimone convocato in Procura poteva
confermare i suoi sospetti o quanto meno stabilire quel
legame tra i due. Ovvio che, se confermata, la
circostanza avrebbe dato nuova linfa alle indagini e di
sicuro avrebbe fatto prendere una nuova piega alle
indagini.
Quindi non si dà per vinta, il giorno
dopo mette a soqquadro le case di Ferro e della
Manticone, migliaia di bollette, fogli sparsi, agende,
dediche sui libri, lettere, fotografie, scontrini della
spesa, ma nulla, nessun elemento certifica la conoscenza
tra i due. Nessun scambio di email tra i due, nessun
numero sulla rubrica del telefono del Ferro corrisponde
alla Sim ormai chiusa della vittima. La vittima tra le
altre cose non lavorava, ma viveva con la rendita di due
appartamenti affittati nella provincia di Padova per cui
nessun collega, vicino o conoscenza era al corrente
della sua vita privata.
Alla fine Ambra Comi è
costretta a lasciare la pista, ma si chiede se sia
possibile che uomo indagato per l’omicidio della moglie
possa, mesi prima, parcheggiare la propria auto a
qualche centinaio di metri dalla casa di una donna
uccisa con le stesse modalità e che sotto le unghie
presentava lo stesso Dna dell’altra vittima! Nessuno mai
le toglierà dalla mente che l’incappucciato, non visto
dal vicino del secondo delitto, ma visto dal pescatore
del primo delitto abbia un solo volto, ovvero quello di
Davide Ferro! Purtroppo però il processo, a fronte
dell’assenza di un legame tra i due delitti e
soprattutto della risonanza mediatica ormai sicura di un
Seria Killer, non può che concludersi con un nulla di
fatto. Nel frattempo Francesco Orefice si è laureato
a pieni voti portando come tesi proprio quella vicenda e
tramite un concorso interno è stato accolto a braccia
aperte in Polizia. La notizia del Serial Killer ad
Ostia, in assenza di altri fatti, pian piano si sgonfia,
la gente pur in assenza del colpevole, si dimentica
della vicenda.
*****
È un
pomeriggio inoltrato di dodici anni dopo, un uomo
piuttosto anziano sta passeggiando col suo cane sul
lungomare di Ostia. Respira l’aria di mare, ma è
inquieto. Ogni tanto si ferma, parla col cane, poi
pensa, davanti a lui, dall’altra parte della strana c’è
un edificio giallo con una grande scritta bianca e blu:
POLIZIA.
È Davide Ferro che nel frattempo si è
rifatto una vita e si è sposato nuovamente, ma non con
Sabrina Vinci. All’età di sessantadue anni è andato in
pensione e ora si gode il meritato riposo tra Roma e
Parigi, ma un bel giorno, un banale martedì di agosto
scopre di avere un tumore e che il tempo di vita è
veramente esiguo per cui volendo morire in pace, pensa
di sgravarsi la coscienza. E quindi quel giorno
attraversando quel lungomare decide di entrare nel
commissariato chiedendo di Francesco Orefice, sì proprio
lui, lo studente di medicina legale che nel frattempo è
diventato un brillante ispettore di Polizia.
Orefice lo accoglie nella sua stanza ed è visibilmente
sorpreso per quella visita. Dopo i convenevoli del caso
Davide Ferro tira fuori dalla tasca una innocua e banale
foto in bianco e nero di classe della III B del Liceo
Maniero. “Ecco vede Dottor Orefice? Se durante quel
sopralluogo i collaboratori del procuratore avessero
prelevato anche questa foto per me non ci sarebbe stata
via di scampo, ma evidentemente hanno giudicato una foto
di classe troppo banale per essere oggetto di indagine.
Guardi qui! Questo in piedi sono io, il terzo da
sinistra, mentre questa bella ragazza seduta proprio
sotto di me è Carla Manticone.” Orefice osserva
attentamente la foto. “Vuole dirmi che questo è
l’anello mancante che la dottoressa Comi ha cercato per
anni?” “Esatto. Avevo passato mesi, prima della morte
di mia moglie, a distruggere ogni tipo di legame che
potesse far risalire alla nostra conoscenza,
dimenticandomi però di questa foto.” “In effetti ci è
riuscito ampiamente…” “Esatto, avevo fatto in modo
che i soli anelli di congiunzione dei due delitti
fossero l’incappucciato e il brandello di pelle sotto le
unghie delle vittime.” “Mi faccia capire, dopo dodici
anni è qui per confessare di essere lei il colpevole dei
due delitti?” “Ora non c’è ombra di dubbio. Questa
foto è quello che cercavate no?” “E perché mai si è
deciso solo ora?” “I casi della vita sono identici ai
casi processuali. È il destino a guidare entrambi.”
“Eh no Ferro, se è vero quello che dice, lei in questi
anni si è divertito a giocare con la giustizia. Chi mi
dice che anche in questo caso lei non continui a
prendersi gioco di noi.” “Lei dice?” “Dico!”
“Beh non direi propriamente un gioco, diciamo che ogni
accusato ha la facoltà di difendersi usando tutte le
armi possibili ed io l’ho fatto e a quanto vedo ci sono
riuscito!” “Mi ascolti Ferro, lei potrebbe aver
conosciuto la signora Manticone, esserne stato anche
l’amante, ma non per questo essere il suo assassino, del
resto l’esame del DNA lo ha scagionato totalmente…”
“Dottor Francesco, lasci perdere, mi spiace che la
dottoressa Comi sia andata in pensione. Avrei voluto
confessare a lei, guardandola negli occhi, che i due
delitti erano stati preparati nei minimi dettagli.”
“Questo cosa c’entra?” “Lei lo sa vero che sono un
dermatologo? Al tempo la dottoressa, sempre in cerca
dell’anello mancante, le è sfuggito questo particolare.”
“In effetti…” “Aveva la soluzione a portata di mano,
ma non è stata capace di fare uno più uno due e pensare
che essendo uno del campo non mi sarebbe stato difficile
prelevare un campione di pelle dalla stessa persona e
utilizzarlo per i miei scopi, ossia conficcandolo sotto
le unghie delle due povere donne una volta uccise.”
“Posso sapere perché le ha uccise?” “Al tempo avevo
perso la testa per una ragazzina di nome Sabrina, Carla
si era accorta di lei per cui mi minacciava di dire
tutto a mia moglie e alla stessa Sabrina. Per quanto
riguarda mia moglie invece, lei non voleva concedermi il
divorzio, per cui non ho fatto altro che replicare le
modalità del primo delitto, riutilizzare lo stesso
campione di pelle e ripetere la storia
dell’incappucciato ossia la testimonianza del
pescatore.” “Per questo motivo si uccide?” “A
volte anche per meno, ma tenendo conto che è stato tutto
inutile, visto che poi Sabrina non ha voluto sapere più
nulla di me, potrei dirle che sono davvero pentito, ma
dopo dodici anni non servirebbe a nulla. O ci si pente
subito oppure il pentimento non ha alcun senso. Diciamo
che voglio vivere anzi morire in pace con me stesso.”
“Lei lo sa vero che dovrò immediatamente riferire questa
sua confessione…” “Sono vecchio e malato e poi
l’assassino torna sempre sul luogo del delitto e nella
maggior parte dei casi dà una grossa mano alle indagini…
ed io sono ben felice di aver contribuito alla
risoluzione del caso.” “Purtroppo anche alla morte
delle due donne…” “La morte lava le coscienze e in
questo caso anche la mia.” “Comunque il caso verrà
riaperto…” “Sono qui per questo.”
FINE |
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
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