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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
A Ostia si aggira un serial killer
 




Photo Gavin Prest



 

È notte fonda, fuori Roma è sotto una pioggia battente, al terzo piano dello stabile centrale della Procura di Roma la dottoressa Ambra Comi, sostituto procuratore, sta sorseggiando un caffè. Un attimo di pausa per poi immergersi di nuovo in quei faldoni di carte, foto, documenti e rilievi scientifici finora raccolti della vicenda criminosa che le è stata affidata.

Legge e rilegge quelle carte. Ora sta osservando la foto di Davide Ferro, capelli bianchi e occhi profondi azzurro mare, uno stimato dermatologo di 57 anni con studio nel quartiere residenziale dell’Eur in viale dell’Umanesimo. È sposato da 27 anni con Claudia Giacomi, professoressa di italiano e latino alla scuola media Parrini. I due si sono conosciuti ad una festa di amici, durante i festeggiamenti del nuovo anno. Era il primo gennaio del 1990. Praticamente un colpo di fulmine, dopo tre mesi si sono sposati andando ad abitare in un lussuoso appartamento in affitto sempre in zona Eur. Dopo due anni, grazie ad una consistente eredità di un lontano parente di lei, sono andati a vivere in una bella villa a schiera fronte mare di loro proprietà nella zona di Ostia. Dopo circa venti anni sono ancora insieme, nel frattempo hanno avuto due figli maschi, due cani e quattro gatti. Appassionati d’arte e cucina hanno viaggiato molto, risultano membri del Lions Club del locale distretto e hanno partecipato a diverse iniziative benefiche. Insomma una coppia all’apparenza tranquilla e benestante.

Quindi tutto bene finché un venerdì del 12 Dicembre del 2010, rientrando in casa a bordo della sua bella BMW, Davide Ferro si accorge che il telecomando del cancello è scarico per cui ferma la macchina davanti alla sua villa e scende. Prima di aprire il cancello con la chiave incontra il suo vicino di casa, a passeggio col cane, e si ferma a parlare con lui. Parlano del più e del meno, un accenno alla squadra di calcio locale, prima in classifica, e poi di certi lavori di manutenzione del manto stradale e della rete elettrica. Mentre stanno per salutarsi Davide Ferro vede con la coda dell’occhio un uomo incappucciato che sta scavalcando la siepe della sua casa e poi in tutta fretta si allontana lungo la stradina che porta alla spiaggia.
Davide non lo ferma, non urla e non segue l’uomo, ma preoccupato apre di fretta il cancello pedonale con la chiave ed entra immediatamente nel giardino. Affannato percorre il vialetto a piedi e chiama la moglie: “Claudia, Claudia sei in casa?” Ma Claudia non risponde. Lui nota la grata della porta di servizio insolitamente aperta, allora di corsa entra in casa, si dirige verso la sala e poi la cucina e purtroppo fa una terribile scoperta: sua moglie immersa in una pozza di sangue è distesa sul pavimento della cucina. Grida, cerca di rianimarla, poi chiama il 112. A detta dell’operatore l’uomo è piuttosto agitato tanto che non ricorda l’indirizzo di casa. Urla soltanto di fare in fretta. La telefonata viene subito localizzata e sette minuti dopo i soccorsi arrivano sul posto. Tentano di rianimarla, ma purtroppo la donna non respira. Tentano di nuovo, ma Claudia Giacomi non risponde perché è stata sgozzata con un grosso coltello e purtroppo per lei non c’è nulla da fare, il medico non può che accertarne la morte.

Le indagini affidate appunto al sostituto procuratore Ambra Comi vanno avanti per alcune settimane, si esclude immediatamente il movente della rapina in quanto la casa al momento dell’omicidio risulta essere in ordine, non ci sono effrazioni, i cassetti sono tutti chiusi e tra l’altro non risulta che sia stato rubato alcun gioiello né tanto meno la somma in contanti di circa duemila euro che la donna teneva in un cassetto della sala da pranzo. Vengono ascoltati i colleghi della vittima, alcuni vicini e parenti, tutti escludono che la donna potesse avere una relazione sentimentale parallela, circostanza confermata anche dall’analisi del cellulare di lei per cui viene scartata anche l’ipotesi del movente passionale.

Davide Ferro e i figli della coppia vengono interrogati più volte finché salta fuori che il marito della professoressa Claudia Giacomi non è uno stinco di santo. Per ben due volte la donna ha dovuto ricorrere alla cure dei sanitari per percosse. I vicini di casa e soprattutto il medico di famiglia confermano la circostanza anche se la donna in entrambe le occasioni non ha sporto denuncia affermano che quei lividi erano frutto di cadute accidentali e altro. Ma gli stessi figli della coppia confermano che il loro padre, spesso a cena, dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, alzava le mani sulla loro madre per motivi irrisori, chiamandola troia, cretina ed altro. Lei di solito non reagiva chiudendosi in bagno piangente. I figli però non conoscono la vera ragione di quelle violenze, sanno solo che tra il padre e la madre non corre buon sangue, ma ignorano il motivo scatenante che salterà fuori nel corso delle indagini soltanto successivamente.

Quindi scartata l’ipotesi del ladro e del delitto passionale le indagini prendono un indirizzo specifico, a quel punto vengono riesaminati nuovamente gli istanti che precedono e seguono il delitto e tutti gli elementi che, in un certo qual modo, potrebbero condurre all’incriminazione del dermatologo. Purtroppo in casa non viene trovata l’arma del delitto e i vestiti di Ferro sono intrisi di sangue, dovuti al tentativo di rianimare la moglie negli minuti che precedono l’arrivo dei soccorsi. Ma ci sono dei particolari che non quadrano e sono messi sotto esame. È a questo punto che Ambra Comi scopre che dalla chiacchierata col vicino alla chiamata al 112 sono trascorsi ben 18 minuti e che la donna ha avuto un rapporto sessuale poco prima di soccombere al suo assassino. Il medico legale dai rilievi non trova tracce di sperma, ma afferma con sicurezza che il rapporto non può risalire alla sera precedente. Con chi ha fatto l’amore Claudia Giacomi?

Altro particolare è la circostanza dell’incappucciato che scavalca la siepe. Il fatto non viene confermato dal vicino di casa e le telecamere installate in giardino risultano inattive a causa di un guasto da oltre due settimane. Davide Ferro interrogato su quei particolari conferma che il vicino potrebbe non aver visto l’incappucciato scavalcare, conferma di non fare l’amore con sua moglie da tempo immemorabile e ovviamente di non avere avuto quel giorno alcun rapporto sessuale con lei, avendola trovata in una pozza di sangue. Conferma inoltre di aver attraversato di corsa il giardino e alla vista del cadavere di aver chiamato immediatamente i soccorsi per cui, si chiede Ambra Comi: “Cosa ha fatto Davide Ferro in quei diciotto minuti?”

Unico indizio che disturba l’ipotesi di un ennesimo femminicidio avvenuto in famiglia è un brandello di pelle umana, trovato sotto le unghie della vittima, che non corrisponde al DNA del marito e non a quelli del ragazzo addetto alle consegne di regali di Natale e al postino, ovvero le due persone che in quel pomeriggio hanno bussato a casa Ferro, i quali non indagati si sono comunque sottoposti all’esame.

Ambra Comi non si dà per vinta, decide per il momento di mettere da parte quell’indizio e scavando nella vita dell’uomo e in particolare dall’analisi degli SMS nel suo cellulare e delle sue email viene a scoprire che Davide Ferro ha una storia parallela con una giovane assistente del suo studio. Da quel materiale Ambra Comi ricostruisce tutta la storia: Sabrina Vinci è una bellissima ragazza di appena diciannove anni, studentessa di Psicologia a Roma III, per mantenersi gli studi va tre pomeriggi a settimana nello studio del dermatologo. Dai messaggi e dalla testimonianza dell’anziana segretaria di Ferro, viene fuori che il dermatologo, innamorato della giovane, per trattenerla in quella relazione, le promette a chiare lettere che lascerà prima o poi la moglie per vivere insieme a lei. Sabrina all’inizio è dubbiosa e sicuramente non disposta, in quanto fidanzata, a intrecciare una relazione col suo capo. Ma Davide Ferro insiste, i suoi messaggi si fanno sempre più romantici e pieni di premura per la ragazza, i mazzi di rose diventano sempre più abbondanti e di un colore rosso deciso, finché dopo un litigio col suo ragazzo, Sabrina accetta un invito a cena. Per dare più veridicità al suo sentimento il dermatologo quella sera non ci prova, la riaccompagna a casa senza alcun tentativo di approccio, ma da lì la strada per lui si fa rapidamente tutta in discesa, tanto che Sabrina la sera seguente si lascia andare e insieme consumano il loro primo rapporto in un motel della zona. Quando ormai la relazione è conclamata i due amanti si intrattengono nello studio, di solito il lunedì e il giovedì sera, dopo le visite. Fanno l’amore, nonostante lei abbia ancora una relazione affettiva con il suo ragazzo.

A quel punto il sostituto procuratore decide di interrogare la ragazza. Sabrina Vinci conferma la relazione e il proposito di convolare a nozze col dermatologo, cosa ancora più fattibile dopo la morte della signora Claudia. Ammette però che dal giorno del delitto i due non si sono più visti, anzi lui le ha anche proibito di andare nel suo studio pur dandole il dovuto, circostanza che lei spiega per il dolore dell’amante per la perdita della moglie escludendo sdegnata qualsiasi altra ipotesi.
A domanda specifica descrive Ferro come un tizio molto passionale al limite del morboso, ammettendo, incalzata dagli inquirenti, che anche con lei spesso il Ferro non esitava ad alzare le mani, scusandosi immediatamente dopo e alle volte, addirittura, chiedendo umilmente perdono in ginocchio. Dall’alto dei suoi studi non può non constatare che il suo amante abbia una personalità piuttosto instabile e per questo motivo quei cambi umore troppo repentinamente. Racconta poi di un episodio in cui il Ferro aggredì e malmenò il suo ex ragazzo sotto il portone della sua abitazione minacciandolo di morte se avesse ancora frequentato quella che lui riteneva la sua donna. Dopo quell’episodio e venuto a conoscenza di tutta la relazione, il ragazzo aveva lasciato definitivamente Sabrina.

Conclusa la fase preliminare Ambra Comi, seppur in assenza di prove schiaccianti sull’omicidio e nella totale mancanza di altri indiziati, rinvia a giudizio l’imputato con l’accusa di aver ucciso sua moglie. Due giorni dopo Davide Ferro a bordo della sua BMW e in compagnia di una donna francese viene fermato dalla polizia di frontiera di Ventimiglia. Portato negli uffici della questura dichiara di essere diretto a Parigi per un week end di piacere escludendo ogni intenzione di fuga. Ovviamente gli inquirenti non credono a quella versione e lo arrestano.

Sei mesi dopo inizia il dibattimento che termina con la richiesta di condanna all’ergastolo dell’indiziato. La difesa sicura dei fatti non chiede il rito abbreviato insistendo sul tizio incappucciato che scavalca la siepe e soprattutto su quel brandello di pelle trovato sotto le unghie della vittima, ipotizzando così una rapina non portata a compimento a causa del sopraggiunto arrivo del marito della vittima. L’accusa invece insiste sulla vita parallela del Ferro e della sua intenzione di sposare l’amante e non ottenendo la separazione consensuale, oggetto di furibonde litigate tra moglie e marito, decide di disfarsi della moglie uccidendola.
Ambra Comi ricostruisce in aula quei diciotto minuti, ovvero da quando il Ferro entra in casa e la moglie è ancora viva. La donna sta lavando i piatti ed è di spalle alla porta. Lui entra in cucina, la prende da dietro e la convince ad avere un rapporto sessuale sul pavimento durante il quale la immobilizza e alla fine le taglia la gola. L’arma del delitto è sicuramente uno dei tanti coltelli che la donna tiene in bella mostra sul piano cucina. I giudici a quel punto si riuniscono in camera di consiglio, ma prima che emettano la sentenza avviene un fatto nuovo.


*****


Uno studente di medicina legale, un certo Francesco Orefice, prendendo in esame alcuni campioni di DNA per la sua tesi, scopre casualmente che il DNA rilevato nel campione trovato sotto le unghie della vittima Claudia Giacomi corrisponde, perfettamente e senza ombra di dubbio, ad un altro DNA trovato sempre tramite un brandello di pelle umana sotto le unghie di una donna uccisa nove mesi prima del secondo delitto. Dalla scheda allegata lo studente Orefice scopre che le modalità di quell’assassinio sono esattamente le stesse. La donna Carla Manticone, di 56 anni e non sposata, è stata prima violentata e poi sgozzata nella sua abitazione. Anche in quel caso la donna era stata trovata cadavere distesa sul pavimento della cucina. Dagli atti risulta che un pescatore che passeggiava lungo il canale antistante la casa aveva affermato con sicurezza di aver visto un uomo uscire dalla villa con un grosso cappuccio scuro in testa. Il delitto era avvenuto in zona Tor San Lorenzo, una località di mare e di villeggiatura, distante circa 30 km dalla casa del dermatologo.

A quel punto lo studente avverte immediatamente il suo professore e da lì la notizia arriva prima alla questura e poi sul tavolo del sostituto procuratore Ambra Comi la quale avverte immediatamente i giudici del processo in corso. I giudici prendono atto dei nuovi elementi e dispongono immediatamente di sospendere il processo e danno incarico al procuratore di acquisire agli atti la documentazione delle precedenti indagini, sospese a suo tempo per mancanza di indiziati.

Davide Ferro in custodia preventiva viene immediatamente scarcerato e i giornali del luogo escono in prima pagina con il titolo a caratteri cubitali: “Il Serial Killer di Ostia”. Con ampi articoli si pone l’accento sulle stesse modalità dei due delitti e soprattutto nei pezzi in cronaca si invitano le donne in casa a chiudere porte e finestre alimentando così una vera psicosi di un fantomatico serial Killer che sgozza ed ammazza le sue vittime in cucina.
La notizia così diffusa stimola la fertile fantasia criminale di vari mitomani. Arrivano in Procura, nelle redazioni dei giornali e al Commissariato di zona varie lettere composte da caratteri di giornali in cui si indicano diversi possibili autori dei due delitti. Oppure gente che si autoaccusa anticipando a breve un altro delitto. La polizia decide di intensificare la vigilanza, soprattutto notturna, specialmente nelle stradine periferiche ed isolate dove sono presenti villette a schiera. Alcuni fogli locali inattendibili addirittura diffondono altezza, peso e un falso identikit dell’uomo con tanto di cappuccio. Cosa per altro assolutamente non veritiera in quanto Davide Ferro e il pescatore hanno sempre dichiarato di non aver mai visto l’incappucciato in volto. Nella speranza di una cattura imminente qualcuno decide di non uscire di casa, le donne sole si fanno istallare da ditte specializzate grate e sistemi di sicurezza in casa, altri infine si organizzano in gruppi e danno luogo a presidi e fiaccolate notturne.

Intanto in procura, alla presenza dello stesso Dna e quindi in presenza di un unico colpevole, si decide di unificare i due casi. Ambra Comi concentra tutti i suoi sforzi per stabilire esattamente i punti coincidenti, confronta e studia le dinamiche e i rilievi scientifici, interroga di nuovo i testimoni, in primis Davide Ferro e il pescatore, ponendo l’accento questa volta sul famoso incappucciato, figura decisamente trascurata nella precedenti indagini, ma, come in una vicenda processuale che si rispetti, sarà il caso fortuito a indirizzare le ricerche nella giusta direzione.

Francesco Orefice, lo studente di medicina legale, che dal giorno della scoperta dei due DNA perfettamente uguali, ha iniziato a seguire il caso, rilascia interviste ed è indicato dai giornali come un vero e proprio eroe. Da quel giorno non si perde neanche un minuto delle udienze, prendendo appunti e conducendo una sua indagine personale. Tramite il padre, comandante del locale Corpo dei Vigili Urbani, viene a scoprire un particolare all’apparenza insignificante ossia che Davide Ferro risulta moroso per due multe non pagate e contestate all’incirca due anni prima. Per puro caso decide di approfondire la circostanza, trascurata dalle indagini ufficiali della Procura, e scopre casualmente che una di quelle due multe è stata contestata per un divieto di sosta rilevato alle ore 23:27 in via del Piroscafo nel comune di Ardea, ovvero il comune che comprende la località di Tor San Lorenzo. Consultando la mappa della zona scopre che Via del Piroscafo è l’ultima traversa a destra di via delle Baleniere, ossia la strada in cui abitava la prima vittima Carla Manticone.

Riferisce tramite email la strana coincidenza al procuratore. Ambra Comi sente di avere in mano la chiave a lungo cercata e mette alle strette Davide Ferro. Convocato in Procura il dermatologo non può che confermare la circostanza della multa e sostiene che, essendo un pescatore dilettante, alle volte si recava presso quel tratto di canale, lungo il quale parcheggiava la sua auto. In effetti, da informazioni raccolte sul posto, viene fuori che quel canale alquanto pescoso è meta di diversi pescatori della zona, ma Ambra Comi quella sera da sola nella sua stanza della Procura si sta domandando: “Davide Ferro e Carla Manticone si conoscevano?” Legge e rilegge le carte: la donna viveva sola in quella villetta davanti al canale e piuttosto fuori mano, aveva dei parenti lontani vicino Padova, per cui nessun testimone convocato in Procura poteva confermare i suoi sospetti o quanto meno stabilire quel legame tra i due. Ovvio che, se confermata, la circostanza avrebbe dato nuova linfa alle indagini e di sicuro avrebbe fatto prendere una nuova piega alle indagini.

Quindi non si dà per vinta, il giorno dopo mette a soqquadro le case di Ferro e della Manticone, migliaia di bollette, fogli sparsi, agende, dediche sui libri, lettere, fotografie, scontrini della spesa, ma nulla, nessun elemento certifica la conoscenza tra i due. Nessun scambio di email tra i due, nessun numero sulla rubrica del telefono del Ferro corrisponde alla Sim ormai chiusa della vittima. La vittima tra le altre cose non lavorava, ma viveva con la rendita di due appartamenti affittati nella provincia di Padova per cui nessun collega, vicino o conoscenza era al corrente della sua vita privata.

Alla fine Ambra Comi è costretta a lasciare la pista, ma si chiede se sia possibile che uomo indagato per l’omicidio della moglie possa, mesi prima, parcheggiare la propria auto a qualche centinaio di metri dalla casa di una donna uccisa con le stesse modalità e che sotto le unghie presentava lo stesso Dna dell’altra vittima! Nessuno mai le toglierà dalla mente che l’incappucciato, non visto dal vicino del secondo delitto, ma visto dal pescatore del primo delitto abbia un solo volto, ovvero quello di Davide Ferro! Purtroppo però il processo, a fronte dell’assenza di un legame tra i due delitti e soprattutto della risonanza mediatica ormai sicura di un Seria Killer, non può che concludersi con un nulla di fatto.
Nel frattempo Francesco Orefice si è laureato a pieni voti portando come tesi proprio quella vicenda e tramite un concorso interno è stato accolto a braccia aperte in Polizia.
La notizia del Serial Killer ad Ostia, in assenza di altri fatti, pian piano si sgonfia, la gente pur in assenza del colpevole, si dimentica della vicenda.


*****


È un pomeriggio inoltrato di dodici anni dopo, un uomo piuttosto anziano sta passeggiando col suo cane sul lungomare di Ostia. Respira l’aria di mare, ma è inquieto. Ogni tanto si ferma, parla col cane, poi pensa, davanti a lui, dall’altra parte della strana c’è un edificio giallo con una grande scritta bianca e blu: POLIZIA.

È Davide Ferro che nel frattempo si è rifatto una vita e si è sposato nuovamente, ma non con Sabrina Vinci. All’età di sessantadue anni è andato in pensione e ora si gode il meritato riposo tra Roma e Parigi, ma un bel giorno, un banale martedì di agosto scopre di avere un tumore e che il tempo di vita è veramente esiguo per cui volendo morire in pace, pensa di sgravarsi la coscienza. E quindi quel giorno attraversando quel lungomare decide di entrare nel commissariato chiedendo di Francesco Orefice, sì proprio lui, lo studente di medicina legale che nel frattempo è diventato un brillante ispettore di Polizia.

Orefice lo accoglie nella sua stanza ed è visibilmente sorpreso per quella visita. Dopo i convenevoli del caso Davide Ferro tira fuori dalla tasca una innocua e banale foto in bianco e nero di classe della III B del Liceo Maniero.
“Ecco vede Dottor Orefice? Se durante quel sopralluogo i collaboratori del procuratore avessero prelevato anche questa foto per me non ci sarebbe stata via di scampo, ma evidentemente hanno giudicato una foto di classe troppo banale per essere oggetto di indagine. Guardi qui! Questo in piedi sono io, il terzo da sinistra, mentre questa bella ragazza seduta proprio sotto di me è Carla Manticone.”
Orefice osserva attentamente la foto.
“Vuole dirmi che questo è l’anello mancante che la dottoressa Comi ha cercato per anni?”
“Esatto. Avevo passato mesi, prima della morte di mia moglie, a distruggere ogni tipo di legame che potesse far risalire alla nostra conoscenza, dimenticandomi però di questa foto.”
“In effetti ci è riuscito ampiamente…”
“Esatto, avevo fatto in modo che i soli anelli di congiunzione dei due delitti fossero l’incappucciato e il brandello di pelle sotto le unghie delle vittime.”
“Mi faccia capire, dopo dodici anni è qui per confessare di essere lei il colpevole dei due delitti?”
“Ora non c’è ombra di dubbio. Questa foto è quello che cercavate no?”
“E perché mai si è deciso solo ora?”
“I casi della vita sono identici ai casi processuali. È il destino a guidare entrambi.”
“Eh no Ferro, se è vero quello che dice, lei in questi anni si è divertito a giocare con la giustizia. Chi mi dice che anche in questo caso lei non continui a prendersi gioco di noi.”
“Lei dice?”
“Dico!”
“Beh non direi propriamente un gioco, diciamo che ogni accusato ha la facoltà di difendersi usando tutte le armi possibili ed io l’ho fatto e a quanto vedo ci sono riuscito!”
“Mi ascolti Ferro, lei potrebbe aver conosciuto la signora Manticone, esserne stato anche l’amante, ma non per questo essere il suo assassino, del resto l’esame del DNA lo ha scagionato totalmente…”
“Dottor Francesco, lasci perdere, mi spiace che la dottoressa Comi sia andata in pensione. Avrei voluto confessare a lei, guardandola negli occhi, che i due delitti erano stati preparati nei minimi dettagli.”
“Questo cosa c’entra?”
“Lei lo sa vero che sono un dermatologo? Al tempo la dottoressa, sempre in cerca dell’anello mancante, le è sfuggito questo particolare.”
“In effetti…”
“Aveva la soluzione a portata di mano, ma non è stata capace di fare uno più uno due e pensare che essendo uno del campo non mi sarebbe stato difficile prelevare un campione di pelle dalla stessa persona e utilizzarlo per i miei scopi, ossia conficcandolo sotto le unghie delle due povere donne una volta uccise.”
“Posso sapere perché le ha uccise?”
“Al tempo avevo perso la testa per una ragazzina di nome Sabrina, Carla si era accorta di lei per cui mi minacciava di dire tutto a mia moglie e alla stessa Sabrina. Per quanto riguarda mia moglie invece, lei non voleva concedermi il divorzio, per cui non ho fatto altro che replicare le modalità del primo delitto, riutilizzare lo stesso campione di pelle e ripetere la storia dell’incappucciato ossia la testimonianza del pescatore.”
“Per questo motivo si uccide?”
“A volte anche per meno, ma tenendo conto che è stato tutto inutile, visto che poi Sabrina non ha voluto sapere più nulla di me, potrei dirle che sono davvero pentito, ma dopo dodici anni non servirebbe a nulla. O ci si pente subito oppure il pentimento non ha alcun senso. Diciamo che voglio vivere anzi morire in pace con me stesso.”
“Lei lo sa vero che dovrò immediatamente riferire questa sua confessione…”
“Sono vecchio e malato e poi l’assassino torna sempre sul luogo del delitto e nella maggior parte dei casi dà una grossa mano alle indagini… ed io sono ben felice di aver contribuito alla risoluzione del caso.”
“Purtroppo anche alla morte delle due donne…”
“La morte lava le coscienze e in questo caso anche la mia.”
“Comunque il caso verrà riaperto…”
“Sono qui per questo.”




FINE

 









Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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