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IL RACCONTO E'
ADATTO AD UN PUBBLICO ADULTO
I DIARI
LICENZIOSI DI VIOLETTE BERTIN
Concerto di
Capodanno
Photo © Gallery Photo Sarah Stiles
Quando Caroline si fidanzò ufficialmente a casa
con un suo compagno di Università, Adam Cohen, un biondo
slavato ed arrogante, ma benestante, figlio di
industriali del settore tessile, mi sentii davvero sola
e senza fili. Decisi allora, per ammazzare la noia, di
prendere lezioni di violoncello, mio cruccio da sempre.
Sin da piccola mi ero dilettata nella musica
alternando lezioni di chitarra e di pianoforte, ma
crescendo ero stata attratta dal suono di quelle quattro
corde e soprattutto incuriosita dalla postura, sembrava
come se per suonarlo occorresse stabilire un contatto
fisico entrando in simbiosi con lo strumento stesso.
Un giorno chiesi a Léo Martelli, il signore del
secondo piano e direttore del Théâtre du Châtelet,
qualche informazione. Lui mi fece avere dei cd, ma
qualche giorno dopo, fu ben lieto di darmi qualche
dimostrazione per farmi rendere conto in cosa
consistesse lo studio di quel particolare strumento. Poi
aggiunse: “Mia cara, purtroppo i miei impegni, non mi
consentono di darle delle vere e proprie lezioni. In
caso se dovesse continuare nella pratica le consiglierò
un professore molto bravo di mia conoscenza.” Quella
risposta fu per me un cioccolatino dolce e amaro, da un
lato feci salti di gioia per l’invito, ma dall’altro
però avvertii quella enorme e fredda distanza tipica tra
allieva e professore. Certo non mi facevo delle
illusioni e il violoncello non era solo un pretesto, ma
in più di una notte, ascoltando quei cd, mi ero lasciata
trasportare sulle ali delle fantasie creative. Del
resto, nella maestosità dei suoi cinquant’anni, era un
uomo decisamente affabile e più volte, osservando le sue
mani che ritiravano la posta, mi sarei volentieri
sostituita a qualsiasi strumento vibrato, a corde o
semplicemente a fiato.
Comunque sia, per un
pomeriggio a settimana iniziai a frequentare casa
Martelli. Sua moglie Linda era una donna molto graziosa,
ex hostess dell’Air France, ma molto più anziana del
marito e con gravi problemi alla schiena, tanto che
passava la maggior parte della sua giornata distesa sul
letto, accudita amorevolmente da Therese una giovane
polacca, un tempo allieva del marito e ora domestica a
tempo pieno di casa Martelli. Sin dal primo pomeriggio
il mio intuito non fece cilecca e non mi fu difficile
capire che tra la domestica e il signor Martelli c’era
molto di più di un semplice rapporto di lavoro.
Comunque mi concentrai solo sullo strumento e rimasi
letteralmente rapita da quel suono dal vivo, niente a
che vedere con l’ascolto dei cd. Imbambolata e senza
perdere alcun movimento osservavo le mani del signor
Martelli rimanendo affascinata per come il mio maestro
fosse padrone di quel suono incollando quelle scale di
note in un saliscendi armonico che dava sostanza alle
corde e nuova linfa ai miei sensi fondendosi
tutt’intorno col resto della stanza, col suo accenno di
barba rada, col suo profilo irregolare e le sue
espressioni facciali accordate a quella melodia. Finita
la dimostrazione scendevo le scale volando,
completamente in estasi e in uno stato di assoluta
leggerezza chiedendomi come fosse possibile che quella
musica potesse causare ai miei sensi quell’effetto così
devastante.
Dopo due pomeriggi di dimostrazione
venne il mio turno. Lui passò praticamente le due ore ad
insegnarmi la postura e a come impugnare lo strumento e
l’archetto. Per l’emozione ero tesa come le corde del
violoncello, ma quando adagiò le sue mani sulle mie
spalle avvertii un lungo brivido caldo che percorse
velocemente tutta la mia schiena. Lui se ne accorse, ma
non disse nulla. Piano piano e con estrema difficoltà
iniziai, ma lui ogni volta insisteva sulla postura e
sull’impugnatura ed ogni volta sorrideva dicendomi che
le donne avevano una difficoltà maggiore nella presa a
causa del seno. Quando gli feci presente che il mio non
era tanto grande mi rispose: “Oh sì, non è grande, ma da
quello che mi è concesso vedere, è a dir poco grazioso e
magicamente appetibile.” Diventai rossa e non so per
quale motivo chiesi scusa. Lui mi venne vicino e
sussurrò: “Il suo rossore è incantevole e decisamente
sensuale.” Così dicendo appoggiò delicatamente e per un
infinitesimo secondo le sue labbra sulle mie.
Ci
baciammo ancora nel segreto di quella stanza e allora
chiusi gli occhi ed accolsi la sua lingua. Il primo
pensiero che mi venne in mente fu che lui in quel
momento stava tradendo due donne, ma a giudicare dalla
sua bocca voluttuosa di certo non se ne fece pena.
Scostò il violoncello e mi toccò fra le gambe, ero già
bagnata e venni immediatamente. Lui non si sorprese,
anzi si inginocchiò davanti a me e iniziò a leccarmi le
cosce, dicendomi quanto adorasse quei fiocchetti che
aggraziavano il mio sesso nudo e soprattutto quel sapore
spremuto di fragola matura. Quando ci salutammo, forse
per l’imbarazzo oppure per non farmi cadere in facili
illusioni mi disse che in quella stanza non era successo
nulla, che entrambi dovevamo dimenticare ciò che era
accaduto, ma in realtà il giorno dopo passando davanti
alla portineria mi sorrise e mi disse che se avessi
voluto potevo salire per un’altra lezione. Ormai
conoscevo i suoi gusti e prima di salire andai nella mia
stanza, tolsi le mutandine ed indossai sotto la gonna un
reggicalze bianco con un paio di calze velatissime color
carne, la sua passione. Avevo il fiatone.
Therese non c’era, era uscita per fare degli acquisti, e
quella volta non ci fu bisogno neanche della scusa delle
lezioni, del violoncello e della postura. Appena chiusi
la porta della stanza alle spalle mi chiese di sollevare
la gonna, uscì di testa nel vedere il mio sesso nudo, mi
prese subito su quel piccolo divano. Facemmo l’amore e
poi il giorno dopo e il giorno dopo ancora, finché un
pomeriggio mentre era dentro di me lo chiamai “amore” e
gli dissi che non potevo fare più a meno di lui, del suo
sesso e della sua musica. Lui fini di penetrarmi ed una
volta rilassato mi ammonì severo. “No, Violette, questi
nostri meravigliosi momenti sono indipendenti dal resto.
Tu sei giovane, devi ancora farti una vita ed io ho già
fatto le mie scelte.” Disse indicando la foto della
moglie vestita da hostess e l’ombra di Therese che in
quell’istante, passando lungo il corridoio, si
materializzò attraverso la porta a vetri. Gli risposi
mentendo che mi sarei accontentata di essere la terza
per preferenza, ma di certo la prima in fatto di sesso.
Insomma mi stavo innamorando.
Da quel giorno lui
diradò gli inviti, ogni giorno al risveglio speravo con
tutta me stessa che quello fosse il giorno consentito
per salire quelle scale fino al secondo piano. Invece
niente, invidiavo Therese, pensando a quanto fosse bello
essere una domestica, invidiavo sua moglie e i suoi
dolori di schiena, fin quando trovai sul davanzale della
portineria una busta rosa profumata indirizzata a me su
carta intestata Léo Martelli. Impazzii, stracciai
immediatamente la busta, ma rimasi delusa perché in cuor
mio mi sarei aspettata qualche riga di ripensamento
invece all’interno c’era solo un biglietto di invito per
il Concerto di Capodanno al Théâtre du Châtelet con
musiche di Donizetti, Rossini, Puccini, Bellini e
Offenbach e relativo brindisi a fine concerto.
*****
Il teatro era gremito di uomini che
ostentano la loro ricchezza e di signore ingioiellate
dai vestini lunghi e neri che mostravano orgogliose le
loro acconciature fresche di parrucchiere, le loro
scollature profonde ed abbondanti, le loro calze velate
nere con la cucitura e i tacchi vertiginosi. Al loro
confronto il mio vestito cucito da mia madre mi faceva
sentire inadeguata, ma nonostante tutto per nessuna
ragione al mondo avrei mai rinunciato a quella serata.
Volevo vederlo sul quel palcoscenico, sentirlo mio anche
se a distanza, anche se sapevo benissimo che non ci
saremmo potuti vedere da vicino o quanto meno salutarci.
Anche se in fondo al mio cuore una piccola luce di
speranza mi istigava dicendomi che non dovevo
assolutamente mettere limiti a quella serata tanto che
prima di uscire avevo avvisato mia madre che sarei
tornata tardi e di non aspettarmi in piedi.
Quando lo vidi entrare trionfalmente sul palco seguito
da uno scroscio di applausi infinito il mio cuore iniziò
a battere. Chissà perché mi sentivo orgogliosa e quando
strinse le mani ad una ad una degli orchestrali avrei
voluto far sapere alla signora bionda che mi sedeva
accanto che anche se per qualche ora ero stata la sua
donna. Insomma mi sentivo importante! Poi ad un tratto
lo vidi che con gli occhi cercava qualcuno tra il
pubblico seduto nelle prime file.
Subito dopo,
vidi una donna mora alzarsi e salutare ringraziando il
pubblico. Immaginai fosse una collega, non so un soprano
o quanto meno una persona a cui era stata dedicata la
serata o fosse l’artefice di qualche evento di
beneficienza. Poi si spensero le luce in sala e il
concerto iniziò. In sequenza riconobbi arie di
Donizetti, Rossini, Puccini, Bellini, Offenbach, tutte
musiche meravigliose e su quel crescendo di melodie mi
lasciai andare. Sentii distintamente le mie gambe
inumidirsi immaginando che forse davvero la mia serata
era appena cominciata e il mio direttore d’orchestra non
mi avesse invitata solo per assistere al suo trionfo.
Fantasticai immaginando un dopo teatro in
qualche ristorante di lusso del centro e poi un albergo,
una suite nostra, lontani da sua moglie e dalla sua
amante Therese. L’eccitazione fu così forte ed intensa
che dovetti respirare più volte e profondamente per
interrompere quel pensiero. Durante l’ultima pausa mi
alzai, barcollai sui tacchi alti, ma riuscii a
guadagnare la toilette. Avevo il timore che il mio
trucco fosse colato inesorabilmente, mai avrei voluto
farmi vedere da lui in quelle condizioni. Mi guardai
allo specchio era tutto in ordine, il trucco reggeva, il
rossetto delineava perfettamente le mie labbra, la calza
non era smagliata, la camicetta di seta in ordine, la
riga della calza dritta. Solo in quel momento mi
ricordai di non aver messo le mutandine e sorrisi.
Tornai in sala, si erano accese le luci e il
pubblico era tutto in piedi che applaudiva spellandosi
le mani. Insomma un’ovazione che durò oltre dieci minuti
di orologio. Sul biglietto di invito c’era scritto che
il maestro Léo Martelli dopo il concerto avrebbe avuto
il piacere di brindare al nuovo anno col pubblico
presente nella grande sala delle feste adiacente il
teatro. Ecco, pensai, che quello sarebbe stato il mio
momento. Finalmente mi avrebbe vista e finalmente lo
avrei salutato.
*****
Il maestro
si fece attendere per circa mezz’ora poi quando lo vidi
entrare trionfalmente nella sala quasi svenni. Non era
solo! Accanto a lui una meravigliosa donna di colore dal
corpo statuario da top model. I suoi capelli neri e
lunghi si adagiavano morbidamente come onde sulle
trasparenze della sua camicetta che lasciava intravedere
uno splendido seno. Il suo vestito lungo fino ai piedi,
pieno di lustrini, si apriva in uno spacco profondo
laterale fino al fianco che mostrava una delle più belle
cosce che avevo mai visto in vita mia. Era superbamente
bella con la sua pelle di velluto e i suoi occhi di un
azzurro mare che risaltavano ipnoticamente su quella
carnagione scura. Lui venendo verso di noi le cingeva
delicatamente i fianchi e ovviamente se la mangiava con
gli occhi!
Mi sentii sprofondare, chiusi gli
occhi arretrando e desiderando di diventare ancora più
piccola per non essere vista. Col mio calice in mano mi
rintanai in un angolo pensando a come sgattaiolare via
senza dare nell’occhio, ma la signora bionda, che mi
sedeva accanto durante il concerto, si avvicinò. Iniziò
a parlare mentre io mi chiedevo perché mai avessi
accettato quell’invito. Pensai a quando, tra meno di
un’ora, avrei girato la chiave per entrare nel portone e
poi sarei andata in bagno e subito dopo mi sarei
spogliata da sola nella mia stanzetta da adolescente
liberandomi degli inutili laccetti di un reggicalze
maledettamente scomodo che non era servito a nulla,
mentre lui eccitato dal trionfo di quella serata, nello
stesso momento avrebbe quanto meno baciato quella
meravigliosa creatura esotica e magari come aveva fatto
con me, prima di penetrarla, l’avrebbe toccata tra le
cosce umide e disponibili e lei per ricambiare, avrebbe
accolto nella sua bocca rossa il suo sesso che avevo
conosciuto solo in parte e ora chissà perché aveva lo
stesso sapere dello champagne che stavo bevendo.
Solo a quel punto, nonostante il mio innato ottimismo,
mi resi conto che quel biglietto di invito non
significava assolutamente nulla, né tanto meno sarei
stata per quella sera l’oggetto delle sue premure e
colei che avrebbe spartito il suo successo e goduto dei
suoi trionfi e del suo meraviglioso sesso. Mi diedi
della scema per aver immaginato la suite e creduto ad
una notte di fuoco. Del resto cosa mai avrei potuto
dargli io? E soprattutto per quale cavolo di motivo era
stato con me? E cosa diavolo ci aveva trovato in questa
ventenne che in quel momento indossava un vestito cucito
a mano da sua madre ed era alta quanto la coscia di
quello splendido esemplare femminile?
Cercai di
tranquillizzarmi pensando che in fin dei conti mi aveva
ripetuto più volte quanto il suo cuore fosse già
occupato, ma sinceramente non avrei mai pensato che la
mia rivale fosse una top model. Certo con la domestica
polacca avrei potuto giocarmi le mie chance, ma con
quella no cavolo! Mi ero illusa di conquistarlo, ma ora
davanti all’evidenza, non potevo che ammetterlo,
decisamente quella sera avevo fatto male ad accettare
quell’invito perché la realtà è sempre dura da digerire.
Ora non ero più la terza in graduatoria, ma addirittura
la quarta e non avrei di certo contato nulla, meno di
niente, anche se lui mi aveva fatto credere che una
donna può arrivare ovunque, se con un reggicalze indosso
si sente regina, se con un paio di tacchi si sente
puttana. Invece non era così.
Al momento del
brindisi, il famoso maestro e la bella signora nera, si
erano tenuti per mano guardandosi fissi negli occhi.
Ecco sì, non potevo fare a meno di pensarla piegata in
ginocchio intenta a soddisfare con la bocca il suo uomo
nel silenzio di una terrazza di qualche albergo
lussuoso, e poi la immaginai a carponi, sottomessa ed
eccitata che, con movenze da troia d’alto bordo, lo
invitava ad entrare nel suo paradiso, a spingere più in
fondo dove l’anima di carne è più stretta, dove ogni
donna baratterebbe la promessa d’amore per un minuto più
intenso.
Era più forte di me, ripensai a quando
avevo toccato il cielo con un dito nel sentirmi colma di
lui, a quando tra le sue mani mi ero sentita il suo
violoncello. Ripensavo all’ultima volta a quando mi
aveva penetrata, scopata, sbattuta, goduta e in un certo
senso amata perché illusa che stava preferendo me alle
sole e uniche due donne di quella casa. Ma non era così.
Ecco il brindisi era terminato, mentre andavo verso
il guardaroba per ritirare il mio soprabito, stranamente
vidi la bella modella guadagnare l’uscita avvolta da una
pelliccia d’ermellino e salire su una limousine nera.
Chiesi chi fosse alla signora bionda che nonostante la
mia poca loquacità mi era rimasta accanto. Lei
rispose: “Mia cara è la famosa modella internazionale
Elèna Dragoscu di padre rumeno e di madre etiope. Moglie
dell’emiro del Bahrain, uno degli uomini più ricchi del
mondo. Ha finanziato e presenziato a questa serata a
scopo di beneficienza.” Trasalii.
Pensai ai due,
alla loro intesa durante il brindisi, alle loro mani
intrecciate, a come si erano guardati… ma proprio in
quel momento sentii nella pochette il mio telefono
vibrare. Era un messaggio di Léo Martelli che mi
ringraziava di aver partecipato alla serata. “Allora mi
ha vista?” Pensai. Poi subito dopo un altro
messaggio: “Non vorrai concludere la serata così…
Aspettami fuori dal teatro…” A quel punto gli
scrissi: “Perché?” Lui mi rispose laconico: “Perché
la realtà è diversa dai sogni… Almeno per me.”
Beh non era il massimo, ma di colpo avevo di nuovo
salito un gradino delle sue preferenze e quella serata
non sarebbe trascorsa inutilmente. Per il momento mi
sarei accontentata.
FINE
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TUTTI I RACCONTI DI
VIOLETTE BERTIN
Il racconto è frutto di fantasia. Ogni riferimento a
persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale.
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