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IL RACCONTO E'
ADATTO AD UN PUBBLICO ADULTO
I DIARI
LICENZIOSI DI VIOLETTE BERTIN
L’incredibile
storia della signora Gabrielle Laurent:
“Un uomo tutto
mio!”
Foto © Rossella Viccica
PERSONAGGI: Gabrielle Laurent: La signora del
primo piano Camille Petit: L'Alter ego Gilbert: Il
marito Daniel: L’amante Christophe Garcia: L’amico
di Daniel
Gabrielle Laurent, era una bella
donna di quasi cinquant’anni, gentile e dai modi
raffinati si intratteneva spesso a parlare con me e mia
madre nell’atrio del palazzo ed aveva sempre una buona
parola per noi. Una mattina al rientro della sua solita
passeggiata col suo barboncino bianco Ninja, mi invitò a
salire nella sua bella casa al primo piano dello
stabile. Parlammo del più e del meno, poi s’informò sui
miei studi di Filosofia, lei parlò invece dei suoi corsi
di architettura, fino a quando, dopo aver servito due
tazze fumanti di thè, iniziò a raccontarmi la storia
della sua vita.
“Come vedi Violette, ora sono
una donna sola e serena, ma come sai fino a cinque anni
fa ero una signora felicemente sposata. Certo il destino
non ha voluto che avessi figli, ma io e Gilbert avevamo
molti amici e vivevamo un’intesa vita mondana fatta di
vernissage, teatri, feste private e prime all’Opera. Ma
dopo circa ventitré lunghi anni di matrimonio mio marito
pensò bene di innamorarsi di una ragazzina, che aveva
esattamente gli anni del nostro matrimonio. Me lo
comunicò senza guardarmi negli occhi una sera a cena,
non riuscivo a crederci tanto che scoppiai in una grande
risata e glielo feci ripetere più volte. Poi però quando
la mattina lo vidi preparare le valigie mi sciolsi in un
pianto a dirotto e da quel giorno caddi in una profonda
depressione. Mi rintanai in casa e chiusi con tutti gli
amici e le pseudo amiche e dovetti sottopormi per più di
un anno a lunghe sedute terapeutiche per ricominciare ad
avere un minimo di autostima.
Le mie giornate
passavano lente, il mio lavoro di arredatrice era
l'unico svago, ma trascorrevo tutto il mio tempo libero
a disposizione in casa chiedendomi principalmente come
fosse stato possibile che un uomo di cinquanta anni
avesse potuto perdere la testa per una poco più che
ventenne e soprattutto come avesse fatto a decidere
drasticamente di cambiare vita. Ovvio che in
quell’analisi la mia incredulità non era tanto per la
sbandata per una ragazzina, che poteva anche starci, ma
soprattutto per la sua decisione di spezzare
definitivamente il nostro legame.
Passarono
quasi sei mesi finché un giorno, forse per emulare mio
marito, forse per provare ad essere ancora giovane,
accettai di uscire con un ragazzo poco meno che
trentenne incontrato nel bar dove la mattina facevo
spesso colazione. In altre circostanze una donna come me
non si sarebbe mai fatta abbordare per strada da uno
sconosciuto, ma forse per la mia sofferenza ancora viva
o forse per i suoi modi gentili, accettai quel
corteggiamento. Daniel si presentò dicendomi che era un
musicista, chitarrista di un famoso gruppo rock, che io
ovviamente non conoscevo. Con diffidenza lo osservai
attentamente ed alla fine decisi che oltre a risultare
simpatico era anche un tipo particolare, ma sicuramente
non bello almeno per i miei standard di bellezza.
Insomma per farla breve accettai il suo invito e la sera
ci ritrovammo a cenare da Bouillon Chartier sulla rue du
Faubourg-Montmartre. Sarà stato l’ottimo pesce o quel
calice di rosso d’annata in più, sarà stato il mio
desiderio di passare una sera diversa, oppure altro
tanto che dopo la cena presi l’iniziativa e lo invitai
qui a casa mia. L’invito fu così esplicito che appena
arrivata in casa ci ritrovammo subito nella camera da
letto senza passare per il soggiorno.
Era la
prima volta che mi abbandonavo tra le braccia di un uomo
diverse da quelle di mio marito. Facemmo l’amore per
tutta la notte e fu a dir poco fantastico. Daniel
baciava da Dio e si rivelò un amante così premuroso che
la cosa che mi sorprese maggiormente fu il mio totale
abbandono e il mio ritrovato desiderio di fare sesso.
Purtroppo però la mattina quando mi svegliai del focoso
amante non era rimasta nemmeno l’ombra tranne un
biglietto sul comodino sul quale aveva scritto un
laconico: “Mi spiace”, senza aggiungere altro.
È
inutile dirti che ci rimasi molto male, la mattina
stessa cercai di raggiungerlo telefonicamente e lui pose
subito le distanze. Senza mezzi termini mi disse che i
patti erano stati chiari, patti che ovviamente non
c’erano stati, e che, essendo stata una semplice scopata
tra due persone maggiorenni, nessuno dei due poteva
sentirsi in qualche modo vincolato. Davanti alle mie
insistenze di rivederlo mi disse che al massimo, vista
la mia età, avrei potuto fargli da mamma. Mi sentii
offesa e allibita per quelle parole e riattaccai.
Mi guardai allo specchio, forse davvero dovevo fare
i conti con i miei 45 anni anche se, almeno io, ero
stata così bene insieme a lui che dentro quel letto non
avevo avvertito la minima differenza di età. Delusa
tornai al mio lavoro, al tempo stavo scrivendo un saggio
su Philippe Starck, una vera e propria celebrità del
design contemporaneo. Scrivendo cercai di dimenticare il
mio amico e quella brutta storia, ma m’illudevo, mi
veniva sempre in mente quella serata e quanto mi fossi
sentita femmina e libera con lui. Alla fine non
resistetti e lo ricontattai tramite telefono, email e
whatsapp, ma purtroppo inutilmente. Il suo silenzio era
a dir poco esplicito, ma non mi arresi.
Una sera
su Facebook gli chiesi l’amicizia, ma anche quello
risultò un vano tentativo per cui mi venne l’idea di
diventare amica di uno dei suoi amici per il solo motivo
di arrivare a lui. Scorrendo l'elenco dei suoi
pochissimi contatti, perlopiù femminili, mi colpì il
profilo e le foto di un certo Christophe Garcia, un
fotografo di professione, coetaneo di Daniel. Scoprii
che avevano lo stesso indirizzo e curiosando tra le foto
mi colpì il suo sguardo profondo, tenebroso e in un
certo senso pieno di mistero.
Ci pensai un po’,
poi decisi di agire, ma per non ricevere un immediato e
plateale rifiuto, mi feci un nuovo profilo: Camille
Petit di 25 anni, studentessa di architettura e
soprattutto single. Per la foto del profilo non ebbi
dubbi, scelsi quella a figura intera della ragazza che
mi aveva rubato il marito. Era decisamente fotogenica e
carina, con la sua espressione maliziosa, le gambe
lunghe, la faccia d'angelo, le labbra grandi e sensuali,
gli occhi verdi e una cascata di morbidi capelli biondi.
A quel punto chiesi l'amicizia a Christophe e
sinceramente non dovetti aspettare molto per avere una
risposta. Avuta l'amicizia cominciai a mettere i miei
Like sulle sue foto professionali. La sera stessa mentre
cercavo faticosamente di addormentarmi, sentii il suono
di un messaggio in arrivo sul mio portatile. Mi alzai.
Era lui che mi ringraziava per i Like sulle sue foto e
nel messaggio successivo mi chiedeva se davvero mi
fossero piaciute e quale in particolare. Con studiata
malizia non risposi subito, aspettai tutta la notte e al
mattino seguente risposi alle domande diligentemente
come una scolaretta alle prime armi.
Da quel
momento iniziammo a chattare. Mi fece i complimenti per
la foto e mi chiese se facessi la modella e se per
caso avessi avuto voglia di essere fotografata da lui.
Gli risposi che al momento stavo frequentando un corso
di laurea fuori Parigi, all’Université de Reims
Champagne-Ardenne, ma al mio ritorno ci avrei pensato.
Lo sentii deluso, di sicuro avrebbe voluto vedermi il
giorno stesso, ma aggiunse che quella mattina avrebbe
comprato un biglietto della lotteria perché si sentiva
davvero un uomo fortunato ad avermi incontrato. Dal mio
canto gli risposi la stessa cosa, pur sapendo in cuor
mio che quell’incontro per forza di cose non sarebbe mai
avvenuto. Senza che lo sollecitassi mi confermò che in
quel periodo abitava in una grande villa poco fuori
Parigi insieme ad altri amici tra cui un certo Daniel,
un famoso chitarrista rock, che ovviamente finsi di non
conoscere.
La sera successiva lo chiamai al
telefono, ovviamente con il numero anonimo. Lo feci
coprendo il microfono del telefono con una calza per la
paura che ascoltandomi in viva voce Daniel avrebbe
potuto riconoscere la mia voce. Avevo il cuore in gola e
mi sentii impacciata e insicura tanto che balbettai più
volte. Lui invece aveva una bellissima voce sicura,
calda e dai modi squisitamente giovani e gentili.
Parlammo del più e del meno, ci raccontammo pezzi
frastagliati delle nostre vite. Sul finire della
telefonata mi chiese di nuovo l’età perché a giudicare
dalla mia voce molto giovane avrei potuto avere
addirittura meno degli anni dichiarati. Beh quello fu
davvero un complimento inaspettato che in qualche modo
mi rese più sicura nonostante i miei 45 anni suonati.
Poi inaspettatamente mi chiese il numero di telefono
ed io presi tempo, non volevo in nessun modo dargli il
mio numero vero perché, pensavo, in qualche modo avrebbe
potuto risalire tramite Daniel alla mia vera identità.
Invece io volevo essere Camille, la bionda con la faccia
d’angelo, la ragazzina spensierata di cui si era
innamorato mio marito. Ero troppo vecchia per lui e di
sicuro mi avrebbe trovata poco attraente rispetto a quel
fisico da modella che avevo postato su Facebook. Non
sapevo davvero cosa mi stesse succedendo, ero di sicuro
nel pieno di un vortice speculare di doppia personalità,
nel quale indossavo con estremo piacere i panni di
Camille tanto da voler essere desiderata e apprezzata
come tale ovvero una venticinquenne sbarazzina, ma nel
contempo offrendogli la mia vera anima di Gabrielle.
Insomma volevo essere un'altra pur rimanendo me stessa
ben consapevole che le difficoltà, qualora ci fossero
state, avrebbero riguardato solo il mio aspetto fisico.
Ci sentivamo tutte le sere, le telefonate
divennero sempre più confidenziali, ma lo chiamavo io,
sempre in forma anonima e lui ovviamente non mi dava
tregua, insisteva per avere il mio numero di telefono.
Diceva che tramite quel contatto sarei stata più reale
ed anche il nostro rapporto in qualche modo avrebbe
acquistato materialità. Ci pensai e alla fine mi decisi.
Rovistando nei cassetti spuntò fuori un vecchio telefono
e tramite una Sim che acquistai il giorno successivo gli
mandai un messaggio. Lui mi rispose immediatamente con
un grande cuore rosso e un laconico “Grazie”.
Dopo una settimana mi resi conto che stava diventando
indispensabile, passavo ore ed ore al telefono con lui e
mi riempiva letteralmente le giornate. Pranzavo, andavo
a fare la spesa, cenavo, mi addormentavo insieme a lui
tanto da non ricordarmi di essere mai stata così bene
con qualche altra persona. Christophe, che nelle mie
farneticazioni iniziali sarebbe dovuto essere solo un
tramite per avvicinarmi a Daniel, grazie al mio
artificio e la foto della mia rivale, aveva preso
interamente il suo posto. Una sera, pur avendone
paura, gli confidai che stava diventando una cosa molto
seria per me. Credevo davvero che fuggisse, ma mi
spiazzò assicurandomi quanto il suo sentimento fosse
altrettanto sincero. Insomma ci stavamo innamorando. Gli
dissi delle mie riserve in fatto di amori virtuali e lui
mi rispose che a volte da quelle situazioni nascono
grandi amori e il nostro ne era la riprova.
La
sera dopo facemmo l'amore... Distesa sul letto mi chiese
cosa indossassi e poi mi disse di togliermi la camicia
da notte: “Sei stupenda, voglio accarezzarti il seno.”
Lo assecondai e lui iniziò a baciarmi i capezzoli. La
sua voce era così calda che andai immediatamente in
estasi. Gli sussurrai: “Tesoro sei stupendo, ti
desidero, ti prego, non smettere. Continua, fammi tua!”
A quel punto mi ordinò di togliermi le mutande, obbedii
ed iniziai a toccarmi tra le cosce. Fu a quel punto che
mi prese, prima distesa sul letto, poi in piedi
appoggiata al davanzale della finestra mentre vedevo in
lontananza le luci di Parigi. Fu meraviglioso. Lo
sentivo maschio e insaziabile tanto che volle farlo di
nuovo. Questa volta mi penetrò senza accortezze contro
la mia libreria di riviste di architettura. Mi disse che
ero la sua donna, la sua femmina, la sua dolce troia. Io
lo chiamai amore, più volte, finché sotto la sua guida
riuscii a godere nuovamente. Le mie grida rimbombarono
per tutta casa finché stravolta mi lasciai andare sul
letto. Ci addormentammo insieme alle prime luci
dell’alba non prima di avergli confidato che quella
notte si era avverato un vero miracolo, perché finora,
nella mia vita, avevo avuto sempre bisogno di
materialità, consistenza, dell’odore del maschio, della
penetrazione e mai ero riuscita a godere in quel modo.
Quel rapporto intenso fu un’altra chiave di svolta
della nostra storia. Lui si fece più insistente: “Sono
pazzo di te, ti desidero come non mai!” Aveva bisogno di
vedermi, toccarmi, baciarmi, insomma di fare con me
l'amore reale. Precedentemente avevo risolto ampiamente
il problema del telefono, ma ora dovevo affrontare
un’altra criticità. Purtroppo solo due giorni prima gli
avevo detto sbadatamente di aver terminato il corso a
Reims e che ero tornata a Parigi, per cui era ancora più
arduo sottrarmi alle sue richieste di incontro. Come
fare?
Gli ripetevo quanto lo adorassi, quanto
stessi bene con lui, quanto fosse diventato
indispensabile e totale tanto che non sarebbe più
esistito nella mia vita altro uomo che lui. A richiesta
precisa rispondevo che mai avrei voluto rovinare quello
splendido rapporto ed era solo per questo motivo che
rimandavo, insomma avevo paura che incontrandoci avremmo
vanificato tutto e gli chiesi di essere paziente, di
aspettare ancora qualche giorno. In effetti non mi
restava che prendere tempo, concedermi a lui, seppur in
modo virtuale soddisfare ogni sua richiesta. Andavo
vestita come lui mi chiedeva, adorava il tacco alto e la
gonna corta ed io da perfetta amante non mancavo di
assecondarlo. Nei nostri giochi di ruolo poi mi chiedeva
di vestirmi come una signora matura, truccarmi in modo
appariscente lontana mille miglia dalle foto che avevo
postato. La cosa mi colpì. Aveva intuito qualcosa? Era
riuscito a risalire a me tramite Daniel? Dove avevo
sbagliato?
Divenne sempre più difficile tenerlo
a bada, eravamo arrivati nel punto più alto, più
trasgressivo, più appagante del nostro rapporto, ma allo
stesso tempo più critico per me. Dovevo decidermi, ma mi
rendevo conto, con la morte nel cuore, che non vi era
alcuna altra soluzione che lasciarlo! Era cominciato
come un gioco divertente e malizioso, ma ora quella
ragazzina era diventata il mio incubo. Alla fine mi
disse che l’indomani mi avrebbe aspettata al bar della
Gare de Lyon e che se non fossi andata all’appuntamento
avrebbe capito e per noi non ci sarebbe stato più
futuro. Lo pregai di non darmi aut-aut, che in amore non
funzionava così, ma lui insisteva. Mi disse che sarebbe
rimasto lì poco più di mezz'ora.
Mi prese il
panico, cosa dovevo fare? Alla fine ci andai, tanto
sapevo che lui non mi avrebbe riconosciuta ed io potevo
per la prima volta vederlo da vicino. Lo vidi da
lontano, era bellissimo col suo giaccone grigio da
studente, la sua Nikon, i suoi capelli lunghi da
bohemien e i suoi occhialetti tondi da intellettuale. Mi
avvicinai titubante, mi sedetti al tavolo di fianco, non
so perché mai, ma da una parte avevo il timore di essere
riconosciuta e dall’altra invece una voglia tremenda di
farmi riconoscere. Ma io non ero Camille, ero soltanto
Gabrielle e per giunta a un metro da lui, forse meno.
Percepii il suo odore, lo fissai negli occhi,
addirittura gli sorrisi, ma per lui ero trasparente, una
donna di una certa età come tante altre, perché in quel
momento stava cercando freneticamente con i suoi
meravigliosi occhi un viso d'angelo biondo e soprattutto
una venticinquenne. Accavallai le gambe, ripassai il
rossetto nel piccolo specchio del mio beauty-case, non
volevo essere bella, ma solo che lui si accorgesse di
me, così com’ero, con il mio vero volto e i miei veri
anni. Ad un certo punto mi prese un colpo, si alzò e mi
venne vicino. Mi prese l’affanno, la sigaretta che
tenevo tra le dita iniziò a tremare, ma lui gentile mi
chiese semplicemente se avessi da accendere. Tutto qui.
Allora gli sorrisi di nuovo nella speranza che gli
potesse andare a genio anche una cinquantenne non del
tutto da buttare, ma mi illudevo. Lui tornò al suo posto
ed io delusa mi alzai, pagai il conto lasciandolo lì in
attesa del suo viso d’angelo e me ne andai sconsolata.
Per una settimana non si fece sentire, provai a
ricontattarlo, ma il suo telefono squillava penosamente
libero, finché al milionesimo tentativo rispose
aggredendomi, per lui ero semplicemente una piccola
donna vigliacca che non voleva affrontare la realtà. Poi
fu un crescendo di insulti e fu così duro con me che mi
diede della psicopatica urlandomi che lo stavo
deliberatamente prendendo per il culo. Del resto non
aveva tutti i torti! Messa alle strette cercai di uscire
da quell'empasse inventandomi lì su due piedi una storia
parallela. Gli dissi che i miei continui rifiuti erano
dipesi dal fatto che ero fidanzata da tempo con un uomo
più anziano e che le cose tra noi non andavano affatto
bene per cui lui rappresentava la mia ancora di
salvataggio.
Lui si ammutolì, ci fu una lunga
pausa, poi riattaccò senza dirmi nulla. Ovvio vi era
rimasto male, ma quella reazione mi convinse che fosse
il male minore in quanto aveva creduto a quell’ennesima
bugia e in qualche modo mi dava tempo e vita.
Incredibilmente mi chiamò la sera stessa, era molto più
calmo, mi disse che per nessuna ragione voleva perdermi.
Mi chiese di lui e per quale cavolo di motivo non gliene
avessi parlato prima. Gli risposi che avevo mentito per
la stessa sua ragione ovvero perché non volevo perderlo.
Piansi, gli chiesi di perdonarmi, gli dissi che da quel
momento non avrei più mentito, credevo davvero che a
breve sarei stata capace e forte di rivelargli la mia
vera identità. Lui mi disse che stava impazzendo perché
gli ero entrata nel cuore e nell'anima, mi disse: “Ti
amo!” E soprattutto che mi avrebbe offerto su un piatto
d’argento un'altra chance. Ossia di farmi trovare sempre
allo stesso posto della volta precedente minacciandomi
che se in caso avessi mancato di nuovo l’appuntamento
lui ne avrebbe tratto le definitive conseguenze.
Lo desideravo da impazzire, cercai nella mia mente
diabolica una via d’uscita, ovvio non potevo rivelargli
chi veramente fossi, ma dentro di me mi ripetevo che
anche nelle situazioni più tragiche vi è sempre una via
di scampo. Bastava semplicemente cercarla! Così andai
come la volta precedente all'appuntamento con la sola e
unica certezza che mai avrei svelato la mia identità.
Lui voleva quella bionda, quel viso d'angelo, quel corpo
giovane e da modella non certamente una signora
appesantita, di 45 anni e per giunta mora.
Lo
vidi seduto sempre allo stesso tavolo, come la volta
precedente mi sedetti al tavolo di fianco. Lo osservai
attentamente, era davvero la cosa più bella che la vita
mi avesse mai offerto e a quel punto presi tutto il mio
coraggio possibile. Era arrivato il momento di dare una
svolta alla mia vita, alla sua e a quella storia, ma
dire la verità, farmi riconoscere e svelare esattamente
chi fossi e come fosse cominciato il tutto sarebbe stato
come rinunciare alla vita stessa. Per cui mi avvicinai
col telefono in mano aperto sulla pagina di Facebook
degli amici di Daniel e gli chiesi se per caso fosse lo
stesso della foto. Sorrisi e mi scusai per l’assurdità
della circostanza. Lui guardando il mio telefono mi
rispose che era effettivamente lui quello della foto!
Poi aggiunse che conosceva Daniel e che gli aveva fatto
un servizio fotografico durante un suo concerto e che da
quel giorno erano diventati amici.
Poi però
guadandomi attentamente mi chiese se fossi la stessa
persona che giorni prima gli aveva offerto gentilmente
il suo accendino. Ovviamente confermai la circostanza
inventandomi che il mio ufficio era a due passi da lì.
Lui la bevve senza chiedere altro. Era andata! Allora
presi la palla al balzo e mi presentai, gli dissi di
chiamarmi Gabrielle e che ero un’arredatrice. A quel
punto si avvicinò il cameriere: lui prese un’aranciata
amare ed io un caffè. Poi parlando mi venne il lampo di
genio e gli chiesi se per caso facesse ritratti. Lui
rispose che non era propriamente il suo campo, ma che si
sarebbe cimentato volentieri se il soggetto da
fotografare fossi stata io. Cercai di non far trasparire
la mia contentezza spiegandogli che avevo bisogno di un
ritratto per la mia foto di copertina del mio prossimo
saggio. Lui accettò. Finii di bere il mio caffè, gli
diedi il mio numero di telefono, quello ufficiale, e poi
mi alzai salutandolo.
Il giorno seguente mi
chiamò per fissare l’appuntamento, due giorni dopo venne
a casa mia con tutta l'attrezzatura. Durante le prove mi
fece una montagna di complimenti dicendomi che ero
davvero bella domandandosi incredulo quanta fortuna
avesse avuto il suo amico Daniel a conquistarmi. Gli
dissi la verità, che l’avevo conosciuto in un momento di
profonda depressione dovuta alla separazione da mio
marito il quale aveva pensato bene di andare a vivere
con una ragazzina che avrebbe potuto benissimo essere
mia figlia. Aggiunsi che l’intesa tra me e Daniel era
svanita nell’arco di una notte.
Lui rimase
incredulo, per la storia con mio marito, per quella
breve con Daniel, ma soprattutto per avermi incontrata
in quella circostanza così fortuita. Poi iniziò la vera
e propria sessione. Mi guidò ed io cercai nelle pose di
far uscire tutta la mia femminilità. In poco meno di due
ore mi scattò oltre trecento primi piani. Quando si
avvicinò per mettere a fuoco il mio viso lo baciai.
La sera stessa facemmo l'amore. Fu meraviglioso,
come lo avevo immaginato e come lo avevamo fatto tante
volte al telefono, solo che questa volta come le tante
che si susseguirono per ore, giorni e settimane, non
c’era solo la voce e dall’altra parte non c’era una
svenevole Camille, ma una donna vera, ovvero Gabrielle,
io stessa, ovvero colei che per timore di essere
rifiutata, di essere considerata vecchia, di ricevere
un’ulteriore batosta dalla vita aveva finto per mesi di
essere altro. Insomma lo avevo conquistato essendo me
stessa e non sarebbe stato più necessario fingere.
Vivemmo in simbiosi per mesi. Una notte mentre
dormiva lo sentii dire: “Ti amo Gabrielle!” Dio ero in
estasi e gli sussurrai “Ti amo anch’io!” Poi sempre ne
dormiveglia mi disse: “Parlami ancora, perché la cosa
che amo più di te è la tua voce!” Mi crollò il mondo
addosso, immediatamente mi rivenne in mente Camille. Era
evidente che non l’avesse mai dimenticata, che l’amasse
ancora, ed io ero e sarei stata solo un ripiego, anzi
ora era tutto chiaro lui mi amava perché amava lei.
Mi girai più volte nel letto, in un modo o
nell'altro non volevo perderlo, mi ripetevo che
Gabrielle o Camille non avrebbe fatto alcuna differenza.
Allora mentre era lì che dormiva, presi il mio vecchio
telefono e gli mandai un messaggio. Gli scrissi che non
lo avevo mai dimenticato, che pensavo ancora a lui.
Purtroppo mi ero trasferita a Los Angeles e nel
frattempo mi ero sposata ed ero diventata madre di un
bimbo di appena quindici giorni.
Sapevo quanto
fosse ardua quella lotta, in fin dei conti Camille era
giovane e bella, mentre io una donna ormai matura senza
futuro. La mattina rispose scrivendomi che non aveva mai
smesso di pensarmi e che se avessi voluto potevamo
benissimo riprendere da dove avevamo interrotto. A quel
punto gli scrissi che lo amavo, tanto da impazzire, e
gli feci giurare che non mi avrebbe mai lasciata e per
nessun motivo. Non dovetti aspettare molto, mi scrisse:
“Ti amo Camille.”
Da quel giorno lo vidi più
rilassato e in un certo senso più disponibile. Ogni
tanto con qualche scusa banale usciva di casa e chiamava
il suo angelo biondo, ovvero me, quella con cui credeva
di tradire Gabrielle, ma ero sempre io, che da casa
rispondevo prontamente con la solita accortezza della
calza sul microfono. E parlavamo di futuro, di amore,
che non ci saremmo mai lasciati, scherzavamo e facevamo
l'amore. Erano amori intensi e veloci perché di corsa
rientrava in casa e allo stesso modo parlavamo,
scherzavamo e facevamo di nuovo l'amore. Era
completamente preso da quella situazione così
intrigante, da quelle due donne con le quali credeva di
tradire alternativamente l’altra, completamene appagato
dalle sue due amanti, diverse per età, cultura ed
aspetto, senza mai e dico mai intuire quanto in realtà
fosse davvero tutto e solo mio.
FINE
Liberamente ispirato al romanzo "Celle que
vous croyez" di Camille Laurens
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TUTTI I RACCONTI DI
VIOLETTE BERTIN
Il racconto è frutto di fantasia. Ogni riferimento a
persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale.
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