PERSONAGGI:
Gabrielle Laurent: La signora del
primo piano
Camille Petit: L'Alter ego
Gilbert: Il
marito
Daniel: L’amante
Christophe Garcia: L’amico
di Daniel
Gabrielle Laurent, era una bella donna di quasi
cinquant’anni, gentile e dai modi raffinati si intratteneva spesso a
parlare con me e mia madre nell’atrio del palazzo ed aveva sempre una
buona parola per noi. Una mattina al rientro della sua solita passeggiata
col suo barboncino bianco Ninja, mi invitò a salire nella sua bella casa
al primo piano dello stabile. Parlammo del più e del meno, poi s’informò
sui miei studi di Filosofia, lei parlò invece dei suoi corsi di
architettura, fino a quando, dopo aver servito due tazze fumanti di thè,
iniziò a raccontarmi la storia della sua vita.
“Come vedi
Violette, ora sono una donna sola e serena, ma come sai fino a cinque anni
fa ero una signora felicemente sposata. Certo il destino non ha voluto che
avessi figli, ma io e Gilbert avevamo molti amici e vivevamo un’intesa
vita mondana fatta di vernissage, teatri, feste private e prime all’Opera.
Ma dopo circa ventitré lunghi anni di matrimonio mio marito pensò bene di
innamorarsi di una ragazzina, che aveva esattamente gli anni del nostro
matrimonio. Me lo comunicò senza guardarmi negli occhi una sera a cena,
non riuscivo a crederci tanto che scoppiai in una grande risata e glielo
feci ripetere più volte. Poi però quando la mattina lo vidi preparare le
valigie mi sciolsi in un pianto a dirotto e da quel giorno caddi in una
profonda depressione. Mi rintanai in casa e chiusi con tutti gli amici e
le pseudo amiche e dovetti sottopormi per più di un anno a lunghe sedute
terapeutiche per ricominciare ad avere un minimo di autostima.
Le
mie giornate passavano lente, il mio lavoro di arredatrice era l'unico
svago, ma trascorrevo tutto il mio tempo libero a disposizione in casa
chiedendomi principalmente come fosse stato possibile che un uomo di
cinquanta anni avesse potuto perdere la testa per una poco più che
ventenne e soprattutto come avesse fatto a decidere drasticamente di
cambiare vita. Ovvio che in quell’analisi la mia incredulità non era tanto
per la sbandata per una ragazzina, che poteva anche starci, ma soprattutto
per la sua decisione di spezzare definitivamente il nostro legame.
Passarono quasi sei mesi finché un giorno, forse per emulare mio
marito, forse per provare ad essere ancora giovane, accettai di uscire con
un ragazzo poco meno che trentenne incontrato nel bar dove la mattina
facevo spesso colazione. In altre circostanze una donna come me non si
sarebbe mai fatta abbordare per strada da uno sconosciuto, ma forse per la
mia sofferenza ancora viva o forse per i suoi modi gentili, accettai quel
corteggiamento. Daniel si presentò dicendomi che era un musicista,
chitarrista di un famoso gruppo rock, che io ovviamente non conoscevo. Con
diffidenza lo osservai attentamente ed alla fine decisi che oltre a
risultare simpatico era anche un tipo particolare, ma sicuramente non
bello almeno per i miei standard di bellezza. Insomma per farla breve
accettai il suo invito e la sera ci ritrovammo a cenare da Bouillon
Chartier sulla rue du Faubourg-Montmartre. Sarà stato l’ottimo pesce o
quel calice di rosso d’annata in più, sarà stato il mio desiderio di
passare una sera diversa, oppure altro tanto che dopo la cena presi
l’iniziativa e lo invitai qui a casa mia. L’invito fu così esplicito che
appena arrivata in casa ci ritrovammo subito nella camera da letto senza
passare per il soggiorno.
Era la prima volta che mi abbandonavo tra
le braccia di un uomo diverse da quelle di mio marito. Facemmo l’amore per
tutta la notte e fu a dir poco fantastico. Daniel baciava da Dio e si
rivelò un amante così premuroso che la cosa che mi sorprese maggiormente
fu il mio totale abbandono e il mio ritrovato desiderio di fare sesso.
Purtroppo però la mattina quando mi svegliai del focoso amante non era
rimasta nemmeno l’ombra tranne un biglietto sul comodino sul quale aveva
scritto un laconico: “Mi spiace”, senza aggiungere altro.
È
inutile dirti che ci rimasi molto male, la mattina stessa cercai di
raggiungerlo telefonicamente e lui pose subito le distanze. Senza mezzi
termini mi disse che i patti erano stati chiari, patti che ovviamente non
c’erano stati, e che, essendo stata una semplice scopata tra due persone
maggiorenni, nessuno dei due poteva sentirsi in qualche modo vincolato.
Davanti alle mie insistenze di rivederlo mi disse che al massimo, vista la
mia età, avrei potuto fargli da mamma. Mi sentii offesa e allibita per
quelle parole e riattaccai.
Mi guardai allo specchio, forse
davvero dovevo fare i conti con i miei 45 anni anche se, almeno io, ero
stata così bene insieme a lui che dentro quel letto non avevo avvertito la
minima differenza di età. Delusa tornai al mio lavoro, al tempo stavo
scrivendo un saggio su Philippe Starck, una vera e propria celebrità del
design contemporaneo. Scrivendo cercai di dimenticare il mio amico e
quella brutta storia, ma m’illudevo, mi veniva sempre in mente quella
serata e quanto mi fossi sentita femmina e libera con lui. Alla fine non
resistetti e lo ricontattai tramite telefono, email e whatsapp, ma
purtroppo inutilmente. Il suo silenzio era a dir poco esplicito, ma non mi
arresi.
Una sera su Facebook gli chiesi l’amicizia, ma anche
quello risultò un vano tentativo per cui mi venne l’idea di diventare
amica di uno dei suoi amici per il solo motivo di arrivare a lui.
Scorrendo l'elenco dei suoi pochissimi contatti, perlopiù femminili, mi
colpì il profilo e le foto di un certo Christophe Garcia, un fotografo di
professione, coetaneo di Daniel. Scoprii che avevano lo stesso indirizzo e
curiosando tra le foto mi colpì il suo sguardo profondo, tenebroso e in un
certo senso pieno di mistero.
Ci pensai un po’, poi decisi di
agire, ma per non ricevere un immediato e plateale rifiuto, mi feci un
nuovo profilo: Camille Petit di 25 anni, studentessa di architettura e
soprattutto single. Per la foto del profilo non ebbi dubbi, scelsi quella
a figura intera della ragazza che mi aveva rubato il marito. Era
decisamente fotogenica e carina, con la sua espressione maliziosa, le
gambe lunghe, la faccia d'angelo, le labbra grandi e sensuali, gli occhi
verdi e una cascata di morbidi capelli biondi.
A quel punto chiesi
l'amicizia a Christophe e sinceramente non dovetti aspettare molto per
avere una risposta. Avuta l'amicizia cominciai a mettere i miei Like sulle
sue foto professionali. La sera stessa mentre cercavo faticosamente di
addormentarmi, sentii il suono di un messaggio in arrivo sul mio
portatile. Mi alzai. Era lui che mi ringraziava per i Like sulle sue foto
e nel messaggio successivo mi chiedeva se davvero mi fossero piaciute e
quale in particolare. Con studiata malizia non risposi subito, aspettai
tutta la notte e al mattino seguente risposi alle domande diligentemente
come una scolaretta alle prime armi.
Da quel momento iniziammo a
chattare. Mi fece i complimenti per la foto e mi chiese
se facessi la
modella e se per caso avessi avuto voglia di essere fotografata da lui.
Gli risposi che al momento stavo frequentando un corso di laurea fuori
Parigi, all’Université de Reims Champagne-Ardenne, ma al mio ritorno ci
avrei pensato. Lo sentii deluso, di sicuro avrebbe voluto vedermi il
giorno stesso, ma aggiunse che quella mattina avrebbe comprato un
biglietto della lotteria perché si sentiva davvero un uomo fortunato ad
avermi incontrato. Dal mio canto gli risposi la stessa cosa, pur sapendo
in cuor mio che quell’incontro per forza di cose non sarebbe mai avvenuto.
Senza che lo sollecitassi mi confermò che in quel periodo abitava in una
grande villa poco fuori Parigi insieme ad altri amici tra cui un certo
Daniel, un famoso chitarrista rock, che ovviamente finsi di non conoscere.
La sera successiva lo chiamai al telefono, ovviamente con il numero
anonimo. Lo feci coprendo il microfono del telefono con una calza per la
paura che ascoltandomi in viva voce Daniel avrebbe potuto riconoscere la
mia voce. Avevo il cuore in gola e mi sentii impacciata e insicura tanto
che balbettai più volte. Lui invece aveva una bellissima voce sicura,
calda e dai modi squisitamente giovani e gentili. Parlammo del più e del
meno, ci raccontammo pezzi frastagliati delle nostre vite. Sul finire
della telefonata mi chiese di nuovo l’età perché a giudicare dalla mia
voce molto giovane avrei potuto avere addirittura meno degli anni
dichiarati. Beh quello fu davvero un complimento inaspettato che in
qualche modo mi rese più sicura nonostante i miei 45 anni suonati.
Poi inaspettatamente mi chiese il numero di telefono ed io presi tempo,
non volevo in nessun modo dargli il mio numero vero perché, pensavo, in
qualche modo avrebbe potuto risalire tramite Daniel alla mia vera
identità. Invece io volevo essere Camille, la bionda con la faccia
d’angelo, la ragazzina spensierata di cui si era innamorato mio marito.
Ero troppo vecchia per lui e di sicuro mi avrebbe trovata poco attraente
rispetto a quel fisico da modella che avevo postato su Facebook. Non
sapevo davvero cosa mi stesse succedendo, ero di sicuro nel pieno di un
vortice speculare di doppia personalità, nel quale indossavo con estremo
piacere i panni di Camille tanto da voler essere desiderata e apprezzata
come tale ovvero una venticinquenne sbarazzina, ma nel contempo
offrendogli la mia vera anima di Gabrielle. Insomma volevo essere un'altra
pur rimanendo me stessa ben consapevole che le difficoltà, qualora ci
fossero state, avrebbero riguardato solo il mio aspetto fisico.
Ci
sentivamo tutte le sere, le telefonate divennero sempre più confidenziali,
ma lo chiamavo io, sempre in forma anonima e lui ovviamente non mi dava
tregua, insisteva per avere il mio numero di telefono. Diceva che tramite
quel contatto sarei stata più reale ed anche il nostro rapporto in qualche
modo avrebbe acquistato materialità. Ci pensai e alla fine mi decisi.
Rovistando nei cassetti spuntò fuori un vecchio telefono e tramite una Sim
che acquistai il giorno successivo gli mandai un messaggio. Lui mi rispose
immediatamente con un grande cuore rosso e un laconico “Grazie”.
Dopo una settimana mi resi conto che stava diventando indispensabile,
passavo ore ed ore al telefono con lui e mi riempiva letteralmente le
giornate. Pranzavo, andavo a fare la spesa, cenavo, mi addormentavo
insieme a lui tanto da non ricordarmi di essere mai stata così bene con
qualche altra persona. Christophe, che nelle mie farneticazioni iniziali
sarebbe dovuto essere solo un tramite per avvicinarmi a Daniel, grazie al
mio artificio e la foto della mia rivale, aveva preso interamente il suo
posto.
Una sera, pur avendone paura, gli confidai che stava diventando
una cosa molto seria per me. Credevo davvero che fuggisse, ma mi spiazzò
assicurandomi quanto il suo sentimento fosse altrettanto sincero. Insomma
ci stavamo innamorando. Gli dissi delle mie riserve in fatto di amori
virtuali e lui mi rispose che a volte da quelle situazioni nascono grandi
amori e il nostro ne era la riprova.
La sera dopo facemmo
l'amore... Distesa sul letto mi chiese cosa indossassi e poi mi disse di
togliermi la camicia da notte: “Sei stupenda, voglio accarezzarti il
seno.” Lo assecondai e lui iniziò a baciarmi i capezzoli. La sua voce era
così calda che andai immediatamente in estasi. Gli sussurrai: “Tesoro sei
stupendo, ti desidero, ti prego, non smettere. Continua, fammi tua!” A
quel punto mi ordinò di togliermi le mutande, obbedii ed iniziai a
toccarmi tra le cosce. Fu a quel punto che mi prese, prima distesa sul
letto, poi in piedi appoggiata al davanzale della finestra mentre vedevo
in lontananza le luci di Parigi. Fu meraviglioso. Lo sentivo maschio e
insaziabile tanto che volle farlo di nuovo. Questa volta mi penetrò senza
accortezze contro la mia libreria di riviste di architettura. Mi disse che
ero la sua donna, la sua femmina, la sua dolce troia. Io lo chiamai amore,
più volte, finché sotto la sua guida riuscii a godere nuovamente. Le mie
grida rimbombarono per tutta casa finché stravolta mi lasciai andare sul
letto. Ci addormentammo insieme alle prime luci dell’alba non prima di
avergli confidato che quella notte si era avverato un vero miracolo,
perché finora, nella mia vita, avevo avuto sempre bisogno di materialità,
consistenza, dell’odore del maschio, della penetrazione e mai ero riuscita
a godere in quel modo.
Quel rapporto intenso fu un’altra chiave di
svolta della nostra storia. Lui si fece più insistente: “Sono pazzo di te,
ti desidero come non mai!” Aveva bisogno di vedermi, toccarmi, baciarmi,
insomma di fare con me l'amore reale. Precedentemente avevo risolto
ampiamente il problema del telefono, ma ora dovevo affrontare un’altra
criticità. Purtroppo solo due giorni prima gli avevo detto sbadatamente di
aver terminato il corso a Reims e che ero tornata a Parigi, per cui era
ancora più arduo sottrarmi alle sue richieste di incontro. Come fare?
Gli ripetevo quanto lo adorassi, quanto stessi bene con lui, quanto
fosse diventato indispensabile e totale tanto che non sarebbe più esistito
nella mia vita altro uomo che lui. A richiesta precisa rispondevo che mai
avrei voluto rovinare quello splendido rapporto ed era solo per questo
motivo che rimandavo, insomma avevo paura che incontrandoci avremmo
vanificato tutto e gli chiesi di essere paziente, di aspettare ancora
qualche giorno. In effetti non mi restava che prendere tempo, concedermi a
lui, seppur in modo virtuale soddisfare ogni sua richiesta. Andavo vestita
come lui mi chiedeva, adorava il tacco alto e la gonna corta ed io da
perfetta amante non mancavo di assecondarlo. Nei nostri giochi di ruolo
poi mi chiedeva di vestirmi come una signora matura, truccarmi in modo
appariscente lontana mille miglia dalle foto che avevo postato. La cosa mi
colpì. Aveva intuito qualcosa? Era riuscito a risalire a me tramite
Daniel? Dove avevo sbagliato?
Divenne sempre più difficile tenerlo
a bada, eravamo arrivati nel punto più alto, più trasgressivo, più
appagante del nostro rapporto, ma allo stesso tempo più critico per me.
Dovevo decidermi, ma mi rendevo conto, con la morte nel cuore, che non vi
era alcuna altra soluzione che lasciarlo! Era cominciato come un gioco
divertente e malizioso, ma ora quella ragazzina era diventata il mio
incubo. Alla fine mi disse che l’indomani mi avrebbe aspettata al bar
della Gare de Lyon e che se non fossi andata all’appuntamento avrebbe
capito e per noi non ci sarebbe stato più futuro. Lo pregai di non darmi
aut-aut, che in amore non funzionava così, ma lui insisteva. Mi disse che
sarebbe rimasto lì poco più di mezz'ora.
Mi prese il panico, cosa
dovevo fare? Alla fine ci andai, tanto sapevo che lui non mi avrebbe
riconosciuta ed io potevo per la prima volta vederlo da vicino. Lo vidi da
lontano, era bellissimo col suo giaccone grigio da studente, la sua Nikon,
i suoi capelli lunghi da bohemien e i suoi occhialetti tondi da
intellettuale. Mi avvicinai titubante, mi sedetti al tavolo di fianco, non
so perché mai, ma da una parte avevo il timore di essere riconosciuta e
dall’altra invece una voglia tremenda di farmi riconoscere. Ma io non ero
Camille, ero soltanto Gabrielle e per giunta a un metro da lui, forse
meno. Percepii il suo odore, lo fissai negli occhi, addirittura gli
sorrisi, ma per lui ero trasparente, una donna di una certa età come tante
altre, perché in quel momento stava cercando freneticamente con i suoi
meravigliosi occhi un viso d'angelo biondo e soprattutto una
venticinquenne. Accavallai le gambe, ripassai il rossetto nel piccolo
specchio del mio beauty-case, non volevo essere bella, ma solo che lui si
accorgesse di me, così com’ero, con il mio vero volto e i miei veri anni.
Ad un certo punto mi prese un colpo, si alzò e mi venne vicino. Mi prese
l’affanno, la sigaretta che tenevo tra le dita iniziò a tremare, ma lui
gentile mi chiese semplicemente se avessi da accendere. Tutto qui. Allora
gli sorrisi di nuovo nella speranza che gli potesse andare a genio anche
una cinquantenne non del tutto da buttare, ma mi illudevo. Lui tornò al
suo posto ed io delusa mi alzai, pagai il conto lasciandolo lì in attesa
del suo viso d’angelo e me ne andai sconsolata.
Per una settimana
non si fece sentire, provai a ricontattarlo, ma il suo telefono squillava
penosamente libero, finché al milionesimo tentativo rispose aggredendomi,
per lui ero semplicemente una piccola donna vigliacca che non voleva
affrontare la realtà. Poi fu un crescendo di insulti e fu così duro con me
che mi diede della psicopatica urlandomi che lo stavo deliberatamente
prendendo per il culo. Del resto non aveva tutti i torti! Messa alle
strette cercai di uscire da quell'empasse inventandomi lì su due piedi una
storia parallela. Gli dissi che i miei continui rifiuti erano dipesi dal
fatto che ero fidanzata da tempo con un uomo più anziano e che le cose tra
noi non andavano affatto bene per cui lui rappresentava la mia ancora di
salvataggio.
Lui si ammutolì, ci fu una lunga pausa, poi riattaccò
senza dirmi nulla. Ovvio vi era rimasto male, ma quella reazione mi
convinse che fosse il male minore in quanto aveva creduto a quell’ennesima
bugia e in qualche modo mi dava tempo e vita. Incredibilmente mi chiamò la
sera stessa, era molto più calmo, mi disse che per nessuna ragione voleva
perdermi. Mi chiese di lui e per quale cavolo di motivo non gliene avessi
parlato prima. Gli risposi che avevo mentito per la stessa sua ragione
ovvero perché non volevo perderlo. Piansi, gli chiesi di perdonarmi, gli
dissi che da quel momento non avrei più mentito, credevo davvero che a
breve sarei stata capace e forte di rivelargli la mia vera identità. Lui
mi disse che stava impazzendo perché gli ero entrata nel cuore e
nell'anima, mi disse: “Ti amo!” E soprattutto che mi avrebbe offerto su un
piatto d’argento un'altra chance. Ossia di farmi trovare sempre allo
stesso posto della volta precedente minacciandomi che se in caso avessi
mancato di nuovo l’appuntamento lui ne avrebbe tratto le definitive
conseguenze.
Lo desideravo da impazzire, cercai nella mia mente
diabolica una via d’uscita, ovvio non potevo rivelargli chi veramente
fossi, ma dentro di me mi ripetevo che anche nelle situazioni più tragiche
vi è sempre una via di scampo. Bastava semplicemente cercarla! Così andai
come la volta precedente all'appuntamento con la sola e unica certezza che
mai avrei svelato la mia identità. Lui voleva quella bionda, quel viso
d'angelo, quel corpo giovane e da modella non certamente una signora
appesantita, di 45 anni e per giunta mora.
Lo vidi seduto sempre
allo stesso tavolo, come la volta precedente mi sedetti al tavolo di
fianco. Lo osservai attentamente, era davvero la cosa più bella che la
vita mi avesse mai offerto e a quel punto presi tutto il mio coraggio
possibile. Era arrivato il momento di dare una svolta alla mia vita, alla
sua e a quella storia, ma dire la verità, farmi riconoscere e svelare
esattamente chi fossi e come fosse cominciato il tutto sarebbe stato come
rinunciare alla vita stessa. Per cui mi avvicinai col telefono in mano
aperto sulla pagina di Facebook degli amici di Daniel e gli chiesi se per
caso fosse lo stesso della foto. Sorrisi e mi scusai per l’assurdità della
circostanza. Lui guardando il mio telefono mi rispose che era
effettivamente lui quello della foto! Poi aggiunse che conosceva Daniel e
che gli aveva fatto un servizio fotografico durante un suo concerto e che
da quel giorno erano diventati amici.
Poi però guadandomi
attentamente mi chiese se fossi la stessa persona che giorni prima gli
aveva offerto gentilmente il suo accendino. Ovviamente confermai la
circostanza inventandomi che il mio ufficio era a due passi da lì. Lui la
bevve senza chiedere altro. Era andata! Allora presi la palla al balzo e
mi presentai, gli dissi di chiamarmi Gabrielle e che ero un’arredatrice. A
quel punto si avvicinò il cameriere: lui prese un’aranciata amare ed io un
caffè. Poi parlando mi venne il lampo di genio e gli chiesi se per caso
facesse ritratti. Lui rispose che non era propriamente il suo campo, ma
che si sarebbe cimentato volentieri se il soggetto da fotografare fossi
stata io. Cercai di non far trasparire la mia contentezza spiegandogli che
avevo bisogno di un ritratto per la mia foto di copertina del mio prossimo
saggio. Lui accettò. Finii di bere il mio caffè, gli diedi il mio numero
di telefono, quello ufficiale, e poi mi alzai salutandolo.
Il
giorno seguente mi chiamò per fissare l’appuntamento, due giorni dopo
venne a casa mia con tutta l'attrezzatura. Durante le prove mi fece una
montagna di complimenti dicendomi che ero davvero bella domandandosi
incredulo quanta fortuna avesse avuto il suo amico Daniel a conquistarmi.
Gli dissi la verità, che l’avevo conosciuto in un momento di profonda
depressione dovuta alla separazione da mio marito il quale aveva pensato
bene di andare a vivere con una ragazzina che avrebbe potuto benissimo
essere mia figlia. Aggiunsi che l’intesa tra me e Daniel era svanita
nell’arco di una notte.
Lui rimase incredulo, per la storia con mio
marito, per quella breve con Daniel, ma soprattutto per avermi incontrata
in quella circostanza così fortuita. Poi iniziò la vera e propria
sessione. Mi guidò ed io cercai nelle pose di far uscire tutta la mia
femminilità. In poco meno di due ore mi scattò oltre trecento primi piani.
Quando si avvicinò per mettere a fuoco il mio viso lo baciai.
La
sera stessa facemmo l'amore. Fu meraviglioso, come lo avevo immaginato e
come lo avevamo fatto tante volte al telefono, solo che questa volta come
le tante che si susseguirono per ore, giorni e settimane, non c’era solo
la voce e dall’altra parte non c’era una svenevole Camille, ma una donna
vera, ovvero Gabrielle, io stessa, ovvero colei che per timore di essere
rifiutata, di essere considerata vecchia, di ricevere un’ulteriore batosta
dalla vita aveva finto per mesi di essere altro. Insomma lo avevo
conquistato essendo me stessa e non sarebbe stato più necessario fingere.
Vivemmo in simbiosi per mesi. Una notte mentre dormiva lo sentii dire:
“Ti amo Gabrielle!” Dio ero in estasi e gli sussurrai “Ti amo anch’io!”
Poi sempre ne dormiveglia mi disse: “Parlami ancora, perché la cosa che
amo più di te è la tua voce!” Mi crollò il mondo addosso, immediatamente
mi rivenne in mente Camille. Era evidente che non l’avesse mai
dimenticata, che l’amasse ancora, ed io ero e sarei stata solo un ripiego,
anzi ora era tutto chiaro lui mi amava perché amava lei.
Mi girai
più volte nel letto, in un modo o nell'altro non volevo perderlo, mi
ripetevo che Gabrielle o Camille non avrebbe fatto alcuna differenza.
Allora mentre era lì che dormiva, presi il mio vecchio telefono e gli
mandai un messaggio. Gli scrissi che non lo avevo mai dimenticato, che
pensavo ancora a lui. Purtroppo mi ero trasferita a Los Angeles e nel
frattempo mi ero sposata ed ero diventata madre di un bimbo di appena
quindici giorni.
Sapevo quanto fosse ardua quella lotta, in fin dei
conti Camille era giovane e bella, mentre io una donna ormai matura senza
futuro. La mattina rispose scrivendomi che non aveva mai smesso di
pensarmi e che se avessi voluto potevamo benissimo riprendere da dove
avevamo interrotto. A quel punto gli scrissi che lo amavo, tanto da
impazzire, e gli feci giurare che non mi avrebbe mai lasciata e per nessun
motivo. Non dovetti aspettare molto, mi scrisse: “Ti amo Camille.”
Da quel giorno lo vidi più rilassato e in un certo senso più disponibile.
Ogni tanto con qualche scusa banale usciva di casa e chiamava il suo
angelo biondo, ovvero me, quella con cui credeva di tradire Gabrielle, ma
ero sempre io, che da casa rispondevo prontamente con la solita accortezza
della calza sul microfono. E parlavamo di futuro, di amore, che non ci
saremmo mai lasciati, scherzavamo e facevamo l'amore. Erano amori intensi
e veloci perché di corsa rientrava in casa e allo stesso modo parlavamo,
scherzavamo e facevamo di nuovo l'amore.
Era completamente preso da
quella situazione così intrigante, da quelle due donne con le quali
credeva di tradire alternativamente l’altra, completamene appagato dalle
sue due amanti, diverse per età, cultura ed aspetto, senza mai e dico mai
intuire quanto in realtà fosse davvero tutto e solo mio.
FINE
Liberamente ispirato al
romanzo
"Celle que vous croyez"
di Camille Laurens