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IL RACCONTO E'
ADATTO AD UN PUBBLICO ADULTO
I DIARI
LICENZIOSI DI VIOLETTE BERTIN
Quella volta che
Marcel Bernard, lo scrittore di racconti erotici, mi invitò a
casa sua
Photo © Ivan Gorokhov
Come detto Marcel Bernard, l’affascinante
quarantenne scrittore di racconti erotici, abitava
all’interno 6 al terzo piano dello stabile. Ogni mattina
scendeva alle nove in punto e insieme a sua moglie
Rosalie, un’ex modella, andava a far colazione al Cafè
Casanova.
Il locale, proprio di fronte al
portone dello stabile, dall’altra parte della strada,
era una specie di bar letterario, dove era possibile
gustarsi un buon caffè, dei fragranti croissant caldi
ripieni di crema chantilly e soprattutto trascorrere in
santa pace tutto il tempo a disposizione leggendo libri
e riviste culturali di ottimo livello. L’atmosfera era
piuttosto riservata e silenziosa con piccoli tavolini
dislocati, anche al piano superiore, nelle varie
stanzette decorate con velluti rossi, pezzi di
antiquariato originali e copie di quadri d’autore.
Il locale prima di essere trasformato in bistrot era
stato un famoso bordello tra i più frequentati di Parigi
chiamato “Chez Suzanne” ed aveva annoverato tra i suoi
ospiti famosi, nei primi del Novecento, nientemeno che
Degas e Toulouse-Lautrec. Insomma un posto dove si
respirava cultura ed eleganza, anche se, la mia amica
Caroline, in una ricerca fatta per l’università, aveva
scoperto che il locale, prima di ospitare le belle
signorine di provincia, era stato l’alcova di Giacomo
Casanova e della tredicenne Marie-Louise O'Murphy, la
petite maîtresse, ossia la bellissima fanciulla amata da
Luigi XV e ritratta nuda da Francois Boucher nel famoso
quadro “La Ragazza sdraiata. Da quegli studi risultò che
il bel veneziano, durante il suo soggiorno parigino,
soleva sollazzarsi nelle ore notturne in compagnia di
Marie-Louise e di sua sorella, poco più grande,
Victoire.
Tornando a Marcel Bernard, avevo notato
che da qualche giorno usciva da solo e, chiedendo a mia
madre cosa stesse accadendo alla coppia, mi rispose che
la bella Rosalie aveva deciso di prendersi qualche
giorno di vacanza e trasferirsi a Le Conquet vicino
Brest dove i Bernard possedevano una graziosa villetta
sul mare. Ovviamente pensai subito male, ma mia madre mi
assicurò che tra loro non c’era mai stato uno screzio e
il loro rapporto non era mai stato in crisi.
Sarà, forse era come diceva mia madre, ma ogni mattina
alle nove in punto, osservando attentamente
l’affascinante scrittore, cercavo di capire dalla sua
espressione quel qualcosa in più che sicuramente era
sfuggito a mia madre. Certo la sua aria era alquanto
malinconica, ma del resto non era mai stato un tipo
socievole e generoso verso il prossimo. Comunque, quella
mattina al suo ritorno dal Cafè Casanova, mi feci
trovare fuori la portineria con due suoi libri in mano
ben in vista. Dopo averlo salutato gli chiesi consigli
su quali dei due avrei dovuto leggere per prima. Lui,
perso nei suoi pensieri, stranamente mi sorrise e come
se si fosse svegliato da un lungo letargo, mi disse: “Oh
Violette, senz’altro Histoire de Juliette, di sicuro più
adatto ad una fanciulla come lei. È un testo che prende
la forza erotica più dalla malizia che dall’evidenza.”
Stavo per replicare come facesse a conoscere i miei
gusti quando incredibilmente mi chiese cosa ci trovassi,
io studentessa di Filosofia, nel leggere quel tipo di
letteratura. Rimasi un attimo interdetta, non per la
domanda, ma sicuramente per la loquacità del mio
interlocutore, visto che le nostre conversazioni fino ad
allora si erano limitate al tempo, ai saluti e solo una
volta al rubinetto del suo bagno che faceva i capricci.
Risposi che non ero particolarmente interessata a quel
tipo di letteratura, ma ne ero semplicemente incuriosita
per la sola ragione che un inquilino del mio stabile ne
fosse l’autore. Lui insistette: “Posso chiederle
allora cosa ci trova nei miei racconti?” Mi prese
alla sprovvista e su due piedi cercai di mettere insieme
due parole sensate: “Adoro tutto ciò che si distacca
dalle convenzioni formali dei rapporti seguendo la sola
regola anarchica dell’istinto e del desiderio.” Ma
lui mi gelò: “L’erotismo in quanto trasgressione non può
fare a meno delle regole e delle convenzioni.” “Sì è
vero, forse mi sono spiegata male, del resto è il
concetto stesso di peccato.” Lui sorrise: “Esatto.
Guardi che ho scritto anche altri testi ben più
peccaminosi, purtroppo sono libri introvabili, ma se le
interessa il concetto del peccato mi farebbe piacere
fargliene dono.”
Ci fu un lungo silenzio, poi
fissandomi negli occhi, disse: “Vuole salire da me,
signorina?” Rimasi senza respiro. “Guardi che non
l’assalgo…” “No, no, non pensavo a questo, ma non mi
aspettavo il suo invito… Tutto qui.” Dissi per togliermi
dall’imbarazzo. “E perché mai? Possiamo approfondire
tranquillamente quel concetto che le sta a cuore…” A
quel punto non potevo più sottrarmi, quell’affermazione
era a dir poco esplicita, per cui passai al
contrattacco: “Sua moglie Rosalie non è in casa?” Finsi
sapendo di fingere. Scosse la testa e a malincuore
dovette scoprire le sue carte: “Se mia moglie fosse
stata nei paraggi non avrebbe avuto alcun senso farle
dono dei miei libri…”
Non aveva finito la frase
quando, dirigendoci verso le scale, sentii la sua mano
leggerissima dalle parti della mia schiena. Quel gesto
mi fece sentire sua complice. In effetti mi stava
guidando senza il mio permesso in un posto più mentale
che fisico, dove tutto, a proposito di regole e peccato,
sarebbe potuto succedere.
Intanto senza
accorgermi avevamo già preso l’ascensore ed entrati nel
suo appartamento… Mi fece accomodare sul divano del
suo ampio soggiorno pieno di luce. Guardando la foto di
Rosalie bene in vista sul grande mobile di pino russo
dissi: “Sua moglie è molto bella.” “Anche lei lo è.”
Poi la sua faccia s’incupì e riprese: “Come avrà letto
le protagoniste dei miei racconti sono sempre molto
giovani” “Mi vuole dire che sua moglie non lo è più?”
“Dico che lei lo è e mi fa piacere che abbia accettato
il mio invito.” “Allora potrei essere l’eroina di un
suo racconto…” “Già lo è Violette.” Disse rovistando
in uno scaffale della libreria alla ricerca dei libri
promessi. “Quindi pensa di scrivere un racconto sul
nostro incontro?” “Dipende da come andrà, per ora non
credo che ci siano sviluppi interessanti per i miei
lettori…” Diventai rossa, ma non per l’impaccio: “Beh
immagino che lei stia pensando a come renderli
interessanti…” Non cadde nella trappola, ma notò il
mio rossore: “È imbarazzata? Le ripeto non sono il tipo
che passa il suo tempo ad assalire le belle fanciulle.”
“Me ne sono accorta. In questi anni non mi ha mai
notata… Comunque non sono imbarazzata, ho caldo.”
Sorrise: “Oh Violette lei agevola lo scrittore… Ora
dovrei dirle, se ha caldo, di togliersi la camicetta.”
“Non porto il reggiseno…” “Ancora meglio allora…”
A quel punto sorrisi e il bel Marcel si avvicinò, mi
accarezzò il viso con il solo indice della mano destra e
poi con disinvoltura slacciò i due bottoni e fece
scivolare la mia camicetta rosa sui fianchi. Ero nuda
davanti a lui e la cosa mi rendeva in un certo senso
speciale. Mi resi conto che il suo sguardo profondo e
attento ad ogni dettaglio non era quello avido e
smanioso di un qualsiasi mio coetaneo. Mi chiesi in
sequenza: “Come avrebbe fatto l’amore uno scrittore
di racconti erotici?” “Mi avrebbe baciata? Avrebbe
voluto essere prima stimolato o mi avrebbe
immediatamente presa?” “E come mi avrebbe presa?”
“E soprattutto dove. Lì su quel divano oppure altrove?”
Mi immaginai a gambe aperte sul tavolo della cucina,
oppure sotto la doccia, sul suo letto matrimoniale che
immaginavo morbido e peccaminoso o magari sulla sua
bella veranda con vista Parigi. Insomma stavo diventando
impaziente e mi resi conto che dovevo solo aspettare!
Solo ancora quale istante! Lui se ne accorse e
allora iniziò ad accarezzarmi il seno sinistro e poi a
stringermi il capezzolo con i due polpastrelli. Mi
vergognai pensando alla misura del seno di sua moglie.
Chiusi per un istante gli occhi, rimasi in attesa, ma
non avvertiti in quella mano alcun trasporto. Mi toccava
sì, ma lo sentivo estraneo come se quel gesto fosse
finalizzato alla mia esclusiva eccitazione. Più che in
carne e ossa mi sentivo un’eroina di carta, insomma come
la protagonista di un racconto che lui in quel momento
ne stava descrivendo nei dettagli il desiderio. Le
parole erano le sue dita, il foglio i miei capezzoli che
stimolati iniziarono a reagire.
Avvertii il suo
fiato caldo sul mio seno e poi ancora più in basso. Ero
in estasi, mi sentii bagnare pregustando le sue dita tra
le mie cosce, ma in quel preciso istante, come se avesse
già compiuto il suo dovere, si adagiò sulla poltrona di
fronte e con un sussurro, ma fermo e perentorio, mi
disse di avvicinarmi a lui. “Vedi cara non conosco
altro tipo di amore, se non questo.” Non capivo, ma il
suo gesto fu eloquente. Si sbottonò lentamente i
pantaloni pregandomi di inginocchiarmi e stringere il
suo sesso per nulla eccitato. Ero confusa, mi sembrava
di vivere una situazione irreale, ma obbedii. Ovvio non
ero ancora una donna esperta, ma credevo che almeno la
mia finta dedizione e la sua preferenza per le giovani
fanciulle lo avrebbero in qualche modo coinvolto. Mi
disse di avvicinare la bocca e di prenderlo in quello
stato. Era per me la prima volta, mai avevo baciato un
sesso così inerme e molliccio, ma aiutata dalle sue mani
che guidavano la mia testa iniziai a dargli piacere.
Solo a quel punto lo sentii coinvolto, mi diceva di
fissarlo negli occhi, di rallentare, di velocizzare, di
abbondare con la saliva e per quanto fosse possibile di
parlare. Alla fine lo sentii grande e duro e mentre
assaporavo la mia vittoria personale pensai che quel
tappeto rosso fosse il posto più morbido e accogliente
per fare l’amore. Lo stavo pregustando, di sicuro mi
avrebbe presa con forza spalancandomi le gambe e
chiedendomi quanto mi facesse piacere accogliere quel
sesso duro da artista. Sotto la sua guida continuai
a dargli piacere, quando senza preavviso sentii il suo
fiotto caldo venire abbondante nella mia bocca. Ebbi un
sussulto, ma lui mi ordinò di non smettere, di
continuare a coccolarlo con le labbra, di assaporare il
gusto del suo seme e soprattutto di godermi il risultato
di quel miracolo, ossia di ciò che incredibilmente gli
avevo suscitato. Lo guardai sorpresa e solo a quel punto
mi confessò di quanto tempo immemorabile fosse passato
dall’ultima volta che un’altra donna aveva soddisfatto
il suo piacere aggiungendo che con la sua bellissima
moglie vivevano da anni come fratello e sorella.
Capii il personaggio e solo a quel punto mi resi
conto del suo modo egoista di concepire il sesso e che
lo scrittore di racconti erotici non avrebbe in alcun
modo ricambiato la mia generosità, né su tappeto rosse e
né altrove. Mi voltai di spalle per raccogliere la mia
camicetta e sorrisi amaramente quando fece le lodi al
mio sedere, a suo dire classicheggiante come un’anfora
romana. Poi si sperticò in elogi dicendomi di quanto
fosse stato bene e, ciliegina sulla torta, di quanto
dovessi sentirmi orgogliosa per la sua esplosione di
piacere.
Per paura di sentirsi in obbligo di
accontentare il mio desiderio rimasto sospeso non mi
chiese se fossi stata bene o se in quale modo avessi
avuto voglia della sua consistenza. Anzi mi congedò
subito dopo dicendomi che le avevo ispirato un
personaggio del suo prossimo romanzo, lo avrebbe
chiamato col mio nome e descritto con le tette piccole,
il sedere voglioso e due labbra voluttuose che avevano
imparato in fretta la sublime arte di dare piacere. A
quel punto mi resi conto di non essergli più utile,
aveva ottenuto quello che sin dall’inizio era il suo
desiderio ovvero di scrivere qualche riga in più del suo
racconto. Mi alzai, presi i suoi libri e guardai di
nuovo la foto di Rosalie, non so perché, ma mi sorpresi
a fissare il particolare delle sue belle labbra, carnose
e rosse, la vidi come una rivale, ma allo stesso tempo
la sentii vicina e solidale visto che ambedue, in
circostanze diverse, eravamo state vittime della stessa
sua stessa megalomania, tipica negli artisti.
Quando chiusi la porta alle mie spalle avevo un solo
desiderio, ovvero raccogliermi nel mio lettino
fantasticando su quello che era successo e su quello che
avrebbe potuto succedere, ma non c’era stato. Pensai
comunque che quella mattina non fosse trascorsa del
tutto inutilmente. In fin dei conti sarei entrata in un
romanzo dalla porta principale conquistandomi
quell’onore con la sublime arte della mia bocca. In
un certo senso avevo passato una mattina diversa, anche
se, vedendo le mie labbra e la mia camicetta sgualcita
nello specchio dell’ascensore, mi chiesi: “Ne sarà valsa
la pena?”
FINE
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TUTTI I RACCONTI DI
VIOLETTE BERTIN
Il racconto è frutto di fantasia. Ogni riferimento a
persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale.
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