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I DIARI LICENZIOSI DI
VIOLETTE BERTIN

Mont Saint Michel
Le sue carezze erano ruvide, le sue mani callose e la sua pelle odorava di sudore dei grandi. Gli dissi che lo stavo aspettando, anzi che avevo fatto diversi chilometri per rivederlo. Lui mi rispose semplicemente: “Sapevo che saresti tornata.”...












Photo  © Iraklis Makrigiannakis


 


L’estate mostrava la sua coda, a sud qualche temporale mentre da noi si era alzato un fastidioso vento, ma il cielo continuava ad essere sereno e il clima caldo. Caroline era ancora in vacanza, il bel René era partito, destinazione Los Angeles, per andare a trovare un suo cugino virologo in California. Dopo qualche giorno di riassestamento mi sentii di nuovo tremendamente sola e una mattina senza pensarci due volte preparai il mio zaino e decisi di prendere il treno per tornare da mio padre a Mont Saint Michel. Lui fu molto contento di vedermi ed io di farmi qualche altro giorno di mare prima di riprendere gli studi.

In realtà senza ammetterlo con me stessa, l’idea di tornare in quel luogo aveva preso forma ripensando a quella volta nello spogliatoio dello stabilimento quando avevo trattato in malo modo Antoine, l’amico di mio padre, che col suo modo del tutto goffo aveva tentato di stringermi a sé. Ovviamente non avevo riferito l’accaduto a nessuno e tanto meno a mio padre. Del resto quell’approccio era durato solo qualche secondo, ma più volte mi ci ero soffermata chiedendomi se mi avesse baciata o cosa di preciso avesse toccato. Ricordavo quelle mani ruvide sui miei seni, ma nulla di più.

Quando arrivai mio padre stava grigliando un grosso pesce e Antoine era seduto al tavolo di legno nella piccola veranda. Mio padre fu sorpreso di vedermi mentre Antoine fece un’espressione tra il sorpreso e il soddisfatto. Forse davvero in quel momento stava pensando che fossi tornata per lui e questo mi dava un fastidio insopportabile. Durante il pranzo lui mi riempì più volte il bicchiere di vino ed io questa volta ebbi modo di guardarlo attentamente. Aveva il viso rugoso e cotto dal sole da vecchio pescatore ed era decisamente molto più anziano di mio padre. In un certo senso rimani delusa perché nei miei pensieri lo avevo immaginato più giovane. Più volte in quei pensieri mi aveva toccato e nonostante l’eccitazione più volte lo avevo respinto per il solo motivo che mai avrei voluto che lui si accorgesse di quanto fosse in realtà facile godere delle mie grazie.

Dopo pranzo andai in bagno e mi tolsi mutandine e reggiseno rimanendo con la mia gonna di lino e la camicetta bianca. Poi tornai in veranda, salutai i due che avevano già sparecchiato per godersi la loro infinita partita a carte e me ne andai in spiaggia. Scelsi il posto più solitario dietro ad una roccia, quello più isolato possibile per non essere disturbata, anche se, su quella spiaggia, in verità i bagnanti si potevano contare sulle dita di un’unica mano. Mi distesi sul piccolo asciugamano, ma prima di spogliarmi, adoravo prendere il sole nuda, sentii il vento caldo accarezzarmi il viso e il sole alto baciarmi le labbra.

Inevitabilmente ripensai alle mia avventura con Clothilde, ai suoi baci di velluto. Non ero pentita affatto, anzi dentro di me era davvero successo qualcosa di miracoloso, quell’esperienza mi aveva dato una fiducia incredibile tanto che mi sembrava di essere cresciuta così in fretta da vedere le cose in un’altra prospettiva, quasi più distaccata. In poco tempo avevo imparato a fregarmene degli altri e tanto più dei loro giudizi sulla mia facilità di accettare le loro avances. Insomma mi sentivo grande e finalmente capace di affrontare il mondo da sola, compresi i suoi risvolti oscuri e le sue perversioni, ora per me meno ignote.
Mi addormentai.

Quando mi risvegliai, strizzai gli occhi per allontanare il torpore, mi sentivo parecchio intontita e non sapevo bene dove fossi o cosa stessi facendo in quel posto. Il mare si era alzato e l’acqua lambiva i miei piedi, quel piccolo lembo di spiaggia era deserto e il sole all’orizzonte era diventato una grossa palla di fuoco. Decisi che potevano essere le cinque o giù di lì e che quindi ad occhio e croce avevo dormito quasi due ore!
Avevo sicuramente sognato, ma non sapevo bene cosa. Mi voltai più volte per cercare un segno di vita, ma nulla, ero completamente sola. Sorrisi vedendomi ancora vestita con la mia gonna bianca di lino leggero e la camicetta. Anche se la gonna era bagnata e arrotolata fino ai fianchi e la camicia era completamente sbottonata e copriva a malapena il mio seno.

Sperai con tutta me stessa che nessuno fosse passato di lì mentre dormivo, ma non mi chiesi il motivo perché fossi seminuda, anzi iniziai ad accarezzarmi il seno. Era davvero piccolo, e ancora stupita mi chiesi di nuovo per quale motivo fosse piaciuto così tanto all’amica di René e inevitabilmente ripensai a lui, al suo sesso eretto e alla sua ostinazione di farmi raggiungere in fretta l’orgasmo. Comunque non mi alzai, rimasi distesa e solo a quel punto avvertii tra le mie gambe una strana sensazione ricordando il sogno…

Rabbrividii quando addormentata mi lasciai rotolare lungo la discesa verso il mare. Forse sarai annegata se proprio sul bagnasciuga due braccia robuste non mi avessero afferrato. Era un vecchio pescatore di circa sessant’anni, avevo il viso cotto da sole solcato da grandi rughe espressive. Mi disse nel sogno di chiamarsi Antoine ed io trovai naturale sorridergli mentre lui mi prese di peso sollevandomi. Annusai quell’odore di sale e mare sulla sua pelle quando lui slacciandomi la camicetta e senza dire nulla iniziò a leccarmi il seno. Le sue carezze erano ruvide, le sue mani callose e la sua pelle odorava di sudore dei grandi. Gli dissi che lo stavo aspettando, anzi che avevo fatto diversi chilometri per rivederlo. Lui mi rispose semplicemente: “Sapevo che saresti tornata.”

Mi baciò appena sulle labbra, ma non era la mia bocca che gli interessava. “Pensa che sarei dovuto partire la settimana scorsa, ma poi ho chiesto a tuo padre di ospitarmi ancora.” A quel punto dissi: “Anch’io lo sapevo. Era solo questione di tempo.” E poi ancora: “Grazie per avermi aspettata.”
Poi mi adagiò sul piccolo asciugamano e senza attendere oltre mi divaricò le gambe. “Prendimi.” Gli sussurrai già in preda al desiderio pensando dispiaciuta che per colpa mia non sarebbe mai stato il mio primo uomo. Lui non perse tempo, si guardò intorno e constatò che non ci fosse anima viva. C’era solo spiaggia, mare e una roccia che ci separava dal mondo, dagli ombrelloni e dai gabbiani.
Disse: “Ti conosco da qualche anno e ti ho sempre desiderata.” Ricordo che sottovoce lo pregai di non dire nulla a mio padre. Lui sorrise. Poi mi accarezzò i capelli e velocemente si accomodò tra le mie cosce. Non mi disse: “Ti amo”, ma semplicemente: “Ora sei mia.” Sentii il suo peso sopra di me. Sentii il suo impeto rude, il suo alito di aglio e di vino, ma non c’era violenza in quell’atto, solo l’istinto di prendermi. Pensai chissà quante volte lo aveva fatto nel sogno e quante si era masturbato pensando a quello che ora era reale.

Per facilitargli il compito rimasi silenziosa ed immobile finché i suoi sessant’anni, quaranta più dei miei, mi penetrarono semplicemente. Non c’era trasgressione, non c’erano perversioni mentali, una terrazza, dello champagne o le luci di Parigi, ma solo la sua voglia di farsi una ragazzina, o forse la figlia del suo migliore amico e dall’altra parte il mio pentimento di averlo rifiutato per chissà quale recondita ipocrisia.
Allargai le mie gambe per sentirlo fino in fondo, vidi una punta di dolore nei suoi occhi, il suo sforzo per non deludermi e ben presto la stanchezza di quell’amore troppe volte desiderato, ma allo stesso tempo troppo difficile per i suoi anni da saziare completamente. Affondò di nuovo il suo corpo nel mio, sentivo il suo cuore battere disordinatamente, il suo fiato grosso. In quei momenti non pensai a me, ma solo al suo piacere. Ecco sì, quando si rese conto guardandomi di essere all’ultima curva, lo incitai, anch’io stavo arrivando, ma il mio ero un piacere diverso, quasi mentale. Mentre lui era al culmine del suo affanno pensai alla nostra differenza di età e che finora, nella mia poco esperienza, avevo fatto l’amore con una donna, con un vecchio e un ragazzo che a chiare lettere mi aveva detto di non amarmi. Allora mi divincolai per il troppo piacere, poi strinsi la sabbia nei pugni e godetti urlando. Fu una sola volta, ma intensa. Ci baciammo, poi il sonno quasi subito mi riavvolse.

Ecco sì ora ricordavo chiaramente quel sogno. Mi alzai, controllai tra le mie gambe la presenza del seme, ma ormai era passato troppo tempo. Presi i miei sandali e mi incamminai a piedi scalzi, lentamente verso casa. Da lontano vidi le luci a gas accese della veranda. Speravo che lui non fosse più lì, che fosse partito, in fin dei conti aveva ottenuto quello che aveva sempre desiderato. Mi fermai un attimo. No, no, la mia non era vergogna, o pudore o che ne so imbarazzo, semplicemente speravo di non rivederlo mai più perché era stata un’esperienza unica e soprattutto desideravo con tutta me stessa rimanere nel mio dubbio se davvero l’avessi vissuta o fosse stato solo un bellissimo sogno di fine agosto.







FINE





 






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Il racconto è frutto di fantasia.
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