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IL RACCONTO E'
ADATTO AD UN PUBBLICO ADULTO
I DIARI
LICENZIOSI DI VIOLETTE BERTIN
Quella sera al
“Casanova”
28 gennaio 2015 Mercoledì Lo studente si
chiama Marc. Ho appuntamento con lui al Casanova alle
undici. Quando entro non lo vedo, faccio un giro per i
tavoli, niente, salgo le scale e alla fine lo scorgo in
una stanzetta riservata al primo piano. Stasera indossa
una giacca fucsia e una cravatta bianca sopra una
camicia nera. È molto bizzarro nel vestire, porta un
cappello di panno dal quale escono i suoi morbidi
capelli biondi raccolti in una graziosa coda. È seduto
in disparte nella penombra con quattro bottiglie vuote
di birra di fronte, nascosto da una coltre di fumo
denso. Sembra un chitarrista punk o forse un poeta
maledetto. Mi saluta distrattamente, affaccendato com’è
a prepararsi una canna. Esordisce: “Dai fatti un
tiro.” Non me lo faccio ripetere due volte. Poi
riprende guardandomi: “Certo che birra, fumo e figa è il
meglio di quanto un uomo possa avere.” Gli do la
prima toccatina: “Ma da quanto ho capito a te la figa
non piace… almeno la mia…” Sorride. “Il fatto che non
me la scopi non significa che non mi piaccia.” Si
scola mezzo boccale di birra, si pulisce la bocca con la
manica della giacca e mi fissa le tette: “Sei diversa
fuori da quella casa…” Indosso una camicetta
scollata ed una gonna corta, certo non sono vestita da
lavoro. “Cos’ho di diverso?” “Non sei vestita da
puttana, ma mi piaci di più.” “Oh grazie, stasera
sei in vena di complimenti?” “Ti ammiro, sai. Voi
puttane siete delle inconsapevoli rivoluzionarie,
autentiche bombe contro l’ipocrisia, il perbenismo e il
moralismo, scardinate il fulcro vitale del sistema dal
basso, ovvero dalla famiglia, facendo leva a colpi di
figa sull’esigenza primordiale dell’uomo. Anche se poi
siete più conformiste delle loro mogli, ma questo è un
piccolo dettaglio perché in ogni caso siete
politicamente scorrette.” Lo guardo sorpresa, in
effetti non ci avevo mai pensato. “Mi ammiri, ma non
ti piaccio.” Rispondo pensando al fatto che nelle due
volte che è venuto da Madame Vanille non ha voluto fare
l’amore. “Guarda non è un fatto personale, io
fondamentalmente preferisco guardare. Odio fare l’amore
nel senso tradizionale, scambiare umori e fiati lo trovo
volgare, animalesco, piatto. Ed invece con la
masturbazione faccio volare la mia fantasia.” “Hai
paura delle malattie?” “Beh un po’ ipocondriaco lo
sono, ma non è per questo che non ti ho scopato.
Concepisco il sesso come un fatto individuale, un
godimento libero e senza vincoli estremamente personale,
insomma cerco il piacere per me stesso e non penso alla
donna.” “Quindi non ti piace possederla?” “Ovvio
nell’amore c’è anche una componente di possesso e di
potere, alle volte mi piace anche aprire e chiudere il
rubinetto del suo piacere, ma ci sono tanti modi per
portare una donna all’orgasmo.” “Ma non pensi che
alla donna farebbe piacere, in fin dei conti è la sua
natura essere posseduta…” “Quando pago non mi pongo
il problema, è come quando compro un giocattolo, non
penso al suo benessere, ma al mio. L’unica cosa che
chiedo è che la merce sia funzionale al mio
divertimento.” Arriva il cameriere e Marc ordina
altre quattro birre rosse.
“Allora è questo il
motivo perché vai con le puttane…” “Sicuramente con
loro non mi sento in dovere di farle godere e
soprattutto non ho rimpianti. Sinceramente di donne ne
potrei avere tante, ma le puttane sono dirette per
quello che danno non possono pretendere di essere
false.” “E con me?” Mi fissa. “Tu sei una puttana
sui generis. Mi piaci, sei mentalmente ninfomane, non
hai necessariamente bisogno dello strumento per godere.
Per questo ti ho invitata stasera.” “Cosa intendi?”
“Mi piace vedere la donna che gode, quando lo fa entra
in un’altra dimensione, stacca il cervello e si
abbandona ai sensi.”
Fa una pausa, si prepara
un’altra canna e mi dice: “Ora ad esempio vorrei farti
godere… ovviamente per il mio e non per il tuo piacere.”
“Qui?” “E dove? Naturalmente non ti sentire in
obbligo di farlo, ma se accetti ci sono 500 euro per
te.” “Fammi capire, dovrei godere per il tuo piacere
e tu mi dai 500 euro?” “Odio questi discorsi… non
serve a nulla fingersi sorpresa. Hai capito bene.”
“In effetti sono sorpresa, non l’ho mai fatto così.”
“C’è sempre una prima volta, cosa credevi? Che ti avrei
invitata a casa mia e scopata come una signora borghese
sopra un comodo divano?” “Forse una signora borghese,
come la chiami tu, ha bisogno di pretesti. Ad esempio
far finta di essere innamorata. Difficile che vada con
un uomo solo per sesso.” “Mia cara, parli senza
sapere. Dai sfilati le mutande!”
Obbedisco,
saranno le canne oppure la birra, ma il cuore mi batte a
mille e la testa mi gira. Lui senza parlare prende le
mie mutande e le infila dentro il boccale di birra
vuoto. È un gesto strano, mi fa sentire nuda, come se
quel pezzo di stoffa in bella vista fosse una parte di
me e tutti in quel momento potessero vederla. Mi
vede dubbiosa: “Sei una puttana no? Perché ti
scandalizzi?” La sua mano intanto non perde tempo e
si intrufola tra le mie cosce. Ma non sono carezze è
solo un dito a forma di uncino che cerca la mia parte
umida. Lo sento salire. Sento le mie percezioni
alterate, ma non dipende solo dall'alcool e dal fumo,
quella situazione è davvero trasgressiva, immagino gli
occhi degli altri clienti su di me anche se in quella
stanzetta siamo soli. Ripenso al bel René, quando
davanti alla sua amica Clothilde mi ha presa allo stesso
modo, ma era diverso perché quella mano voleva solo
scaldarmi, sondare il terreno, mentre questa non ha
altri fini, insiste, tocca i tasti giusti per farmi
venire. Mi dico che devo resistere, per 500 euro devo
resistere.
Viene il cameriere, porta altre due
birre, ma lui non toglie la mano, anzi con l’altra mi
scopre il seno. Mi dico: “Sì in effetti ha ragione, sono
una puttana e sto lavorando, che male c’è?” Ovviamente
lui non sa che abito proprio qui di fronte, che sono la
figlia della portiera che forse questo cameriere
conosce. Forse se lo avesse saputo non mi avrebbe
scoperto il seno o forse sì, ci avrebbe trovato altre
motivazioni. Sono in estasi, le mie tette sono come
due mele in bella mostra sopra un banco di frutta al
mercato, lui mi guarda sbalordito, mi sta leggendo nei
pensieri. Infatti mi dice: “Ma lo sa tua madre che fai
la puttana?” Oddio è davvero fantastico perché qualsiasi
cosa ora rispondessi mi procurerebbe un immenso orgasmo.
Sono in balia di quella mano e il cameriere è ancora lì
davanti a noi e non dice nulla.
È basso e pelato,
non avrà meno di cinquant’anni. Chissà quante tette avrà
visto, desiderose di farsi guardare e chissà come sono
cadenti quelle di sua moglie! Forse avrà una figlia
della stessa mia età, ma comunque sembra divertito
rimane lì in piedi e mi osserva. A quel punto Marc
stranamente mi bacia, non me lo aspettavo davvero. La
sua lingua è piacevole, ma più che un bacio sembra una
penetrazione. Non è eccitato, lo sento freddo, come se
stesse pensando ad altro. “Ti piace la mia
fidanzata?” Il cameriere sorride, non sa che dire.
“Oh guarda che la fortuna mica passa due volte, ti
piace o no?” “È molto bella.” Dice lui balbettando.
“Te la vorresti fare?” Lui non risponde, ma suda ed
io sto per venire, non mi sono mai sentita così. Poi
Marc ci ripensa, lo sento, sta cercando il punto più
alto della sua trasgressione, il punto più basso della
mia decenza: “Non è vero, non è la mia ragazza, ma solo
una puttana che voglio far godere davanti a te!”
Non resisto più. Il dito entra ed esce da padrone dentro
la mia intimità, lo sento come un’orgia di maschi che mi
prendono contemporaneamente. “Te la vorresti fare,
lo so… Pensa che le ho offerto l’equivalente della tua
paga di un mese per vederla godere… Se vuoi, al massimo,
puoi annusare le mutandine.” Indica lo slip e ride,
intanto insiste, non molla la sua presa, conosce i
tempi, vuoto e pieno, dentro e fuori, aria e pelle, ora
le dita sono due, tre, mi saziano e mi affamano,
sembrano una mandria di uomini eccitati, cerco ancora di
resistere. Le mie gambe sembrano autonome, volgarmente
aperte non rispondono più al mio cervello. Aveva ragione
lui, il piacere è solo ed esclusivamente una questione
mentale! Gli dico di non fermarsi e lui spinge di nuovo,
mi cerca fin dentro l’anima ed io chiudo gli occhi e
alla fine esplodo, davanti a lui e al cameriere.
Passa qualche secondo, il mio respiro torna
regolare, apro gli occhi, ma sento una sensazione
strana, come avvolta in una nuvola di vergogna, forse il
punto più basso dove sono scesa finora. Il cameriere,
ancora imbarazzato, sorride e va via. Marc mi osserva:
“Sei stata fantastica.” Tira fuori il suo portafoglio e
mette sul tavolo cinque biglietti da 100 euro accanto
allo slip bianco. Poi si alza di fretta: “Scusami ora
devo andare.” Rimango lì, il locale inizia a
svuotarsi, penso ai tanti finora che mi hanno scopato,
vigorosi, energici e ben messi, ma mai nessuno mi aveva
fatto godere così intensamente. Guardo l’ora, la cappa
di fumo sopra la mia testa, guardo il tavolo, le dodici
bottiglie di birra vuote e quelle mutande dentro il
boccale che sono tutta la mia dignità persa.
FINE
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TUTTI I RACCONTI DI
VIOLETTE BERTIN
Il racconto è frutto di fantasia. Ogni riferimento a
persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale.
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