Lo vedo ogni mattina scendere le scale col
suo impermeabile grigio panna e la barba incolta con l’aria tenebrosa da
scrittore di racconti erotici che ha passato la notte insonne. Mi chiedo
chissà cosa avrà scritto stanotte? In quali fondali di piacere si è
abissato per riemergere all’alba. Chissà se nelle sue storie c’è posto
anche per una ragazza appena ventenne che fa la portiera?
Lui si
avvicina ed io gli sorrido. Alle volte mi saluta altre invece mi chiede
soltanto se sia arrivata la posta. Io fingo di controllare, ma so già la
risposta. Il più delle volte non c’è nulla, altre qualche bolletta, ma mi
alzo ugualmente e guardo nelle cassette, solo per trattenerlo qualche
secondo in più sperando che i suoi occhi azzurro mare si posino avidamente
sulle mie forme. Alle volte credo che davvero mi guardi altre invece mi dà
la sensazione di essergli totalmente trasparente. Un piccolo cenno di
saluto ed è già voltato di spalle e vicino all’ascensore agita
nervosamente le chiavi nell’attesa che arrivi sua moglie.
Allora lo
fisso, lo scruto, guardo le sue rughe affascinanti, le sue mani esperte
d’amante maturo, e spero che almeno questa volta mi abbia notata almeno
gli occhi se non proprio la mia bocca, almeno il seno se non il mio
sedere. Certo io ho solo venti anni e lui più del doppio, certo io sono di
Ruen e lui un autentico parigino, certo io sono figlia di una portiera
separata e lui ha una bellissima moglie che da giovane ha fatto la
mannequin. Alta, magra dalle grandi labbra rosse e una cascata di capelli
biondo cenere che lascia un persistente strascico di profumo alla
violetta. Elegante nei modi e nei vestiti mi chiedo se quel corpo sexy sia
il vero protagonista dei suoi racconti e quanto la mia seconda scarsa
possa mai competere con quella quarta abbondante.
Ecco è proprio
in quel momento, quando indugio su quel profilo da amante navigato, che
succede dentro me qualcosa di incredibile. Come in un miracolo che
puntualmente si avvera, di colpo arrossisco, sento le mie guance in
fiamme, la mia anima calda e non riesco più a trattenermi. Ecco sì mi
basta fissarlo, pensare che sia lui l’autore di quei racconti, che le mie
fantasie prendono liberamente il volo. Allora immagino storie piccanti
dentro oscuri scantinati, antri d’ascensori o cortili in disuso, come se
lui fosse la musa dei miei pensieri più molesti e nel contempo l’unico
uomo a questo mondo capace di appagare i miei desideri.
Ed è
proprio in quell’attimo che le mie mani tremanti si insinuano autonome tra
le mie gambe. Seduta nella portineria e semi coperta dalla parete lui può
solo vedere il mio viso, ma sono certa che se vedesse altro smetterebbe di
agitare le chiavi ed aspetterebbe sua moglie occupando quell’attesa nel
modo migliore. Perché a me basterebbe poco, forse solo un attimo della sua
fervida fantasia notturna o il dubbio di quanto una ventenne possa essere
utile a materializzare d’incanto le sue storie peccaminose e trasformare
in carne calda la sua fredda tastiera.
Sarà la barba, sarà
quell’aria da eterno tenebroso, sarà quell’impermeabile sgualcito, sarà
che io sono la figlia della portiera e lui uno scrittore famoso, sarà
quell’attrazione improvvisa che mi scalda impetuosa fino a bruciare ogni
centimetro della mia pelle, sarà questo od altro, ma io davvero non riesco
a resistere. Allora infilo le dita nel merletto delle mie mutandine, prima
uno, poi due, poi tutta la mano e mi tocco per bene facendo attenzione a
non dare sospetti e sperando che sua moglie come al solito sia in estremo
ritardo. In quel momento penso a quanto sarebbe eccitante se
involontariamente si accorgesse di quello che sto facendo e mi sgridasse
come una bimba sorpresa col dito nel vaso della marmellata, ma poi senza
dire altro mi portasse di peso nel sottoscala o nel vano dell’ascensore se
ha timore che sua moglie ci veda.
Allora immagino cosa potrebbe
succedere perché io sono una bimba curiosa e lui uno scrittore sposato che
ama la trasgressione. Allora sì che mi lascerebbe in piedi addosso la muro
scrostato e si inginocchierebbe davanti a me per contemplare questo corpo
giovane e immacolato, ma colpevolmente insolente. Lo so rimarrebbe qualche
secondo ad ammirarmi e poi, sollevandomi la gonna, scosterebbe le mie
mutandine bianche e assaggerebbe le mie grazie. Forse fingerei di essere
sorpresa, forse gli direi di gustarmi come un gelato a tre gusti, ma
sicuramente lo lascerei fare chiedendomi quanto gli possa piacere questo
mio nettare abbondante e quanto questo sapore misto a miele di fragola
acerba e quanto sia poi diverso da quello di sua moglie più maturo.
Ecco ora lo sento, come se il gioco si facesse reale, perché sento le
sue mani che stringono esperte i miei fianchi, il mio sedere, sento la sua
lingua piena di passione che si muove sincrona al mio ventre accogliente.
Mi ordina di non fermarmi, mi sussurra di abbandonarmi perché le mie
voglie, ancora più abbondanti, possano inondare la sua bocca, saziare il
suo desiderio di succo di donna acerba. Lui mi invita ad allargare le
gambe, a non avere il minimo pudore, di essere quella me stessa che
nessuno conosce. E allora spingo con più forza la sua testa fra le mie
cosce, la sua bocca contro le mie labbra e lui mi sussurra che mai ha
visto colare un nettare così abbondante, mai ha sentito un sapore così
aspro di fragola acerba. Sento il vapore caldo del suo fiato, sento il suo
ardore bollente che insistentemente cerca l’ultima goccia più saporita,
quella che oggi gli consentirà di scrivere un capitolo intero o forse solo
una pagina, ma ricca e intensa e soprattutto bagnata dal ricordo del mio
piacere.
Lo imploro di non fermarsi, di spremermi ancora l’anima
tutta, di prendermi se ne ha bisogno ancora ovunque la sua fantasia
prolunghi all’infinito questo piacere, nella speranza che sua moglie tardi
ancora cinque minuti, quattro, tre, due, un minuto, trenta secondi,
cinque…
“Violette, ma sei ancora lì?” La voce di mia madre è una lama
tagliante. “Dai fai in fretta, finisci la colazione, devi andare in
portineria, il postino sarà già arrivato…”
Apro gli occhi e mi rendo
conto di essere ancora in pigiama, seduta al tavolo in cucina. “Oh sì
mamma, finisco subito e vado.” Allora chiudo di nuovo gli occhi e assaporo
lentamente la mia colazione di fragole, quelle di aprile, le più acerbe.
FINE
TUTTI I RACCONTI DI
VIOLETTE BERTIN