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I DIARI LICENZIOSI DI
VIOLETTE BERTIN
La mia amica Caroline
Caroline mi raccontò del suo professore di Arte, che aveva il doppio dei suoi anni, e della loro prima volta consumata durante l’assenza della moglie in un piccolo appartamento su Rue Monsieur-le-Prince


 

Photo © Alexander Kharlamov




 
Nel mio palazzo, al civico 121 di Rue Jacob nel quartiere di Saint Germain dove vivo e dove mia madre da circa vent’anni fa la portiera, abita al terzo piano Caroline la mia amica da sempre. Lei ha diciannove anni, un anno meno di me, ma avendo io saltato, per ragioni di salute, un anno intero di scuola, ci siamo ritrovate nella stessa classe e nello stesso banco fin dalla terza elementare. Da quell’anno abbiamo passato insieme tutti i pomeriggi ed essendo tra l’altro ambedue figlie uniche di madri separate, studiando, siamo diventate amiche per la pelle.

Lei è figlia di un noto giornalista di France 2 e nonostante la separazione dei genitori sia avvenuta quando Caroline era ancora in fasce devo dire che ha sempre avuto un carattere solare, aperto, sempre pronta al gioco e all’ironia. Su questo devo dire molto diversa da me che invece tendo a rabbuiarmi ed a chiudermi in me stessa alla prima preoccupazione.

Comunque tra noi crescendo si è stabilito un forte legame esclusivo e un’amicizia così sincera e complice che spesso ci ripetevamo che nulla e nessuno avrebbe mai potuto spezzarla. Purtroppo però, circa un anno fa, durante la nostra solita passeggiata a Le Jardin du Luxembourg, mentre gustavamo il nostro mega gelato a quattro gusti, mi confessò che, a mia insaputa, stava vivendo la sua bella favola d’amore. Mi voltai di scatto, la guardai sbalordita, il gelato mi andò di traverso e tossii fino a quando con il fiato in gola le chiesi di raccontarmi chi fosse il fortunato e per quale motivo non me ne avesse parlato.

Lei esitò continuando a gustare il suo gelato, ma poi pian piano la verità venne fuori e seppi che stava frequentando da circa due mesi il suo professore d’arte David Serraut, noto alcuni anni prima per aver scritto un saggio sulla Gioconda di Leonardo che tra l’altro avevo letto e conservavo il libro nella mia piccola libreria. Mi pregò più volte di tenermi per me quella confessione in quanto David era sposato e padre di due figli e che, essendo famoso, la notizia avrebbe potuto essere ripresa dai giornali.

A quel punto senza remore mi parlò con enfasi del loro primo bacio in un corridoio fuori mano dell’università durante una pausa della lezione sul Bernini e poi della loro prima volta consumata durante l’assenza della moglie e dei figli in un piccolo appartamento su Rue Monsieur-le-Prince. Come era suo solito Caroline fu alquanto generosa di particolari, raccontandomi per filo e per segno la graziosa mansarda e ogni istante del suo travolgente rapporto col bel professore. Commentò dicendomi che quell’amore con un uomo adulto e affascinante era stata un’esperienza unica e così coinvolgente che dopo quella volta non era passato giorno che non si fossero visti e fatto l’amore.

Rimasi letteralmente sconvolta anche perché tra noi c’era stato finora un rapporto schietto e sincero e le nostre confidenze si erano limitate ai nostri sogni e alle nostre fantasie. Mai avrei creduto che la mia amica del cuore potesse tenermi segreta una storia così importante e mai e poi mai che avesse fatto quel passo cedendo alle avance di un uomo con il doppio dei suoi anni senza prima consigliarsi con la sua amica del cuore.

Sedute su quella panchina ricordo bene che, forse perché contrariata, indossai in fretta i panni della sorella maggiore consigliandola di interrompere immediatamente quella relazione affermando che, in quelle condizioni, una grande passione si trasforma velocemente e ineluttabilmente in una vera e viva sofferenza. Ovviamente lei non era affatto d’accordo, giurò sulle buone e sincere intenzioni del bel professore e mi disse che, non avendo mai vissuta un’esperienza simile, non potevo minimamente immaginare cosa si potesse provare nel sentirsi donna e unica tra le braccia di un uomo adulto e ricco di sensibilità e cultura.

Tornammo a casa senza parlare e quando chiusi la porta, mia madre era ancora in portineria, anziché preparare la cena, mi distesi sul letto e iniziai a piangere. Ovviamente la causa di quel pianto a dirotto non era certamente per le ipotetiche pene della mia amica del cuore, ma sostanzialmente, e non mi vergogno ad ammetterlo, per pura e semplice invidia. Non credendoci, cercai di andare alle radici del mio sconforto, mi illusi che la ragione vera fosse quella di non essere stata messa al corrente o peggio di perdere la mia amica di sempre. Ero consapevole che un’esperienza simile rappresentava l’ingresso dalla porta principale nel mondo degli adulti e si portava dietro non solo il piacere della relazione, ma anche sotterfugi e segreti, bugie ed espedienti, ovvero tutti quegli elementi che ti fanno crescere rapidamente. Ma in realtà mi sbagliavo perché il mio risentimento era più terra terra e dentro di me sentivo salire soltanto rabbia e stizza per non essere stata io l’oggetto e la protagonista di quelle attenzioni.

Sì certo lei era una bellissima ragazza, con una cascata di capelli biondi e morbidi, formosa nei punti giusti, due labbra grandi e un sorriso a dir poco accattivante per cui potevo benissimo intuire come un uomo adulto non avesse resistito al suo fascino. Se lei non fosse stata la mia amica non ci avrei trovato nulla di male, ma lei era mia amica e il mio amor proprio iniziò a lievitare. Mi alzai e mi guardai più volte alla specchio. Anche se lei era la figlia di un noto giornalista ed io soltanto di una portiera non mi sentivo da meno, forse un po’ più magra, sicuramente mora e decisamente con due taglie di meno di reggiseno, ma avevo le gambe lunghe e un sedere che tutte le nostre amiche mi invidiavano.

Certo, oltre al mio ex ragazzo e a qualche compagno di scuola non avevo mai avuto rapporti così intriganti e men che meno avevo ricevuto attenzioni da uomini grandi e affascinanti come David Serraut. Recuperai il libro su Leonardo e iniziai a fissare la sua foto in quarta di copertina. Era decisamente un bell’uomo con barba e capelli grigi e soprattutto due occhi verdi, profondi ed espressivi. Passai una notte agitata, sognai mio padre e, chissà perché, un suo vecchio amico conosciuto in una vacanza di qualche anno prima vicino Mont Saint Michel. Avevo sedici anni e il solo costume in dosso quando il tizio pensò bene, mentre mi fonavo i capelli, di toccarmi il seno nello spogliatoio dello stabilimento balneare, ma io rifiutai sdegnata quelle avance, lo cacciai dalla stanza senza dire nulla a mio padre. Nel sogno però oltre al seno mi toccò altro finché nel letto raggiunsi il piacere dandomi nel contempo della stupida per non esserci stata nella realtà.

La mattina Caroline fu il mio primo pensiero, lo sconforto non era passato e appena sveglia mi venne il lampo di genio e individuai la mia preda nell’inquilino dell’attico, Marcel Bernard, scrittore di racconti erotici e sposato con un ex modella, sul quale più volte io e Caroline avevamo fantasticato. Lui poteva fare al mio caso, capelli grigi, barba di un età sicuramente sopra i quaranta. Più volte lo avevo sognato di fare l’amore con lui, più volte che mi prendesse in segreto nel sottoscala mentre aspettava sua moglie, ma finora erano rimasti solo sogni inconfessabili.

Quella stessa mattina andai in libreria e comprai un suo libro, uno a caso. Lo lessi avidamente, certo non era alta letteratura, niente a che vedere con il libro sulla Gioconda di David Serraut, ma il mio scopo era decisamente e perversamente un altro. Mi immersi nella lettura e mi soffermai sulla figura di Alphonsine, una giovane ragazza benestante che combatteva la sua noia e il suo disagio esistenziale facendo l’amore in gran segreto con il marito di sua madre. Mi riconoscevo in lei perché era una donna calda e fintamente ingenua, ma soprattutto perché il suo scopo non era tanto fare l’amore col suo patrigno, ma quello di emulare sua sorella, di cinque anni più grande e della quale l’uomo era pazzamente innamorato. Per cui nei loro rapporti di sesso Alphonsine godeva vestendosi, truccandosi e comportandosi come la sorella a tal punto che raggiungeva un imperioso orgasmo solo quando si sentiva chiamare con nome di lei.

Finito il libro ero consapevole di aver trovato la chiave giusta, per cui quando Marcel, dopo aver accompagnato la moglie in ufficio, tornò a casa e come al solito mi chiese se fosse arrivata posta, le dissi a bruciapelo senza guardarlo negli occhi: “Secondo lei potrei interpretare la parte di Alphonsine?” Così dicendo mi alzai dalla sedia e mostrando il mio sedere finsi di cercare la posta nella sua cassetta. Lui, sicuramente sorpreso ci pensò un attimo: “Oh signorina se Alphonsine fosse come lei non avrebbe bisogno di emulare sua sorella.” Beh sì di certo era un complimento e a quel punto orgogliosa di essere stata così sfrontata aspettai un suo invito o qualcosa che potesse apparire tale, ma lui non diede seguito a quella conversazione e un attimo dopo era già davanti alla porta dell’ascensore.

Delusa mi diedi dell’imbecille, del resto stava a me replicare ed io come una cretina avevo fatto cadere rovinosamente il discorso. Chiamai mia madre pregandola di sostituirmi in portineria fingendo un atroce mal di testa, in realtà mi distesi sul mio letto e iniziai ad accarezzarmi, dapprima il seno e poi tra le cosce, fantasticando su come avrebbe potuto continuare quel discorso. Come in un racconto erotico la scenografia era abbastanza scarna, immaginai un divano, un po’ di musica soft, io vestita da collegiale, esattamente come Alphonsine, con una gonnellina nera e una camicetta bianca trasparente, un paio di calze velate neutre, un reggicalze bianco e soprattutto vestita delle sue carezze e della sua voce calda che mi chiamava Alphonsine. Raggiunsi immediatamente il piacere, ma come nei sogni, mi lasciò un forte sapore amaro di incompiuto in bocca.

Certo era tutto avvenuto nella mia fantasia e non potevo di sicuro sentirmi soddisfatta o peggio scandalizzare la mia amica vantandomi di aver fatto l’amore con Marcel Bernard. Ovvio che dovevo puntare il mio timone verso altri lidi. Ripensai alla storia di Caroline e mi chiesi quanto in quella storia ci fosse amore vero o semplicemente attrazione fisica con la semplice e classica intenzione da parte del bel professore di portarsi a letto la propria allieva. Optai per la seconda ipotesi e a quel punto mi alzai dal letto, mi vestii come nel sogno e senza pensarci due volte presi il Metrò in direzione dell’Università. Convinta che Caroline non fosse la sola a ricevere quelle attenzioni non ebbi alcun senso di colpa e in quegli istanti non pensai minimamente di tradire Caroline per il fatto che mi aveva messa gioco forza in secondo piano. Insomma, in cuor mio, non stavo covando nessuna vendetta, ma sentivo solo il desiderio di ricevere le stesse attenzioni, per non essere da meno ed avere anche io qualcosa da raccontarle durante la nostra passeggiata a Le Jardin du Luxembourg. Attenzioni ovviamente che non potevano venire da un coetaneo qualsiasi che erano all’odine del giorno, ma qualcosa di più intrigante, proibito e peccaminoso. Esattamente come era successo a Caroline, ma con una componente trasgressiva in più, vale a dire: fare l’amore con l’amante della mia amica! Come avevo fatto a non pensarci prima? Era quella la mia meta, la madre di tutte le mie guarigioni, il vero senso del mio riscatto, il desiderio mai domo di essere definitivamente donna!

Con la scusa di cercare Caroline, entrai nell’aula dove David Serraut stava tenendo lezione. Mi guardai in giro, della mia amica neanche l’ombra e contenta si accomodai al primo banco. Il bel professore stava parlando della Pietà di Michelangelo, rimasi affascinata nel sentire con quanta sensualità stesse descrivendo quella meravigliosa opera d’arte. Nella penombra della stanza commentava le diapositive passeggiando da un capo e l’altro della stanza, allora con fare malizioso, come faceva di solito Alphonsine per sedurre il suo patrigno, sollevai leggermente la gonna in modo da lasciare agli occhi del professore il dubbio di quell’intrigante vedo e non vedo.

Tra una diapositiva e l’altra mi si avvicinò: “Signorina lei non fa parte del mio corso vero?” Più che rispondere mi chiesi se avessi fatto colpo, ma poi gli dissi che ero un’allieva della UFR “l'Unité de Formation et de Recherche de Philosophie” e che cercando una mia amica mi ero trattenuta in quell’aula rimanendo di fatto affascinata dalla sua lezione. Lui a quel punto, visto il mio interesse, mi disse che se avessi voluto, dopo la lezione, avrebbe avuto il piacere di intrattenersi con me per approfondire meglio il concetto di sensualità di Michelangelo non trascurando nel contempo di dare più di un’occhiata alle mie gambe velate. Annuii con la testa, ma dentro di me ero raggiante… Avevo decisamente fatto colpo!

Sul corridoio, dopo la lezione, non mi baciò come aveva fatto con la mia amica, ma s’informò su quale corso stessi frequentando. Accennai al mio prossimo esame di Culture e tradizioni rinascimentali e lui colse la palla al balzo dicendomi che Michelangelo si inseriva perfettamente nei miei studi. Poi si informò sul nome del mio professore e facendomi capire che avrebbe potuto darmi una mano per superare tranquillamente la prova di esame, aggiunse fissandomi negli occhi che sarebbe stato disposto a darmi lezioni private nel suo studio. Imbarazzata sorrisi, ma lui non si perse d’animo.

Cinque minuti dopo scendevo le scale dell’università con in tasca il suo biglietto da visita e l’indirizzo del suo studio: 46 Rue Monsieur-le-Prince, Île-de-France! L’appuntamento era fissato per le 4 dello stesso pomeriggio, mi pregò di non fare tardi perché alle cinque aveva un’altra lezione privata con un’altra allieva. Mi domandai se fosse Caroline o addirittura un’altra ragazza desiderosa anche lei di ricevere calde attenzioni da parte di un uomo affascinante e maturo. Sorrisi pensando che qualunque fosse stata la verità per me sarebbe cambiato poco o niente. Tornai a casa stringendo quel biglietto. Dissi a mia madre che avevo fretta e non l’avrei aspettata per il pranzo. Mangiai velocemente e poi uscii di nuovo per non rischiare di fare tardi ed avere almeno un’ora completa a disposizione col bel professore.

Certo Caroline non avrebbe mai saputo nulla, o forse sì, ma di sicuro, sedute su quella panchina a Le Jardin du Luxembourg, il mega gelato a quattro gusti non mi sarebbe più andato di traverso.


FINE





TUTTI I RACCONTI DI VIOLETTE BERTIN



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Ogni riferimento a persone e fatti
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