Percorsi velocemente a piedi Boulevard Sanit-Germain, avevo il fiato
grosso e respiravo a fatica, oltrepassai velocemente l’università per
ritrovarmi lungo la Senna. Quando attraversai il fiume sul Ponte di
Austerlitz mi resi conto di essere in estremo ritardo e i tacchi alti e la
gonna stretta mi impedivano di camminare più in fretta.
“Ci mancava
solo la pioggia!” Maledissi il cielo e tutte le previsioni del tempo,
comunque aprii l’ombrello facendo attenzione a non scivolare. Avevo
passato ore a prepararmi, truccarmi e scegliere il vestito più adatto,
insomma farmi decentemente bella e a quel punto sarebbe stato davvero un
peccato se la mia goffaggine avesse rovinato tutto. Ero uscita di casa di
fretta dicendo a mia madre che sarei andata a seguire una lezione sulla
Critica della ragion pura di Kant, ma ovviamente lei guardandomi con quale
e quanta cura mi ero preparata non ci aveva creduto neanche un po’.
“Pazienza.” Mi ero detta. “Forse crederà a qualche incontro galante con
qualche mio coetaneo.” Ma in realtà non era così.
Finalmente mi
ritrovai davanti alla Gare de Lyon. Lì avevo l’appuntamento. Entrai in
stazione ed a mente mi ripetevo: “Giacca blu, camicia bianca, barba,
Libération sotto il braccio, moro, quarantadue anni appena compiuti…”
Dentro di me sentivo di averlo sempre conosciuto, forse in un’altra vita,
in un’altra dimensione, in un mondo libero senza costrizioni, o più terra
terra da “Le Piston Pelican” il locale che insieme a Caroline frequentavo
spesso. Lui mi aveva detto che era riuscito a risalire al mio numero
telefonico tramite un amico in comune, ma non mi aveva detto il nome.
Comunque mi aveva ripetuto per giorni che doveva assolutamente conoscermi,
che ero bella, che ero la sua donna ideale, quella del suo sogno erotico
più ricorrente.
Eravamo andati avanti per una settimana, mi aveva
scritto frasi succose, parole di una sensibilità estrema, peccaminose e
lussureggianti al limite del proibito. Certo a suo modo era un’artista, un
creativo che sbarcava il lunario scrivendo slogan per campagne
pubblicitarie. Ovviamente rispondevo a mezza bocca, piccole frasi di
assenso, tanto per non farlo desistere, ma poi le nostre conversazioni
notturne si erano fatte via via sempre più bollenti, tanto che la notte
precedente avevo ceduto ed avevamo fatto l’amore immaginandoci appunto
quello che sarebbe successo il giorno dopo, ovvero oggi, ovvero in quel
momento esatto che attraversavo il lungo corridoio.
Mi aveva dato
precise istruzioni, alla biglietteria comprai il ticket per Fontainebleau,
andata e ritorno, lui mi avrebbe aspettata al binario dodici. Mentre ero
in coda sentii il telefono squillare, era lui, notai nella sua voce una
velatura di impazienza. Si certo ero in ritardo, come al solito, ma pensai
che non fosse il caso di giustificarmi, in fin dei conti ero lì alla
stazione, in carne ed ossa, ero stata ai patti ed insieme stavamo per
realizzare un desiderio che entrambi avevamo sognato.
Mi disse di
percorrere tutto l’androne, poi svoltare a destra e proseguire lungo il
marciapiede. Lui mi stava aspettando all’altezza del vagone 18, l’ultimo,
il meno affollato. Sentii la sua presenza prima di vederlo. Certo lui
aveva un vantaggio su di me, mi aveva già vista, mentre io non conoscevo
nulla di lui. Ero curiosa e su di giri, sentivo il mio cuore battere,
soprattutto perché, per la mia prima volta in assoluto, andavo incontro ad
una situazione che sì, faceva parte del mio inventario erotico, ma che
coscientemente ritenevo assurda e pericolosa.
Per stare nella
parte mi ero vestita esattamente come mi aveva chiesto, ovvero cappello,
tailleur con la gonna corta e la giacchina scollata, calza nera e tacco
alto. “Devi sentirti come dentro un film di Truffaut!” Mi avevo ripetuto
la sera precedente. Ed io in quel momento mi sentivo davvero la
protagonista di una pellicola in bianco e nero. Non so una giovane Fanny
Ardant che andava incontro al suo bel quarantenne Gerard Depardieu.
Nonostante questo, percorrendo quel lungo marciapiede mi chiedevo se e
quanto le fossi piaciuta, se davvero vestita così rispecchiavo quel tocco
elegante di femminilità che a suo dire era una componente essenziale per
il nostro gioco. Avevo il cuore in gola e fissando ogni viso che
incontravo speravo delusa che non fosse lui finché vidi un uomo vestito
elegante con un giornale sotto il braccio che mi salutava da lontano. Era
lui! Per il timore di perdere il treno si era avvicinato confidando a quel
punto che qualsiasi vagone, pur di non perdermi, avrebbe fatto al nostro
caso.
Sorrisi, ma ero visibilmente impacciata, avevo timore che il
sudore misto a quella pioggia sottile avessero sciolto inevitabilmente il
mio trucco. Arrivai sotto la pensilina e chiusi l’ombrello. Ci salutammo
formalmente stringendoci la mano, da perfetti sconosciuti, come se non ci
fossimo mai sentiti e le nostre intimità del giorno prima fossero rimaste
incollate in un mondo virtuale che ora non ci apparteneva più. Ora non
eravamo più voci, non ero Violette e lui David, non ero la sua fanciulla
desiderosa di bruciare le tappe per sentirsi donna, ma due visi veri e
anonimi.
Dopo un attimo di smarrimento, lui mi abbracciò, avvicinò
le sue labbra al mio orecchio e mi disse che ero incantevole e perfetta.
Mi calmai. Lui di contro era davvero come si era descritto, alto, moro,
occhi profondi e scuri, con un volto regolare che sorrideva senza muovere
le labbra. Camminammo fianco a fianco in direzione del vagone 18,
l’ultimo, il più tranquillo, poi lui mi prese la mano e mi aiutò a salire
sul treno. Quel gesto mi fece sentire leggera e nel contempo un prezioso
monile da proteggere con cura.
Ci accomodammo negli ultimi posti
al riparo da occhi indiscreti, lui si tolse la giacca ed io mi guardai
intorno. Poca gente, qualche viso stanco che guardava oltre il finestrino,
altri adagiati nei loro sedili erano già caduti in un sonno profondo. Noi
lì invece perfettamente sveglie e in piena fibrillazione pregustavamo i
nostri istanti di vera enfasi e follia. Lui senza parlare mi sorrise di
nuovo, poi adagiò le sue labbra calde sulla mia bocca. Schiusi leggermente
le labbra e chiusi gli occhi. Fu un bacio senza fine, intenso e complice.
Così senza parlare. Sapevamo entrambi che ogni parola sarebbe stata di
troppo e non parlammo, anzi lo abbracciai e gli toccai il volto con il mio
dito indice seguendo il profilo della sua guancia. Era davvero un
bell’uomo e ringraziai il mio intuito che mi aveva permesso di scegliere
quell’uomo per quel gioco così particolare.
I nostri sguardi si
incrociarono nuovamente, un brivido percorse la mia schiena, sì sì ero
pazza, avevo accettato quell’incontro al buio per provare davvero quelle
emozioni intense che leggevo nei racconti online ed emulare quelle donne
che per amore del proibito esaltavano le loro performance segrete. Erano
signore per la maggior parte sposate che accettavano quegli inviti
estemporanei da uomini sconosciuti nei posti più impensabili per dare una
scossa alle loro giornate noiose.
Ecco ora io ero lì, insieme al
mio uomo sconosciuto che mi aveva detto di chiamarsi David, sposato con
una sua vecchia compagna di scuola, che faceva il creativo ed abitava in
una graziosa villetta di Fontainebleau. Sinceramente non mi chiesi quanto
quelle informazioni fossero vere, non era quello il punto, lui era solo il
tramite per le mie emozioni, una persona che in quel momento concretizzava
il mio sogno proibito e il mio senso innato alla disubbidienza di
qualsiasi regola.
Il treno partì e le nostre bocche si dischiusero
in un bacio umido, lungo e pieno di desiderio. Lui mi sussurrò di
rilassarmi e di mettermi più comoda scivolando lungo lo schienale di
pelle. Obbedii, chiusi gli occhi e al riparo dai sedili alti lui insinuò
la sua mano possente dentro la mia camicetta. Iniziò dapprima ad
accarezzarmi il seno esplorando lentamente ogni centimetro di pelle, ogni
brivido, ogni mia minima sensazione.
Lo lasciai fare e lui slacciò
la camicetta e scoprì il mio seno. Qualunque persona in quel momento che
fosse passata lungo lo stretto corridoio lo avrebbe visto. La cosa mi
piacque, ma poi, forse per timidezza o forse per esclusivo piacere coprri
il seno accompagnando la sua mano e indirizzandola sui miei capezzoli
pieni di desiderio.
Sentii le sue dita stringere il mio piacere e
pensai che se anche fosse finita lì, se per qualche motivo improbabile
saremmo stati costretti ad interrompere quelle effusioni, sarebbe stata
comunque una giornata da ricordare. Pensai a sua moglie, al bigliettaio,
pensai ad un guasto improvviso del treno e più quei timori si facevano
reali e più aumentava la mia eccitazione. Poi le sue carezze divennero più
intense, sentii le sue mani più decise insinuarsi lungo il mio corpo, più
in basso, sotto la gonna, tra le mie intimità ormai calde.
Lui
sollevò leggermente la gonna, fissai il suo sguardo avido e affamato di
femminilità, ero la sua donna disponibile, la sua femmina reale dei suoi
sogni, la regina indiscussa delle sue voglie perverse. Lentamente alzò
l’orlo della gonna nello stesso modo che un giocatore di poker scopre le
sue cinque carte in mano. Non disse nulla perché così ci eravamo imposti,
ma percepii ugualmente le sue parole quando scoprì il bordo più scuro
delle mie calze e subito dopo i fiocchetti bianchi del mio reggicalze.
Sì, lui lo sapeva, sapeva perfettamente cosa indossassi sotto la gonna
e cosa adornasse le mie grazie perché così mi aveva detto di vestirmi, ma
ugualmente percepii un leggero tremore delle sue dita. Stava impazzendo ed
io con lui. Mi resi conto di godere del suo piacere riflesso che aggiunto
al mio mi faceva sentire bella, anzi lui mi faceva bella, pur non
parlando.
Risalì lungo le mie cosce fino alla mia parte più calda,
la sentì umida e sorrise. Ero sua, vogliosa di quelle dita, eccitata per
quella situazione sicuramente più appagante rispetto a qualsiasi altra
circostanza in qualsiasi alto posto più comodo al mondo. Lui divaricò
leggermente i petali del mio fiore smanioso e mi penetrò con estrema cura
e delicatezza, forse meno di quanto possa essere lunga un’unghia, ma io lo
sentii lungo come un sesso voglioso di maschio che arriva nel profondo
dell’anima.
Ansimai, ero in estasi, aperta e compiaciuta come una
cassaforte in attesa di essere violata davanti al suo ladro che dopo vari
tentativi aveva indovinato la combinazione. Sì esatto lui era il mio
ladro, l’uomo che dalle prime telefonate aveva trafugato i miei segreti e
letto il mio bisogno di essere esattamente come avrei voluto essere ovvero
una donna spogliata nell’anima e svelata dei miei desideri più intimi.
Non dissi nulla ma le sue mani esperte e chirurgiche sapevano
esattamente come procedere. Prese la mia mano e la dirottò sui suoi
pantaloni. Sentii il maschio voglioso, fiero della sua durezza ed io
altrettanto orgogliosa di esserne stata la causa e la colpa, tirai giù la
lampo e lo presi in mano. Sentii dettagliatamente i tendini e le nervature
del mio oggetto di desiderio e nel contempo il suo respiro denso che
immediatamente si fece più pesante ed affannoso.
Mi guardai
intorno, quasi tutti dormivano e nessun uomo col cappello da bigliettaio
si intravvedeva all’orizzonte. Mentre lui continuava a penetrarmi con le
dita scesi con la bocca verso quello scettro imperioso, lui adagiò l’altra
mano sulla mia testa, i nostri movimenti si fecero armonici in un trovarsi
cadenzato e in una perfetta sintonia erotica e musicale.
Non so
quanto rimasi in quella posizione, non so per quanto tempo, chilometri e
fermate continuai a dargli piacere scivolando le mie labbra umide su quel
velluto. Furono istanti senza fine, uno dopo l’altro, uno sopra l’altro.
Lui l’uomo ed io la donna! Nel mio picco di piacere e di perdizione
avvertii una strana sensazione di ineluttabilità come se il destino mi
avesse offerto un’ultima occasione che non avrei mai più vissuto e per
questo motivo dovevo dare tutta me stessa per il piacere reciproco oppure
più poeticamente, ripensando a Truffaut, come se fosse stato l’ultimo
saluto di due amanti alla stazione che non si sarebbero mai più visti.
Sentivo il suo desiderio scivolarmi tra le labbra mentre lui
continuava a penetrarmi con le dita, pigiando tasti che emettevano note
così sconosciute e liquide che non riuscii a trattenere il mio piacere. Fu
un urlo interiore e silenzioso, un letto di fiume travolgente che svuotò
la parte più intima della mia anima. Lui esplose subito dopo inondandomi
la bocca del suo piacere denso e bollente.
Ci rilassammo senza
parlare finché l’altoparlante del treno annunciò la fermata di
Fontainebleau. Ecco eravamo arrivati. E tutto ciò era stato perfetto e nei
tempi che lui aveva previsto. Esattamente 58 minuti come avevo letto sul
tabellone delle partenze dei treni. Non gli chiesi come avesse fatto, ma
sapevo bene che non ero stata né la prima e né l’unica ad accompagnarlo
nel suo viaggio verso casa dalla Gare de Lyon a Fontainebleau.
Scendemmo dal treno sempre senza parlare. Sul marciapiede mi strinse la
mano, accennò ad un leggero sorriso e poi lo vidi allontanarsi di spalle
verso l’uscita. Come previsto aspettai cinque minuti o poco meno e salii
sul treno che mi avrebbe riportato a Parigi. Sul vagone mi chiesi se mai
avrei rivisto quell’uomo ma conoscevo già la risposta.
FINE
TUTTI I RACCONTI DI
VIOLETTE BERTIN