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AMARSI? CHE CASINO!
Intervista a Ninfa
Prostituta per
passione, innamorata del suo mestiere
Salve madame
posso conoscere la sua storia?
Sono nata
a Roma il 18 maggio del 1927, mia madre mi mise nome
Rossana, il nome di sua sorella morta tragicamente,
ma tutti mi chiamavano Ninfa perché al tempo mia
nonna abitava in una casa in Via delle ninfee nel
quartiere di Centocelle. Passai l’infanzia con mia
nonna perché mia madre non aveva tempo per me, lei
lavorava in un bordello di Via Rasella.
Suo padre lo ha mai conosciuto?
No, mia madre mi diceva spesso che ero figlia di un
bellissimo giovanotto, biondo dagli occhi celesti,
appartenente ad una ricca famiglia romana. Più volte
mi portò a vedere la sua casa vicino Villa Torlonia.
Ci appostavamo fuori e attraverso le sbarre del
cancello nero in ferro battuto guardavamo il
giardino, ricordo il maneggio e una grande fontana,
ma lui non lo vidi mai.
Sarà stato
davvero suo padre?
Credo che anche lei
non ne fosse sicura. Oggi penso che quell’uomo sia
stato solo uno dei suoi tanti clienti, di certo ne
era innamorata, ma che di fatto avrei potuto essere
figlia di chiunque, un militare di passaggio, un
gerarca, addirittura un prete o un qualsiasi
commerciante che frequentava il bordello.
Lei sapeva cosa facesse esattamente sua
madre?
Credevo lavorasse come cameriera,
ma poi verso i dodici anni mi resi conto che era
troppo bella ed elegante per fare quel mestiere fino
a quando la mia amica Clara, più grande di me di tre
anni, un pomeriggio mentre giocavamo a campana mi
disse: “Tua madre fa la puttana”. Non sapevo bene
cosa significasse quella parola, ma io adoravo i
suoi vestiti, le sue calze di di seta, il suo
profumo alla violetta, i suoi cappellini con la
veletta, il suo rossetto rosso per cui spesso mi
ripetevo che da grande avrei fatto lo stesso
mestiere.
Così fu immagino…
La mia strada era segnata anche se fui io a dare una
grossa mano al destino. Quando mia nonna morì avevo
tredici anni e mia madre mi fece rinchiudere in un
istituto di suore, in un monastero vicino via delle
Zoccolette. Strano il destino vero?
E
cosa fece?
In quell’Istituto di
trovatelle ci rimasi tre anni, le suore erano
cattive, facevo lavori umili e non passava giorno
che non venissi picchiata. Più volte tentai di
scappare, da una porticina che dava sul LungoTevere,
ma venivo puntualmente ripresa. Poi un giorno rubai
cento lire dalla cassetta di metallo delle
elemosine, era una grossa somma, ma venni scoperta e
la madre superiora minacciò di denunciarmi. Fui
sbattuta fuori dall’Istituto e un signore che non
avevo mai visto né sentito prima, ma che chiamavano
l’avvocato, si prese cura di me. Ero disperata, non
avevo nessuno, mia madre nel frattempo era morta di
tubercolosi, ma io lo seppi solo alcuni mesi dopo.
Avevo paura di finire in galera.
Cosa
fece l’avvocato?
Mi portò a casa sua, un
grande appartamento vicino San Giovanni. Mi disse
che lui avrebbe ripagato quel debito, io a mia volta
mi sarei sdebitata facendo i lavori domestici in
quella casa. Sua moglie però non tollerava la mia
presenza, anche perché ormai avevo quasi sedici
anni, mi stavo facendo donna, i miei seni crescevano
e quel tizio aveva messo gli occhi su di me. Tutte
le notti, di nascosto dalla moglie, entrava nella
mia stanza e mi accarezzava i capelli, mi diceva che
ero bellissima come un angelo. Ero ancora ingenua,
inconsapevolmente donna, e a me faceva piacere quel
tipo di attenzioni, del resto non avevo mai avuto
l’affetto paterno. Ma una notte quelle carezze si
fecero più pesanti, iniziò a toccarmi i seni, le
cosce e così ebbi i miei primi orgasmi, anche se
erano rapporti sessuali senza penetrazione.
E la moglie non si accorgeva di nulla?
Altroché! Alla fine, visti i continui litigi con la
moglie, dopo pochi mesi, lui fu costretto a
prendermi da una parte e dirmi che non potevo più
restare lì e che c’era un unico modo per ripagare
quel debito e non essere denunciata, per cui mi
portò in una casa di lusso vicino Villa Borghese con
i tappeti sul pavimento, i lampadari a gocce e le
finestre sempre chiuse. La padrona di quella casa si
faceva chiamare Madame Lou, era di origine francese,
dolce e delicata fu molto gentile con me. Lì c’erano
altre ragazze che facevano il mestiere, ed io
ufficialmente, vista la mia età, svolgevo mansioni
da cameriera, ma durò poco.
Cosa
successe?
Dopo alcuni mesi Madame Lou,
fece falsificare i miei documenti e il giorno dopo
diventai improvvisamente maggiorenne. Da quel giorno
mi chiamai ufficialmente Ninfa e il mio primo
cliente fu un ispettore di Polizia anziano
ossessionato dalle fanciulle giovani, vergini e
dalla carne fresca.
Lei era ancora
vergine…
Con l’avvocato non c’erano mai
stata rapporti completi. Quel giorno salii le scale
come una vera professionista, sculettai come avevo
visto fare alle altre ragazze, ma in cuor mio ero
molto emozionata. Andammo in stanza, lui senza
spogliarmi del tutto mi appoggiò alla parere vicino
al lavandino e mi penetrò in piedi. Alla vista del
sangue mi sentii così turbata che fui un vero e
proprio disastro, tanto che nel mezzo del rapporto
scappai dalla stanza mezza nuda in preda al panico.
Madame Lou capì e mi consolò dicendomi che era solo
colpa sua. Aveva anticipato troppo i tempi, ma la
cosa più importante fu che non ero più vergine,
infatti mi disse: “Vedrai, da oggi in poi per te,
fare l’amore sarà facile come bere un bicchiere
d’acqua.” Così fu.
Poi cosa accadde?
Aveva ragione, il giorno dopo feci l’amore con due
ufficiali ed un maggiordomo. Certo non avevo ancora
esperienza, ma andò tutto bene. Dopo alcune
settimane mi schedarono ed ebbi il mio primo
libretto sanitario. Da quel giorno ebbi l’obbligo di
sottopormi ogni due settimane ad una visita medica.
Il medico incaricato, il dottor Marcelli, veniva
direttamente nella casa ed annotava sul libretto gli
aggiornamenti del nostro stato di salute. Era molto
importante ricevere quell’attestato di buona
condizione perché senza non era possibile lavorare e
in caso di controllo da parte della polizia
l'interruzione dell'attività era immediata. Ogni
volta pregavo il buon Dio di non essere malata. Del
resto le malattie veneree erano molto comuni al
tempo e l’utilità dei disinfettanti per bocca e di
quelle che chiamavano spugne igieniche era pressoché
nullo. Poi, una volta contratte troppe malattie, il
che era una prassi, le ragazze venivano buttate
fuori dal bordello e non avevano più la possibilità
di lavorare.
Insomma il medico era
una figura estremamente importante…
Il
dottor Marcelli era un ufficiale sanitario, assunto
tramite concorso pubblico. In una stanza adibita ad
ambulatorio faceva periodicamente le visite, i
richiami per i vaccini e prescriveva farmaci.
Inoltre era responsabile dell’igiene dei locali, il
cambio della biancheria e l’imbiancatura dei locali.
Decideva il vitto nel quale non dovevano mai mancare
frutta e verdura fresca, il pesce almeno due volte
la settimana, i formaggi stagionati, il latte
fresco, il pane, la pasta con porzioni sempre
abbondanti.
Lei lavorava molto?
Per fortuna ero capitata in una casa a quattro
stelle ovvero un bordello di lusso dove eravamo
tutte ragazze giovani, dotate di bella presenza,
garbo, fantasia e passione per il mestiere. Per cui,
visti i prezzi alti, il nostro mestiere si basava
più sulla qualità che sulla quantità. Eravamo
trattate con i guanti bianchi, servite e riverite,
avevamo una cameriera al piano ed un’altra, diciamo
personale, che si occupava di lavarci e
disinfettarci dopo ogni rapporto.
Purtroppo non esistevano solo i bordelli di lusso in
città…
Più diminuivano le stelle e più
il bordello era frequentato da prostitute vecchie
grasse e volgari. Sapevo che nella zona della
Stazione Termini e in particolare in Via Urbana,
dove lavorava una mia amica, c’erano case ad una,
due stelle frequentate perlopiù da militari e
giovani studenti. Le donne che lavoravano lì per
guadagnare decentemente arrivavano addirittura a
quaranta marchette al giorno.
Cos’era
la marchetta?
Erano dei cartoncini, a
volte dei gettoni bucati in mezzo, che Madame Lou
consegnava al cliente al momento del pagamento
anticipato della prestazione. Questi cartoncini
venivano poi ritirati dalla fanciulla in stanza
prima della prestazione. Dal loro colore, dalla
foggia e dal formato, si poteva capire che tipo di
servizio richiedesse il cliente. A volte la
tenutaria segnava nel retro una sigla, un codice per
alcuni trattamenti speciali. La marchetta andava da
2 lire, per piccole prestazioni senza rapporto
completo al gettone extralusso, da 30 lire, utile
addirittura per un’intera notte. Ovviamente i prezzi
cambiavano a seconda della categoria della casa. Le
tariffe intermedie prevedevano la singola, la
doppia, mezzora o un’ora di sesso. Il regolamento
della casa prevedeva che ogni donna potesse ricevere
non più della metà delle marchette incassate, ma con
quel cinquanta percento doveva pagare il vitto,
l’alloggio, la lingerie costosa e le spese mediche.
Come avveniva la scelta?
Semplice, noi ragazze in tacchi a spillo e
agghindate dalla sarta del bordello con abiti
seducenti preferibilmente aperti davanti con il seno
in bella mostra e ricoperto in parte da piume di
struzzo attendevamo la decisione del cliente, il
quale dopo aver fatto la sua scelta versava alla
cassa il suo obolo, pagando in anticipo la
prestazione e ricevendo appunto in cambio una
marchetta che consegnava alla fanciulla precelta. A
fine serata il numero di oboli in possesso della
ragazza definiva anche il suo compenso. Tra quella
clientela fatta di gerarchi fascisti poi sostituiti
da ufficiali americani, mariti, ragazzini alle prime
esperienze, ma anche sacerdoti in borghese, c’erano
anche i famosi “flanellisti” ovvero uomini dal
braccio corto che passavano il tempo a guardare le
ragazze senza mia scucire un soldo. Non a caso la
maîtresse ripeteva insistentemente: “Su, su
giovinotti... O commercio, o libera la sala”. Le
persone importanti venivano fatte accedere alla casa
da entrate secondarie. Di solito l'anticamera veniva
fatta sgombrare, oppure si organizzavano gli
incontri dalla mezzanotte in poi, orario ufficiale
di chiusura.
Le è mai capitato di
essere richiesta per una notte intera?
Oh sì, dopo alcuni mesi mi ero fatta la mia
clientela riservata. Uno di loro, sempre elegante e
pulito, mi salutava sempre come fossi una vera
signora. Dopo che lo conobbi mi disse che era un
senatore di Torino. Veniva spesso a mezzanotte e
senza passare per il salone saliva direttamente
nella mia camera dove passavamo la notte insieme.
Spesso parlavamo, poche volte facevamo l’amore. La
cosa buona di questo signore era che non mi ha mai
costretto a fare le cose strane che mi chiedevano
gli altri clienti, desiderava semplicemente toccarmi
il seno e addormentarsi tra le mie braccia. Comunque
devo dire che era molto raro passare la notte con un
cliente, di solito erano sposati e difficilmente
passavano la notte fuori. Del resto venire da noi
era tollerato, ma non lecito nel senso che per la
chiesa non era peccato in quanto quella
frequentazione non doveva essere confessata al
prete. Discorso diverso invece era per noi fanciulle
che praticando la prostituzione eravamo fuori da
ogni grazia di Dio e quindi non avevamo alcuna
assistenza spirituale.
Tutte devote
a Santa Margherita!
Era la nostra santa
protettrice. Ogni sera le affidavo le mie preghiere
stringendo in mano il suo santino che poi riponevo
sotto il cuscino. La sentivo molto vicina perché
come me era rimasta orfana di madre e a diciassette
anni era già concubina di un nobile, morto per mano
dei briganti. Lei rimasta sola, scacciata dai
familiari dell’amante, rifiutata dal padre e dalla
nuova moglie, si pentì e si convertì.
Le
mogli dei clienti come reagivano?
Le
sembrerà strano ma le spose non ci vedevano nulla di
male in quel tipo di frequentazione da parte dei
loro mariti. Lo consideravano un pubblico servizio
utile a placare bollori e ad allontanare le insidie
di eventuali amanti dai mariti e così facendo a
difendere l'unità della famiglia. E come la Chiesa e
le famiglie anche lo Stato si allineava a questa
morale gestendo di fatto le case e obbligando noi
fanciulle a frequenti controlli sanitari.
Quindi eravate una specie di missionarie…
Beh non proprio, ad esempio per evitare
assembramenti era vietato all’interno della casa
vendere cibo e bevande. Non era possibile aprire una
casa di tolleranza in prossimità di chiese, scuole,
asili ecc. Le persiane dovevano restare chiuse
ermeticamente, da qui il nome di case chiuse.
L'ingresso al casino era permesso solo ai ragazzi
che avevano compiuto 18 anni, anche se a volte si
chiudeva un occhio se l'adolescente era accompagnato
da un adulto. Per noi ragazze la vita nel bordello
era scandita secondo ritmi rigidamente militari. Tra
le altre cose avevamo il permesso di uscire solo
un'ora al giorno per fare shopping, ma mai in gruppo
e nelle case di lusso le ragazze avevano un giorno
di riposo a settimana, di solito la domenica.
Com’era all’interno la casa di
tolleranza?
La casa dove lavoravo era
composta da un ampio salone con morbidi divani in
velluto rosso dove sedevamo in attesa che il cliente
scegliesse la sua preferita. Di lato c’era la cassa
dove si riscuotevano le marchette, poi un’ampia
scala liberty in marmo che aveva il duplice scopo di
portare alle camere da letto e di mettere in bella
mostra le fattezze di noi ragazze. I nidi d’amore
dove svolgevamo l’attività erano anche le nostre
camere dove dormivamo la notte. Nello scantinato
invece si trovavano la cucina, la lavanderia e la
sala da pranzo.
Com’erano le camere?
Le stanze erano tutti simili, avevano un letto, un
lavandino, un bidet e un armadio con uno specchio.
In ogni camera c’era una stufa a legna per
riscaldare. Affisse alle pareti le regole di
prevenzione sanitaria, i regolamenti e le cartoline
sexy per accendere le fantasie dei clienti, a volte
qualche immagine sacra della Madonna o di Santa
Margherita. In più vi era la sveglia dell'amore
tarata per un tempo massimo di 20 minuti per
cliente. Ovviamente per i clienti più ricchi invece,
che si potevano permettere tempi più lunghi, non
veniva impiegata.
C’era l’obbligo
ogni quindici giorni di cambiare bordello vero?
La regola era applicata nei bordelli di infimo
ordine per non annoiare i clienti, ma anche per non
rischiare di far nascere pericolosi legami
sentimentali, cosa sempre possibile. Per cui ogni
due settimane c’era la famosa “quindicina” ovvero
ogni bordello aggiornava le fanciulle che arrivavano
in città. Le ragazze mandavano la documentazione
anche con foto e patentino di buona salute al nuovo
bordello. Una volta accettate venivano trasferite
passando però prima in questura dove veniva
registrata la loro presenza in città.
Nelle case di lusso invece?
Venivano sostituite solo le ragazze che facevano
difficoltà ad essere scelte, per le ragazze fisse
invece c’era l’obbligo di rinnovare la lingerie,
cambiare spesso colore di capelli e mantenersi
giovani e belle.
Com’erano le sue
colleghe?
Semplici, umili, dal sapore
contadino, ma tutte col grande desiderio di un
futuro migliore. Posso dire che eravamo grandi
artiste del sesso e con l’esperienza avevamo
imparato che per una soddisfacente prestazione non
serviva solo il corpo, ma anche cultura e fantasia.
Nel mio bordello si potevano incontrare tipe che
facevano trasecolare i clienti oltre che per la
bellezza anche per il garbo, l’intuito, la passione
e perfino per la delicatezza dell’animo. Molti
uomini non tolleravamo spartirci con altri clienti
per cui, non a caso, erano frequenti proposte di
matrimonio o quanto meno di concubine.
Cosa successe il 20 settembre del 1958?
Ricordo ancora quella notte. Madame Lou ci disse:
“Care ragazze, questa sarà l'ultima nostra notte
insieme, non so se da domani sarete più libere o più
schiave, ma ora vi prego di divertirvi e bere
insieme ai clienti. Lo so è terribile che si
chiudano le case ma almeno per questa sera proviamo
a non pensarci. Poi da domani chi vivrà vedrà!” Da
quel famoso 20 settembre quando Domenico Modugno
cantava “Ciao, ciao bambina, canzone decisamente
allusiva, tutto fu stravolto. Infatti alla
mezzanotte in Italia le "case chiuse" vennero chiuse
definitivamente tramite una legge che porta il nome
della senatrice socialista Lina Merlin. Settecento
casini furono chiusi, lasciando senza lavoro quasi 3
mila fanciulle. Ovviamente non decretò la fine della
prostituzione, ma dello sfruttamento e il consenso
da parte dello Stato Italiano. Di fatto il fenomeno
relegato fino ad ora nelle discrete case chiuse si
diffuse negli angoli delle strade usando automobili,
siepi o alberghi come alcova.
Lei
cosa fece?
Di fatto anziché arginare il
fenomeno, la legge contribuì paradossalmente alla
sua diffusione sfrenata e senza regole, da quel
momento in poi era possibile svolgere singolarmente
l’attività dentro case private e senza incorrere in
qualche schedatura. Mi adeguai. Avevo 31 anni, ero
ancora giovane e bella, e con i soldi guadagnati
comprai una casa nella zona di Campo de’ Fiori. La
mia clientela, poca, riservata e facoltosa,
praticamente la stessa di prima, continuò a
frequentarmi con il vantaggio di riservare tutto per
me l’ammontare della prestazione.
Un’ultima domanda Madame, lei, sacerdotessa
dell’amore, si è mai innamorata?
Nel
nostro mestiere non era permesso innamorarsi, il
cuore a lungo andare diventa solo un muscolo,
utilizzato per svolgere nel migliore dei modi ogni
tipo di prestazione, sinceramente non mi è servito
per altro. Adoravo il mio mestiere e ci mettevo ogni
volta tutta la passione possibile. Ecco forse mi
sono innamorata della passione perché nella mia vita
ho sempre confuso il piacere con l’amore.
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INTERVISTA A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FONTI:
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