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REPORTAGE

BAHREIN
Il paese dei balocchi e quella notte speciale
con Raquel
Dopo cena, usciamo nella notte tiepida. Raquel
si ferma, mi guarda, e inevitabilmente ci baciamo. È un bacio,
intenso, la sua carica erotica è esplosiva poi si ritrae, e seria mi
sussurra. “Devo dirti una cosa."

Dopo circa 6 ore e 30 minuti
atterro all’aeroporto di Manama, la capitale della
piccola isola del Bahrein con oltre mezzo milione di
abitanti di cui il 40% sono immigrati indiani,
pakistani, iraniani, omaniti e yemeniti. Il 90% è di
religione musulmana (65% di sciiti e 35% di sunniti).
Il regno di Bahrain o Bahrein è un minuscolo Stato
insulare nel Golfo Persico, in prossimità della penisola
araba, formato da un arcipelago di 33 isole. È un
ricchissimo Stato noto per i giacimenti di petrolio e
per le perle.
All'aeroporto internazionale che
dista 8 km da Manama, circa 15 minuti in auto, incontro
la mia guida. Lui parla inglese come del resto quasi
tutta la popolazione. Si chiama Samir e mi dà subito le
prime istruzioni essenziali. Ovvero di non recarmi nella
zona sud dell’isola perché è tutta zona militare, di
rispettare le loro usanze religione, di non esprimere
giudizi sull’Islam, di rispettare i luoghi di culto. E
come ciliegina sulla torta mi dice che l'omosessualità,
l'ubriachezza in pubblico e la prostituzione sono
illegali.
L'International dove alloggio è un
albergo di quelli super moderni, riesco anche a
scambiare qualche parola con gli altri clienti, sono
gentili e non hanno la puzza sotto il naso come a Dubai,
Abu Dhabi o Doha. Manama sembra una città più a misura
d’uomo con la zona Bab el-Bahrain, la Porta del
Baharain, dove si trova il souq, che ricorda i vecchi
centri delle città italiane anche per la poca pulizia,
la vita vera e i mendicanti. Il souq è diviso in diverse
sezioni e i negozi sono aperti fino a sera mentre sono
chiusi il venerdì. Il profumo delle spezie è penetrante.
Tessuti, oggetti e alimenti arrivati dall’Oriente sono
il tema dominante nelle strette viuzze della zona.
A pochi passi da qui, antico e moderno si confondono
con il maestoso World Trade Center, un vero e proprio
capolavoro avveniristico. Una delle attrazioni
principali è senza dubbio la Moschea di Al Fateh centro
spirituale per tutti i musulmani del mondo. Costruita
nel 1987 è lunga oltre 100 metri e può ospitare fino a
7000 fedeli. Sormontata da un’incredibile cupola in
vetroresina, è stata realizzata con differenti materiali
provenienti da tutto il pianeta: lampade di legno
dell’India, un enorme lampadario Swarovsky, vetrate
realizzate in Iran e marmi di Carrara.
Di notte
Manama è una città viva: il centro pullula di locali e,
nonostante la legge, c’è parecchia prostituzione come
del resto ad AbuDhabi e Dubai. Nelle discoteche e nei
club affollati di marinai e ufficiali lavorano centinaia
di prostitute cinesi e russe. Tutti lo sanno, ma le
autorità locali chiudono un occhio per non turbare il
divertimento dei militari Usa.Faccio una puntatina al
BJ's, il locale frequentato da tutti gli americani e gli
inglesi che lavorano sull'isola.
Di più larghe
vedute rispetto ad altri paesi del Golfo, mi dice Samir,
il Bahrain si fa vanto della tolleranza per le altre
culture, Manama è visitata da un gran numero di
stranieri ogni anno. La stragrande maggioranza proviene
dai paesi arabi vicini. L’alcol è legale, ma è sempre un
paese arabo. Spesso nei week end l’isola è visitata da
orde di uomini sauditi in cerca di divertimento. Tutte
le attività che non puoi fare in Arabia Saudita, si
possono fare qui. Addirittura è possibile trovare
prodotti a base di carne di maiale e gli ultimi film
americani in uscita al cinema. Il lato oscuro di questo
è che trovi prostituzione ovunque, anche nei migliori
hotel a cinque stelle.
Di solito la prostituzione
si pratica nei centri massaggi, tanto che la capitale
Manama è denominata la Bangkok del Medio Oriente. A
gestire i centri, veri e propri bordelli, sono
soprattutto i russi. Le donne provengono dalla Turchia,
Siria e Marocco. Di sera l’attività si sposta negli
hotel di lusso affollati dai ricchi abitanti dei vicini
Emirati o Arabia Saudita disposti a spendere, per fiumi
di champagne e avvenenti donne, anche cinquemila dollari
a sera. Arrivano qui il giovedì sera per bere alcol e
cercare una prostituta. Sono uomini in abiti
tradizionali, spesso anziani, giunti qui grazie al ponte
che collega il Barhain alla terraferma, si accompagnano
a ragazze asiatiche con le quali, quasi sempre,
finiscono in una stanza di hotel per sesso a pagamento.
Decine di migliaia di prostitute asiatiche in
condizione di semi schiavitù, quartieri a luci rosse
vicino alle basi militari e alcol: per i soldati
occidentali e i ricchi sauditi il Bahrain è il paese dei
balocchi. Anche se poi formalmente e ipocritamente le
severe leggi in vigore vietano come detto alcol e
prostituzione. Sono previste pene che vanno da tre a 15
anni di reclusione per la prostituzione forzata e il
traffico di essere umani.
Ma nella vita reale le
cose sono ben diverse e negli hotel tante giovani
orientali sono costrette a prostituirsi. Sarebbero circa
15mila le prostitute che esercitano a Manama. Un numero
impressionante se si tiene conto della popolazione
totale. “Nel nostro paese”, commenta Samir salutandomi,
“tante cose sono permesse e gli occidentali sono i
benvenuti. L’unica cosa davvero proibita in Bahrain è la
democrazia.”
Proseguo da solo verso il mio
albergo. Mentre cammino verso l’International sotto il
cielo stellato di Manama, una figura femminile si
avvicina con un passo elegante. È una ragazza alta,
longilinea, di una bellezza che sembra quasi irreale. Il
suo vestito ampio e lungo brilla sotto i riflessi dei
lampioni, i capelli lunghi e scuri le cadono in onde
perfette sulle spalle. Si presenta: “Ciao, sono Raquel”.
La sua voce è morbida, con un accento che non riesco a
collocare, e i suoi occhi scuri mi fissano con una
sicurezza disarmante.
Mi chiede se sono italiano:
“Sai, la tua andatura, l’aspetto, l’eleganza mi
ricordano un tecnico di una compagnia petrolifera di
Padova che ho conosciuto tempo fa.” Sorrido e le dico
che ha perfettamente indovinato. Facciamo quattro passi,
parliamo del tempo e di cosa offre Manama a quest’ora
poi disinvolta mi invita a passare la serata insieme,
proponendomi di esplorare un po’ la città. Io, stanco
dopo una giornata intensa, tento di declinare
gentilmente: “Grazie, ma è stata una lunga giornata,
credo di andare a riposarmi”. Ma c’è qualcosa nel suo
modo di parlare, nel suo fascino naturale, che mi fa
esitare. Insiste con un sorriso, senza essere invadente,
e alla fine cedo: “Ok, magari solo un po’”.
Raquel mi chiede se desidero cenare e poi mi guida verso
un ristorante, un angolo nascosto tra le vie di Manama.
L’atmosfera è calda, illuminata da luci soffuse, con
tavoli apparecchiati in modo raffinato. Ci sediamo, e
mentre parliamo, noto che gli altri avventori ci
lanciano occhiate insistenti. Mi domando il motivo, ma
non ci penso troppo, preso dalla conversazione con
Raquel. Lei è brillante, racconta storie di viaggi e
di Manama con una passione che mi cattura. Mi dice che è
figlia di un ufficiale dell’esercito inglese, è nata a
Londra, ma vive a Manama da quando era adolescente.
Il tempo scorre veloce, sono rapito dai suoi cerchi
d’oro, dalla sua bellezza non classica, dal suo trucco
curato nei minimi dettagli, ma anche dal cibo delizioso,
un mix di sapori mediorientali e asiatici.
Dopo
cena, usciamo nella notte tiepida. L’aria è carica di
profumi speziati e del suono lontano della città che non
dorme mai. In un vicolo isolato e nascosto, lontano da
sguardi indiscreti, Raquel si ferma, mi guarda, e
inevitabilmente ci baciamo. È un bacio, intenso, la sua
carica erotica è esplosiva accompagnata da una dolcezza
quasi smielata. Attratto dal suo modo di fare la bacio
ancora ed azzardo dicendole che potremmo finire la
serata nel mio albergo, ma lei si ritrae, con una mano
mi copre la bocca e con un’espressione seria mi
sussurra. “Devo dirti una cosa. Sono transessuale”. Le
sue parole mi colgono di sorpresa, un lampo di
confusione mi attraversa la mente. La guardo, il suo
viso ancora così bello, il suo sguardo tremendamente
femminile. Non so cosa dire, ma il mio cuore batte
ancora forte. Senza pensarci troppo, mi avvicino e la
bacio di nuovo, lasciando che il momento parli per me.
Dopo il bacio, ci sediamo su una panchina poco
lontano, sotto un albero illuminato da luci soffuse.
L’atmosfera è intima, ma c’è una tensione leggera, come
se entrambi stessimo cercando di capire cosa dire.
Raquel rompe il silenzio per prima. “Non ero sicura di
dirtelo subito,” confessa, giocherellando con un
braccialetto al polso. “Non tutti reagiscono come te.”
La guardo, ancora un po’ frastornato, ma curioso. “Non
so, mi sembra tutto strano... Ma non cambia nulla almeno
teoricamente…” dico confuso, cercando le parole giuste.
“Ma, se ti va, mi piacerebbe sapere di più. Di te,
intendo.” Raquel sospira, il suo sguardo si perde per
un momento verso le luci della città. “Ok,” dice piano.
“Non è una storia facile, ma te la racconto.” Si sistema
una ciocca di capelli dietro l’orecchio e inizia.
“I miei primi anni di vita li ho trascorsi a Londra.
Ma allora non ero Raquel, sai? Fin da piccolo, però,
sentivo che qualcosa non tornava. Mi piacevano le cose
che i maschi non dovevano amare: i vestiti di mia
sorella, il modo in cui si muoveva, il suo modo di
essere, la sua grazia, insomma la sua femminilità. A
casa… beh, non era facile. Mio padre era molto
tradizionale, un uomo legato alle regole militari e
all’apparenza. Ogni volta che mi vedeva con indosso
qualcosa di non prettamente maschile si arrabbiava.
Diceva che dovevo essere forte, un uomo. Mia madre
cercava di proteggermi, ma aveva paura anche lei.”
Le chiedo come fossero i rapporti con i compagni al
college. Il suo viso si incupisce. “Un incubo,”
risponde. “I bambini sanno essere crudeli. Mi prendevano
in giro perché non ero come loro, perché camminavo e
parlavo in modo diverso. A volte tornavo a casa con i
lividi, ma non lo dicevo a nessuno. Pensavo che fosse
colpa mia, che fossi io la persona sbagliata. Mi sentivo
sola, fuori luogo… non so spiegare. Come se non
appartenessi a nessun posto.”
“E poi cos’è
cambiato?” chiedo, colpito dalla sua sincerità.
Raquel sorride, ma è un sorriso amaro. “Non è che sia
cambiato tutto di colpo. A 15 anni, eravamo già qui a
Manama, ho capito chi ero davvero. Ho trovato il
coraggio di dirlo a mia sorella, che è stata la prima a
chiamarmi Raquel, il nome della sua bambola preferita.
Ma la mia famiglia… mio padre mi ha cacciato di casa
quando l’ha saputo. Per rendermi indipendente ho
cominciato a lavorare come cameriera in un centro
turistico gestito da italiani, ma non ti nascondo le
tante difficoltà.
La gente ti guarda, ti
giudica. Trovare un lavoro più sicuro è stato duro,
perché molti non capiscono o non accettano. E poi c’è
sempre la paura… sai, le leggi non sono proprio dalla
nostra parte.” La sua voce si incrina leggermente, ma si
riprende. “Però sono qui, no? Ho imparato a essere me
stessa, a non nascondermi. Non è facile, ma è la mia
vita. E sono orgogliosa di chi sono diventata.” La
guardo, ammirando la sua forza. “Dev’essere stato un
viaggio incredibile,” dico. “Non so se avrei avuto il
tuo coraggio.” Raquel ride piano: “Coraggio? A volte è
solo testardaggine. Ma grazie… significa tanto
sentirtelo dire.” Mi prende la mano, e per un momento
restiamo in silenzio, lasciando che la notte di Manama
ci avvolga.
Seduti sulla panchina, Raquel si
appoggia leggermente indietro, lo sguardo perso in un
pensiero lontano. Le chiedo come sia la sua vita adesso,
se le cose siano cambiate rispetto al passato. Lei
sospira: “Adesso? È complicato, certo Manama è più
aperta di altri posti nel Golfo, questo è vero. Posso
essere me stessa… più o meno. Ma ci sono sempre limiti.
Il lavoro, per esempio. Faccio la modella freelance,
qualche evento, qualche servizio fotografico, ma non è
stabile. Molti clienti, quando scoprono che sono trans,
cambiano idea all’ultimo minuto. Dicono ‘non fa per noi’
o trovano scuse perché non vogliono noie. E nei locali,
beh, a volte mi chiamano per attirare curiosità, ma non
è rispetto, è… come se fossi uno spettacolo.”
Le
chiedo se si sente mai in pericolo, pensando alle leggi
che Samir mi aveva menzionato. Raquel annuisce
lentamente. “Non proprio in pericolo, non sempre, ma…
c’è una tensione costante. La legge dice che
l’omosessualità è illegale, e anche se essere trans non
è lo stesso, non c’è chiarezza. La polizia a volte fa
retate nei locali, più per fare scena che altro, ma se
sei nel posto sbagliato al momento sbagliato, puoi
finire nei guai. E poi ci sono gli sguardi, i commenti.
Non tutti, ma abbastanza da ricordarti che non sei mai
del tutto al sicuro.” Fa una pausa, poi aggiunge: “E
la famiglia… quella è la cosa più dura. Mia sorella mi
parla ancora, ma di nascosto. Il resto della mia
famiglia mi considera un’ombra, qualcuno che non esiste
più. Fa male, anche dopo tutto questo tempo.”
Le
chiedo se pensa mai di andarsene, di cambiare vita
altrove. I suoi occhi si illuminano, ma c’è una punta di
malinconia. “Ci penso ogni giorno.” Ammette. “Sogno di
andare in un posto dove non devo spiegare chi sono, dove
posso semplicemente vivere. Magari tornare a Londra,
oppure in Francia, o in Canada. Ho letto che lì le
persone trans hanno più diritti, più protezione. Vorrei
un lavoro normale, magari continuare a fare la modella,
ma senza sentirmi un’eccezione. Vorrei camminare per
strada senza chiedermi se qualcuno mi sta giudicando o
se sto infrangendo qualche regola non scritta.” “Cosa
ti ferma?” chiedo, curioso. “Soldi, per prima cosa,”
ride amaramente. “Trasferirsi costa, e io metto da parte
quello che posso, ma non è abbastanza. E poi… c’è una
parte di me che ama il Bahrain, sai? È casa mia,
nonostante tutto. Ma la speranza è quella di partire, un
giorno. Non voglio solo sopravvivere, voglio vivere.
Essere libera, davvero.”
Mi guarda, un sorriso
dolce ma deciso. “Forse sembra un sogno sciocco, ma è
quello che mi tiene in piedi. Un giorno, chissà, magari
sarò in una città lontana, a raccontare questa storia a
qualcun altro, senza paura.” Stringe la mia mano, e in
quel momento la sua speranza sembra quasi tangibile, un
faro che illumina la notte di Manama.
Ci
guardiamo intensamente negli occhi e lei mi dice: “Che
sciocca abbiamo parlato solo di me. Dai raccontami di
te. Cosa fai in Italia? Perchè sei qui?” Le dico che
sono un giornalista freelance e sto scrivendo un
articolo sul Baharain per il mio giornale. Che a Verona
ho uno studio fotografico, ma a volte ho bisogno di
staccare la spina e viaggiare.” “Hai viaggiato
molto?” Mi chiede mentre le sue labbra cercano le mie.
Annuisco. Quando ci stacchiamo mi dice: “Sai, sei
interessante. Non giudichi. Stasera, con te, mi sono
sentita… me stessa. Non capita spesso.” Le sue parole
mi colpiscono, e sorrido, un po’ imbarazzato. “Mi fa
piacere,” rispondo. “Sei facile da ascoltare, Raquel. È
bello conoscerti per davvero.”
La conversazione
si fa più intima, ma anche incerta, come se stessimo
entrambi navigando in un territorio nuovo. Lei si
avvicina, la sua mano sfiora la mia, e sento il mio
cuore accelerare. Ma c’è anche un’esitazione dentro di
me, qualcosa che mi frena. “Raquel,” dico, con la
voce tremolante, cercando le parole giuste. “Devo essere
sincero… non ho mai… sai, non ho mai avuto un rapporto
con una persona come te.” Le parole escono più goffe di
quanto vorrei, e mi fermo, guardandola per capire la sua
reazione. “Non è che non voglio, è solo… nuovo per me.
Non so bene come muovermi.”
Lei mi osserva, il
suo sguardo è fermo ma gentile. “Lo capisco… Non devi
sentirti in dovere di fare nulla, sai? È ok essere
titubante. È una cosa nuova, e ognuno ha i suoi tempi.”
Faccio un respiro profondo, grato per la sua
comprensione. “Non è che non mi piaci,” aggiungo,
sentendo il bisogno di chiarire. “Sei incredibile,
davvero. È solo che… non ci ho mai pensato prima, e ora
sono qui con te, e…”
Raquel ride dolcemente.
“Tranquillo,” dice, posando una mano sul mio braccio.
“Non c’è fretta. Stasera siamo solo noi, a parlare, a
conoscerci. Se vuoi, possiamo restare così, solo a
goderci la notte e niente albergo... Non serve correre.”
Quella frase mi fa sentire più leggero. “Grazie,” dico.
“Mi piace stare qui con te. Davvero.” Lei ricambia il
sorriso, e per un momento ci limitiamo a guardare la
città. La mia titubanza è ancora lì, ma con Raquel
accanto, sembra meno pesante, come se il semplice fatto
di essere onesti ci abbia avvicinati ancora di più.
Lei inclina la testa, studiandomi per un momento,
poi chiede con una curiosità leggera: “E tu? Sei
sposato? C’è qualcuno che ti aspetta in Italia?” Il suo
tono è giocoso, ma c’è una sfumatura genuina nelle sue
parole. Scuoto la testa. “No, niente di tutto questo.
Ho convissuto per cinque anni con una donna molto più
grande di me, ora sono single. Magari in un altro paese,
in un altro momento, potrebbe esserci qualcuno. Ma non
lì, non ora.” Faccio una pausa, poi aggiungo, quasi
senza pensarci: “E sai, ascoltandoti… penso che tu
potresti vivere una vita diversa, ovunque tu voglia.
Meriti un posto che ti veda per chi sei.”
Raquel
mi guarda, il sorriso che si allarga, ma con un velo di
emozione negli occhi. “Un altro paese, eh?” ripete, come
se stesse assaporando l’idea. “Magari un giorno ci
troveremo lì, io e te, a bere un caffè in una città dove
nessuno ci guarda storto.” Si avvicina, appoggiando la
testa sulla mia spalla per un momento, e restiamo così,
sospesi tra il sogno di un futuro diverso e la magia di
quella notte a Manama.
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WEB REPORTAGE A CURA DI ADAMO
BENCIVENGA
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https://nena-news.it/bahrain-il-luna-park-del-golfo/
https://turistipercaso.it/bahrain/4765/il-losco-baharain.html
https://www.easyviaggio.com/bahrain/informazioni-utili
https://balliamosulmondoblog.wordpress.com/


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