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REPORTAGE

ISRAELE
TEL AVIV MON AMOUR
La città che non dorme mai e l'incontro inaspettato con Sally
Sono le otto di sera e sto passeggiando lungo viale Rothschield a
Tel Aviv, sono diretto verso il quartiere di Harakevet, dove si
trova la vera movida notturna

Sono le otto di sera e sto passeggiando lungo viale Rothschield a
Tel Aviv, sono diretto verso il quartiere di Harakevet, dove si trova la
vera movida notturna e la maggiore concentrazione di bar e discoteche. Il
viale è molto animato e nei locali l’alcol scorre a fiumi. Il clima è
piacevole praticamente quello di Miami tutto l’anno.
Questa è davvero
la Terra Promessa!
"Italiano, bello bambino", mi sussurra una
donna dai capelli rossi e formosa. Si chiama Sally acconsente di parlare con me
quando mi presento come giornalista. Entriamo in un bar e lei si siede
accavallando le gambe. Noto le sue mutandine rosso fuoco.
Dice di
essere sposata, suo marito ha perso il lavoro, ha un bimbo di due anni. Ha
iniziato a fare la prostituta a 37 anni dopo aver saltato ben tre rate di
mutuo. La solita amica le ha dato i primi consigli. “La prima volta è
stata davvero imbarazzante, dopo la prestazione ho vomitato! Ma poi ci si
abitua, ci si fa il callo. Si fa confidenza col sesso maschile e alla fine
questo lavoro diventa parte di te. Quando lavori ti fa piacere essere
riconosciuta come una puttana. È più facile. Ti rendi conto che non è poi
così male questo lavoro. È come andare col proprio marito con gli occhi
chiusi. I clienti di solito vogliono fare del normalissimo sesso e gran
parte di loro sono ebrei ortodossi. Vengono da fuori Tel Aviv. Durante il
periodo mestruale delle mogli non possono avere sesso. Due settimane di
castità. E così vengono da noi.”
Ora lavora tre giorni a settimana con
una media di tre clienti a sera. Però le feste e lo Shabbat le passa in
famiglia.
Saluto Sally e mi rendo conto che la lunga notte di Tel
Aviv è appena cominciata. Notte di piaceri a pagamento consentiti e
accettati, in questa terra di contraddizioni estreme.
In Israele
la prostituzione è legale solo in strada o in locali camuffati. In casa è
sfruttamento. È vietato inoltre farlo in macchina, in yachts, ma non
all’aria aperta. Il giro d’affari è miliardario. È un’industria che non
conosce crisi. Il commercio del sesso genera un fatturato di almeno 2
miliardi di dollari annui. Un boom inaudito. I grattacieli illuminati
ospitano centinaia di bordelli, appartamenti, alberghi, night club e
centri massaggi dove migliaia di prostitute ricevono giornalmente i loro
clienti. Il giro d’affari è miliardario. È un’industria che non conosce
crisi, dove le luci rosse del sesso non si spengono mai.
Ogni sera,
a quest' ora, un esercito di passeggiatrici, chiamate Escort Girl, si
mette in movimento. La prostituzione è ovunque: dai classici sex shop agli
health club, dai cinema a luci rosse ai pub di infimo ordine, gogo bar,
sale da gioco con camere annesse. La clientela è variegata, qui c’è posto
per tutti, dai palestinesi che fuggono dai territori in cerca di una notte
da sballo agli ultraortodossi che cedono al peccato.
Praticamente
un luna park del sesso a cielo aperto con oltre tremila prostitute, ma una
stima precisa è impossibile per via della grande immigrazione di russi
degli anni ’80 che ha portato in Israele oltre 750 mila persone tra i
quali gente che fa loschi affari con droga e donne di piacere. Per loro è
un gioco da ragazzi far arrivare dalla Russia ragazze bionde munite di
falsi documenti che attestano false identità ebraiche. Basti pensare che
dal 1991 al 1994 il numero di "centri massaggi" gestiti da immigrati russi
è salito da 14 a 111. Uno studio pubblicato nel 2005 ha rilevato che
almeno mille prostitute russe lavorano in Israele, soprattutto a Tel Aviv
e Gerusalemme. Di solito in strada ci solo le “locali” mentre le russe
preferiscono praticare il mestiere più antico del mondo nei centri
massaggi e nei locali notturni. Qui a Tel Aviv centinaia di bordelli,
sebbene illegali, operano spesso alla luce del sole, su strade principali,
e promuovono i propri servizi sessuali su cartoline distribuite in strada,
in spiaggia e sulle auto parcheggiate.
È passato molto tempo da
quando Raab, la prostituta di Gerico citata nella Bibbia, appendeva una
cordicella di filo scarlatto alla propria finestra. Oggi in Terra Santa
basta andare su internet e cliccare la parola escort per trovare
compagnia. Qui esistono gli Escort Service, praticamente agenzie che
offrono accompagnatrici a tutte le ore del giorno e della notte.
Ultimamente sono cresciuti a dismisura i siti internet per soli adulti
(670 nel 2014) e le applicazioni per dispositivi mobili che danno
informazioni ed indicazioni sui luoghi dove è possibile usufruire di sesso
a pagamento oltre ovviamente alla descrizione dettagliata delle ragazze
con tanto di foto e le loro specialità.
I prezzi dei vari servizi
sono abbastanza modici, nella spiaggia di Tel Baruch sono sufficienti 50
shekels (circa 15 euro). Nei locali ovviamente il prezzo sale, ma è tutto
cronometrato, controllato, in poche parole squallido. Per cercare una
parvenza di trasgressione occorre andare verso il lungomare, dove c’è
spazio per incontri occasionali con donne che si presentano come
studentesse in cerca di qualche dollaro per mantenersi gli studi,
infermiere, insegnanti che arrotondano lo stipendio, casalinghe annoiate e
donne sposate con mariti disoccupati. Ed in effetti una ricerca condotta
su 600 prostitute locali, ha rivelato che tra le ragioni che spingono le
donne a fare questa scelta di vita, figurano al primo posto le difficoltà
economiche. Il 66% delle donne intervistate ha detto di aver iniziato a
lavorare per estinguere i propri debiti, mentre il 10% ha dichiarato di
non essere riuscite a trovare un lavoro ed un modo per sostenere i propri
figli.
Dopo un giro vizioso mi ritrovo di nuovo su viale
Rothschild, l’aria tiepida della sera mi accarezza il
viso mentre le luci dei locali pulsano al ritmo della
movida. È una notte viva, vibrante, con il brusio delle
conversazioni e il tintinnio dei bicchieri che riempiono
l’atmosfera. Tra la folla, Sally emerge come una figura
familiare. Mi vede, mi riconosce, si sbraccia e si
avvicina con passo deciso, i suoi tacchi vertiginosi
risuonano sul marciapiede, la sua esuberanza tradisce
una certa sicurezza acquisita con l’esperienza.
“Italiano, sei tornato!” esclama con una voce calda,
quasi teatrale, posandomi una mano sul braccio con una
familiarità che non lascia spazio alla formalità. Cerco
di rispondere: “Veramente mi sono perso per queste
stradine…” Ma lei non mi ascolta. “Ti ho riconosciuto da
lontano, sai? Hai quell’aria da straniero curioso che
non si dimentica.” Ride, il suo profumo, un mix dolce e
speziato, mi invade. “Non hai ancora visto abbastanza di
Tel Aviv, o sei in cerca di altro?” Mi guarda con aria
di sfida. “Dai, vieni con me. Conosco un posto
tranquillo, lontano da tutto questo caos. Ti faccio
vedere qualcosa di diverso.” Il suo tono è deciso e non
ammette repliche, mi stringe la mano, guidandomi lontano
dal viale illuminato.
Camminiamo per qualche
minuto, lasciando il frastuono di Rothschild alle
spalle. Sally chiacchiera, raccontandomi aneddoti su
clienti buffi e serate strane, come se volesse mettermi
a mio agio e come se io non fossi diverso dagli altri.
Arriviamo davanti a un piccolo albergo, un edificio
discreto incastrato tra due palazzi più alti, con
un’insegna al neon che lampeggia debolmente. “Qui
nessuno ci disturba,” dice, voltandosi verso di me.
“Entriamo? È un posto semplice, ma accogliente. Possiamo
parlare ancora… o fare quello che vuoi.” Più che un
invito mi sembra un ordine.
Accetto la sua
compagnia, incuriosito e stregato dal suo modo di fare.
Lei spinge la porta a vetri dell’albergo e mi fa cenno
di seguirla. L’interno è modesto: una reception con un
uomo assonnato dietro il bancone, qualche sedia di
plastica e un corridoio stretto che porta alle stanze.
Sally saluta l’uomo con un cenno rapido, come se fosse
di casa, e mi conduce verso una scala. “Vieni, la mia
stanza è al primo piano,” sussurra, girandosi appena per
assicurarsi che io sia ancora dietro di lei. Il suo
passo è lento ora, quasi provocante, e mentre sale i
gradini, la sua gonna si solleva appena, lasciando
intravedere il ricamo malizioso della sua giarrettiera
rossa. Arrivati davanti a una porta malandata, si
ferma, si volta e mi guarda dritto negli occhi. “Allora,
giornalista, ti vedo distaccato, sei qui per scrivere il
tuo articolo di me o per trascorrere una bella serata?
Decidi tu.” Apre la porta con un gesto fluido e mi fa
segno di entrare, lasciando l’invito sospeso nell’aria
come una promessa non detta.
La stanza è piccola,
spartana, illuminata solo da una lampadina fioca che
pende dal soffitto e da una luce al neon rossastra che
filtra dalla finestra socchiusa, tingendo l’atmosfera di
un’aura vagamente surreale. Un letto singolo con
lenzuola stropicciate occupa gran parte dello spazio,
accanto a un comodino di legno scheggiato su cui giace
un posacenere pieno di mozziconi. L’aria odora di
tabacco stantio e Sally si muove con una sensualità
istintiva per nulla studiata. Chiude la porta con un
calcio leggero, senza mai staccarmi gli occhi di dosso,
e si appoggia al muro per un momento, lasciando che il
suo corpo parli prima delle parole. La sua gonna
aderente sottolinea le curve generose dei suoi fianchi,
la camicetta leggermente sbottonata lascia intravedere
la pelle abbronzata del décolleté. Si passa una mano tra
i capelli scuri, spettinandoli appena, e il gesto è
lento, invitante. “Ti piace guardare, vero?” dice con
una voce bassa e vellutata. Senza attendere risposta si
avvicina, sento il ticchettio dei suoi tacchi sul
pavimento di linoleum. Si ferma a pochi centimetri da
me, abbastanza vicina da farmi sentire il calore del suo
corpo. Mi sfiora il petto con le dita: “Rilassati,
italiano,” sussurra, il suo alito sa di gin e e chewing
gum. “Non hai voglia di baciarmi?” Si siede sul
bordo del letto, accavallando le gambe e mostrando il
rosso della sua giarrettiera. Con un dito mi fa cenno di
avvicinarmi, e quando lo faccio, mi tira dolcemente
verso di lei, le sue mani che scorrono sui miei fianchi.
Decido di non pensare e lasciarla fare.
Tutto è
semplice, diretto, privo di fronzoli ma carico di
complicità. È lei che guida con una naturalezza
disarmante, mi bacia con labbra morbide ma insistenti,
un bacio che non cerca romanticismo, ma solo per
dimostrarmi quanto sia brava. Le sue mani sono esperte e
autoritarie, scivolano sotto la mia camicia. Si spoglia
con gesti pratici, senza fretta, lasciando cadere la
gonna e la camicetta sul pavimento come se fossero
dettagli irrilevanti. Il suo corpo è un contrasto di
vissuto e morbidezza segnato appena dal tempo.
Sul letto, si abbandona sopra di me, ogni tanto mi
guarda, sussurra, parla, mormora qualcosa in ebraico che
non capisco. Mi accorgo che nonostante il mestiere non
c’è nulla di meccanico in lei. Il suo respiro si fa più
rapido, i suoi gemiti sono bassi, quasi gutturali, il
suo seno reagisce, le sue cosce fremono e godono come
un'amante. Nulla è artefatto e il suo orgasmo è vero e
istintivo, e quando tutto finisce, si lascia cadere
accanto a me, il petto che si alza e si abbassa mentre
riprende fiato. “Non male, vero?” Dice dopo un
momento, girandosi su un fianco per guardarmi, un
sorriso stanco ma soddisfatto sulle labbra. Si accende
una sigaretta, il fumo che si arriccia verso il
soffitto, e mi offre un tiro con un gesto casuale, come
se fossimo vecchi amici. In quel momento, nella penombra
di quella stanza squallida, Sally sembra quasi una
regina del suo piccolo regno, sensuale e indomabile,
padrona di un mondo che ha imparato a fare suo.
Il silenzio nella stanza è rotto solo dal ronzio lontano
del neon fuori dalla finestra lei mi porge di nuovo il
mozzicone, un gesto semplice, ma che sembra voler
prolungare il momento. Io lo prendo, faccio un tiro, e
glielo restituisco mentre il fumo mi pizzica la gola.
Lei si appoggia su un gomito, il lenzuolo che le scivola
appena sul fianco, e mi guarda con un’espressione che è
un misto di curiosità e ironia. “Allora, italiano,”
dice, tirando una boccata profonda, “cosa ne pensi di
tutto questo? Dell’amore a pagamento, intendo.” La sua
voce ha un tono leggero, ma c’è una sfumatura di sfida,
come se volesse vedere fin dove può spingersi la
conversazione.
Io esito, mi appoggio alla
spalliera cercando le parole giuste. “Non so se lo
chiamerei amore. Sembra più… un bisogno… una cosa
pratica.” Sally scoppia a ridere: “Un bisogno, sì,
hai ragione. Ma sai, per molti dei miei clienti è più di
questo. Non vengono solo per il sesso. Vengono per
sentirsi desiderati, per un’ora o due. A casa hanno
mogli che non li guardano più, o che li guardano solo
per lamentarsi. Qui, con me, si sentono dei veri re,
padroni almeno di un momento della loro vita.” Fa una
pausa, soffiando il fumo verso il soffitto. “Ovviamente
glielo faccio credere. Del resto questo è il mio
lavoro.” “E tu ci credi? A quello che gli fai
credere?” Le chiedo, incuriosito dal modo in cui parla,
così schietto eppure così carico di sfumature.
Lei scrolla le spalle: “All’inizio no. Pensavo fosse
tutta una recita, una cosa schifosa che facevo per i
soldi. Ma poi… non so, ci ho trovato un senso. Non è
amore, certo, ma è qualcosa. È un dare e avere. Loro mi
pagano, io gli do quello che a loro manca. E a volte,
credimi, sono io quella che si sente potente, la vera
padrona del gioco. Quando un uomo mi guarda come se
fossi l’unica donna al mondo, anche solo per mezz’ora,
mi sento viva.” “Non ti manca qualcosa di più…
autentico?” insisto, cercando di scavare oltre la
superficie.
Sally sorride, ma stavolta c’è una
punta di amarezza nei suoi occhi. “Autentico?
L’autentico l’ho avuto. Mio marito, mio figlio, la vita
normale. Ma poi la vita ti sbatte in faccia i conti da
pagare, il mutuo, le rate da pagare e la retta della
scuola, e l’autentico non basta più. Questo,” dice,
indicando con un gesto vago la stanza, “a modo suo è
reale. Non è romantico, ma è onesto. Nessuno qui finge
di promettermi il mondo ed io non prometto altro che
quello che vedi.”
Schiaccia la sigaretta nel
posacenere poi si gira verso di me, appoggiando il mento
sulla mano. “E tu? Sei qui per giudicare o per capire?
Perché se è per giudicare, ti avverto, non sono brava a
fare la vittima.” Il suo tono è scherzoso, ma gli occhi
sono seri, penetranti.
“Capire,” rispondo,
sincero. “Scrivere di persone come te, di vite come
questa. Non è una cosa che si trova nei libri.” Lei
annuisce, soddisfatta, e si lascia ricadere sul cuscino
con un sospiro. “Bene. Allora domani scrivi che l’amore
a pagamento non è amore, ma non è nemmeno solo sesso. È
un patto. E a volte, in questo patto, ci si trova
qualcosa di vero. Magari non per sempre, ma per una
notte sì.”
Mi guarda di sbieco, un sorrisetto
che le increspa le labbra. “E tu, italiano, stasera ci
hai trovato qualcosa di vero?” Non rispondo subito, e
lei non insiste. Si limita a ridere piano, chiudendo gli
occhi per un momento, come se la domanda fosse già una
risposta.
FINE
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WEB REPORTAGE A CURA DI ADAMO
BENCIVENGA
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