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AMARSI? CHE CASINO!
VIAGGIO NEL PIACERE

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IL MESTIERE ANTICO
Istanbul
Una sera a Karakoy
Sono seduto al Raika-im Bar vicino piazza Taksim, mi sto godendo un thè caldo alla menta col mio amico turco Omar
 


 
 


 
Ecco, sono seduto al Raika-im Bar vicino piazza Taksim, mi sto godendo un thè caldo alla menta col mio amico turco Omar. Lui si sta gustando un bicchiere di ayran, una bevanda tipica da queste parti a base di yogurt, acqua e sale. Omar mi chiama “Signore” non perché sia a mio servizio, ma solo perché forse mi vede di bell’aspetto ed uso profumo e vesto all’occidentale.

Sullo sfondo le torri del Solimano, la Moschea Blu e la torre di Galata, sullo sfondo gli splendidi giardini del Califfo, i bazar delle stoffe, i mercati delle spezie, dentro una città bastarda, incrocio di popoli ibridi, linea di confine, frontiera senza dogana, tra l’Asia e l’Europa, sullo sfondo culture incomprensibili e la luce dei caicchi che scintilla sull’acqua del Corno d’oro all’ora più o meno del tramonto quando il ventaglio dei minareti e delle cupole dorate si allarga a raggiera contro il cielo rosso purpureo.

Oh sì è uno spettacolo magnifico, suggestivo per i venditori di parole, per mercanti d’ogni fumo, eccitante per uomini soli, scapoli e millantatori in cerca di bordelli, per artisti in cerca di ispirazione, per pittori con le tele bianche e ultimo per chi è sensibile d’animo ed è proprio qui che ogni tanto torno.
Ed è proprio qui che mi lascio alle spalle la ricca Istanbul, i venditori di tappeti, i mercanti ebrei e i finanzieri col cappello, qui mi addentro lungo i vicoli scuri stipati di melma, piscio e delinquenti. Ed è proprio qui che escono violenti, dalle case fatiscenti, odori forti di cibo carico di spezie, zafferano, aglio, pepe e cardamomo, intolleranti come le mosche che a sciami aggrediscono i passanti, quasi insopportabili per noi occidentali, rampolli di una insulsa borghesia.

Finito il thè saluto Omar e m inoltro per i vicoli maleodoranti e insidiosi. Dalle finestre ai piani superiori qualcuno butta secchi d’acqua sporca, altri, seduti ai tavolini dei bar malfamati, mi guardano come fossi un colpevole, non importa cosa abbia fatto, ma per il solo fatto che io sia qui. Sono qui e questo è tutto, in un certo senso sventro il loro privato losco e illegale.
Dentro le case buie al pianterreno ragazze giovani dietro grosse tende colorate fanno l’occhiolino, lo sanno che sono straniero e per questo vogliono a tutti i costi farmi capire che loro sono in vendita, ma sono discrete e rimangono ben nascoste, perché l’attività è tollerata, ma pur sempre clandestina. Mi chiamano bel signore, mi fanno intravedere le loro forme, dai grandi seni come matrone, come turche ed ottomane, dai seni scarsi come ancelle, e mi dicono aşk che significa amore, mi sussurrano seks se per un caso strano non avessi ancora capito.

Sono finito in uno dei quartieri più storici di Istanbul, all'estremo nord del Ponte di Galata. La zona si chiama Karakoy, dove l'odore di spezie si fonde a quello dei secoli, delle antiche sinagoghe e moschee. Più precisamente sto camminando lungo Zürafa Sokak che è una strada del quartiere dove una ventina di case ospitano le prostitute regolari di Istanbul, quelle che esercitano in piena legalità e pagano le tasse al governo turco in base agli introiti.

Ben inteso la Fuhuş ovvero la prostituzione in Turchia è legale e regolamentata ai sensi dell'Art. 227 del codice penale e i bordelli sono anch'essi legali. Le donne invece hanno bisogno di essere registrate e di acquisire una specifica carta di identità con le date dei controlli sanitari effettuati. Tuttavia non è facile ottenere i permessi per cui la maggior parte delle lavoratrici del sesso non sono registrate e la prostituzione prospera nelle case private, nei vicoli bui e nei bordelli clandestini senza alcuna licenza. Infatti a fronte di 56 bordelli legali in tutta la Turchia ci sono circa tremila prostitute legali e centomila illegali con un bilancio annuale che supera i quattro miliardi di dollari. I casi di prostituzione illegale sono punibili con un massimo di un anno di reclusione.

Karaköy è il nome moderno del medievale quartiere di Galata situato sulla sponda nord del Corno d'Oro sulla parte europea della città divisa da quella asiatica dal Bosforo. È uno dei più antichi e storici nuclei della città, ed è oggi un importante centro commerciale e dei trasporti urbani.
Il termine Karaköy deriva dalla combinazione di kara e köy. Kara proviene dal turco karay, riferito alla comunità ebraica che un tempo erano la maggioranza degli abitanti del distretto. Nella lingua moderna, comunque, kara significa scuro mentre Köy significa villaggio. Nel 1450 il distretto era popolato da mercanti genovesi, veneziani, catalani, genovesi e greci, ma dal 1500 vi si stabilirono molti ebrei sefarditi fuggiti dall'Inquisizione spagnola.

Mi avvicino all’unico bordello legale della città. Il cancello è presidiato da un agente di sicurezza e solo le donne con un permesso dell'ufficio del governatore della città possono entrare. Le regole per l'ingresso ai locali sono elencate fuori dal cancello: gli avventori devono avere almeno 18 anni, poliziotti, soldati e il personale abilitato deve consegnare le armi, non sono ammessi oggetti appuntiti, borse e spray al peperoncino, divieto di ingresso dopo le 22 e divieto di ubriachi o bevande in bottiglia. Intervistare le donne che lavoravano nel bordello è impensabile. Mi si avvicina una prostituta transgender e dopo aver saputo che sono italiano mi dice in uno stentato inglese di denunciare il fatto che lo Stato non riconosce i transgender per cui rilascia solo documenti d'identità rosa per le donne e blu per gli uomini, escludendo così le persone transgender dalla ricerca dello status legale. Da quanto capisco tutte le prostitute vorrebbero lavorare nei bordelli perché sono più sicuri e si ha l’accesso alla sicurezza sociale e sanitaria. Lei invece è costretta ad operare nel Boulevard Tarlabaşı, un quartiere povero con un alto tasso di criminalità vicino a piazza Taksim. La saluto e mi dirigo verso la piazza.

Qui incontro Zelal una ragazza di circa venticinque anni, mi dice che fa l’attività più antica del mondo, ma è illegale. Lei i clienti è costretta ad abbordarli nei bar, nei locali, nelle hall degli alberghi, sempre rischiando che non siano poliziotti. Certo lo fa con discrezione, un sorriso e il classico atteggiamento di disponibilità. Poi la contrattazione avviene lungo la strada che porta alla sua casa. Facciamo qualche passo insieme finché nei pressi dell’Accademia di Francia ci sediamo al tavolino all’aperto di un bar, ascoltando musica e bevendo il famoso raqi, il prelibato distillato di anice. Vuole parlare, ma credo che il suo intento sia un altro. Da quanto capisco vorrebbe essere aiutata. Mi chiede se lavoro in qualche consolato, il suo sogno è andare all’estero, Roma, Parigi, Berlino, ma è senza documenti. Le è stato ritirato il passaporto.

La guardo è bellissima, ha l’aria da danzatrice classica con i capelli lunghi raccolti, il collo lungo e il seno piccolo. È avvolta nel fascino scuro di uno scialle nero, nero come i suoi capelli, nero come le sue sopracciglia folte che risalta ancor più la luce dei suoi occhi, celesti e gialli come i riflessi della Moschea Nuova o come il faro di Istanbul a mezzanotte. Mi dice di essere libanese: “Vous connaissez Beirut?” Lì ha lasciato la sua famiglia. Sono tre anni che è qui a Istanbul, che doveva essere solo una tappa del suo lungo viaggio verso l’Europa ed invece per ora non ha visto altro.
Sorride, gesticola tintinnando i suoi cerchi d’oro e mi chiama Monsieur, ma non è un Monsieur normale, è un sussurro avvolgente che sa di benvenuto, è un qualcosa che sa d’albergo, di Corno d’oro, d’amore speziato, sa di lusso a cinque stelle. Sa di bacio lungo e interminabile quanto il tempo di un amore, di cosce aperte e disponibili al sapore di viole, almeno a me pare, ma tutto ad un tratto si volta, ha notato qualche cosa di strano. Il suo viso diventa bianco dalla paura e allora si alza dice che non vuole compromettermi. Fa qualche passo per controllare di non essere seguita dalla polizia e tutto ad un tratto mi sento stordito da quella scia di profumo, un magico Odor d’Oriente, una nuvola evanescente che galleggia ed ancheggia sopra le pietre umide malmesse.

Sì in effetti ha l’aria da ballerina, ha le gambe magre ed il bacino stretto, sicuramente chi la segue non è un poliziotto, forse qualcuno da cui vuole fuggire, un protettore o qualcosa di simile. La vedo allontanarsi e in effetti non torna. La seguo con gli occhi a distanza, ora cammina spedita nonostante i tacchi, sembra un’attrice vestita già da scena, una commediante già carica di trucco, o forse sì, una prostituta pronta per dare piacere. Sotto lo scialle porta una gonna, lunga argentata, sotto la gonna un paio di calze, forse francesi a trama leggera di seta nera. Continuo a guardarla finché non la vedo scomparire in un alone di nebbia, attimi e penombra. Vorrei alzarmi, seguirla, ma rimango seduto a bere il mio raqi. Un senso di amarezza mi avvolge come quella nebbia che sale dal mare e rimango deluso, forse avrei voluto aiutarla, forse avrei voluto che mi lasciasse un recapito, oppure perché no, solo che mi salutasse.

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ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
WEB REPORTAGE
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FONTI
https://it.wikipedia.org/
https://insideturkey.news/



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