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Adamo Bencivenga
Dai vieni ti aspetto
alle otto!
Dai vieni ti aspetto alle
otto, metti una scusa che tua moglie si beva, perché ti
ho preparato gli scampi con un velo d’aceto annaffiati
da un vino vellutato di rosso. Dai vieni ti aspetto alle
otto, non portarmi dei fiori non perdere tempo, perché
la corte che voglio è guardarti negli occhi, e mi dici
estasiato che non esiste più bella, di femmina a Roma o
che dico nel mondo, che a cinquant’anni passati ne
dimostro quaranta, ed anche di meno se m’aggiusto e mi
trucco, come stasera che t’aspetto convinta. Dai
vieni non farti aspettare, ti ho preparato un dolce con
fragole e more, per non sentire poi troppo il distacco,
da quella che ogni sera ti coccola e sazia, e t’illudi
che t’ama e pensi che in fondo, il nostro non sia che un
tradimento bugiardo.
Dai vieni ti aspetto alle
otto, indosso le scarpe che mi hai regalato, che non
metto quando esco perché mi vergogno, mi fanno sentire
da strada di notte, e porto il vestito quello rosso
scollato, che sedendo si spacca e t’intrigano i lembi,
sapessi che bello se tu fossi davanti, vedresti una
donna che porta le calze, che finiscono prima che
inizino i fianchi.
Dai vieni ti aspetto alle
otto, la tavola è pronta e una candela fibrilla, e
illumina in parte la sala in penombra, ed io che ti
aspetto su questo divano, che penso alla scusa per
venirmi a trovare, in modo che tu sia sereno e
tranquillo, con tua moglie che dorme senza avere
sospetti. Mi accarezzo le spalle il collo i capelli
perché quest’attesa non sia troppo più lunga, perché
queste mani siano dure e callose, e stringano a morsa la
mia parte migliore.
Dai fai in fretta ti aspetto
alle otto, nel dubbio mi chiedo come mai sia successo,
dopo anni di vita, due figli ed un cane, in un giorno
normale hai sbattuto la porta, ed ora sono qui nel ruolo
d’amante, a rubarti ad un’altra che ora è tua moglie, e
non le sia troppo chiaro che in una notte di festa, un
uomo possa avere altre cose da fare.
Dai vieni ti
aspetto alle otto, non t’ho mai desiderato come adesso
ti sento, tutti quegli anni che mi facevi ribrezzo, se
solo tentavi di venirmi vicino, e la notte dal giorno
non era diversa, e tu che cercavi di darmi calore, ed io
che cercavo di fuggirti lontano, nelle braccia di altri
che ora sono scomparsi.
Dai vieni ti aspetto alle
otto, dai vieni vieni tranquillo, perché non ti chiedo
di rimanere la notte, di guardare l’alba con gli occhi
del cuore, chiedo soltanto di starmi a guardare, se in
caso stanotte ti sei già promesso, se il posto più bello
è lì vicino a tua moglie, nelle sue cosce magari più
calde, magari più belle dritte e civette, che non hanno
bisogno di cercarsi da sole.
Dai vieni ti aspetto
alle otto, non suonare ti prego la porta è socchiusa,
perché m’intriga che entri e mi trovi seduta, che
aspetto impaziente e dondolo il tacco, con la mano che
affonda dove l’anima bolle. Però mi raccomando vieni
alle otto, perché davvero è questione di un niente,
anche un minuto può essere grande, mentre ti guardo e mi
penetri gli occhi, come un tempo facevi durante l’amore,
e mi urlavi dicendo ti scopo con gli occhi, perché ci
vedevi montagne innevate, ci vedevi il rossastro di un
tramonto distante, una pigna che cade e un tonfo
silente, una pioggia leggera che mi scioglieva il
trucco.
Dai vieni ti aspetto alle otto, ho messo
all’ingresso un vaso di fiori, e mi alzo la gonna e mi
guardo riflessa, per offrirti la rosa quella più gialla,
che curo da anni e non la lascio seccare, ha i petali
grassi che si schiudono all’alba, e la sera si stringe
stretta in un pugno. Dai vieni ti aspetto alle otto,
perché le parole siano ancora più fitte, dense quanto
una nebbia senza un raggio di sole, che mi avvolge e mi
culla come se tu ci fossi davvero, e mancasse un
instante, un niente alle otto, ed io sul divano che mi
cerco e mi trovo, ed io in vestaglia nonostante le otto,
ti penso e ti sogno e mi faccio bene l’amore. |
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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