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Adamo Bencivenga
Dai siediti stappa quel
vino!
...
.Dai siediti stappa quel
vino! Ho messo il vestito come volevi, quello nero
elegante aperto di dietro, e le calze nere col la riga
che corre, fin sotto la gonna tra il vedo e non vedo,
per poi raccontarti ciò che è successo, e tu ti vantassi
di avere una moglie, bella e insidiata da maschi decisi.
Te lo ricordi vero? Quel Capodanno a Damasco, quella
stanza d’albergo con la tappezzeria dorata, la musica
intorno e la danza del ventre, appena accennata perché
la tua voglia, sfiorasse i miei fianchi, la bocca ed il
seno e tu non mi hai lasciato altro tempo davvero.
Dai siediti stappa quel vino! Vermentino di
Gallura, fresco frizzante, lo stesso che bevemmo la sera
di Franci, quando ti dissi che volevo una figlia, e una
donna lo sa quale notte è più giusta, quanta luna ci
vuole per esserne certa. Dai siediti stappa quel
vino, ti ho preparato le ostriche al forno, con una noce
di burro ed un velo di aceto, l’unico piatto che ancora
ti smuove, l’unico pesce che assapori di gusto. La
televisione è spenta ed il cane già dorme, Luca e
Francesca dalla nonna in montagna, ed io e te qui
finalmente da soli, a gustare i dettagli di un sottile
piacere, che sazia l’attesa e da sempre ci sfama.
Dai siediti stappa quel vino! Certo te l’ho
giurato poi ti racconto, ma ora ti prego guarda fisso il
mio seno, come se tu fossi l’amante ed io vezzosa ti
mostro quello che t’offro. Come vedi la prendo alla
larga, quasi incapace, quasi bugiarda, comunque certa di
farti impazzire, rimandando i dettagli e cosa è
successo. Sono giorni che penso cosa fare per cena,
come prepararti la scena, perché nulla stasera voglio
che ti distolga, da queste labbra che dopo serviranno
per quello, ma ora davvero hanno qualcosa da dirti.
Dai siediti stappa quel vino! Vado in cucina a
prendere i piatti, e tu dimmelo perché lo sento davvero,
che sono stupenda e “femmina bella”, perché io lo so che
mi guardi le gambe, il velo di nero impalpabile al tatto
e il tacco alto che ti nutre e ti sazia. Dai dimmelo non
farti pregare, dimmi che mai mi hai vista più bella, e
se t’esce dell’altro non sarebbe di troppo, perché
stasera lo sai tutto è concesso.
Dai siediti
stappa quel vino! Tu rimani sorpreso e incantato a
guardarmi, coccolato dal gusto che ti procurano gli
occhi. “Saltiamo la cena?” Mi sussurri a stento, ma ho
organizzato tutto da giorni, perfino l’essenza di
muschio che senti, perfino la marcia di Handel soffusa.
“Non chiedermi questo, lo sai che non posso!” Mi vieni
vicino quasi mi tocchi.
Dai siediti stappa quel
vino! Mi sposto e sorrido “Ora puoi solo guardare!”
Certo mi avrai, ma sono io che conduco le danze, e
stasera davvero non potrei non farlo, sono sincera lo
sento come un dovere, ma dopo ti prego che mi hai
ascoltato per bene.
Ma ora dai siediti stappa
quel vino! Tu insisti e mi accarezzi la gonna. Sali
voglioso per scoprire se sotto, c’è un circo di fiocchi,
un paradiso di pizzi. Già sento la mano che m’imbroglia
e mi truffa, ma stasera ad ogni costo devo essere
sobria, mi faccio forza perché voglio aspettare, perché
davvero è successo e lo sai, ero bella, ero donna, come
mi vedi stasera, ma ti prego aspetta non farmi domande!
Dai siediti stappa quel vino! Voglio sentirlo
che scende e mi scalda, perché stasera non posso
starmene zitta. Stasera o mai più mi dico convinta. Dai
stappa quel vino! Perché basta sai, basta per dirti che
davvero è successo, anche se le parole mi svaniscono in
bocca, e diventano un fiato, un sussurro, un nonnulla.
Strano vero? Tu ridi ed io sono contenta, perché così
sarà più facile lenire il dolore.
Dai, ora o mai
più, stappa quel vino! Perché così sarà più leggero
il ricordo. Voglio fissare i punti per evitarti un
tormento. È stata una sera ma non mi chiedere quando,
dopo mesi di inviti lasciati cadere, dopo sorrisi ed
abbracci che credevo normali, perché davvero non ci
trovavo malizia, in quei messaggi che diceva “tesoro”,
ed in altri “buongiorno, ti penso, mi manchi”.
Ti
prego stappa quel vino, non farmi domande non
conosco risposte, se non questo che dico e voglio che
senti. Non dirmi ingenua non sarebbe davvero, la causa
sola che giustifica il tutto, perché non credere che poi
non l’abbia capito, quando il suo sguardo si è fatto
insistente, quando la sua mano stringeva la mia, e non
era per nulla come diceva, una complice, bella,
esclusiva amicizia.
Dai, ora stappa quel vino!
Quando le parole mi scaldavano dentro, e vicine e
più fitte le sentivo a vapore, che mi prendevano l’anima
che poi era seno, che mi dicevano amore che poi era
sesso. Non mi sono sorpresa, quando alla fine ho
accettato l’invito, non ho sentito la colpa, in quella
suite al centro di Roma, per quanto mi sforzassi di
pensarti già a casa, mentre lui mi stropicciava la
gonna, e mi diceva bella, fantastica donna, e
accarezzava le calze, le stesse che vedi, la maglia
scollata profonda che invoglia.
Dai ti prego
stappa quel vino! Perché ero lì dentro i suoi occhi,
perché m’incalzava per fare di meglio, ed io come bimba
obbedivo convinta, seguendo l’istinto che mi ha portato
nel punto, dove credevo che mai fosse successo, che sola
da sola potessi arrivare all’orgasmo. E poi il suo
dito in un vortice intenso, m’ha scavato sai dentro la
bocca, ed io che succhiavo e leccavo quell’unghia, come
fosse un ciuccio coperto di miele, un leccalecca di
bimba di zucchero a velo.
Dai ora stappa quel
vino! Mentre abbondavo saliva e ne chiedevo
dell’altra, per riempire il palato e l’anima in gola,
per saziare gli istinti come fremiti a pelle, che
sentivo dai piedi fin sotto i capelli, e poi ancora fino
a sbavare saliva, a colare rigagnoli densi e rossastri,
a sbafarmi il rossetto sul mento ed il collo.
Dai ti prego stappa quel vino. Non guardarmi
allibito non mettermi il muso, perché davvero non ho
sentito la colpa, quando ho visto la luce che eri già a
casa, quando sulla porta mi hai detto “tesoro”, e
nemmeno una parola di dove ero stata, di come il mio
seno aveva fatto da tana, per come le gambe da nido e da
culla, per quella lingua che m’ha presa davvero, come
fosse un ragazzo alla prima esperienza, come fosse un
uomo maestro di vita.
Dai siediti stappa quel
vino! Perché ho aspettato sorpresa e smarrita,
convinta che non facessi nulla di male, convinta di non
averti tolto un bel niente, perché non mi sento d’averti
tradito, moglie infedele per un cruccio a caso, perché
veramente non c’è stato dell’altro, perché veramente mi
ha solo baciata, baci e carezze e parole più dure, che
simulavano un sogno che non c’era concesso.
Dai
siediti stappa quel vino! Non guardarmi allibito non
ho altro da dirti, non chiedermi dai, altri dettagli,
perché davvero mi ha solo graffiata, l’anima umida che
chiedeva insolente, d’essere saziata fino all’ultimo
senso, ma non so cosa sia accaduto, davvero non me lo
spiego, perché proprio sul più bello, ho messo la scusa
che ormai tardi e che tu a casa mi stavi aspettando,
nonostante lui chiedesse di prendermi tutta, di farmi
sentire un avanzo di strada, una grondaia che scola, una
bimba che implora, un tombino che raccoglie solo acqua
piovana.
Ed essere nido ed essere tana, d’un
piacere infinito che addomesticasse i miei sensi, come
una cavalla in amore, come una gatta in calore, che gode
e che freme mentre la fila s’ingrossa, che muta attende
ansiosa il suo turno. a è stato proprio il mio gesto che
mi ha fatto pensare, che a volte non serve l’amore, ma
basta il diniego, un netto rifiuto, per farti sentire
ancora più sporca, donna infedele, adultera e falsa,
come se t’avessi tradito più volte, come se avessi avuto
più orgasmi, da lui imperterrito che non smetteva di
farlo.
Dai ti prego stappa quel vino! Volevi
saperlo ed io te l’ho detto, mi spiace davvero d’averti
deluso, ma non sono pentita e lo rifarei domani, se solo
sapessi di andare in fondo, perché solo così avrebbe
avuto un senso, d’averti tradito, di chiederti scusa e
tu potresti perdonarmi davvero, invece sei qui che non
sai cosa dire, se sentirti tradito e dirmi puttana, o
brindare all’amore e che sono la donna, che nonostante
la voglia, il momento, la brama, ha scelto il tuo bene
ed ha resistito.
Dai stappa e vieni vicino!
Sperando che domani sia un giorno diverso, che non mi
sfiori l’idea, la voglia la smania, e non mi trovi di
nuovo in quella stanza d’albergo, oppure sì, ma senza
alcun senso di colpa, per essere bella come in questo
momento, e chiederti scusa per averti tradito, magari in
ginocchio o distesa nel letto, e tu che mi ascolti tra
quel sottile dolore, che poi è piacere e ti piace
sentire e poi mi perdoni mentre stappi quel vino.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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