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RACCONTI
Adamo Bencivenga
Lujanera, la Chica
del bar Globo
Photo Judith Moreno
...
.Le
Chicas sedute ai tavolini del bar Globo si lasciavano
andare a sorrisi ammiccanti, erano belle e more,
qualcuna bionda tinta, ma tutte alte e formose, dai
sederi invitanti, dalle gambe lunghe come i loro
pendenti, le labbra come culle e i visi sfaccettati.
Mostravano tutto ciò che avevano e giuravano che non era
poco, anche se non avevano altro. Qualcuna neanche una
casa, un posto dove dormire, una madre per piangere, un
padre per obbedire, un marito per cornificare, ma tutte
erano ricche del proprio mestiere e tutte
indistintamente avevano un padrone, altrimenti lì, ai
tavolini del bar Globo, non sarebbe stato permesso
accavallare le gambe e mostrare le loro belle forme.
Mi fermai ad
ammirarle come se fossi stato in un museo, si lo
ammetto avevo bisogno di compagnia e la bellezza mi
ripetevo non aveva tempo e non aveva luogo. Allora
mi avvicinai ad una di loro, certamente la più
bella, sicuramente la più provocante, i suoi grandi
orecchini sapevano di bigiotteria, sapevano di casas
malas, di tango e arabalero. Disse di chiamarsi
Lujanera, come il titolo di una canzone, come la sua
faccia a tinte forti. Lei mi fissò senza guardarmi,
i suoi modi erano sbrigativi, il suo tacco 12
dondolava sfacciato come un richiamo, le sue cosce
bene in vista poi non costavano molto, forse quanto
un chilo di carne buona o un biglietto al Cirque du
Soleil.
Avrà avuto solo vent’anni o qualcosa
di più ed io con i miei quaranta mi sentii vecchio,
ma lei non badò a questo, col suo viso da zingara
tintinnava i suoi pendenti vistosi e come un cuore
che batte, una musica nuova, mi sussurrò dolcemente
cinquanta come fosse un ti amo, una dichiarazione
d’amore. Rimasi lì allibito, sorpreso che con così
poco si potesse comprare tanta bellezza, ma lei non
si perse d’animo e mentre ostentava il suo seno
ripeteva a cantilena il suo listino di bocca, seno,
fica e culo. Già, vendeva il suo corpo a pezzi, come
un macellaio fa col suo manzo, perché nessuno lì,
nel quartiere spagnolo, aveva i soldi per comprarlo
intero. Sì fermò un momento, si guardò intorno, il
bar era pieno di gente, ma poi riprese e le sue
parole erano sempre le stesse perché lì non si
faceva poesia, lì non si parlava d’altro, lì si
vendeva l’orgasmo a prezzi stracciati e lei del
resto non chiedeva molto. Perché lei era bella, lei
era Lujanera e se compravi la bocca ti offriva
gratis il suo seno generoso, che ostentava per
mostrarti cosa avresti perso, come il suo viso
truccatissimo, come le sue cosce aperte che ti
invitavano a fare in fretta e non pensarci due
volte.
Dietro di me c’erano altri due uomini
in attesa, ma avevano le tasche vuote, lei li
conosceva e sapeva che ero solo io il pollo da
spennare, la tasca da sgonfiare. Accanto a lei,
seduta allo stesso tavolo, una sua collega si stava
rifacendo il trucco, ma nessuno la reclamava.
Nessuno le offriva un prezzo perché solo Lujanera
era la luce e la sua amica solo un’ombra che le
faceva da contorno, non perché fosse brutta, anzi,
ma non possedeva l’arte di offrire, l’astuzia di
vendere, l’anima da mostrare.
Alla luce dei
faretti in penombra lei mi sorrise e mi chiese
alzando la gonna se avessi avuto bisogno di culla
per quella notte, se la merce che vedeva fosse di
mio gradimento. E intanto vezzosa mi mostrava il suo
spacco, spalancava le cosce per non lasciare alcun
dubbio che quello che offriva fosse un paradiso o un
tombino a seconda di quello che andassi cercando.
Mi sorrise di nuovo, era esperta Lujanera,
sapeva che quello era il momento giusto e che doveva
osare. Mi disse: “Ehi straniero, io ho tanto tempo.
Il mio mestiere è aspettare, se vuoi puoi farti un
giro e tornare dopo, io sarò sempre qui ad
aspettarti…” Così dicendo accavallò ancora le gambe
e vezzosa alzò quel tanto la gonna per farmi
ammirare meglio la sua merce, e allora sorridendo mi
invitò di nuovo. Certo sì aveva mestiere, ma dietro
quel sorriso m’apparve una inconfondibile sfumatura
di tristezza e miseria come se davvero l’unica cosa
che le fosse rimasta fosse quella di affittare un
pezzo del suo corpo per un quarto d’ora.
Disse che chi l'aveva provata ci ritornava spesso,
nessuno poteva fare a meno di lei, la Regina del bar
Globo, la puttana che tutti avrebbero voluto come
sposa. Si illudeva Lujanera oppure era solo un modo
per reclamizzare il suo prodotto. Si dava per poco e
con poco campava perché il resto andava nelle tasche
del suo uomo a cui lei aveva promesso la vita. Non
poteva sgarrare, lo sapeva Lujanera, perché il suo
uomo sapeva distinguere un sorriso d’amore da quello
di mestiere, perché il suo uomo era lì a due passi e
contava i clienti come i bicchieri di tequila.
Insistette e mi disse che dentro il Bar Globo
non c’erano altre donne più belle di lei, non
c’erano puttane che l’avevano più bella e tutte più
o meno offrivano il meglio perché: “È l’amore che
detta ogni legge e l’amore a quest’ora è un dovere o
un lusso.”
“Ehi straniero, mi piaci, ma non
posso dartela gratis! Se sono il tuo tipo e vuoi
farti un giro non perdere tempo.” Aveva ragione, più
passavano i minuti e più mi sentivo attratto da lei,
ma non era solo sesso. Lì in piedi stavo superando
il tempo necessario tra una puttana e il suo futuro
cliente e lei aveva timore che il suo uomo avrebbe
potuto ingelosirsi. Mi fece cenno di non parlare e
mi invitò nella sua alcova, ovvero nella toilette
del Bar Globo. Si alzò e la vidi camminare, era
bella Lujanera, aveva un sedere da vetrina e lei lo
muoveva sgraziata, eh già come una puttana.
La seguii senza pensare come se quei fianchi fossero
una calamita. Entrammo, la toilette era stretta, un
budello di cemento armato dove si stava a malapena
in due. Lei si tolse il tubino in latex e da esperta
fece le prime mosse, come se quel posto fosse una
suite a cinque stelle, ma in realtà era solo un
cesso che puzzava di piscio. Lei non perse tempo. Mi
disse di fare in fretta perché il suo uomo contava i
minuti e contava i suoi gemiti e sapeva distinguere
un sospiro d’amore da quello di mestiere.
“D’accordo straniero? Sono cinquanta!” Quasi si
scusò: “Perché l’amore ha un prezzo con chiunque si
faccia, moglie ed amica o puttana di strada, oppure
figlia perché davvero è successo, quando bambina mi
concedevo a mio padre.” L’accarezzai e lei alzò la
gonna aprendo volgarmente le sue gambe. Sotto
portava un reggicalze da poco prezzo, un paio di
calze nere sfilate, con un ricamo di pizzo servito
da poco per compiacere due occhi e chissà quale
voglia.
In quel momento la vidi mamma,
amante, figlia e sorella, e il suo sorriso era uno
strappo che né il tempo e nessuno avrebbero potuto
ricucire, ma era bella e fragile come un battito
d’ali e i suoi occhi confondevano l’amore con i suoi
stivali, col rossetto che ora ripassava due volte
per darmi l’idea di quanto la sua bocca valesse più
o meno un mezzo giro di giostra, un circo alla fiera
con gli acrobati nani.
Lei si inginocchiò e
dopo un solo attimo avvolto dal velluto delle sue
labbra sentii già il piacere, aveva ragione
Lujanera, lei non mentiva. “Ehi straniero non
credevo di farti quest’effetto!” Sorrise contenta,
si sentiva donna per così poco, soddisfatta per
avermi fatto godere così in fretta, poi allungò la
mano e riscosse il dovuto. Mi disse di avere una
figlia di quattro anni nata da chissà quale padre.
Per questo faceva il mestiere anche se aveva
studiato ed aveva un diploma da sarta. Poi prese il
telefono e mi fece vedere una foto di una bimba che
giocava in un piccolo giardino pubblico. Mi disse
che quella figlia era tutta la sua vita e non aveva
altro per cui vivere, nient'altro da difendere,
neanche le sue cosce che ora mi mostrava sperando
che avessi ancora voglia e le raddoppiassi il
compenso.
Per invogliarmi mi disse che ero un
bell’uomo, che anche lei avrebbe voluto godere, ma
non lì, nel cesso del Bar Globo, non lì a due passi
dal suo uomo che avrebbe potuto sentirla, perché a
lei non era consentito godere. Mi disse che a cento
metri dal Bar Globo, c’era un posto dove passava
tutta la città, un seminterrato con una camera e
cucina. Lì se avessi voluto avrei potuto sentirla
urlare e godere.
Accettai, lei si ricompose
ed uscimmo dal bagno. Immediatamente si staccò da
me. La guardai da dietro, il suo sedere era davvero
un’opera d’arte, i suoi fianchi una delle sette
meraviglie del mondo. Lei andò dal suo uomo, gli
diede il misero incasso, poi li vidi parlare, sapevo
che stavano parlando di me, già ero io il pollo da
spennare. Poi lui acconsentì, lei tornò ed insieme
uscimmo dal Bar Globo.
La notte era fredda,
la nebbia avvolse il rumore dei suoi tacchi,
camminammo lungo il viale, io col mio cappello nero
e l’impermeabile bianco, lei con il suo latex fucsia
e la sua andatura da puttana. Mi prese sottobraccio
poi chiese il mio nome, gli anni e se fossi sposato.
Dissi di no e lei rise contenta. Poi svoltammo
l’angolo, due donne avanti con gli anni battevano il
marciapiede, lei mi disse che quella era la strada
delle donne sposate, non propriamente puttane di
mestiere, ma in un angolo buio della strada
arrotondavano la misera paga dei loro mariti
consenzienti. “Ehi straniero, ma non ti fidare, loro
sanno come ingannare un uomo e farlo sentire un
grande amante, perché hanno tanta esperienza nel
simulare l’orgasmo così che il cliente va a casa
soddisfatto per aver fatto godere una donna.”
Sorrise ancora Lujanera ed io mi lasciai rapire.
Comprammo due bottiglie di vino rosso da
un’ambulante e poi ci fermammo davanti ad un portone
in ferro scuro, lei frugò nella sua borsa e prese la
chiave. Entrammo, era davvero un tugurio. Una stanza
con un letto senza finestra al piano terra con un
forte odore di disinfettante. Mi disse di non fare
troppo rumore e intanto seduta sul bordo del letto
lei si tolse i tacchi ed io solo il cappello. Mi
avvicinai e la baciai in bocca, lei stranamente
ricambiò porgendomi il suo seno: “Prendilo
straniero, ma costa molto, più di quanto saresti
disposto con una di quelle d’alto bordo. Ho promesso
al mio uomo che sarei tornata domattina con almeno
cinquecento!”
Mi vide sorpreso. “Ehi
straniero, sei sempre in tempo a ripensarci.” Ma io
assaporai la normalità di quell’incontro, come se
lei non fosse una puttana, come se io non fossi un
cliente. Lei mi disse ancora: “Prendilo.” Ed io
questa volta non mi feci più pregare. Poi sospirando
disse: “Se vuoi posso essere tua moglie per una
notte.”
Io non dissi nulla convinto che stesse
scherzando e l’amore non fu romantico, ma ci
baciammo tutta la notte e solo allora mi convinsi
che forse aveva un po’ ragione. Comunque l’amore fu
come venne, ma per fortuna c’era il vino, non era un
granché, ma lo finimmo prima dell’alba. Prima di
addormentarmi baciai ancora il suo seno e lei mi
disse grazie ed io mi chiesi il motivo, poi mi
accarezzò la fronte ed io le dissi amore, così nudo
e crudo, come se davvero lo fosse e lei quasi
commossa intonò una ninna nanna.
"Duerme, duerme
hombrecito, duerme tranquilo porque esta noche
conociste a tu mujer, la que siempre has querido, un
poquito de mamá y un poquito de puta, pero con un
gran corazón tan grande como el de las novias en el
altar"*
Mi risvegliai che era quasi
mezzogiorno. La stanza era vuota e di Lujanera
rimaneva solo il suo profumo. Chiesi di lei alla
donna che puliva. Una signora grassa dal seno enorme
e una fascia rossa tra i capelli.
“Qui ne passano
tante e ogni sera hanno un nome diverso.” Mi disse
quasi spazientita. “Ma io sto cercando Lujanera,
l’ho incontrata ieri sera al Bar Globo col cuore in
tasca e due polmoni da vetrina, fumava il filtro e
aveva un culo che parlava… pensavo che fosse sua
questa stanza… o quanto meno l’avesse affittata.”
“Quella? E chi la conosce quella lì!” Disse
sospirando, poi scosse la testa e mi guardò con
compassione.
Mi alzai sconsolato e solo
allora vidi una rosa rossa tra le due bottiglie
vuote sopra il comodino ed un biglietto verde con
scritto: “Ti aspetto alle quattro, al 52 di Calle
Ermosa, non cercarmi al bar Globo. Se verrai sarò
tua per sempre, altrimenti ti auguro un buon ritorno
in Italia.”
Presi il biglietto e uscii da quella
casa, Camminai per due ore senza meta, il mio aereo
era previsto per le sette di quella sera.
*****
Sono seduto nella veranda del mio
appartamento ai Parioli con vista San Pietro, il
clima è piacevole nonostante sia inverno. Sono
passati circa tre anni da quella sera al Bar Globo.
“Tesoro, sei pronto?” Sento la voce di mia
moglie che mi chiama e mi dice di sbrigarmi. Oggi a
scuola c’è la recita di Natale di nostra figlia
Maria Dolores e siamo in ritardo. Mi alzo e la
guardo, lei davanti allo specchio si sta truccando.
Le vado vicino, la bacio e le dico: “Sei bellissima
amore.” Lei si accorge del mio desiderio e mi
sorride: “Ehi straniero, è tardi, ora non possiamo.”
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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