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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Il Canto del Cigno






Photo Kostas Kosmidis

 

Sarà questo tramonto che arrossa il suo volto
ed allunga quell’ombra increspata dal mare
sarà che cammina sul lido sabbioso
a piedi nudi sui sassi che affiorano a tratti
da quel lembo di terra che dall’acqua s’affaccia,
e la lascia sospesa col suo strascico bianco,
come foglia che danza sospinta dal soffio
di un vento che s’alza e fa le onde ai capelli
e fa la coda al vestito che traspare sfumato
e ne prende i colori, l’intorno, l’essenza.

Se sapessero gli uomini che ha avuto negli anni,
che ad ogni tramonto si lascia guidare,
dal mare che ignaro le dà brividi dentro,
e si fonde alla voglia che opaca si sparge,
in un vortice d’acqua che riprende il suo letto.
Quante fatiche e strappi di cuore,
quante rose all’ingresso lasciate seccare!

Perché nessuno di loro ne ha scarnito il bisogno,
e l’ha fatta vibrare avvampando le ossa,
fino a ridurre all’essenza l’anima inquieta,
a sostanza la pelle, a carne la voglia,
per sentirla più mite genuflessa al bisogno,
per sentirla più donna del sesso che porta.

Sarà che il tramonto s’allunga nell’ombra,
dell’infinita ricerca di non essere sola,
per non sentirsi spaiata quanto due calze,
messe al buio di fretta dopo l’amore.
Sarà che il vento le imbroglia i pensieri,
e le scompone i capelli dopo ore allo specchio,
e la fa sentire impaziente come fertile terra,
come sposa novella al primo ritardo.

Tutta colpa del mare dice danzando,
a filo di sera che all’alba scolora,
mentre gira e si volta ed il vento la sfiora,
e le porta in regalo un brivido antico,
un tremore più caldo di vite passate,
di sensi perduti mai più ritrovati,
di odori lontani, di strette di mani,
di sguardi infiniti che sopiscono all’alba,
ed enfatizzano code di piaceri passati,
vissuti di notte tra l’acqua e le dune.

Tutta colpa del mare che incalza indolente,
del cielo intrigante che truffa la gente,
di quello che pensa, che dice, che giura,
perché è sempre l’istinto che offusca la mente,
ed a volte si ferma ed altre riparte,
e scorre e s’addensa nelle vene più dure,
nel ciclo che irrora i sogni dell’alba,
nel ciclo che uccide quelli più veri,
che vengono a notte e sanno di mare,
di uomini e donne che fanno l’amore.

Tutta colpa del mare ed il vento la sfiora,
mentre cammina sul filo al tramonto,
e le orme che lascia, il mare riprende,
proprio come i ricordi svaniti nel tempo,
quando solo di sera portava un cappello,
ed un uomo stupendo fasciava i suoi fianchi,
e si sentiva più bella d’ogni donna più bella,
unica al mondo per due occhi impazienti.

Perché lei cammina ma sembra galleggi,
priva del peso del danno degli anni
e stia a galla leggera e veleggi in silenzio
come un cigno che emette un canto in amore
uno strascico d’onde di note bagnate
di suoni dispersi che a nessuno è concesso
provarne l’ebbrezza, la morte nel cuore.



FINE

  








 











Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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