|
CERCA NEL SITO
CONTATTI
COOKIEPOLICY

RACCONTI D'AUTORE

LIBERAEVA
PROFUMO DI DONNA
"Sarà che stasera avrei voglia di
uscire, sentirmi padrona della notte che cala, sentirmi regina,
cortigiana di corte, sentirmi una Dea tra broccati e velluti, che
poi sono pioppi che storti corrono al mare, che poi è una strada che
va verso Ostia"

Sarà che stasera avrei voglia di uscire, sentirmi
padrona della notte che cala, sentirmi regina,
cortigiana di corte, sentirmi una Dea tra broccati e
velluti, che poi sono pioppi che storti corrono al mare,
che poi è una strada che va verso Ostia, tra il freddo
che punge e gela le gambe, ed io non chiedo altro che un
fuoco, che mi scaldi le gambe per essere pronte, al
primo che ha voglia di sentirne l’odore, al secondo che
indugia e fa il giro tre volte.
Alle volte mi
chiedo perché solo nel sogno, mi trucco la faccia da
ballerina di circo, e metto le scarpe e sfino i tuoi
tacchi, lasciando che il vento mi scoperchi la gonna, ed
un uomo qualunque dia un prezzo al mio seno. Davvero mi
chiedo cosa mi manca, per essere come una moglie
normale, almeno nel sogno, almeno di notte, mentre mio
marito dorme tranquillo, ed io che cammino nei cunicoli
stretti, dove nutro i miei seni e mostro le gambe,
nell’attesa impaziente che sia quello il momento, quando
un uomo qualunque abbassa la lampo.
Oddio che
volgare! Direi a Cecilia, la mia amica del cuore in
cerca d’amante, ma poi ci ritorno in quel sogno malsano,
e mi spalmo il rossetto per ingrandire la bocca, finché
capiente sia giusta per l’uso, ad ogni tipo di forma che
abbia voglia d’alcova, e allora sì che mi chiedo, cosa
ci sia nella voglia, di mostrare la tetta e farla
ciucciare, come coperta da un velo di panna, di fragola
e zucchero e miele che cola. E lui che ciuccia, che
stringe, che succhia, perché non c’è di meglio di una
signora borghese, che batte la strada per sentire il
rumore, del tacco che struscia sull’asfalto di sera,
fino a quando decisa giro di giorno, in cerca di un
posto che mi paia tranquillo.
Alla fine non
posso che scegliere un viale, di pioppi e castani che
corrono storti, di una siepe che dietro potrebbe
servire, per maschi di fretta a passeggio col cane.
Torno a casa felice pensando a cosa indossare, che sia
adatto a quell’ora dalle cinque alle sette, l’ora più
giusta che non desti sospetti, quella in faccia al
tramonto che mi colori le scarpe, e dia forma al mio
seno, al sedere che mostro, e rifletta il metallo dei
miei tacchi appuntiti.
A pranzo mi sento
distratta, sbadata e confusa, mio marito mi chiede se ho
le mie cose, ma in realtà mi tormento perché non ho
ancora deciso, se quella gonna leggera faccia scattare
la molla, di sesso e passione a chi mi vede di scorcio.
Mi passano immagini dentro la testa, mi passano vive
quando offro le labbra, perché altro non voglio al primo
incontro stasera, altro sarebbe davvero di troppo,
perché al mio sogno non serve aprire le gambe, cercarmi
quest’anima dalla porta davanti, ma solo sentire l’odore
ed il gusto, sapere di essere l’oggetto del mondo, e
sentirmi diversa da tutte le altre.
Oddio se mio
marito leggesse ciò che mi frulla, mentre addenta con
gusto una fetta di carne, e di fretta poi esce per
tornare al lavoro, sicuro che oggi incontro le amiche, a
casa d’Ilaria per un compleanno. Se sapesse che sotto il
vestito già indosso le calze, un corpetto di lacci che
fibrillano sesso, come un operaio che indossa la tuta,
nell’ora di pausa per fare più in fretta.
Perché
ho solo due ore per farmi più bella, dirigermi dove ho
scelto di stare, solo due ore per convincermi ancora,
che quello che cerco non lo trovo nel letto, puntuale da
anni quando rimango in attesa, dopo la cena ogni sabato
sera.
Lui sì che compie il suo dovere, da marito
altruista, da amante perfetto, ma è piatto, meccanico
che non nutre il mio sogno, d’essere schiava
dell’infinita passione, d’essere merce che vale al
mercato, quanto la carne esposta sul banco. Lo so che
difficile capire, e le mie amiche mi prenderebbero per
pazza, se solo sapessero che ciò che desidero, è essere
un manichino col cartellino del prezzo, come un feticcio
per gente viziosa, che dà valore alla mia bocca, al
seno, alle gambe, per il solo piacere che offro.
Il posto che ho scelto è una strada che corre, il posto
perfetto per uomini soli, che ci sbattono il muso se
intravedono al bordo, un mistero di donna che accavalla
le gambe, che punta i suoi tacchi per mostrare le punte,
per alzarti di fretta al primo che frena. S’accorge
eccome s’accorge, che sono in attesa del primo cliente,
perché un euro o cento non fa differenza, se poi mi
guarda e ne apprezza il contorno, se quando salgo mi
dice che mai fino ad ora, ha visto una donna con due
gambe perfette, che quella trama di calza è troppo
elegante, troppo costosa e non batte all’incrocio, della
strada che porta in pineta ed al mare.
Sono
gambe di donna che accavallo leggera, una gonna che sale
fino al ricamo, sono cosce di pelle che si schiudono al
tatto, d’una mano che suda e lentamente risale, fino nel
punto dove è più forte l’inganno, perché quello che
offro non è un sesso slabbrato, consumato da incuria e
dal dai e dai di ogni giorno. Perché sa di sapone e me
ne vergogno, perché sa di novizia al primo rapporto, e
vorrei davvero strusciarla ad un muro, contro una siepe
dove sono passati i gatti, e impregnarmi d’odori e
mostrarla con vanto, per il piacere di maschi che non
cercano attrito.
Lui se ne accorge e mi chiede
un nome, uno qualsiasi che sappia di mestiere, perché
non avrebbe senso chiamarmi signora, ma la sua mano la
sento, eccome la sento, che mi stringe le maglie della
calza di rete, che mi stringe nel mezzo come se volesse
tapparla. La sento eccome la sento, niente a che vedere
con quella leggera, di mio marito che mi chiede il
consenso, lui mi cerca maschio e deciso e con un dito ad
uncino mi scosta la seta. E io obbediente mi lascio
toccare, e poi di nuovo accavallo le gambe, ed intanto
mi sfioro con la lingua le labbra ed ostento leggera il
mio seno che esce.
Oddio davvero mi chiedo nel
sogno, che mi facesse provare, che mi facesse sentire,
sotto la chioma di pini marini, in faccia ad un sole che
mi tinge d’arancio, cosa vuol dire saziarmi la voglia,
senza che l’anima si ribelli all’istinto, senza per
altro dovergli giurare, che lo amo da sempre perché m’ha
fatto godere. Sono labbra e tette il resto non conta,
seno abbondante e unghie laccate, e fingo convinta che
non è il primo cliente, che in anni ne ho presi un sacco
e una sporta, e solo stasera non basterebbe una gabbia,
per contenere gli uccelli che volano bassi, all’altezza
precisa delle mie labbra più rosse.
Lui
non ci crede e gli sembra un delitto, sprofondare in un
corpo che sa di famiglia, di pulito e di talco e non di
mestiere, come un uomo maturo su una vergine intatta,
come un uomo per bene che ora mi chiede, quale ragione
mi faccia aprire le gambe, quale istinto la voglia di
sentirmi una troia. Ma io mi ribello perché non posso
accettare, che il mio primo cliente non mi tratti per
come, mi sono conciata stasera per due ore allo
specchio, per due ore che ora sono inutili e vane, e
stizzita gli chiedo di riportarmi nel posto, da dove
m’ha presa con il fiato sospeso.
È un uomo per
bene e mi paga lo stesso, e vorrebbe incontrarmi in un
posto diverso, ma io rifiuto con rabbia e con sdegno,
perché quello che cerco sono maschi diversi, è gente in
coda che aspetta il suo turno, che come nel sogno mi
puntino il sesso, imprevisto e indecente dove vibra la
pelle, dove fa male e mi piace e ne chiedo, senza
aspettare il sabato sera. E allora torno testarda su
quello steccato, convinta che col prossimo sarà tutto
diverso, e allora, la impregno di corteccia di pioppo,
perché ne prenda l’odore o quanto meno il gusto e copra
per sempre, il profumo di talco, l’indelebile odore di
fica borghese.
Riaccavallo le gambe, riscopro la
gonna, mi spalmo a secchiate le labbra di rosso, e
ripeto a memoria le mosse studiate, finché un’auto
rallenta e poi un’altra si ferma, e mi chiede per quanto
e pretende uno sconto. Non lo vedo convinto ed apro le
gambe, non lo vedo deciso e mostro il mio seno, perché i
suoi occhi non abbiano dubbi, che sono del mestiere e
non è solo un vezzo, perché questa volta non è
consentito fallire, quando mi cerco nel silenzio di
notte, quando mi sfioro con le dita più fitte, quando mi
lascio andare al bisogno e mio marito tranquillo
continua a dormire.
|
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
© All rights
reserved Adamo Bencivenga
LEGGI GLI ALTRI RACCONTI
© Tutti i diritti riservati
Il presente racconto è tutelato dai diritti d'autore.
L'utilizzo è limitato ad un ambito esclusivamente personale.
Ne è vietata la riproduzione, in qualsiasi forma, senza il consenso
dell'autore


Tutte
le immagini pubblicate sono di proprietà dei rispettivi
autori. Qualora l'autore ritenesse
improprio l'uso, lo comunichi e l'immagine in questione
verrà ritirata immediatamente. (All
images and materials are copyright protected and are the
property of their respective authors.and are the
property of their respective authors.If the
author deems improper use, they will be deleted from our
site upon notification.) Scrivi a
liberaeva@libero.it
COOKIE
POLICY
TORNA SU (TOP)
LiberaEva Magazine
Tutti i diritti Riservati
Contatti

|
|