Siamo a Genova in vico
Indoratori, un carruggio stretto fra case a quattro
piani, le cui facciate quasi si toccano. Tra le
stradine “dove il sole del buon Dio non dà i suoi
raggi perché ha già troppi impegni per scaldar la
gente d'altri paraggi” arriva una macchina dei
carabinieri.
È una mattinata di pioggia di 27
anni fa. Qualcuno chiama il 118 e con voce trafelata
dice che qualcosa è successo in vico Indoratori. La
voce femminile appartiene alla figlia della vittima,
la quale non vedendo sua madre da due giorni, dà
l’allarme. Dice che sua madre è un’infermiera e di
aver già chiamato il numero della donna assistita
dalla madre, ma in realtà lei non sa che dall’altro
capo del telefono risponde, invece, la proprietaria
del “basso” dove lavora sua madre.
I
carabinieri arrivati sul posto, entrano nel basso,
praticamente un monolocale piccolo e soffocante,
diviso in due da una tenda che prende aria e luce solo
da una piccola finestra protetta da un’inferriata.
L’arredamento è misero: un televisore, un video
registratore, un letto e una sedia. I militari
sollevano la saracinesca e la scena è di quelle che
non si dimenticano. Il cadavere di una donna giace a
terra ai piedi del letto in un mare di sangue. Il
sangue è dappertutto: per terra, sulla tenda, sul
piccolo divano e nel lavandino posto accanto al letto.
La donna indossa dei leggings neri ed è nuda dalla
vita in su, il corpo presenta numerose ferite ed ha
ancora la punta di un trapano elettrico conficcata
nella gola. Sul tavolino c’è un pacchetto di MS, poi
si accerterà che la donna non fumava quella marca di
sigarette, e tracce di sangue non riconducibili a lei.
I carabinieri analizzando la scena del delitto
accertano che nel videoregistratore è inserita una
cassetta HVS con materiale pornografico e che la Tv è
stata spenta quando il volume era al massimo. Nella
stessa presa dove è attaccata la spina della
televisione c’è il filo elettrico del trapano, ossia
l’arma del delitto.
Il medico legale accorso
sul posto trova tracce organiche sotto le unghie della
donna, il che significa che Antonella ha lottato con
l’aggressore, anche le macchie di sangue nel lavandino
non sono riconducibili a lei.
L’autopsia poi
stabilirà che Antonella è morta tra le 21:00 e le
23:00 della sera precedente.
Dalla
ricostruzione della dinamica appare evidente che la
donna è stata inizialmente stordita con un colpo alla
testa, probabilmente con uno sgabello e poi, e poi
ancora agonizzante martoriata con dieci colpi di
trapano. Questo ha fatto ipotizzare che la donna sia
stata abbandonata agonizzante e che la morte sia
sopraggiunta dopo qualche ora e a causa di una ferita
vicino al cuore. L’assassino dopo averla uccisa si
sarebbe lavato le mani, quindi avrebbe rovistato nella
borsetta di lei e poi con grande freddezza sarebbe
uscito, tirando giù la saracinesca del piccolo locale,
chiudendola con un lucchetto e portando con sé soldi,
documenti e le chiavi del basso.
Partono
immediatamente le indagini e i carabinieri dopo aver
accertato l’identità della vittima vengono a sapere
che Antonella è vedova e madre di due figli ventenni,
è originaria di Iglesias e fa l’attività più antica
del mondo perché deve pagare dei debiti, tanti debiti
lasciati dal marito morto. Infatti l’uomo alla fine
degli anni ’80 abbandona il suo lavoro di magazziniere
e compra un bar pur non avendo i soldi necessari per
ristrutturarlo. Chiede un prestito e finisce nelle
mani di usurai senza scrupoli, poi muore d’infarto nel
1990 lasciando alla moglie un debito di 250 milioni di
lire e i figli da mantenere.
La scelta di
Antonella a quel punto è obbligata, senza dire nulla a
nessuno prende in affitto da un ex prostituta il basso
nei Carruggi e inizia a prostituirsi. Infatti i figli
ignorano completamente l’attività della madre, sanno
che fa l’infermiera a domicilio, ma in realtà ogni
mattina quando esce da casa la donna si reca nel suo
basso di vico Indoratori.
Antonella ha 42
anni, è minuta, capelli neri a caschetto, non bella ma
si veste in modo appariscente con magliette scollate e
gonne corte, e si trucca pesantemente. Il suo modo di
fare però è molto accattivante e accomodante e secondo
le testimonianze raccolte sul posto Antonella è molto
ricercata sia perché si presta a giochi erotici
insoliti, tipo rapporti a tre, e sia perché esercita
senza preservativo. Questo le permette di alzare la
sua tariffa a 50 mila lire a prestazione, a fronte di
un prezzo medio della zona di circa 20mila.
Dicevamo la clientela è molto numerosa tanto che per
segnalare di essere occupata, Antonella era solita
lasciare accesa la luce rossa sopra la porta del basso
per segnalare di essere occupata. Lavora dodici ore al
giorno, dalle 10 di mattina alle 10 di sera, ed è così
in grado di far fronte alle spese ricorrenti ovvero
mantenere i figli, pagare 2 milioni di affitto ogni
mese e di versare fino a 500mila lire al giorno agli
usurai. La notte, a volte, subaffitta il basso a un
travestito per centomila lire.
Dalle colleghe
di Antonella i Carabinieri vengono a sapere di un
certo Sergio, un uomo sulla cinquantina e cliente
assiduo di Antonella. Viene visto pranzare con lei il
giorno stesso del delitto. Le colleghe sospettano che
sia qualcosa di più di un cliente assiduo.
Rintracciato, i carabinieri accertano che si tratta un
ex infermiere che spesso accompagna Antonella sul
posto di lavoro, ma per quella sera ha un alibi di
ferro facilmente riscontrabile.
Pochi giorni
dopo entra in scena un elettricista di 52 anni,
sposato con due figli che aveva fatto diversi lavori
nel basso. Interrogato l’uomo si contraddice più
volte. Prima nega di essere il proprietario del
trapano, poi ammette che lo aveva lasciato lì mesi
prima perché avrebbe dovuto completare il lavoro. Dice
inoltre di non aver più avuto contatti con Antonella,
ma poi, incalzato dagli inquirenti, ammette di averla
sentita per telefono il pomeriggio stesso del delitto.
Comunque lui nega disperatamente, dice di avere
una malattia alle gambe che gli impedisce quasi di
camminare e che, di fatto, negli ultimi tempi, lo ha
tenuto inchiodato al letto. I suoi familiari
confermano, ma la loro parola non basta. A quel punto
gli inquirenti credono di essere sulla pista giusta
anche perché l’uomo non ha un alibi solido per quella
sera, dice di essere stato in casa a guardare un film
con la moglie, ma non ricorda né il titolo e né la
trama e poi presenta sul corpo dei graffi che non
riesce a giustificare e sugli abiti ci sono tracce
biologiche sospette. Viene quindi iscritto sul
registro degli indagati e richiesto l’esame del DNA.
Il povero elettricista si trova improvvisamente
indagato e scaraventato sulle prime pagine dei
giornali come possibile omicida. Per lui è una
vergogna insopportabile e l’ipotesi del carcere lo
sconvolge, parla con il suo avvocato che cerca di
tranquillizzarlo, ma inutilmente. Due giorni dopo
nell’ora in cui si sarebbe dovuto sottoporre al un
altro interrogatorio verso le 18,30 viene visto
camminare sulla sopraelevata, di fronte alla Lanterna,
scavalcare le protezioni e buttarsi di sotto. Morirà
dopo due ore di agonia al S. Martino. Nelle sue tasche
vengono trovate cinque lettere di addio scritte di suo
pugno: per la moglie, per i familiari, per l’avvocato,
per il Maresciallo che lo ha interrogato ed uno per
gli amici, in cui ribadisce la sua innocenza e la sua
totale estraneità al fatto. I fatti gli daranno
ragione perché 8 giorni dopo la prova del DNA lo
scagiona. Gli esami infatti stabiliscono che c’è una
possibilità su 1.226.000 che il sangue trovato sul
lavandino del basso sia dell’elettricista suicida
mentre sui suoi abiti non c’è alcuna traccia del
sangue della vittima.
Ma allora, chi ha ucciso
Antonella? Per gli inquirenti siamo punto e accapo.
Decidono di lasciar perdere la pista del cliente che
uccide in preda a un raptus omicida e concentrarsi nel
mondo dell’usura. Pensano ad una lezione per
insolvenza finita male ad opera di non uno ma due
killer professionisti i quali resisi conto di averla
uccisa, avrebbero inscenato un delitto a sfondo
sessuale. Sembra l’unica spiegazione perché nessuno
mai ucciderebbe una persona che sia pure con fatica
riusciva a sostenere dei pagamenti, ma l’ipotesi non
dà risultati per cui setacciano altre piste: il mondo
della prostituzione e quello della droga. A quanto
pare Antonella, per la sua numerosa clientela, era
invidiata dalle colleghe e tra le altre cose avrebbe
fatto un uso saltuario di cocaina. Certo nessuna delle
ipotesi si può escludere a priori, ma entrambe
sembrano poco verosimili.
Sta di fatto che sei
mesi dopo sempre in quella zona vi è un altro
inquietante episodio ossia la strana morte della
proprietaria del basso dove Antonella si prostituiva.
La cinquantaseienne ex prostituta viene trovata morta
in casa sua. Ha ingoiato una confezioni di
barbiturici. Si è suicidata oppure è stata eliminata
perché sapeva qualcosa che non doveva sapere in merito
alla fine di Antonella? Nessuno riesce a dare una
risposta. Il caso si chiude come delitto irrisolto.
Ma non è finita qui! Come in tutti i misteri che
si rispettano vi è un altro ultimo colpo di scena.
Infatti nell’agosto del 2004, ossia quasi dieci anni
dal delitto di Antonella, in procura arriva una
lettera: “Sono io il mostro del trapano. Anni fa ho
compiuto un omicidio, non sono mai stato preso. Ho
paura di finire per sempre in galera, la mia vita sta
cambiando.”
La missiva viene ritenuta attendibile
perché contiene particolari che solo l’assassino può
conoscere. Sul francobollo non c’è traccia di saliva e
l’identità dell’anonimo reo confesso resta tutt'ora un
mistero.
Una vicenda fatta di tre tragiche
storie, tutte finite con la morte: Antonella,
l’elettricista e la proprietaria del basso. Tre
vittime e tante ipotesi, ma con una sola unica
certezza: l’assassino non è mai stato trovato.
FINE