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Adamo Bencivenga
Lea faceva la puttana
Lea faceva la puttana, sì quella di strada con la calza
a rete e il tacco alto, figura retorica di poesie e
canzoni, che d’inverno mantiene calda la merce davanti
al fuoco lungo un viale alberato. Niente a che vedere
con le escort di lusso o le performer virtuali di
internet, lei semplicemente faceva la puttana di strada,
quella che batte il marciapiede di giorno all’insaputa
di suo marito disoccupato e sua figlia adolescente.
Sì Lea faceva la puttana e non aveva avuto altra
alternativa quando il titolare dell’azienda dove
lavorava come operaia, un bel giorno l’aveva invitata
nel suo bell’ufficio bianco e incontaminato e le aveva
dato il benservito, dicendole senza la minima accortezza
che per la riduzione dell’organico non ci sarebbe stato
più posto per lei in organico. Ma la cosa che più le
aveva dato fastidio era stata quando lui per congedarsi
le aveva detto: “Lei è una bella donna e di certo
troverà di meglio che fare l’operaia…”
Lea aveva
quarantacinque anni e poca voglia di combattere quando,
dopo l’ennesimo rifiuto di lavoro, non trovò di meglio
che andare a servizio ad ore da un pensionato del suo
palazzo, ma lui nonostante la misera paga pretendeva
anche altri servizi e non propriamente inerenti alla
pulizia della casa. Quella volta se ne andò sbattendo la
porta, ma sapeva benissimo che la vita le avrebbe
riservato altre situazioni del genere per cui decise di
prenderla di petto.
Un bel giorno si sedette ai
tavolini di un bar molto frequentato di un centro
commerciale della zona ordinando un cappuccino e la
brioche meno cara. Fu proprio quel giorno che,
ripensando al pensionato, le venne l’idea. E se l’avesse
fatta per davvero? E soprattutto se non avesse trovato
nulla di immorale? Allora accavallò le gambe, ripassò il
trucco e si stampò un sensuale sorriso sulle labbra
convincendosi che in fin dei conti era solo un semplice
vezzo femminile e non ci c’era assolutamente nulla di
male.
Lei l’amore lo aveva fatto finora solo con
suo marito che l’aveva sposata vergine, ma ora i tempi
erano cambiati, le puttane si facevano chiamare sex
worker e se anche l’avessero chiamata in italiano non
sarebbe stata una puttana, ma semplicemente una
lavoratrice del sesso.
Certo quel giorno non era
vestita come una di quelle, per essere facilmente
riconosciuta come tale ci sarebbe voluto ben altro, ma
il timore di incontrare qualcuno del suo vicinato o un
familiare oppure un’amica era sempre dietro l’angolo.
Quel giorno indossava una gonna sopra il ginocchio e una
camicetta. Sorridendo si disse che provare non sarebbe
stato un reato e allora slacciò un bottone della
camicetta. Certo era ben poco per fare il mestiere più
antico del mondo ed infatti nonostante ci avesse creduto
di dare una svolta alla sua vita era rimasta tutto il
pomeriggio lì consumando a piccoli sorsi il suo
cappuccino ormai freddo senza che nessuno si
avvicinasse.
Ormai si era fatta sera e a casa i
suoi figli la stavano aspettando per cui sconsolata
prese la sua borsa e si alzò da quella sedia, ma proprio
in quel momento il cameriere del bar, che aveva notato
la sua presenza, le si avvicinò e con fare gentile la
pregò di accettare una spremuta di arancia come omaggio
della casa. Le disse anche che se avesse avuto la
cortesia di aspettare la fine del suo turno l’avrebbe
riaccompagnata a casa.
Giacomo, questo il suo
nome, si dimostrò un tipo affabile per cui Lea decise di
aspettarlo. Dopo le presentazioni si incamminarono verso
il parcheggio. Suo coetaneo ed estremamente gentile,
dopo un breve tratto lei si sentì in dovere per
ricambiare la sua gentilezza di raccontargli quello che
le stava capitando. Lui sorrise, ma in realtà sentiva
tanta pena per quella donna al punto che, rispettando la
sua idea, si sentì in dovere di darle qualche consiglio.
Le disse che non era di certo quello il posto, troppo
frequentato da ragazzini, per adescare qualche signore
con qualche soldo in tasca e la voglia di divertirsi.
Continuarono a parlare e durante il viaggio a
bordo di quella piccola utilitaria lui cercò di aiutarla
a suo modo. Dopo circa due chilometri le indicò il posto
secondo lui più adatto per esercitare il mestiere.
Percorsero fino in fondo quel viale alberato lungo il
quale correvano le mura di una vecchia fabbrica in
disuso e dei lampioni gialli che illuminavano a stento
la strada. Appoggiate a delle transenne videro due donne
di mezza età che di certo non avevano l’aria di
aspettare l’autobus. Una era bionda tinta molto
appariscente, l’altra minuta e di colore. Giacomo
rallentò e Lea squadrandole da capo a piedi si
immedesimò in loro. Di sicuro, disse lui, passeggiando
lungo quel viale anche di giorno non avrebbe avuto
difficoltà a farsi riconoscere. Poi la riaccompagnò a
casa non pretendendo nulla da lei.
Quando il
giorno dopo si svegliò, quel viale fu il suo primo
pensiero e nel primo pomeriggio quando sua figlia era
ancora a scuola uscì di casa. La prima tappa fu il
centro commerciale dove comprò un paio di calze a rete,
un perizoma, una gonna corta di pelle ed un rossetto
rosso. I suoi primi attrezzi del mestiere, pensò,
dirigendosi verso la toilette. Davanti allo specchio si
chiese quanto rosso l’avrebbe fatta puttana e quanto
dovesse essere corta quella gonna perché gli altri non
avessero dubbi. Poi prese l’autobus e dopo cinque
fermate scese e si ritrovò a passeggiare vicino a quella
fabbrica, sedendosi ogni tanto su una panchina e
accavallando le gambe. Non c’erano altre donne a
quell’ora e Lea pensò che senza concorrenza sarebbe
stato tutto più facile.
Si guardò nello
specchietto e si ripassò le labbra. Beh sì almeno
nell’aspetto ora non vi erano dubbi, ma Lea sapeva
benissimo che per essere appetibile avrebbe dovuto
calarsi maggiormente nella parte. Si accese una
sigaretta e fu in quel momento che iniziò ad avvertire
una certa ansia chiedendosi a più riprese perché mai un
uomo l’avrebbe dovuta pagare dato che non si sentiva né
bella né esperta e tantomeno coinvolta per fare quel
mestiere. Si sentiva semplicemente una moglie in cerca
di denaro e si chiese perché mai un uomo sposato avrebbe
dovuto preferire il suo sesso a quello gratis di una
moglie.
A quel punto decise, semmai qualcuno si
fosse fermato, di dire la pura verità, ossia che per
sfortuna di lui non era altro che il suo primo cliente.
Per il resto s’illuse che sarebbe stato tutto facile, in
fin dei conti non ci voleva una laurea per fare quel
mestiere e soprattutto perché lei non avrebbe mai
venduto la sua anima e quindi non avrebbe mai tradito
suo marito. Insomma sarebbe stata né più e né meno che
una bambola di pezza per il libero sfogo in cambio di
soldi.
Attese ancora e quando iniziò a pensare di
aver fatto solo un buco nell’acqua, dopo circa un’ora,
si fermò la prima macchina. L’uomo alto e biondo,
all’incirca un suo coetaneo, s’informò sul prezzo e
subito dopo la invitò a salire. Le chiese il nome e lei
rispose Samantha, non perché le piacesse, ma solo perché
le sembrava adatto per una puttana. Lui si complimentò
per quella calza a rete e la gonna di pelle poi con fare
sbrigativo si diresse dietro la fabbrica in disuso e
spense il motore. Conosceva il posto e lei pensò che non
fosse la sua prima volta. Le diede i soldi e senza alcun
preliminare le disse di lasciare le calze, la gonna e
togliersi le mutandine. Non le disse altro, in silenzio
reclinò i sedili dell’auto e si distese sopra di lei.
Lea rimase ferma e immobile e quando lui iniziò
a penetrarla, per non essere coinvolta pensò a cosa
avrebbe fatto per cena. Al culmine del piacere
quell’uomo si lasciò andare e iniziò a chiamarla puttana
con disprezzo ed allora lei per non sentire quel
disgusto, pensò alla sua prima volta con suo marito,
sulla spiaggia di Camogli di notte con quella luna
incantevole che illuminava appena il suo seno voglioso
di baci. Ricordava ancora il suo vestito bianco leggero,
la cortesia di lui e quella sensazione unica di essere
diventata donna. Ma ora era tutto diverso, quell’uomo la
stava pompando come un ossesso e chissà quanto ancora
sarebbe andato avanti se lei non avesse concesso
qualcosa di sé. Allora iniziò a gemere partecipando
attivamente e per un attimo avvertì anche un lontano
piacere, ma quando lui venne lei scese immediatamente da
quella macchina, si sentiva sporca e sentiva il bisogno
di aria pulita come se respirare l’avesse riportata a
prima di quel rapporto, quando ancora non era
ufficialmente una puttana.
Restò lì in piedi,
per un po’, arrabbiata con se stessa, non tanto per aver
fatto l’amore con uno sconosciuto, ma per quel leggero
piacere che aveva avvertito durante il rapporto. Seduta
su quella panchina pianse. Certo era stata la sua prima
volta e sapeva che solo l’abitudine avrebbe reso tutto
più semplice e che prima o poi avrebbe sostituito il suo
coinvolgimento con la sola fredda esperienza. Quel
pomeriggio ebbe un secondo rapporto, ma senza
penetrazione, quel ragazzino più o meno maggiorenne si
era accontentato della sua bocca e lei lo aveva
addirittura ringraziato.
Prima di rientrare a
casa passò in rosticceria e con quei settanta euro
comprò della pasta al forno, pollo, patatine, una
bottiglia di vino rosso e una Coca Cola gigante per sua
figlia. Quando attraversò il portone di quella casa
popolare, sulle scale incontrò la sua vicina, parlarono
del più e del meno, ma Lea per non sentirsi a disagio si
chiese se anche quella donna per mandare avanti casa e
famiglia avesse una doppia vita e soprattutto quante
donne insospettabili arrotondavano la loro miseria senza
che nessuno lo sapesse.
Quando rientrò sua figlia
era nella sua stanza a studiare e suo marito seduto sul
divano con la tv accesa le chiese distrattamente dove
fosse andata. Ovvio era la solita domanda che non
prevedeva alcuna risposta e lei allora andò in bagno, si
tolse le calze a rete e la gonna corta, poi si guardò
nuda allo specchio rendendosi conto che nulla
assolutamente era cambiato e tutto era uguale a prima.
Suo marito di certo non stava pensando a lei, ma forse a
quella ragazzina con la quale passava lunghi pomeriggi
in soffitta e proprio lì si chiese come avrebbe reagito
se avesse saputo che sua moglie non solo aveva fatto
l’amore, ma l’avevano anche pagata per quel seno e
quelle cosce che lui da anni trascurava!
Poi
indossò la solita tuta di casa, uscì dal bagno e si mise
a riordinare la cucina scaldando la pasta, il pollo e le
patatine nel forno. Poi mentre apparecchiava la tavola
nella sua testa c’era sempre la stessa domanda ossia se
una puttana in qualche modo fosse riconoscibile e cosa
avrebbe dovuto notare suo marito per capire cosa avesse
fatto quel pomeriggio, ma tutto andò come al solito e
solo in quel momento si sentì sollevata come se
quell’ordinarietà avesse reso quel pomeriggio lecito ed
accettabile.
Sì certo sentiva ancora quel sapore
in bocca e quelle parole che la inchiodavano alla dura
realtà, ma ora era lì, attorno a quella tavola con suo
marito, sua figlia e la televisione accesa, convinta
che, fintanto loro avesse ignorato, non ci sarebbe stato
alcun motivo di dilaniarsi l’anima.
Quando
spense la luce distesa sul suo letto, non c’erano più
domande nella sua mente perché il calore e la serenità
di quella casa le aveva dato il giusto consenso e il
sapore dello schifo scomparve totalmente. Si addormentò
pensando che quella donna lungo quel viale non le
assomigliava affatto, perché Samantha non sarebbe mai
stata Lea e lei non avrebbe mai tolto nulla a suo marito
e a sua figlia, alla sua vita di ogni giorno e a se
stessa.
Con il tempo pensò si sarebbe abituata
ad uscire nel pomeriggio, a passeggiare lungo il viale,
a vendere l’amore, a truccarsi, a comprare il pollo e le
patatine, perché a tutto ci si abitua, come ci si abitua
alla pioggia, ai temporali estivi, al tradimento, al
rossetto, alla calza a rete, alla malattia, al seno che
ammicca, al licenziamento, alla cattiveria, alla
tristezza, al perizoma, al sapore del sesso, al pianto,
alla necessità, alle corna, alla monotonia, al cameriere
gentile, alle cinque fermate di autobus, alla fabbrica
in disuso, alla Coca Cola gigante, ma anche al sorriso
di sua figlia, all’indifferenza di suo marito, a fare la
puttana.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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