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Adamo Bencivenga
A Nervi nel '92
.Roma, Via Condotti. È
una bella giornata di sole. Lui seduto al suo solito
tavolo al Caffè Greco sta sorseggiando un aperitivo alla
frutta, con le gambe accavallate e gli occhiali da sole
legge distrattamente la pagina di cronaca del
“Messaggero”. È un bel quarantenne dai capelli
brizzolati, leggermente abbronzato indossa un vestito
fresco di lino panna e una camicia rigorosamente
celeste. Ha l’aria assonnata, distrattamente sbadiglia
per la notte trascorsa piacevolmente con una turista
spagnola. L’aveva conosciuta in compagnia di suo marito
vicino Piazza Navona, avevano poi cenato assieme e
gradito un tartufo gelato “Ai tre scalini”. Dopo quattro
passi tra le bellezze di Roma, il marito, stanco, aveva
preferito tornare in albergo e lui a quel punto,
prendendo la palla al balzo, aveva invitato la bella Ana
a casa sua. Dopo meno di un’ora erano già nel grande
letto di lui e senza mai concedersi una pausa avevano
fatto l’amore fino alle prime luci dell’alba.
Mentre ripensa a quella notte di fuoco i suoi occhi
insaziabili seguono le gambe delle belle donne a
passeggio, ogni tanto fa qualche apprezzamento e scambia
qualche occhiata complice con il vecchio cameriere che
conosce da anni. Lui è innamorato delle donne in genere
e soprattutto adora l’eleganza, la classe, i dettagli
delle scarpe e delle calze, ma in questo momento le sue
attenzioni sono tutte concentrate per la donna con il
cappello che gli siede di fronte.
A prima vista
sembra una donna più che interessante, lui la giudica
una signora a modo, poco più di trent’anni, fisico
perfetto, i suoi capelli sono una cascata morbida e
bionda sulle spalle, la sua gonna a pieghe uno sciame di
api che obbedisce ed ondeggia alla leggera brezza che
proviene da Piazza di Spagna. Ha in mano una cartina
stropicciata di Roma. I suoi occhi sono impazienti,
alternativamente guardano la mappa e la strada come per
orientarsi, come per cercare un riferimento.
Lui
non può non ammirarla, la sta letteralmente mangiando
con gli occhi da qualche minuto. Si vede da mille miglia
che è una turista e scommetterebbe il prezzo di
quell’aperitivo che sia italiana. Troppo affascinante
per non notarla, troppo preda per lasciarsela sfuggire!
Tutto fa pensare che sia sola, la borsa appoggiata
sull’altra sedia, la sua aria quasi smarrita. Comunque
lui, da vero esperto, aspetta quel poco e quel tanto per
avere la certezza.
Dopo circa dieci minuti si
alza, si toglie gli occhiali scuri e le va incontro, il
suo passo è felpato come un gatto che ha adocchiato la
sua preda. Si porta la mano sul cappello in segno di
saluto, poi accenna ad un impercettibile inchino
portando la mano destra dietro la schiena e gentilmente
le chiede se ha bisogno di aiuto: “Mi perdoni signora,
l’ho vista in difficoltà, ma non vorrei importunarla…”
Lei sta leggendo la cartina, sta cercando di
orientarsi, alza gli occhi, lo scruta da capo a piedi,
il suo sguardo è scientemente guardingo, ma alla fine
decide di accettare quella compagnia e allora toglie la
borsa dalla sedia e lo invita cortesemente a sedersi.
Lui ovviamente non chiedeva altro.
Si
presentano, si stringono la mano. Lei con voce
squillante dice: “Alessandra Satta.” Lui risponde con un
sorriso a trentadue denti. “Piacere Paolo Latini.” Lei
giustifica immediatamente quella insolita disponibilità
e dice che sta cercando un negozio di cappelli, giura
che sia lì a pochi metri, lungo quella strada. Lui non
lo conosce esattamente, ma risponde che in quel tratto
di strada ci sono diversi negozi che vendono accessori e
si offre di accompagnarla.
Intanto, con un gesto
plateale tipico di chi sa muoversi in questi frangenti,
lui chiama il cameriere alzando il braccio. Ordinano
entrambi un caffè al ginseng. Poi parlano del più e del
meno, lui è affabile, scherza, fa battute sui romani,
sulle belle signore del centro a passeggio. Lei parla
del tempo, dice che quella mattina ha lasciato la sua
città sotto un temporale e qui a Roma ha trovato un
bellissimo sole che scalda anima ed ossa.
Lui,
mentre lei parla, la guarda e non può non notare il suo
rossetto rosso fuoco che ingrandisce sensualmente le sue
labbra, le sue unghie perfette leggermente appuntite, la
sua gonna che sfuma tra il giallo ed il verde, il tacco
alto, e nonostante sia estate, la sua calza nera velata
e quel vedo e non vedo della sua camicetta di seta
sbottonata ed aggraziata da merletti maliziosi
all’altezza del seno generoso.
Maliziosamente
tira ad indovinare, forse una terza oppure una quarta.
Lui non ama il seno troppo grande, ma il fatto che lei
sia senza reggiseno e dalla seta s’intraveda un leggero
rigonfio dei suoi capezzoli lo fa sognare ad occhi
aperti. Pensa alla dea bendata, alla fortuna sfacciata
che in questo pomeriggio di sole gli ha strizzato
l’occhio e allora non può non immaginare che se sfoggerà
a modo le sue migliori armi di seduzione tra poco potrà
ammirare quel seno nudo e magari toccarlo, e magari
stringerlo e magari farci l’amore dentro una delle tante
pensioncine con aria condizionata del centro che lui ben
conosce. Crede davvero che manchi poco tempo, è certo che
lei sta aspettando solo un suo invito. E allora
immagina la stanza in penombra, la luce che filtra dalle
persiane e poi immagina lei, nuda ed accogliente, ora
genuflessa al suo piacere, ora distesa sul letto che si
lascia andare e lo reclama, e lo pretende, ringraziando
il destino per averle concesso due ore di svago.
Il vecchio cameriere ha portato i due caffè al ginseng,
ora l’atmosfera è più amichevole, lui continua a fare
battute e lei si scioglie, ora ride, ora si guarda
vezzosamente nello specchietto dei trucchi, ora gli dice
che le ricorda un famoso comico romano. Poi per sommi
capi si sente in dovere di raccontargli parte della sua
vita. Gli dice che è una professoressa precaria di
lingue, inglese e spagnolo, che vive di supplenze e
ripetizioni e che quella mattina si è alzata molto
presto e girando per la Stazione di Genova ha deciso di
prendere il primo treno al volo. Ammette anche che non è
la prima volta che le succede.
Ed ora è qui a
Roma in cerca di un cappello rosso ciliegia che ha visto
su un mensile di moda. Apre la sua borsa e porge
all’uomo la rivista. Ovvio che il cappello è solo un
pretesto e allora, seguendo il filo dei suoi pensieri,
gli dice che è divorziata, che non ha figli, che è
uscita da poco da una relazione tormentata, che ha una
sorella molto apprensiva, che vive in un monolocale di
venti metri proprio di fronte alla stazione di Nervi e
che le sue giornate passano lente e noiose, e che quei
viaggi a Roma sono solo un pretesto per fare qualcosa di
diverso e sentirsi viva.
Lui parla poco, non è
abituato a parlare di sé. Le racconta qualche aneddoto
di poco conto, le dice che è un appassionato di tennis e
calcio, che è un tifoso della Roma, che adora la buona
tavola, il buon vino, le serate a poker con i suoi
amici, i locali dove si balla il liscio, che ama le
canzoni degli anni ’60, e che di solito passa le sue
serate in completa solitudine davanti alla tv. Non dice
altro e lei non chiede.
Finito di bere il caffè,
lui paga e con un gesto plateale, dà al cameriere una
lauta mancia. Ora si alzano, passeggiano tra l'estate
deserta di una Roma accaldata, tra i vicoli stretti e i
tacchi di lei che ad ogni tre passi si infilano nei
sampietrini. Lei non può non ridere e lui non può non
guardare quel bel seno che libero danza sotto la
camicetta trasparente di un tenue verde onda marina. Il
cappello color ciliegia è già un ricordo quando lui le
propone di rilassarsi lungo i viali ombrosi ed alberati
di Villa Borghese. Si fermano a bere ad una fontanella
che butta acqua perenne, lei è meravigliata, non riesce
a bere, lui le insegna il metodo e allora ridono di
nuovo. Lui involontariamente le dà del tu e lei fa
finta di non accorgersi. E come nelle favole lei stanca
si siede su una panchina scolorita. Lui pensa che sia
quello il momento, ma non osa, non vuole per nessun
motivo farsi scappare l’occasione e rovinare tutto. Sta
pensando alla pensione e vuole accelerare i tempi. E
allora per far sì che lei si fidi ciecamente parla di
lui, le dice che è un commerciante di scarpe da tennis
all’ingrosso, che è separato ed oggi ha deciso anche lui
di prendersi un po’ di riposo. Parla del destino che li
ha fatti incontrare. Le prende la mano, lei non la
toglie.
Poi lei ci ripensa e a bruciapelo gli
chiede: “E se tu fossi un violentatore di
professoresse?” Ridono. Lui sta al gioco e ammette di
essere uno stupratore di belle donne genovesi in cerca
di un cappello rosso ciliegia e che quando l’ha vista
seduta in quel bar ha immediatamente pensato che facesse
al suo caso come del resto le tante altre donne che
finora sono crollate sotto i colpi del suo fascino. Anzi
rincara la dose e le assicura che in cronaca sul
“Messaggero” di oggi c’era appunto un trafiletto della
solita turista violentata questa notte in una pensione.
Ridono. Lei ammette di essere attratta da quel tipo di
uomini e che non vedeva l’ora di incontrarne uno così
sincero e schietto.
A poco a poco la diffidenza
di lei svanisce, addirittura guardando il panorama e la
meravigliosa scalinata di Trinità dei Monti si
abbracciano. Lui crede di essere a buon punto, già la
immagina nuda e vogliosa che si offre, ma purtroppo, non
tutte le ciambelle escono col buco e infatti lei,
guardando l’orologio, gli dice che tra meno di due ore
dovrà prendere il treno di ritorno e che assolutamente
non lo può mancare dato che il giorno dopo alle 12 in
punto ha un colloquio di lavoro per una cattedra di
ruolo.
Lui ha un attimo di esitazione, questo
del resto non era previsto, accusa il colpo, ma tenta
disperatamente una spontanea contromossa, cerca di
convincerla, le dice: “Alessandra sei bellissima.”
Vorrebbe aggiungere: “Non ho mai incontrato una donna
come te!” Ma sa che è troppo e allora la prega di
restare per la notte e prendere il treno la mattina
successiva molto presto.
Lei ci pensa,
quell’uomo, quel commerciante di scarpe, quel bel romano
separato, le piace tanto. Immagina già una cenetta
romantica a lume di candela e poi perché no? Un dopo
cena con lui. Lei si mostra disponibile, sì in
effetti potrebbe partire molto presto la mattina
seguente. Gli dà una piccola possibilità e allora insieme
decidono di dirigersi a piedi verso la Stazione Termini
per consultare l’orario dei treni e in caso cambiare la
prenotazione.
Camminano sottobraccio sotto quel
cielo azzurro, Roma è davvero disposta a far da cornice
ai loro sottintesi, i loro sguardi ammiccanti. Lui la
mangia con gli occhi e lei si fa mangiare. Purtroppo
però quando arrivano alla stazione si rendono conto che
la loro idea non è per nulla fattibile. Consultano gli
orari e si rendono conto che il primo treno per il
giorno successivo parte alle nove e trenta e non ci sono
altre coincidenze che provenendo da Sud la facciano
arrivare in tempo a Genova per l’appuntamento di lavoro.
Nel grande salone della biglietteria si guardano
intensamente negli occhi. Lei ammette: “Peccato mi
piacevi…” E lui: “Non sai quanto mi dispiace!” Poi lui
l’abbraccia, la stringe e attraverso la camicetta di lei
sente chiaramente il calore del suo seno, lei la
passione di lui. Hanno un attimo di smarrimento, hanno
più o meno una mezzora di tempo, lui con la mente cerca
una pensione lì, vicino alla stazione, pensa all’amore
di fretta, ad una botta e via. Lei intuisce i suoi
pensieri e dice di no con la testa, ma alla fine ha
un’idea: “E se venissi tu a Genova? Ti ospito a casa
mia. Stanotte possiamo tranquillamente dormire insieme e
domattina alzarci con calma.” Lui ci pensa, in effetti non
ha nulla da fare, nessuno che lo aspetta. Ma ha dei
dubbi, non ha un cambio, uno spazzolino da denti, il
necessario per stare fuori una notte. Lei ride: “Ti
arrendi così in fretta? Guarda che anche a Genova ci
sono tanti negozi…” Lui si fa convincere e alla fine
accetta. Le dice solo di dargli un attimo per
organizzarsi col lavoro. Allora va verso una cabina
telefonica e telefona.
Come nelle favole mezz’ora
dopo sono sul treno che li sta portando a Genova. Seduti
fianco a fianco si raccontano parti delle loro vite, un
po’ inventate, un po’ vere e un po’ solo esagerate. Si
stupiscono per quella sintonia così immediata, anche se
entrambi sanno che la loro attrazione è solo fisica. No,
no, non sta nascendo un amore, ma è solo l’inizio di una
notte di fuoco e tutti e due ne sono consapevoli.
Poi lui stanco per la notte passata, dopo un po’ si
addormenta. Lei continua a leggere una rivista di moda.
Quando lui si sveglia sente la voce calda di lei che
sussurra: “Paolo siamo arrivati, svegliati!” Il treno è
già fermo, lui apre un solo occhio e dal finestrino
legge il cartello: Stazione Genova-Nervi. Lei gli
sorride e lo invita ad alzarsi. Ha smesso di piovere, la
temperatura è gradevole.
Ora sono nel monolocale
di lei a Nervi. Lui la bacia e la spoglia, lei a seno
nudo prepara un piatto di spaghetti. Poi stappa una
bottiglia di vino rosso denso pugliese. Si dicono cose
sconce, si promettono amore. La notte è di quelle
indelebili, niente a che vedere con quella passata con
la bella spagnola. Nell'attesa eccitante di un'alba
vicina lui la prende e lei si fa amare, sul terrazzo di
casa, sul piccolo divano in ingresso e poi bendata e
legata alla spalliera del letto nel gioco perenne di
schiava e padrone.
Il giorno seguente, dopo che
lei ha superato alla grande il suo colloquio di lavoro,
chiama la sorella Clara e le racconta praticamente
tutto, dell’incontro di via Condotti, del cappello color
ciliegia, del bel romano che ha incontrato al Caffe
Greco e le dice anche che ora lui è lì con lei seduto
sul suo divano ancora assonnato per la notte passata.
Clara è apprensiva, conosce la stravaganza di sua
sorella, e le dice di fare attenzione, che nella vita
non si può mai sapere. Lei la tranquillizza, dice di
avere la testa sulle spalle e il cuore in subbuglio.
Finito di telefonare lei si prepara, indossa un
tubino rosso corto aderente e un cappello dello stesso
colore. Ai piedi un paio di sandali bianchi, sulle
labbra un rossetto rosso accecante. Sono circa le due
del pomeriggio, lei è decisamente eccitata ed euforica
per come è andato il colloquio di lavoro. Gli dice che
gli ha portato fortuna e desidera festeggiare passando
una giornata indimenticabile con lui.
Escono,
vanno in corriera a Portofino, lungo il viaggio si
stringono, si baciano, si godono il panorama. Poi
brindano con due spritz seduti al bar di quella
incantevole piazzetta e la sera vanno in barca a San
Fruttuoso e cenano a lume di candela. Sembrano
amanti ed in effetti lo sono, mano per mano, bocca per
bocca. Insomma stanno trascorrendo ore da sogno, ogni
tanto si chiedono se tutto ciò sia magnificamente reale.
Si vede a occhio nudo la loro magnetica attrazione, il
desiderio complice di unirsi e allora decidono di
tornare a casa, sanno che il tempo è poco, sanno che non
durerà per sempre. Per il momento sognano e sognano
insieme quando nel letto nell’istante preciso quando lui
sta entrando in lei, lei lo blocca e gli propone una
pazzia, un trio per la notte con una di quelle che per
poco e per niente, passeggiano e fumano sotto i lampioni
di Genova. Sì ok niente di elegante, solo una pura
trasgressione. Lui è scandalizzato, non ha mai fatto
l’amore a tre, mai nessuna donna gli ha proposto di
farlo, nonostante le sue tante conquiste, le sue tante
turiste. Lei si sta dimostrando un’amante perfetta,
la partner ideale per fare sesso, ed alla fine lui
decide di seguirla nella sua idea bizzarra. Escono, la
notte è accogliente, pochi passi e sono lungo i viali
della stazione, chiedono il prezzo ad una bionda seduta
ai tavolini all’aperto di un bar chiuso. La bionda è
affabile, forse russa, dice che non ha problemi, ma è
troppo alta, ha le tette rifatte, un viso androgino,
forse è troppo finta per lei. Lei avrebbe voluto una
“bocca di rosa”, qualcosa di più vero, fresco,
abbordabile. E allora non si può fare, Alessandra ci
ripensa, mentre lui parla con la russa lei lo distoglie,
si frappone tra i due, lo bacia, lo vuole tutto per sé,
e allora lo trascina nel bagno pubblico della stazione.
Si denuda completamente, gli offre le sue mutandine e
poi lo invita platealmente a penetrarla, mostrando in
modo osceno le sue intimità, come se fosse lei la
prostituta, la sua bocca di rosa, come se quel viale
fosse deserto e lei l’unica donna disponibile nel giro
di mille chilometri.
Fanno l’amore lì, così come
viene, incuranti di ciò che potrebbe accadere. Si
consumano e si sfiniscono addosso a quelle piastrelle
umide di un giallo impossibile. È sesso breve, intenso,
violento, ma sa anche di degrado e di incuria, sa di
occhi di foglia che basta prendere per la mano, di una
notte che entrambi ricorderanno per sempre. Lui è perso,
le urla che la ama e intanto spinge, e intanto la fotte
oltre le misure del suo pene mentre lei si apre e
agevola il suo percorso, di quell’uomo incredibilmente
maschio. Passano pochi minuti, sento dei rumori, un
inserviente entra nella toilette, allora di corsa
escono, fuggono, tornano a casa, salgono le scale di
fretta, stappano una bottiglia di vino rosso, una di
spumante e si amano di nuovo a loro modo, in ingresso,
sulla terrazza, in camera da letto.
Lei lo
invita a picchiarla, a sbatterla, ad affondare i colpi,
vuole sentire il dolore vivo e allora gli racconta di
quando è stata violentata per la prima volta a quindici
anni dal suo professore di musica o quando lei stessa si
è innamorata di un suo alunno e gli mostrava le cosce
senza mutande sotto la cattedra a scuola. Ora apre
un cassetto dell’armadio, tira fuori un grosso pene di
gomma fucsia e gli dice che ora quello sarà l’unico suo
vero amante. Lo provoca ovvio, gli dice che lui non
riuscirà mai nell’intento di farla godere appieno, allo
stesso modo. Poi ride, urla, le sue pupille sono
dilatate e allora gli offre gli arnesi del piacere. le
sue manette d’acciaio, il suo frustino di cuoio, lo
invita a penetrarla col suo fallo colorato poi con la
bottiglia di spumante, a riempire ogni suo vuoto
siderale, ogni buco che l’anima offre. Lui obbedisce, si
sente maschio, sente la sua carne cedere, ma sotto le
urla di desiderio di lei non si ferma. Per lui è una
notte indimenticabile, da raccontare a puntate ai suoi
amici del poker, mai avrebbe pensato che in quella
signora così graziosa ed elegante incontrata in Via
Condotti a Roma, dal visino tondo e dolce, che stava
solo cercando un cappello rosso ciliegia, si nascondesse
l’essenza del piacere, la trasgressione sublime del
sesso e il senso oscuro e inquietante della violazione.
Lui è sopra di lei, pensa a quando lei nella
solitudine di quella casa si cerca e si consuma da sola,
si sente un oggetto e sa di valere quanto quel fallo
fucsia che ora giace su quel letto. Non vuole deluderla,
resiste, ma c’è qualcosa che lo confonde, qualcosa di
inafferrabile, qualcosa che va oltre il suo controllo.
Le parole di lei si confondono nella sua testa, si fanno
buio pesto e luce violenta, le sue urla lo invitano a
non smettere. Lei non lo molla, gli grida di andare
oltre quell’oltre, lo invita ad afferrarle la gola, a
stringerla forte, a strozzarle completamente il respiro.
Lui obbedisce, stringe e la penetra, obbedisce e la fa
sua, esattamente dove lei gli ordina di andare, in una
dimensione che lui non conosce, ma in cui ora non può
non andare.
Silenzio. Sono le prime luci
dell’alba, fuori si sente un cane abbaiare, un treno che
riprende la sua corsa. Nel silenzio inquietante di
quella casa, lui va in bagno, si veste, poi torna, sul
letto giacciono i residui di una notte di passione, le
bottiglie di vino, l’armamentario erotico. Lei sta
dormendo ancora ammanettata, lui decide di non
svegliarla, prende le sue cose ed esce. Vorrebbe
scriverle un biglietto, ringraziarla per quei due giorni
stupendi, addirittura dirle che la ama, ma ci ripensa
perché sa che in tutte le storie belle c’è sempre una
fine, ed ora è tempo di andare, come tutte le favole c'è
sempre in agguato una carrozza in attesa che diventerà
zucca, un treno che parte puntuale per Roma.
*****
Sono passati tre giorni. Sotto il
solo cocente di Roma lui è seduto al suo solito posto al
Caffè Greco, il vecchio cameriere ammicca, le belle
turiste passeggiano per Via Condotti. Sotto una piccola
ombra lui si sta gustando un ottimo caffè e di
Alessandra gli rimane solo un bellissimo ricordo e
l’odore intenso della sua pelle fresca. Non l’ha più
sentita, ma ricorda ancora quell’immagine di quel
pomeriggio romano, quella meravigliosa signora così
elegante seduta davanti a lui. Non ha un suo recapito
telefonico, forse un giorno l’andrà a trovare, ma ora il
suo desiderio vorrebbe che si materializzasse di nuovo
ai suoi occhi, lì davanti a lui come tre giorni prima,
ma sa che il destino non passa mai due volte.
Sta
leggendo il giornale, distrattamente lo sfoglia, finché
in un trafiletto di cronaca italiana a fondo pagina
legge. “Delitto passionale a Genova. La signora
Alessandra Satta è stata trovata strangolata nel suo
appartamento di Nervi. A dare l’allarme è stata sua
sorella Clara preoccupata perché non la sentiva da tre
giorni. Dopo varie telefonate ha deciso di rivolgersi
alla Polizia. Gli agenti del Commissariato Nervi dopo
aver sfondato la porta, sono entrati ini casa ed hanno
fatto la macabra scoperta. La vittima era riversa nuda
nel suo letto ancora legata, imbavagliata e ammanettata.
Probabilmente dopo un rapporto sessuale. Dell’assassino
nessuna traccia. Secondo la sorella della vittima si
tratterebbe di un quarantenne di Roma che la donna
avrebbe conosciuto il giorno prima della morte al Caffè
Greco di Roma. Sempre secondo la sorella l’uomo si
sarebbe fatto avanti con il pretesto di accompagnarla in
un negozio di cappelli. Poi però dopo una lunga
passeggiata per le vie del centro, non sappiamo per
quale ragione, lei lo avrebbe invitato a stare due
giorni nella sua casa di Nervi dove si sarebbe consumato
il delitto. Alessandra aveva 32 anni.”
FINE ..
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
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Photo Fabrizio Romagnoli
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