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RACCONTI 
Adamo Bencivenga
IL GIORNO DI SANTA
CATERINA
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La stanza è vuota di luce e carica di suoni perché oggi
è il giorno di Santa Caterina e le voci della festa
salgono dalla strada e s’arrampicano come topi sulle
palme rinsecchite, entrano dagli scuri e filtrano dalla
tenda, rigonfia di vento caldo che spira dall’Africa
orientale.
La stanza della piccola pensione al
primo piano è povera ed essenziale, ricca solo del
necessario, con un letto, un televisore, due comodini ed
una lampada messa a velare per un amore di un’ora
appena, per due amanti clandestini. E loro sanno che qui
non si comprano servizi, non c’è lusso e non c’è
ricchezza, ma solo la bocca chiusa e il sorrisino della
donna all’entrata a cui non occorre spiegare nulla.
I due amanti si guardano, lei in disparte annuisce,
lui paga il sovrapprezzo e poi salgono le scale.
Impazienti si toccano come se non si fossero mai visti,
ma si conoscono a memoria per le tante ore passate
dentro quella pensione, per i tanti anni che si sono
desiderati.
Ora l’uomo è seduto sul letto, ha il
ghigno da sposato e i baffi folti e neri, porta una
canottiera bianca a costine, ha peli fitti sul petto e
sulle spalle, più che un amante sembra uscito da un film
in bianco e nero, più che abbronzato sembra cotto dal
sole. Sì perché lui è un vecchio lupo di mare, anzi un
pescatore e tra meno di un’ora salirà sulla sua barca e
passerà tutta la notte in mezzo al mare.
Ora
però, con le spalle contro la spalliera ha l’aria
soddisfatta come un cacciatore davanti alla sua preda,
guarda la crepa nera che corre lungo il soffitto
ammuffito, per ora fuma e butta con disprezzo la cenere
sul pavimento e fissa con lo stesso spregio la sua donna
apparecchiata di pizzi e merletti per il suo esclusivo
desiderio. Ogni tanto la sgrida, altre la ignora
guardandola senza trasporto, ma non perché non abbia
voglia, non perché non sia eccitato, ma solo per il
gusto di sentirsi maschio indispensabile e possederla
mentalmente, prima, durante e dopo l’amore.
La
donna invece ha 47 anni, dieci più di lui, ha due figli,
un marito da tradire e una quinta che obbedisce
inesorabilmente alla gravità della natura. Un po’ se ne
vergogna e un po’ se ne vanta, convinta che nessuna sua
rivale, che sia sua moglie o sirena in mezzo al mare, si
vestirebbe in piena estate in quel modo per il solo
gusto di piacere e sentirsi desiderata.
Per
questo è coperta di pizzi neri come una tavola bandita,
per questo ha una secchiata di rosso sparsa sulle labbra
e si mostra e cammina con grazia leggera nonostante il
peso delle sue curve abbondanti. Per questo ora si ferma
e poggia un piede sul bordo del letto e con gesti
studiati sgancia le calze chiedendosi puntualmente cosa
mai, quell’uomo così bello, giovane e sposato, possa
trovarci di tanto sensuale.
Certo sì, lei non è
più giovane e sa benissimo che quell’uomo non l’ha
scelta per il suo aspetto, per le sue labbra o i fianchi
rotondi, ma semplicemente perché si presta al gioco del
tradimento e ora obbediente sta sfilando come una
professionista le sue mutandine nere e geme a quegli
ordini muti come fosse il canto di una passera che cova
nel nido dell’amore.
A lui del resto basta un
gesto muto per ordinare, a lei lo stesso cenno per
servire come ora che si inginocchia, si raggomitola sul
pavimento e, mostrando le pieghe di carne del suo
sedere, a carponi s’allontana e va verso la finestra.
Sa che tra poco lui le chiederà di alzarsi, sa che
lei si rifiuterà per gonfiare l’attesa, perché il gioco
non prevede che lei possa sottrarsi, ma poi
inevitabilmente, come se fosse scritto sulle Tavole del
Signore, socchiudendo appena gli scuri, mostrerà la sua
quinta abbondante alla domenica, a Santa Caterina, ai
nani, alle ballerine e alla banda che suona con le mazze
ed i tamburi.
Tra poco la santa delle sarte
uscirà ingioiellata dalla chiesa e in processione
passerà vergine e pura sotto quella finestra e la donna
lo sa che è un gioco vizioso tra sacro e profano, lo sa
che è un rischio così grande da disonorarla per tutta la
sua vita, ma a lui piace e lei non può fare a meno di
sentire quel comando, di sentire il suo bisogno che
liquido cola, che denso si scioglie come succo d’agave
del deserto.
Poi tutto silenzio, il silenzio
dell’anima e dell’attesa, la banda tace, le ballerine si
riposano e un nuovo ordine prontamente arriva, una nuova
ubbidienza che la fa sussultare, perché è nella
disciplina mentale che lei sa stare, perché è nella
regola dei sensi che appaga il suo desiderio di amante e
femmina sposata, quando accenna sommessamente ad un
gemito più intenso e lui le ordina di stare zitta e di
non parlare, quando intensamente la guarda e lei si fa
guardare.
Sa che ora è in balia di quel comando
che comunque sia sente come una rivalsa rispetto al suo
destino anche se lui adesso potrebbe crogiolarsi al
piacere ignorandola del tutto senza riguardo e senza
accortezza, spremendo quel seno come spugna di mare
oppure addentare le sue labbra, coprirle di baci e farle
sanguinare. Lei non sa cosa mai potrà accadere perché la
sua natura non consente di domandare, perché nell’abisso
dei sensi può solo sprofondare e perché in quell’amore
non c’è nulla per potersi poi vantare.
Sa solo
che ora è lì nuda del suo presente, che reclama un solo
bacio per alleviare i suoi tormenti, di ladra che ruba
il tempo di festa ai suoi figli e dona le sue tette
all’Africa Orientale. Forse è per questo che
s’accontenterebbe anche solo di strisciare, perché lui è
sposato e prima d’ogni partenza in mare c’è sempre una
moglie da soddisfare e un’amante gelosa che cerca di
recuperare, per guadagnarsi le voglie di quel maschio ed
offrirgli l’ultima goccia prima della notte lunga in
mare.
La donna lo sa e per questo s’immerge
nella parte trovando piacere al pensiero che lui
infanghi il suo nome, che sa di femmina persa, che sa di
troia di paese, come ora lui sta pensando, anche se la
conosce a fondo perché prima di essere amanti sono stati
amici ed ora parenti e cognati. E lui lo pensa e lo deve
pensare perché il gioco prevede ora che lei si
sottometta e lui la disprezzi, perché lo ha seguito sin
lì il giorno di Santa Caterina, perché si fa scopare
senza alcun compenso oppure un effimero pretesto che sia
un regalo, una carezza o peggio un fiore. Perché lei è
sua cognata, la sorella di sua moglie, zia dei suoi
figli, perché lei è il suo segreto più segreto di
qualunque altra e per questo se ne compiace.
Ma
lui ora che la guarda di traverso, nei sottintesi gonfi
di abitudine, non deve fare nulla, non si deve sforzare
di parlare, dirle che è bella, dirle che la desidera e
vorrebbe far l’amore, ora conta solo quella presenza di
maschio, quel sudore grave intriso d’odore, quello forte
di mare, quello intenso di pesce, di sesso e di sudore,
e quel ghigno sprezzante che fa parte del loro gioco.
Solo a quel punto lui parla, la offende e la
oltraggia, la umilia e la degrada, perché è più forte
del sesso quel piacere, dicendole che vale poco meno di
sua moglie, anche se le assomiglia, meno di una sirena
in mezzo al mare. Poi le chiede quanto si senta in colpa
per come si veste e come si spoglia, e perché mai si
faccia umiliare dai suoi rifiuti, svergognare dagli
sguardi di paese, di uomini morbosi, che sanno che ha un
amante, che sanno che si fa scopare. E a quel punto lei
geme, urla, piange e si dispera, in un misto di sesso e
d’affetto, di falso e di vero. Perché ora lei gli sta
dicendo che morirebbe per lui, che si pugnalerebbe
l’anima se lui la lasciasse, anche se non sa dove si
trovi, ma indica le sue cosce schiuse al vento d’Africa
e a Santa Caterina.
Ma lui è irremovibile,
recita la parte senza cuore perché è così che deve
andare e rincara la dose e le dice arrogante che non ha
bisogno di carne nuda, che non ha voglia di quel seno
grasso, che due tette piene di malizia le può trovare
altrove, per questo ora, immerso nel suo gioco, si
riveste, per questo ora la lascia nuda su quel pavimento
ed esce dalla stanza senza grazia e senza un saluto.
La stanza ora è vuota di luce e gonfia di odori, di
un tradimento mancato o che sta per avvenire, e allora
la donna si alza e nella penombra si riveste davanti
allo specchio. Sa che lui è fuori dalla porta, sa che è
una recita che sembra vera, ma sa anche che deve essere
più bella di chiunque altra e perfino di sua sorella, sa
che ogni amante ha una sua rivale, che ogni donna ha le
sue corna, nella mente o in fondo all’anima, vera o
presunta che comunque ci sa fare.
Allora sa che
non deve fallire, perché quell’effimero gioco dura il
tempo di una passione, una bocca che succhia e un
maschio che si fa succhiare. Perché non sia mai che lei
non sia pronta e allora di fretta infila di nuovo le
calze, poi aggancia il reggicalze, un po’ di rossetto e
talco sulla pelle, per asciugare le tette e quell'umore,
ma non mette le mutandine perché così deve essere e così
deve stare.
Ora piena d’attesa si distende sul
letto, si accende una sigaretta e fuma, pensa al suo
uomo e a quelle mani piene di anelli, alle secchiate di
rossetto che sa d’amore a pagamento, pensa al vigore del
suo uomo, alla maestria di della sua bocca come fosse
una di quelle. Certo sa anche che è un gioco, che tutto
ha un fine per nutrire il suo piacere, ma conta lo
stesso i minuti, guarda il soffitto ed aspetta il suo
momento, perché conosce a memoria i tempi, la scena e il
desiderio che sale, come fosse un film già visto in
televisione.
I suoni del giorno di festa
schiamazzano al ritmo di una fanfara e salgono dalla
strada, s’arrampicano sulle palme e gonfiano la tenda,
spinti dal vento caldo che spira dall’Africa orientale.
La donna si guarda intorno sa che tra poco la presenza
di lui ravviverà quello squallore, ha già vissuto quella
scena e si gode l’attimo prima del temporale, l’attesa
prima dell’evento, perché proprio in quel momento lui
apre la porta, nell’istante esatto che lei lo reclama, e
ora lui entra e si avvicina, come fosse un cambio di
scena, come fosse un cambio d’umore.
Ed è questo
il momento quando lui si avventa sulla sua preda e la
venera come fosse la Madonna e lei spalanca le sue porte
come le chiese di domenica, o il giorno di festa di
Santa Caterina. Ora lei geme, sospira, si accarezza e
chiede il suo maschio e chiede la sua razione, l’unica
ragione per non sentirsi trascurata, anche per un solo
attimo, per un solo gemito d’amore. E allora lo invita
nella sua carne, nell’unico posto dove lui sa stare,
dove la donna è donna e l’uomo il suo piacere, lo
invoglia nelle sue gambe schiuse come un fiore, in
quell’unico paradiso che non conosce altre femmine, che
non conosce altre donne da saziare.
Ora sì che è
lui che la bacia e lei si fa baciare, tra quelle cosce
abbondanti di nettare e mare, lungo la schiena e il
taglio del sedere, lungo le gambe e il seno da
ciucciare. Perché ora lui è sopra di lei, le bacia i
capelli, lecca i suoi sudori e la penetra nella culla
che sa di miele, dove tutto ha un senso e nulla una
ragione, e tutto torna al suo posto come l’epilogo di
una finzione, e tutto il resto svanisce e l’intorno
scompare, compresa una moglie che si nega, che poi è sua
sorella, e un marito pescatore ancora da soddisfare, i
figli alla festa e la Santa in processione, il vento
dell’Africa e le zanzare, le altre sirene che lo
aspettano in mare, parenti, cognati, i paesani che sanno
e quelli che non vogliono sapere, perché il futuro è
solo questo presente, le promesse diluite nel mare, in
un vortice che tutto risucchia e che solo la passione
può creare.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
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