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Adamo Bencivenga
La pesatura
La casa della sposa è quella bianca in collina, l’ultima
del paese immersa negli olivi, la casa è di pietra dura
cotta da quel sole, che all’orizzonte già s’appresta, a
scaldare un nuovo giorno. Perché da lì si vede il mare,
da lì tutto il paese, case, vicoli e fontane, tra la
folla che aspetta, vestiti tutto punto per il giorno
della festa, che circondano lo sposo impaziente sul
sagrato, che tormenta il suo cappello e stringe il suo
bastone, una gardenia bene in vista sulla marsina a
righe grigie.
Sulla porta rose bianche
abbelliscono quell’uscio, perché da lì la sposa esce
come un santo in processione, tra due file di sole
donne, per gli ultimi consigli, tra due coste di roccia
muta che le fanno da contorno. Lei scende lungo le
scale, attenta a non cadere, lentamente a capo chino,
passo dopo passo, strascicando la sua coda di seta e di
merletti, decorata da cento mani di fanciulle illibate.
Lei è bella, coperta in volto, nessuno può vederla,
nessuno la sua bocca, men che meno i suoi occhi,
arricchiti di kajal, sfumati d’antracite, che scrutano
curiosi sotto quel velo bianco panna, che sa di antico e
sa di oro, di broccato e di Borboni, di forzieri in
fondo al mare, di antica aristocrazia.
Lei scende
lentamente come un reo o una regina, come un branco di
cammelli fieri nel deserto, e sa di mercanti e
faccendieri che svendono le stoffe per un sorso d’acqua
pura. Perché lei scende lentamente e chiunque possa
dire, d’aver visto le sue dita ancora prive della fede,
d’aver visto una novizia in dubbio per quei voti, e per
un attimo soltanto, tra le labbra una preghiera, un
miraggio all’orizzonte che corre lungo il filo, che
nulla è ancora perso se non altro, il desiderio.
Perché lei leggera scende, impalpabile si muove, come
dentro un gineceo la prescelta fra le altre, come sposa
s’abbellisce, s’adorna di ghirlande, e profuma le sue
grazie, e vela le sue forme, quando aspetta il proprio
turno, e ringrazia il suo padrone per averla scelta, tra
le tante preferita, tra le poche concubine.
Perché lei leggera scende, tra gli spifferi d’incenso,
che si spandono striati tra le grate della chiesa, e sa
di sacro e di profano, di sandalo bruciato, d’ocra e
d’amaranto, di canapa e cotone, Perché lei leggera
scende e cammina verso il giorno e mostra i suoi
pendenti, che tintinnano a catene che la legheranno a
vita, data in sposa all’uomo ricco che l’ha scelta tra
le tante, data in sposa allo straniero senza mai averlo
visto.
Lui è approdato un bel giorno, vestito da
mercante, stanco dei tanti viaggi e dei postriboli
d’oriente, di vie della seta, di turchi e di cinesi, di
pirati e di razzie di prede e donne intatte, di zingare
felici durante i tanti balli, che precedono la notte
d’alcove a pagamento.
Deciso a fermarsi ha
chiesto in cambio una vergine, mostrando le sue stive
piene di tesori e chiedendo una donna, la più bella del
paese, coi capelli biondi biondi, morbidi e normanni e
due occhi grandi grandi, azzurri come il mare, tra le
tante in fila indiana davanti alla locanda, che
s’accalcavano all’uscio mostrando i loro averi, quei
seni generosi già pronti per l’amore, quelle bocche di
rossetto, viziose per la notte.
E lui l’ha scelta
tra la folla di giovani fanciulle, vedendola in disparte
lontana dalla ressa, chiedendo il suo nome ad un ragazzo
di passaggio, e chi fosse la famiglia e dove abitasse.
Andando il giorno stesso in quella casa bianca, l’ultima
del paese sopra la collina, ha chiesto la sua mano con
fare da mercante, raddoppiando il suo compenso per
averla il giorno dopo.
Ora su quella piazza
aspetta la sua nubenda, insieme al notaio, il prete e i
testimoni, di fianco ai suoi bauli, stipati di marenghi,
accanto a una bilancia, a bascula sospesa, come quella
del bestiame nei giorni della fiera, come quella del
buon grano per la tassa e la gabella. In attesa che la
donna scenda quelle scale e salutata dai cappelli salga
nella gabbia, e lo sposo dia inizio, alla sacra
pesatura, per stabilire il suo prezzo e quanto costa
quella grazia, e quanto la bellezza, l’incanto e lo
splendore, per comprarla a peso d’oro e farne la sua
sposa.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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