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I racconti di LiberaEva
Gilda
Memorie di una signora per bene
BELLA DA MORIRE
Il giorno dopo mi alzai molto presto. Pensai a
Maurizio e a quanto e come mi vedesse sexy, poi
saltando qualche anno, mi venne in mente il periodo
in cui avevo fatto la ragazza immagine ed avevo
avuto su di me tutti quegli sguardi sicuramente poco
innocenti. Alla fine di quei pensieri mi dissi:
“Gilda provaci, tanto nessuno lo saprà mai!” Davanti
all’armadio scelsi una gonna sexy di pelle nera e un
paio di stivali col tacco alto. Sotto indossai una
mutandina trasparente in pizzo nero e un paio di
autoreggenti velate. Sopra misi una camicetta super
aderente per mettere in mostra il mio seno e allo
specchio spalmai le mie labbra con un rosso fragola
intenso.
Scesi lentamente le scale. Mi sentivo
una regina e per la prima volta in vita mia,
nonostante fossi femmina fino al midollo, mi resi
conto di anteporre il mio aspetto a tutto il resto.
In realtà fino all’ultimo gradino della scala
continuai ad illudermi che dovevo soltanto
recuperare la mia macchina, ma nell’intimo della mia
coscienza soffocata sapevo benissimo che non sarebbe
stato solo quello e cosa sarei andata a fare.
Comunque camminai lentamente e non per i tacchi
alti, ma solo per dare tempo alla mia coscienza più
profonda di avere un minimo di ripensamento.
Scendendo incontrai la signora del piano di sopra,
quella a cui facevo le faccende domestiche, appena
mi vide disse: “Oddio Gilda, ma cosa hai fatto? Sei
bellissima!” Ecco fu quella frase a convincermi che
nella mia vita avevo sbagliato tutto.
Giovanni era con un cliente, ma appena mi vide,
salutò frettolosamente l’uomo, mi portò nel suo
ufficio. Non si scusò affatto, anzi rincarò la dose
esclamando: “Signorì le dispiace se mi metto
seduto?” Prese teatralmente un fazzoletto di stoffa
e si asciugò la fronte: “Lei è davvero un paradiso!”
Pensai in quel momento quanto ci volesse davvero
poco per circuire un uomo e sicuramente con molta
meno fatica che fare la cassiera o andare a
servizio.
Lui aprì un cassetto e mi diede le
chiavi della macchina e immancabilmente tornò alla
carica: “Faccia lei il prezzo.” A quel punto
abbassai gli occhi, era davvero arrivato il momento!
Mi resi conto di non avere più tempo, la decisione
andava presa all’istante e dovevo decidermi! Col
cuore in gola e instabile sui quei tacchi altissimi
mi appoggiai alla parete, presi fiato, ingurgitai
saliva e sparai una cifra esagerata, ovvero
l’ammontare delle tre mensilità di affitto che
dovevo al padrone di casa.
In fin dei conti per
me sarebbe stata la prima volta in assoluto che mi
concedevo a pagamento e non lo avrei fatto, per
nessuna ragione al mondo, per una cifra inferiore a
quanto avessi bisogno. La sua risposta si fece
attendere, del resto non era una cifra da poco e in
quel frangente sentii chiaramente il mio respiro
grosso e l’odore del mio rossetto misto a quello
forte di grasso e benzina. In cuori mio in quel
momento avrei voluto che mi dicesse di no, ma lui
prima si portò la mano sulla fronte, poi fece un
grosso respiro e mi guardò di nuovo da capo a piedi:
“Lei mi manderà sul lastrico, lo so, ma va bene! Per
lei questo ed altro!” Mi disse pregandomi di tornare
la sera all’ora di chiusura.
Rimasi delusa,
non so perché, ma avevo immaginato che avremmo
consumato subito in modo che non mi lasciasse altro
tempo per pensarci. Quel dente me lo sarei tolto
subito, ma purtroppo non andò così. Ovvio in quel
modo avrei avuto tutto il tempo per ripensarci e
soprattutto non avrei potuto dare la colpa al caso o
al fatto di non aver avuto tempo per riflettere.
Comunque andai al lavoro, sicura della mia
decisione, ma per tutto il giorno mi sentii strana.
Mi diedi della cretina, mi dissi di fare attenzione
perché di sicuro sarebbe stato solo il primo di una
lunga serie, il mio primo cliente e non l’unico, ma
poi ci tornai su quel pensiero ossia che in fin dei
conti era solo la cifra di cui avevo estrema
necessità e di certo non avrei mai fatto quella
vita. Quell’incontro sarebbe stato unico ed
esclusivamente per pagare l’affitto! Così prima di
uscire dal supermercato tolsi due preservativi da un
pacchetto in vendita senza farmi accorgere
rimettendo perfettamente in ordine la confezione.
GIOVANNI
Alle sette meno dieci tornai
a casa, mi cambiai le mutandine, slacciai due
bottoni della camicetta e ripassai le mie labbra con
un rossetto alla fragola ancora più matura. Alle
sette in punto mi presentai all’officina vestita
esattamente come la mattina. Lui quando mi vide mi
disse di entrare, poi con fare sospetto guardò fuori
in strada e chiuse la serranda. Disse di nuovo: “Sei
davvero un paradiso!” Poi mi cinse i fianchi e mi
guidò verso il piccolo ufficio. Mi ero ripromessa di
non pensare e così feci lasciando a lui ogni tipo di
iniziativa. Certo la cifra non avrebbe giustificato
altro che l’amore completo e così avvenne. Presi i
preservativi e li poggiai sul tavolo. Non ci furono
preliminari ed io non dovetti impegnarmi più di
tanto. Giovanni si sbottonò i pantaloni della tuta e
notai quanto già fosse eccitato. Mi sfilò la gonna,
slacciò la camicetta e poi mi invitò a distendermi
su un plaid verde che aveva adagiato sul pavimento
vicino alla scrivania. il tempo di togliermi le
mutandine, mettersi il preservativo ed era già
dentro di me. Forse preso dall’eccitazione o forse
per il pensiero che si stava scopando una ragazza di
sicuro più giovane di trenta anni di sua moglie non
resistette a lungo e dopo avermi baciata e sospirato
quanto per lui fossi un sogno ad occhi aperti venne
come un ragazzino.
Non ci volevo credere, al
contrario di quanto pensassi durò il tempo di un
respiro. Dopo tre minuti era già tutto finito ed io
non avevo avuto neanche il tempo di pensare. Niente
a che vedere con le ore ed ore di sesso gratis con
Maurizio, Giancarlo, Marco o il Direttore del
supermercato, ovvio qui non c’era amore e mi resi
conto di quanto il sesso senza amore si riducesse
all’essenziale ovvero al bisogno, all’istinto nudo e
crudo del maschio e alla totale passività della
donna.
Certo lo avevo sentito dentro sì, ma
ricordavo solo la penetrazione iniziale e poi il suo
rantolo liberatorio al raggiungimento del piacere.
In mezzo il nulla, come se non fossi stata io la
donna distesa su quella coperta, come se nessun
corpo estraneo fosse entrato nelle mie intimità.
Insomma non mi sentii per niente sporca e la cosa
che mi fece più pensare fu appunto la mia totale
assenza, come se non ci fosse stato alcun
coinvolgimento fisico. Come una bambola gonfiabile
ero stata semplicemente lì ferma ad aspettare il suo
piacere ovviamente senza venire anche se per solo
scrupolo finsi di godere. Per la prima volta capii
cosa davvero fosse fare la puttana e che poi in fin
dei conti non era neanche troppo impegnativo o
disgustoso. Mi ero fatta penetrare da un pene
sconosciuto, certo, ma nella mia vita avevo fatto
sicuramente di peggio e pure gratis! Mi sentii
sollevata pensando quanto, facendo quel tipo di
sesso, non avessi offerto nulla della propria anima.
Nonostante la mia passività lui mi accarezzò
la fronte e mi disse che ero stata meravigliosa e
mentre mi stavo rivestendo mi baciò in bocca
dicendomi: “Sei stata davvero carina Gilda! Non
avrei mai creduto che tu accettassi la mia
proposta.” Poi aprì la cassetta di ferro e mi diede
il dovuto. Nonostante facessi la cassiera mi fece
uno strano effetto vedere tutti quei soldi in una
volta sola per me. Certo me li ero guadagnati e in
un certo senso ero fiera di me, delle mie cosce,
delle mie tette, del mio spirito libero. Già perché
ora ero davvero una donna libera! Puttana sì, ma
libera! Lui, dandomi il dovuto, mi disse: “Guarda
che le puttane si fanno pagare sempre prima e non
dopo!” Da quella frase capii che lui aveva capito,
ossia che era stata la mia prima volta.
Accettai la lezione con un mezzo sorriso. Già ero
una puttana, ma in quel momento non mi pesò affatto.
Quando ci salutammo mi disse: “Se ci sarà un’altra
volta ti vorrei vedere con un paio di stivali
rossi!”
Tornando a casa mi sentii leggera e di
buon umore pensando però che prima o poi sarebbero
arrivati tutti gli effetti traumatici della
consapevolezza. Avevo passato una vita a rivendicare
la mia indipendenza, la mia dignità fuggendo da mio
padre e mia madre e quindi ero ben cosciente che da
un momento all’altro avrei pagato quel gesto. Ma la
mia depressione rimase fuori di me, dal mio mondo e
dal negozio dove comprai due gonne corte, della
biancheria intima e ovviamente un paio di stivali
rossi alti a metà coscia e dal tacco impossibile.
La sera nel letto mi concentrai nell’esatto
momento in cui Giovanni era entrato dentro di me,
finalmente sentii fisicamente il suo pene che non
era affatto diverso da quelli che a parole avevano
detto di amarmi. A modo suo anche Giovanni era un
amante e finché lo avrei fatto solo con lui mi sarei
tenuta alla larga da qualsiasi amara riflessione. In
un certo senso mi fece pena, lo avevo preso per la
gola e allora decisi, se ci fosse stata una seconda
volta, di essere carina con lui e di accontentarlo
indossando quegli stivali. In fin dei conti
caratterialmente somigliava al mio tipo d’uomo e in
qualche modo mi pentii di aver finto e di non aver
goduto con lui. Lo feci all’istante dentro il mio
letto e ripensando ad ogni momento dentro
quell’officina mi lasciai andare ed arrivai poco
dopo ad un orgasmo liberatorio.
NICOLA
Passò qualche settimana e le attenzioni di
Giovanni rimasero inalterate, all’ora di chiusura mi
facevo trovare bella e provocante nella sua
officina, lui stendeva la coperta e nel giro di un
minuto massimo consumava tutta la sua voglia.
Ovviamente le cifre delle prestazioni non furono più
quelle della prima volta, anzi non chiedevo nulla,
ma lui ugualmente mi riempiva di regali che furono
sufficienti per arricchire il mio guardaroba di
tacchi altissimi, tubini attillati, gonne corte e
vestiti con scollature vertiginose, e su consiglio
del meccanico aggraziai il tutto con mutandine di
pizzo, autoreggenti, perizoma interdentali e una
serie infinita di reggicalze.
Dalla frenesia e la
velocità di Giovanni compresi quanto fosse utile e
importante il modo di vestire per quel tipo di
sesso. La sensualità effettivamente riduceva i tempi
allo stretto necessario e soprattutto facilitava le
occasioni.
Nacque tra noi un rapporto che
andò oltre il sesso, anche se restò sempre una
componente importante. Lui mi chiese se fosse stata
la prima volta ed io gli risposi che la cifra
esagerata della prima volta era l’esatto ammontare
di quanto dovevo al padrone di casa per l’affitto,
per cui pagati i miei debiti non si sarebbe stato
motivo di continuare con gli altri.
Da quella
frase capì che non mi era indifferente e lui a poco
a poco s’innamorò di me ed io di lui. L’amore a
pagamento in officina rimase solo un ricordo, di
solito lo facevamo comodamente nel mio letto e dopo
le prime difficoltà iniziai a godere come una pazza
al punto che ero io a pretenderlo mandandogli
messaggi hot ed evidenti ammiccamenti. Certo non era
un amatore meraviglioso e le sue performance si
limitavano allo stretto necessario, i suoi anni si
facevano sentire e allora per reggere a quei
frequenti rapporti si aiutava con qualche pillola
nonostante avesse problemi di cuore. Dopo l’amore
rimaneva spesso in silenzio, alla fine compresi
quanto fosse sensibile nonostante le apparenze, e
quanto si detestasse per aver ceduto ogni volta al
desiderio e quindi per aver tradito sua moglie. Ma
l’avermi tutta per sé era più forte di lui, mi
diceva spesso che gli avevo sconvolto la vita e mi
voleva così bene che non avrebbe mai rinunciato a
me, anzi un giorno mi disse che mi avrebbe voluto
come nuora. Mi fece uno strano discorso e alla fine
mi chiese se fossi disposta ad entrare dalla porta
principale nella sua famiglia.
Solo
successivamente compresi. Infatti un pomeriggio nel
suo negozio mi fece conoscere suo figlio Nicola. Un
quarantenne single con un divorzio alle spalle. Un
tipo pieno di progetti mai realizzati. Faceva il
free lance e il reporter di guerra con una passione
sfrenata per la fotografia.
Favoriti da suo
padre che puntualmente ci lasciava soli
nell’officina, entrammo in confidenza. Tieni conto
che io uscivo dalla mia storia fallimentare con
Marco e dalle mie convinzioni che non fossi capace
di stare in una relazione di coppia per cui avevo
estremo bisogno di stare in compagnia almeno per
capire quanto in me ci fosse di sbagliato.
Una
sera Nicola mi invitò per una pizza, la sera dopo
andammo in birreria e da cosa nacque cosa fino a che
mi ritrovai tra le sue braccia nella penombra della
mia stanza da letto.
Iniziò a frequentare la mia
casa così che io iniziai a frequentare la sua casa
con enorme soddisfazione da parte del padre. Conobbi
suo fratello, sua sorella e soprattutto sua madre,
in un certo senso la mia rivale in amore nonché
potenzialmente mia futura suocera. Mi resi conto
immediatamente che stavo di nuovo incasinano la mia
vita. Era più forte di me, tutto ciò che toccavo,
cosciente o meno, diventava bollente.
Carla
che era una donna anziana molto socievole, ma anche
tremendamente ingenua, mi accolse nella sua casa
come una figlia. Più volte rimasi a cena da loro
anche quando Nicola era fuori per lavoro. E con la
contentezza di Giovanni cercavo di rendermi utile
apparecchiando la tavola e aiutando Carla in cucina.
Mi diceva spesso che non avrebbe mai potuto chiedere
di meglio dalla vita e che suo figlio si meritava
una ragazza socievole, gentile e servizievole come
me. Poi lei si ruppe una gamba e in quel periodo
l’aiutai facendo la spesa, le faccende di casa e
rendendomi utile compatibilmente col mio lavoro.
Insomma diventai di casa e in qualche modo avevo
soddisfatto a pieno i desideri di Giovanni.
Lui
mi osservava compiaciuto come se fossi sua figlia,
ma spesso, nonostante le sue remore di coscienza, mi
accarezzava sotto il tavolo durante la cena oppure
di sfuggita sul corridoio pretendeva che lo
baciassi. In quei momenti ero terribilmente in
imbarazzo, ma in fondo in fondo mi piaceva quel suo
lato trasgressivo al punto che una sera durante la
cena e col tovagliolo sulle gambe, mentre Carla
parlava di una sua zia marchigiana e si lamentava
per il dolore alla gamba, ebbi un orgasmo silenzioso
al solo tatto di quel dito di Giovanni che strada
facendo guadagnò le mie intimità penetrandomi
segretamente. Altre volte invece, sempre quando
Nicola non era in casa e quando Carla si accomodava
sul divano in sala per vedere un po’ di tv, lui con
la scusa di accompagnarmi fino al portone, prendeva
la chiave della cantina e consumavamo velocemente il
nostro amore folle nel buio di quel metro per due
pieno di scatole e arnesi da lavoro. Di solito per
la paura di essere scoperti, ma soprattutto per
l’età si limitava a toccarmi e a farmi godere con la
bocca.
Ovviamente anche Nicola non sapeva
nulla di me e suo padre, tanto che spesso si
lasciava andare a progetti di vita insieme. Anche
con Giovanni non erano sempre rose e fiori, spesso
dovevamo combattere con i nostri scrupoli di
coscienza perché alla fine della giostra avevamo
complicato la situazione ed ora, alla fine della
fiera, ad ogni nostro rapporto tradiva non una, ma
due persone. Lo pregai di non mettermi nella
condizione di scegliere perché in quel momento mi
stava bene così e non avrei cambiato la situazione
saziandomi contemporaneamente del suo affetto e del
vigore più giovane e senz’altro più appagante di suo
figlio.
Quella volta fui molto schietta e
lui non capì. Geloso anche dell’aria oltreché di suo
figlio mi ripeteva un giorno sì e l’altro pure: “Ho
fatto una cazzata, non dovevo concederti a Nicola!”
Poi un giorno venne tutto trafelato a casa mia e mi
disse: “O lo dici tu a Nicola oppure stasera stessa
dico a Carla che siamo amanti!”
A quel punto mi
spazientii e lui si fece più intraprendente, la mia
sincerità lo aveva ingelosito al punto che dopo il
lavoro mi cercava praticamente tutte le sere
pretendendo addirittura ogni volta di fare l’amore
completo. Ormai vedeva Nicola come il suo principale
rivale e per la paura di perdermi voleva dimostrare
a se stesso di essere ancora nel pieno delle sue
capacità.
Ci fu una settimana con suo figlio
all’estero che lo facemmo tutti i pomeriggi, finché
un maledetto venerdì ci fu il tragico epilogo. Mi
concessi a lui vestita unicamente con un paio di
calze autoreggenti e gli stivali rossi, ma dopo
poco, sopra di me, lo sentii rantolare, credevo
fosse un orgasmo ancora più intenso e lo incitai a
scoparmi allo stesso modo e la stessa intensità con
la quale Nicola mi faceva godere. Nella penombra
della mia stanza lo sentii arrancare, sudare,
annaspare, dirmi che avrebbe voluto morire per me e
così fece. Il suo cuore non resse e dopo l’orgasmo
rimase immobile e pietrificato dentro di me. Lo
chiamai, urlai il suo nome, non volevo rendermi
conto di cosa stesse succedendo. Lo chiamai, urlai
il suo nome, alla fine riuscii a divincolarmi dal
suo peso e non sapendo cosa fare chiamai Carla, sua
moglie.
Ti risparmio tutti gli avvenimenti
successivi e del grande dolore a tratti
insopportabile, a tratti devastante. Il giorno del
funerale mi vestii di nero e andai in chiesa. Non
avrei mai potuto rinunciare a quell’ultimo saluto,
ma durante la funzione mi si avvicinò Nicola, che
nel frattempo era tornato dall’estero, e con fare
brusco e scostante mi strinse forte il braccio e mi
disse che la mia presenza non era affatto gradita e
che per volontà di sua madre e di sua sorella dovevo
allontanarmi e guadagnare immediatamente l’uscita.
Piansi lacrime amare. Rimasi per una settimana
intera senza mai uscire di casa.
L’ANTICO MESTIERE
Ero di nuovo sola e punto
accapo mi facevano compagnia esattamente gli stessi
problemi che avevo prima di conoscere Giovanni. Ma
questa volta avevo un’arma in più ossia la mia
consapevolezza che non sarei morta di fame qualunque
cosa fosse successo. E alla fine successe.
A
lavoro le mie continue assenze si fecero sentire e
le cose andarono sempre peggio. Finché un giorno mi
arrivò una raccomandata a casa da parte del Servizio
del Personale, il quale senza tanti giri di parole
mi diceva che, per ragioni di riduzione del
personale, ero stata LICENZIATA!
Mi crollò
il mondo addosso, ma aiutata dalla consapevolezza di
prima, la mattina successiva mi alzai presto e mi
vestii esattamente come la prima volta con Giovanni.
Mi ripetevo che non dovevo arrendermi e che la vita
alle volte andava presa di petto! Sfrontata e sicura
del mio fascino andai a fare colazione e del bar
sotto casa mi misi seduta in bella mostra in uno dei
tavolini all’aperto. E mentre aspettavo il mio
cappuccino conobbi il mio secondo “amante”, ovvero
il marito della mia parrucchiera Katia dove andavo
ogni settimana a fare la messa in piega.
Mi
chiese il permesso di sedersi al mio tavolo, mi
guardò con un sorriso ammiccante ed io rispondendo
al suo saluto mi sorpresi a pensare quanto fosse
facile rimediare lo stretto necessario per vivere.
Lui, in jeans e camicia bianca, con i capelli in
ordine ed un ghigno di chi conosceva perfettamente
le donne, fu molto gentile, parlammo del più e del
meno, pagò la colazione e nel momento di salutarci
poggiò sul tavolino il suo biglietto da visita
dicendomi: “Mi piacerebbe passare qualche ora con
te, lontano da occhi indiscreti.” La richiesta anche
se implicita fu molto diretta per cui guardandolo mi
chiesi se si fosse sparsa la voce.
Comunque
lo chiamai il pomeriggio stesso e fu un gioco da
ragazzi trovarmi dopo tre ore vestita di tutto punto
e con la messa in piega fresca e vaporosa al Motel
Girasole. Ironia della sorte, prima di andare, ero
passata da Katia chiedendomi cosa mai avrebbe detto
se avesse saputo che proprio lei mi stava preparando
e facendo bella per un appuntamento con un uomo che
non era altro che suo marito! Per il piacere della
trasgressione prima di uscire dal negozio le dissi
con fare confidenziale che stavo andando ad un
incontro galante e lei sorridendomi rispose: “Vedrai
che farai colpo!”
Infatti non sbagliò. Altro che
colpo! Il giorno dopo mi ritrovai davanti alla porta
di casa un enorme pianta con un biglietto rosa con
su scritto: “Sei stata favolosa!” In quel frangente
mi domandai perché gli uomini nonostante pagassero
avessero bisogno di cercare sempre il lato romantico
del sesso!
Dopo il marito della parrucchiera,
che vidi regolarmente quasi tutti i venerdì
pomeriggio, ci furono l’impiegato della Posta,
l’amministratore del condominio, il mio dentista, il
padrone di casa, l’idraulico e suo fratello. A quel
punto però mi chiesi quanti amanti avrei potuto
considerare tali e quale fosse il limite, il numero
al di sopra del quale da amante mi sarei dovuta
considerare una puttana. Mi fermai a sette e per
scrupolo di coscienza iniziai a rifiutare altre
offerte rimanendo nei confini di quella cerchia di
amici e quindi della mia strana morale.
Successivamente sempre col passaparola sostituii
qualcuno con altri sempre del mio quartiere, ma non
superai mai quel numero.
Le modalità erano
semplicissime. Loro mi mandavano un messaggio ed io
mi facevo trovare vestita, secondo i loro gusti,
all’ora stabilita nel posto concordato: casa,
studio, garage, negozio oppure al “Motel Girasole”
che nel frattempo era diventato il mio nuovo luogo
di lavoro.
Durante quel percorso e nonostante i
miei frequenti incontri mi ripetevo che mai avrei
fatto quel mestiere! Non considerai mai il compenso
come una tariffa bensì come un regalo generoso.
Certo non era sempre semplice e veloce come con
Giovanni, qualcuno consumava fino all’ultimo
centesimo quei 100/150 euro, qualcuno preso
dall’eccitazione mi chiedeva cose extra che non
sempre ero disposta a soddisfare, altri mi
rimproveravano di non essere calda o partecipe, ma
tornavo a casa sempre con i contanti in tasca e il
sorriso sulle labbra: già era come andare al
bancomat!
Comunque diventai brava al punto
che non avendo più bisogno di fingere pretendevo da
quei rapporti la mia dose di orgasmo. Per la mia
autostima era ogni volta fondamentale e vitale
raggiungere l’orgasmo per non sentire loro come
clienti ed io una donna a pagamento! Anche se
diverso era pur sempre amore e loro erano ben
contenti di far godere una donna. E mentre davo
tutta me stessa spesso mi chiedevo perché mai
dovessero pagarmi, in fin dei conti anche io provavo
piacere.
Ma poi le cose cambiarono, mi
ripetevo che raggiunta la sicurezza economica, avrei
smesso all’istante, per cui per la sola avidità di
denaro allargai il mio giro e conobbi un tizio poco
raccomandabile che da cliente assiduo divenne amico,
amante e confidente. Col passare dei giorni si era
messo in testa che fosse giunto il momento di dare
una svolta alla mia carriera senza che io ne avessi
la necessità. Insomma per fare più soldi avrebbe
voluto che battessi il marciapiede e lui sarebbe
diventato automaticamente il mio magnaccia.
Ovviamente non ne avevo alcun bisogno per cui una
sera, mentre eravamo in macchina, al mio ennesimo
rifiuto di lavorare per lui mi picchiò e poi mi
lasciò lungo il guardrail del Raccordo Anulare. Da
sola, di notte e senza soldi camminai per qualche
chilometro poi finalmente un’anima buona mi raccolse
e mi portò fino a casa, ma quell’episodio mi fece
pensare… Quel lavoro in estrema solitudine era
troppo pericoloso e quindi decisi che dovevo in
qualche modo cambiare strategia.
MADAME
VANILLE
In fin dei conti ero sicuramente una
ragazza di bella presenza per cui avrei potuto
riempire le mie serate facendo qualche lavoro extra
senza rischi e pericoli, ma ovviamente sotto la
tutela di qualcuno che non fosse uno sfruttatore. Mi
misi a cercare su internet, ma la paga per ragazza
immagine, hostess per congressi, fiere ed eventi,
promoter, cameriera creativa per locali notturni,
era davvero misera rispetto ai miei guadagni di
allora.
Cercai ancora finché cliccai su un
annuncio con la grafica accattivante: “Sei giovane,
bella? Alla prima esperienza? Vuoi guadagnare
seimila euro al mese?” E chi mai darebbe seimila
euro ad una ragazza inesperta? Mi chiesi. Per
curiosità entrai nel sito. In primo piano c’era la
foto di una bella signora sui cinquant’anni. Madame
Vanille.
Lessi attentamente l’annuncio. Si
parlava di appuntamenti e massima disponibilità per
uomini di affari, riservatezza, cultura e bella
presenza. Immaginai cosa avrei dovuto fare a questi
clienti facoltosi. Ovviamente sul sito non era
scritto, ma ormai ero esperta e il mio lavoro non
sarebbe cambiato di molto se non per il fatto che
quel tipo di organizzazione mi avrebbe protetta e
messa al riparo da altri tipi di pericoli. Di contro
però non ci sarebbero stati più sotterfugi e sarei
diventata ufficialmente una escort.
Il
giorno dopo decisi di andare. Mi vestii, mi truccai
e scelsi una gonna di pelle corta, calza color
carne, tacco alto. Sopra una sobria camicetta senza
reggiseno ed una collana di perle che pendeva
maliziosamente tra le mie tette. Il posto indicato
nel sito era in centro per cui presi un taxi e mi
feci lasciare ad un centinaio di metri dalla casa.
Camminando sentivo il rumore dei miei tacchi, mi
chiesi se la mia andatura fosse diversa dal solito e
se la gente che incontravo strada facendo capisse
che stavo andando a fare la puttana, ma poi assunsi
un’aria altezzosa del resto seimila euro al mese
sarebbero stati grosso modo l’equivalente della mia
tranquillità.
Arrivai sul posto, il villino dei
primi del novecento in stile liberty, discreto e
molto signorile, era immerso in una tranquillità di
verde disarmante. Mi fermai davanti al cancello nero
di ferro battuto a leggere le targhe di notai,
avvocati e commercialisti. Poi mi diedi ancora del
tempo e feci il giro dello stabile per pensarci
ancora. Poi tornai di nuovo sul luogo del delitto,
mi dissi: “Gilda, ma che vuoi che sia? Un maschio
vale un altro!” e alla fine entrai.
L’appartamento era al secondo piano, interno 8.
Presi l’ascensore, poi giunta al piano respirai
profondamente e suonai il campanello proprio sopra
una scritta gotica: Madame Vanille.
Mi avvolse
un’atmosfera di serenità ordinata, la signora che
aprì la porta era ben vestita e percepii un intenso
profumo di vaniglia. La guardai bene ed era la
stessa signora della foto. Con un caratteristico
accento francese mi chiese il nome, ma non mi fece
altre domande pregandomi di seguirla. Entrammo in un
elegante salotto stile Settecento con i mobili di
legno chiaro intarsiato di fiori, un grande tappeto
al centro del pavimento e degli arazzi alle pareti.
Il posto era davvero di grande lusso, la signora
altrettanto era molto aggraziata, le sue mani
perfette, lo chignon curatissimo ed una voce calda e
sussurrata. Prima di sedermi mi chiese cortesemente
di togliere il soprabito e di fare due passi nella
stanza scrutandomi da capo a piedi.
Poi mi
pregò di sedermi e disse: “Gilda lei è molto
graziosa. Ha bellissime gambe, un fisico decisamente
accattivante. Se ha suonato a questa porta saprà che
lavoro dovrà fare, vero?”
Imbarazzata dissi
soltanto: “Lo immagino…”
“In due parole la sua
missione è quella di soddisfare il cliente con
l’obbiettivo di metterlo a proprio agio non
facendogli mai rimpiangere il prezzo che ha pagato.
Se sarà capace guadagnerà molto bene, anche di più
dei seimila euro dell’annuncio, lavorando poche ore
al giorno, ma voglio essere molto chiara con lei,
non si tratta di un lavoro di hostess e dovrà
svolgerlo dentro queste quattro mura con la piena
soddisfazione del cliente. Non è consentito per
nessuna ragione incontrare il cliente fuori di qui.
Se la sente?”
Senza giri di parole praticamente
mi disse che dovevo fare la puttana. Mi chiese se
avessi già esercitato ed io mentendo le dissi che
non avevo esperienza al riguardo.
Lei sorrise: “I
nostri clienti sono molto raffinati e di classe,
ovvio sono esigenti, ma non si sognerebbero mai di
andare con donne del mestiere, preferiscono gente
alle prime armi che arrotonda lo stipendio, mogli
insoddisfatte e giovani inesperte, quindi in questo
caso non avere esperienza è una dote e non un
difetto!”
Mi guardò.
“Secondo me lei è una
ragazza di cultura superiore, posso chiederle il
motivo per il quale ha suonato a questa porta?”
Questa volta dissi la verità ovvero che vivendo da
sola avevo bisogno di soli per rimanere indipendente
dai miei genitori.
“Beh credo che questo sia un
buon motivo, vuole provare? Può venire qui senza
impegno. Alle mie ragazze raccomando discrezione,
pulizia e puntualità e mi farebbe piacere se
entrasse a far parte della nostra famiglia. Sappia
che le sue future colleghe sono studentesse
italiane, qui non ci sono straniere, a parte la
sottoscritta, e tutte di buona famiglia. Due di loro
sono sposate, ovviamente con la benedizione dei
propri mariti. Posso conoscere i suoi dubbi?”
Mi
venne spontaneo: “Non è facile decidere di fare la
puttana!”
“Oh mia cara, la prego, non usi quella
parola, le puttane sono quelle che passeggiano lungo
i viali di periferia. Lei sarà orgogliosamente una
hostess o se vuole un’accompagnatrice pur non
muovendosi da qui. Non si preoccupi, garantisco io
per la riservatezza, nessuno mai saprà i dettagli
del suo lavoro e la sua vera identità.”
“Sì, ma
poi?”
“Ovvio, questo è un lavoro temporaneo,
deciderà lei quando iniziare e quando smettere. È
giovane per cui avrà tanto tempo per dimenticare
questo periodo, ma lo farà con un bel gruzzolo in
banca che le garantirà futuro e sicurezza.”
Sentii la sua mano posarsi con la leggerezza di una
farfalla sulla mia gamba: “Suvvia, non sia
preoccupata, in fin dei conti dovrà fare l’attività
più naturale di questo mondo!”
La sua voce era
calda, rassicurante e soprattutto convincente.
“Mi ha convinta, allora accetto, quando devo
cominciare?”
“Ora vada a casa tranquilla, ci
pensi su, la notte le porterà consiglio. Se deciderà
di provare venga domani alle tre. Non si preoccupi
per l’abbigliamento, pensiamo a tutto noi e
scegliamo i vestiti e la lingerie in rapporto ai
gusti dei clienti.”
CAMILLE
Alle
tre in punto suonai il campanello. Madame Vanille mi
accolse con un sorriso a trentadue denti: “Ben
arrivata!”
Mi disse di seguirla: “Da oggi in poi
lei sarà la nostra Camille, si dimentichi il suo
nome!”
Entrammo in una stanza tutta rosa con un
grande letto matrimoniale ed una toletta sfarzosa da
star di Hollywood. Mi spogliò completamente, poi mi
fece indossare una vestaglia rosa salmone
trasparente: “La indossi altrimenti prende freddo,
le assicuro che si sentirà una regina.” Poi mi
indicò la lingerie da indossare adagiata sul letto:
un reggicalze viola, un paio di calze nere con la
cucitura dietro, un coordinato lilla e un paio di
pantofole dello stesso colore della vestaglia.
Fece due passi indietro, guardandomi attraverso
lo specchio: “È magnifica Camille, lo farà
impazzire! Ora però si distenda sul letto ed assuma
una posa tipo Madame Pompadour.”
Stranamente e
nonostante la mia esperienza ero emozionata, mi
tremavano le gambe, ma non perché da lì a breve
avrei fatto sesso, ma per il fatto che questa volta
non avrei scelto io con chi farlo e quindi sarebbe
stata la mia prima vera marchetta!
Lei se ne
accorse e porgendomi una rivista sussurrò. “Tra poco
arriva il cliente, è un primario di una clinica
molto famosa, ma lei non ci pensi. So come ci si
sente la prima volta. Ora stia buona qui, si
rilassi, legga e cerchi di distrarsi…” Mi sorrise ed
uscì.
Dopo circa venti minuti sentii la sua
voce in corridoio: “Venga dottore, le ho riservato
Camille, il nostro nuovo acquisto. È una studentessa
alle prime armi, come piace a lei!” Dopo qualche
secondo aprì la porta e spuntò dalla penombra del
corridoio un uomo di circa 55 anni. Fisicamente non
era male. Alto, brizzolato con una leggera barba e
gli occhi di un intenso celeste mare.
Lui
avvicinandosi al bordo del letto mi disse: “Camille
sei davvero carina.”
Sorrisi senza parlare
abbassando lo sguardo, del resto Madame Vanille mi
aveva raccomandato di parlare poco. Lui rimase in
piedi accanto al letto, lentamente si tolse i
vestiti adagiandoli con cura sulla poltrona. Poi
completamente nudo si distese accanto a me.
Iniziò a baciarmi ed a spogliarmi ed io risposi
aprendo leggermente le mie labbra alla sua lingua
vogliosa: “Oh sì, sei un incanto!” Madame conosce i
miei gusti e lei sa che una donna senza reggicalze
non mi eccita.”
A giudicare dal suo sesso già
eretto mi convinsi di essere adatta a lui. Scrutò
ogni centimetro della mia pelle sospirando. Cercai
di invogliarlo accarezzandomi l’interno delle cosce.
Quel gesto lo fece letteralmente impazzire e
immediatamente chinò la testa tra le mie gambe
salendo fino al mio piacere, succhiandomi disse:
“Sei un dolcetto squisito.”
Un attimo dopo era
già sopra di me. Avvertii il suo grosso sesso
scivolare tra le mie pareti. Incredibilmente mi
eccitai, lui se ne accorse: “Che bello una puttana
che gode!” A quel punto affondò tutto il suo sesso.
“Allora vieni dai!” Il suo ritmo era incessante. Non
sapevo cosa fare, se resistere o abbandonarmi alla
sua passione. Lui continuò con il suo ritmo
incessante. Mi feci capiente portando le ginocchia
all’altezza del suo viso. Entrava ed usciva a suo
piacimento. “Sei meravigliosa, Camille, ti piace
vero l’antipasto?” Ed io di rimando urlai: “Ci
sono.” E venni subito dopo.
Eccitato dai miei
gemiti mi baciò in bocca: “Non mi era mai capitata
una puttana che si fa baciare in bocca.” Era
eccitatissimo e con un salto atletico si mise seduto
sul bordo del letto: “Vieni dai, sei una fantastica
zoccola, inginocchiati sul pavimento e prendilo in
bocca. Obbedii. “Brava così, fammi sentire la tua
bocca inesperta.” Trattenni il respiro, chiusi gli
occhi e lo presi maldestramente cercando di saltare
il ritmo per rendere la cosa ancora più vera:
“Mettici l’anima in quella bocca! Muovi il sedere…”
A quel punto stanca di fare la ragazzina inesperta
feci a modo mio, lo presi avidamente fino alla
radice muovendo alternativamente mano e bocca.
Immediatamente il suo respiro diventò affannoso,
si irrigidì, immaginai che fosse sul punto di venire
e invece me lo tolse dalla bocca, mi prese di peso,
mi scaraventò sul letto e iniziò a scoparmi di nuovo
dicendomi che ero la sua bambina, quella mai nata,
che ero un fiore mai colto. La sua voce era
tremolante, mi ordinò di non assecondarlo, di
mettermi un dito in bocca e di rimanere immobile, di
lamentarmi e piangere come se fosse la mia prima
volta: “Non dire nulla alla mamma, lei non deve
sapere.” Annuii: “La mamma è andata a fare la spesa,
giura che non le dirai nulla quando tornerà?” Ancora
qualche secondo ed esplose dentro di me con un urlo
bestiale.
Tornò in sé ed un secondo dopo era già
in piedi, si rivestì in fretta ed uscì dalla stanza
in silenzio senza salutarmi. Rimasi sola, mi
rilassai, pensai che in fin dei conti era stato
piacevole e non affatto stancante.
Giorno
dopo giorno mi convinsi sempre di più di aver fatto
la scelta giusta. Una, due volte al giorno, massimo
tre. Venivano uomini di tutti i tipi, ognuno con la
sua storia e le proprie miserie di uomini soli, ma
tutti benestanti ed anche piacenti. Si confidavano
con me ed io ogni volta mi chiedevo perché mai
dovessero pagare per fare l’amore. Del resto di
donne pensavo ne avrebbero potute avere chissà
quante e il fatto che pagassero cinquecento euro mi
faceva sentire importante. Per strada camminavo a un
metro da terra e non solo per i tacchi altissimi.
Guardavo tutti dall’alto in basso, sapevo di valere
quei cinquecento euro anche se a me arrivava in
tasca solo la metà. Quando qualcuno posava gli occhi
su di me mi dava la sensazione di essere come un
manichino in un atelier con il cartellino del prezzo
che pendeva dalla manica della giacca.
Sì
facevo la puttana anzi ero una puttana e si vedeva
da mille miglia di distanza e non facevo nulla per
nasconderlo tanto che un giorno seduta in un bar si
avvicinò un uomo sui quarant’anni e mi disse che, se
fossi stata libera per quella sera, avrebbe pagato
in anticipo. Lo guardai e sorrisi, ma lui
insistette: “Lei signora è un incanto, la prego,
sono solo in città, si faccia prenotare!” Smarrita
gli risposi: “Ma come fa ad essere così sicuro che
sono una donna da prenotare?” Lui mi guardò le
gambe, portavo una gonna fin sotto il ginocchio, poi
mi disse: “Mia signora, una donna in reggicalze è
abituata a ricevere simili proposte.” Mi colpì la
sua arguzia per cui accettai senza però dargli la
soddisfazione che il suo intuito aveva fatto centro.
Mi porse il suo biglietto da visita, poi l’indirizzo
dell’hotel dove alloggiava: “Stasera alle nove con
cena in camera.” Quando andò via lessi il biglietto:
Dottor Giovanni Pace. Sottosegretario al ministero
degli Interni.
NATHALIE
In quella
casa feci amicizia con Nathalie, una bellissima
donna con una cascata morbida di capelli rossi e due
labbra rosse da mozzare il fiato. Lei fu la prima
collega che conobbi, aveva circa una decina di anni
più di me, e parlando del più e del meno si instaurò
tra noi una certa confidenza. Lei era alla prima
esperienza. Un giorno mi confidò che Madame era
attratta dalle donne e parlando mi fece il nome
della sua preferita, una bella ragazza bionda che
avevo intravisto in corridoio. La cosa mi inquietò
per il semplice motivo che non ero mai stata con una
donna e sinceramente ne avrei fatto decisamente a
meno.
Qualche giorno dopo Nathalie mi
raccontò la sua storia. Proveniva da una famiglia
umile, suo padre faceva l’impiegato alle poste e sua
madre la casalinga, ma un giorno ebbe la fortuna di
incontrare un imprenditore di formaggi. L’azienda
andava molto bene, lei rimase subito incinta e si
sposarono. Matrimonio da mille e una favola con
oltre 500 invitati.
“Mi sentivo davvero una
principessa ed ogni sera prima di coricarmi mi
chiedevo come mai avessi avuto tutta quella fortuna
nella vita e chi mai avrei dovuto ringraziare…” Mi
disse durante una pausa bevendo una tazza di thè
fumante nel salotto buono di Madame Vanille.
“Poi
però le cose sono cambiate, la crisi di qualche anno
fa è stata un vero tsunami, mio marito mano mano è
stato costretto a licenziare tutti gli operai e alla
fine ha chiuso l’azienda. Ora fa il rappresentante
di latticini per una grande industria. Il nostro
tenore di vita era molto alto e con quella paga non
riuscivamo neanche a pagare la rata di leasing delle
automobili per cui siamo arrivati ad una svolta. O
dovevamo ridimensionarci completamente rinunciando
alle nostre soddisfazioni oppure dovevo anche io, in
qualche modo, contribuire al reddito familiare.”
“E cosa hai fatto?” Mi resi subito conto, in quel
contesto e dopo averlo chiesto, quanto fosse banale
quella domanda. Ma in realtà mi sbagliavo perché la
storia di Nathalie non era di sicuro banale.
“È
arrivato tutto per caso e in maniera semplice.
Durante un ricevimento di imprenditori, con i quali
mio marito era rimasto in contatto, sono stata
avvicinata da uno di loro, un’affascinante
cinquantenne che era al corrente delle nostre
condizioni economiche. Insomma non si è fatto
scrupoli e mi ha detto: - Lei è molto bella
Nathalie, sono anni che la desidero. - Eravamo
rimasti soli in terrazza e senza guardarmi negli
occhi, ammirando le luci gialle in lontananza, mi ha
fatto la classica proposta indecente ossia tre mila
euro!
Ovviamente ho rifiutato, lui ha insistito e
alla fine ha fatto scivolare nella mia borsetta il
suo biglietto da visita. – Spero non si sia offesa,
se vuole può parlarne con suo marito, comunque ci
pensi… L’importante che la cosa rimanga riservata.
-”
“E tu?” A quel punto ero davvero curiosa!
“La cosa non mi ha lasciato indifferente. Ho
raggiunto subito mio marito e fingendo un gran mal
di testa l’ho pregato di andare via. Durante il
ritorno a casa gli ho raccontato tutto. Lui mi ha
guardata e si è messo a ridere senza dire nulla. Poi
però la notte non abbiamo dormito, lo sentivo
rigirarsi nel letto ed anch’io ero agitata. La
mattina mentre facevamo colazione finalmente si è
degnato di darmi un suo parere: - Senti Nathalie,
quei soldi sono una manna piovuta dal cielo, certo
che ci farebbero comodo, se a te non disturba più di
tanto, non sarò di certo io a limitarti, però ad una
condizione, non vorrò mai sapere il nome di chi ti
ha fatto la proposta e soprattutto quando avverrà. –
Gli ho risposto che non me la sentivo, che mai
avevo pensato di andare a letto con un uomo che non
fosse lui e soprattutto perché quel genere di cose
inevitabilmente portano a incomprensioni nella
coppia. Lui non ha detto nulla si è alzato ed è
andato via. In un secondo mi sono sentita tutta
quella responsabilità addosso per cui ci ho pensato
ancora qualche altro giorno e una bella mattina,
quando mio marito era al lavoro ed io ancora nel
letto, ho preso il telefono e ho chiamato il tizio.”
“Come ti sei sentita?”
“Strana e incosciente
anche perché a me fare l’amore è sempre piaciuto, ma
davvero non avrei mai creduto che un giorno avrei
accettato di fare l’amore dietro compenso. Quindi
gli ho detto che accettavo la sua proposta e lui di
rimando mi ha chiesto se fossi stata disponibile per
il pomeriggio stesso. Mi ha dato l’indirizzo di un
appartamento in centro, una specie di garçonnière.
Mi sono presentata all’ora stabilita, lui mi ha
accolto in vestaglia, non mi ha dato neanche il
tempo di spogliarmi ed è successo quello che doveva
succedere. Certo è stato strano, neanche un bacio,
un preliminare o che so io un aperitivo, mi ha
subito guidata verso la finestra, ha voluto che
appoggiassi i gomiti al davanzale, mi ha sollevato
la gonna e mi ha presa ripetutamente lì in piedi.
Pensa che il letto è rimasto intatto ed io mi sono
sentita usata, ma incredibilmente non ho avvertito
alcun imbarazzo, anzi ho goduto molto e
continuamente. La cosa che mi eccitava di più era
proprio il fatto che lo stavo facendo in cambio di
soldi e che mio marito ne sarebbe stato al corrente.
Quando la sera sono tornata a casa mio marito non mi
ha chiesto nulla, ma mi si leggeva in faccia che non
avevo passato il mio solito pomeriggio insieme alle
amiche. Poi però la mattina dopo, mentre facevamo
colazione, gli ho detto sorridendo che nella scatola
dei Mon Chéri, anziché i cioccolatini, avrebbe
trovato tremila euro. Lui non ha voluto sapere
nulla, mi ha salutata baciandomi sulla guancia, ma
poi la sera non mi ha chiesto di fare l’amore.”
“Ci sei stata ancora?”
“No, non mi ha più
chiamata. Mio marito ogni tanto mi chiedeva se si
fosse fatto risentire. Laconicamente rispondevo di
no, ma mi sentivo quasi in difetto, addirittura in
colpa, come se non fossi stata all’altezza della
situazione. Non volevo deluderlo, per cui, quando i
tremila euro sono finiti, ho tentato di fare da sola
andando in giro per centri commerciali vestita in un
certo modo e facendo capire che si sarei stata. Mi è
capitato un ragazzo che oltre a darmi la metà della
miseria che avevamo pattuito ha preteso di fare
sesso nella sua auto in uno squallido parcheggio di
periferia alla luce del giorno.
Decisamente quel
tipo di sesso non era fatto per me, per cui ho
iniziato a informarmi su internet e alla fine ho
contattato Madame Vanille. Ora mio marito sa dove
vado quando alle due esco di casa o quando torno
tardi la sera. La cosa strana però è che da quando
ho iniziato quest’attività non mi ha più chiesto di
fare l’amore.”
“Ti dispiace?”
“Sinceramente
sì, se tornassi indietro non gli direi nulla, so
che, chiedendo la sua complicità, ho messo un
macigno tra noi, ma desidero, costi quel che costi,
mantenere il mio tenore di vita. Non rinuncerei mai
a questi vestiti, alla mia macchina, alle vacanze,
ai pranzi, alla mia bella casa, per cui adesso
voglio solo lavorare sodo. Del resto anche se lui
non mi cerca il sesso non mi manca, o sbaglio?”
Rise e si accese l’ennesima sigaretta.
“Tu godi
con i clienti?” Dissi a bruciapelo.
“Perché tu
no? Alle volte non vedo l’ora di venire qui. Mi
prende una strana frenesia, sento che mi manca
qualcosa. Sai non so se finora ti sia capitato
quello che Madame chiama “il professore”. Ecco lui
mi fa davvero impazzire, mi scopa divinamente, ci
mette passione, quasi sentimento ed io di rimando do
tutta me stessa. Quando scopo con lui la sera torno
a casa allegra. Lo so che è sposato, ma vorrei tanto
che mi chiedesse di uscire.”
“Hai paura di
innamorarti?”
“Non lo so, se succede succede e
non posso farci nulla, del resto sono i rischi del
mestiere e credo che anche mio marito lo sappia.
Comunque ripeto, di questo lavoro mi fa impazzire
pensare che la mia figa possa valere così tanto! Ti
rendi conto? In fin dei conti non è che ce l’abbiamo
d’oro, è perfettamente uguale a quella di tante
altre che la danno senza vedere il becco di un
quattrino! Sai, ora che so quanto vale che senso
avrebbe darla gratis, me lo spieghi?”
“Secondo te
perché vengono con noi?”
“Ma è semplice! Perché
siamo dei veri e propri feticci, merce rara direi,
uniche donne che si vestono e si comportano
esattamente come loro desiderano. Tu hai mai più
visto una donna dolce, docile, disponibile e vestita
con costose lingerie? Per quanto siamo
accondiscendenti alla loro voglia se potessero ci
sostituirebbero con delle bambole gonfiabili! Sappi
mia cara, loro non pagano una donna, ma se stessi
per sentirsi padroni. Visto che le loro donne, mogli
o amanti che siano, hanno da tempo perso la
femminilità e poi sono troppo impegnative, vogliono
sempre in cambio qualcosa, attenzioni, affetto,
esclusività, regali e soprattutto tanti soldi,
niente a che vedere con quello che danno a noi.”
“Però col professore …”
Nathalie si guardò
intorno, poi abbassò la voce.
“Camille ti
confesso una cosa, ogni volta si eccita ad inventare
storie e mi chiede insistentemente di vedermi fuori
da qui. Lo fa impazzire l’idea di essere invitato a
cena a casa mia e con la complicità di mio marito io
dovrei spogliarmi e rimanere vestita con la sola
lingerie. E mentre loro parlano del più e del meno
dovrei toccarmi fino a raggiungere un fragoroso
orgasmo urlando tutta la mia voglia di essere presa
da lui con la benedizione di mio marito.”
“E tuo
marito? E tu lo faresti Nathalie?”
Rise. “Per
quanto mi riguarda lo farei anche domani, ma penso
che per mio marito siano i soldi a fare la
differenza anche se non si rende conto che la
discriminante vera è un’altra, ovvero il fatto che
godo ogni volta che faccio l’amore.”
Aveva
ragione Nathalie, la discriminante non era il
denaro, ma il fatto che godendo non ci sentivamo
puttane fino all’osso. Comunque andai avanti per
circa due anni, poi iniziai a prendermi delle brevi
pause finché decisi che il mio conto in banca
avrebbe giustificato una lunghissima e forse
definitiva pausa di riflessione, anche perché il mio
pensiero fisso, la sera guardandomi allo specchio,
rimaneva sempre lo stesso: “Ero o non ero una
troia?” Certo il mio atteggiamento era cambiato, non
ero più la ragazzina timida di una volta, ma una
donna consapevole del proprio fascino e della
propria bellezza, ma, nonostante quel bordello, non
mi rassegnavo a definirmi tale!
Del resto alla
voce puttana il vocabolario era molto chiaro: sesso
dietro compenso, senza distinguere la ragione per
cui una persona fosse costretta a farlo. Ma comunque
non me ne presi cura perché, nonostante ormai fossi
dipendente dai piaceri del sesso, avevo deciso di
smettere quel tipo di attività.
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