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RACCONTI
 
 

I racconti di LiberaEva
Gilda
Memorie di una signora per bene
 




 


 
 


BELLA DA MORIRE

Il giorno dopo mi alzai molto presto. Pensai a Maurizio e a quanto e come mi vedesse sexy, poi saltando qualche anno, mi venne in mente il periodo in cui avevo fatto la ragazza immagine ed avevo avuto su di me tutti quegli sguardi sicuramente poco innocenti. Alla fine di quei pensieri mi dissi: “Gilda provaci, tanto nessuno lo saprà mai!” Davanti all’armadio scelsi una gonna sexy di pelle nera e un paio di stivali col tacco alto. Sotto indossai una mutandina trasparente in pizzo nero e un paio di autoreggenti velate. Sopra misi una camicetta super aderente per mettere in mostra il mio seno e allo specchio spalmai le mie labbra con un rosso fragola intenso.
Scesi lentamente le scale. Mi sentivo una regina e per la prima volta in vita mia, nonostante fossi femmina fino al midollo, mi resi conto di anteporre il mio aspetto a tutto il resto. In realtà fino all’ultimo gradino della scala continuai ad illudermi che dovevo soltanto recuperare la mia macchina, ma nell’intimo della mia coscienza soffocata sapevo benissimo che non sarebbe stato solo quello e cosa sarei andata a fare.
Comunque camminai lentamente e non per i tacchi alti, ma solo per dare tempo alla mia coscienza più profonda di avere un minimo di ripensamento. Scendendo incontrai la signora del piano di sopra, quella a cui facevo le faccende domestiche, appena mi vide disse: “Oddio Gilda, ma cosa hai fatto? Sei bellissima!” Ecco fu quella frase a convincermi che nella mia vita avevo sbagliato tutto.

Giovanni era con un cliente, ma appena mi vide, salutò frettolosamente l’uomo, mi portò nel suo ufficio. Non si scusò affatto, anzi rincarò la dose esclamando: “Signorì le dispiace se mi metto seduto?” Prese teatralmente un fazzoletto di stoffa e si asciugò la fronte: “Lei è davvero un paradiso!” Pensai in quel momento quanto ci volesse davvero poco per circuire un uomo e sicuramente con molta meno fatica che fare la cassiera o andare a servizio.
Lui aprì un cassetto e mi diede le chiavi della macchina e immancabilmente tornò alla carica: “Faccia lei il prezzo.” A quel punto abbassai gli occhi, era davvero arrivato il momento! Mi resi conto di non avere più tempo, la decisione andava presa all’istante e dovevo decidermi! Col cuore in gola e instabile sui quei tacchi altissimi mi appoggiai alla parete, presi fiato, ingurgitai saliva e sparai una cifra esagerata, ovvero l’ammontare delle tre mensilità di affitto che dovevo al padrone di casa.
In fin dei conti per me sarebbe stata la prima volta in assoluto che mi concedevo a pagamento e non lo avrei fatto, per nessuna ragione al mondo, per una cifra inferiore a quanto avessi bisogno. La sua risposta si fece attendere, del resto non era una cifra da poco e in quel frangente sentii chiaramente il mio respiro grosso e l’odore del mio rossetto misto a quello forte di grasso e benzina. In cuori mio in quel momento avrei voluto che mi dicesse di no, ma lui prima si portò la mano sulla fronte, poi fece un grosso respiro e mi guardò di nuovo da capo a piedi: “Lei mi manderà sul lastrico, lo so, ma va bene! Per lei questo ed altro!” Mi disse pregandomi di tornare la sera all’ora di chiusura.

Rimasi delusa, non so perché, ma avevo immaginato che avremmo consumato subito in modo che non mi lasciasse altro tempo per pensarci. Quel dente me lo sarei tolto subito, ma purtroppo non andò così. Ovvio in quel modo avrei avuto tutto il tempo per ripensarci e soprattutto non avrei potuto dare la colpa al caso o al fatto di non aver avuto tempo per riflettere. Comunque andai al lavoro, sicura della mia decisione, ma per tutto il giorno mi sentii strana. Mi diedi della cretina, mi dissi di fare attenzione perché di sicuro sarebbe stato solo il primo di una lunga serie, il mio primo cliente e non l’unico, ma poi ci tornai su quel pensiero ossia che in fin dei conti era solo la cifra di cui avevo estrema necessità e di certo non avrei mai fatto quella vita. Quell’incontro sarebbe stato unico ed esclusivamente per pagare l’affitto! Così prima di uscire dal supermercato tolsi due preservativi da un pacchetto in vendita senza farmi accorgere rimettendo perfettamente in ordine la confezione.


GIOVANNI

Alle sette meno dieci tornai a casa, mi cambiai le mutandine, slacciai due bottoni della camicetta e ripassai le mie labbra con un rossetto alla fragola ancora più matura. Alle sette in punto mi presentai all’officina vestita esattamente come la mattina. Lui quando mi vide mi disse di entrare, poi con fare sospetto guardò fuori in strada e chiuse la serranda. Disse di nuovo: “Sei davvero un paradiso!” Poi mi cinse i fianchi e mi guidò verso il piccolo ufficio. Mi ero ripromessa di non pensare e così feci lasciando a lui ogni tipo di iniziativa. Certo la cifra non avrebbe giustificato altro che l’amore completo e così avvenne. Presi i preservativi e li poggiai sul tavolo. Non ci furono preliminari ed io non dovetti impegnarmi più di tanto. Giovanni si sbottonò i pantaloni della tuta e notai quanto già fosse eccitato. Mi sfilò la gonna, slacciò la camicetta e poi mi invitò a distendermi su un plaid verde che aveva adagiato sul pavimento vicino alla scrivania. il tempo di togliermi le mutandine, mettersi il preservativo ed era già dentro di me. Forse preso dall’eccitazione o forse per il pensiero che si stava scopando una ragazza di sicuro più giovane di trenta anni di sua moglie non resistette a lungo e dopo avermi baciata e sospirato quanto per lui fossi un sogno ad occhi aperti venne come un ragazzino.

Non ci volevo credere, al contrario di quanto pensassi durò il tempo di un respiro. Dopo tre minuti era già tutto finito ed io non avevo avuto neanche il tempo di pensare. Niente a che vedere con le ore ed ore di sesso gratis con Maurizio, Giancarlo, Marco o il Direttore del supermercato, ovvio qui non c’era amore e mi resi conto di quanto il sesso senza amore si riducesse all’essenziale ovvero al bisogno, all’istinto nudo e crudo del maschio e alla totale passività della donna.
Certo lo avevo sentito dentro sì, ma ricordavo solo la penetrazione iniziale e poi il suo rantolo liberatorio al raggiungimento del piacere. In mezzo il nulla, come se non fossi stata io la donna distesa su quella coperta, come se nessun corpo estraneo fosse entrato nelle mie intimità. Insomma non mi sentii per niente sporca e la cosa che mi fece più pensare fu appunto la mia totale assenza, come se non ci fosse stato alcun coinvolgimento fisico. Come una bambola gonfiabile ero stata semplicemente lì ferma ad aspettare il suo piacere ovviamente senza venire anche se per solo scrupolo finsi di godere. Per la prima volta capii cosa davvero fosse fare la puttana e che poi in fin dei conti non era neanche troppo impegnativo o disgustoso. Mi ero fatta penetrare da un pene sconosciuto, certo, ma nella mia vita avevo fatto sicuramente di peggio e pure gratis! Mi sentii sollevata pensando quanto, facendo quel tipo di sesso, non avessi offerto nulla della propria anima.

Nonostante la mia passività lui mi accarezzò la fronte e mi disse che ero stata meravigliosa e mentre mi stavo rivestendo mi baciò in bocca dicendomi: “Sei stata davvero carina Gilda! Non avrei mai creduto che tu accettassi la mia proposta.” Poi aprì la cassetta di ferro e mi diede il dovuto. Nonostante facessi la cassiera mi fece uno strano effetto vedere tutti quei soldi in una volta sola per me. Certo me li ero guadagnati e in un certo senso ero fiera di me, delle mie cosce, delle mie tette, del mio spirito libero. Già perché ora ero davvero una donna libera! Puttana sì, ma libera! Lui, dandomi il dovuto, mi disse: “Guarda che le puttane si fanno pagare sempre prima e non dopo!” Da quella frase capii che lui aveva capito, ossia che era stata la mia prima volta.

Accettai la lezione con un mezzo sorriso. Già ero una puttana, ma in quel momento non mi pesò affatto. Quando ci salutammo mi disse: “Se ci sarà un’altra volta ti vorrei vedere con un paio di stivali rossi!”
Tornando a casa mi sentii leggera e di buon umore pensando però che prima o poi sarebbero arrivati tutti gli effetti traumatici della consapevolezza. Avevo passato una vita a rivendicare la mia indipendenza, la mia dignità fuggendo da mio padre e mia madre e quindi ero ben cosciente che da un momento all’altro avrei pagato quel gesto. Ma la mia depressione rimase fuori di me, dal mio mondo e dal negozio dove comprai due gonne corte, della biancheria intima e ovviamente un paio di stivali rossi alti a metà coscia e dal tacco impossibile.

La sera nel letto mi concentrai nell’esatto momento in cui Giovanni era entrato dentro di me, finalmente sentii fisicamente il suo pene che non era affatto diverso da quelli che a parole avevano detto di amarmi. A modo suo anche Giovanni era un amante e finché lo avrei fatto solo con lui mi sarei tenuta alla larga da qualsiasi amara riflessione. In un certo senso mi fece pena, lo avevo preso per la gola e allora decisi, se ci fosse stata una seconda volta, di essere carina con lui e di accontentarlo indossando quegli stivali. In fin dei conti caratterialmente somigliava al mio tipo d’uomo e in qualche modo mi pentii di aver finto e di non aver goduto con lui. Lo feci all’istante dentro il mio letto e ripensando ad ogni momento dentro quell’officina mi lasciai andare ed arrivai poco dopo ad un orgasmo liberatorio.


NICOLA

Passò qualche settimana e le attenzioni di Giovanni rimasero inalterate, all’ora di chiusura mi facevo trovare bella e provocante nella sua officina, lui stendeva la coperta e nel giro di un minuto massimo consumava tutta la sua voglia. Ovviamente le cifre delle prestazioni non furono più quelle della prima volta, anzi non chiedevo nulla, ma lui ugualmente mi riempiva di regali che furono sufficienti per arricchire il mio guardaroba di tacchi altissimi, tubini attillati, gonne corte e vestiti con scollature vertiginose, e su consiglio del meccanico aggraziai il tutto con mutandine di pizzo, autoreggenti, perizoma interdentali e una serie infinita di reggicalze.
Dalla frenesia e la velocità di Giovanni compresi quanto fosse utile e importante il modo di vestire per quel tipo di sesso. La sensualità effettivamente riduceva i tempi allo stretto necessario e soprattutto facilitava le occasioni.

Nacque tra noi un rapporto che andò oltre il sesso, anche se restò sempre una componente importante. Lui mi chiese se fosse stata la prima volta ed io gli risposi che la cifra esagerata della prima volta era l’esatto ammontare di quanto dovevo al padrone di casa per l’affitto, per cui pagati i miei debiti non si sarebbe stato motivo di continuare con gli altri.
Da quella frase capì che non mi era indifferente e lui a poco a poco s’innamorò di me ed io di lui. L’amore a pagamento in officina rimase solo un ricordo, di solito lo facevamo comodamente nel mio letto e dopo le prime difficoltà iniziai a godere come una pazza al punto che ero io a pretenderlo mandandogli messaggi hot ed evidenti ammiccamenti. Certo non era un amatore meraviglioso e le sue performance si limitavano allo stretto necessario, i suoi anni si facevano sentire e allora per reggere a quei frequenti rapporti si aiutava con qualche pillola nonostante avesse problemi di cuore. Dopo l’amore rimaneva spesso in silenzio, alla fine compresi quanto fosse sensibile nonostante le apparenze, e quanto si detestasse per aver ceduto ogni volta al desiderio e quindi per aver tradito sua moglie. Ma l’avermi tutta per sé era più forte di lui, mi diceva spesso che gli avevo sconvolto la vita e mi voleva così bene che non avrebbe mai rinunciato a me, anzi un giorno mi disse che mi avrebbe voluto come nuora. Mi fece uno strano discorso e alla fine mi chiese se fossi disposta ad entrare dalla porta principale nella sua famiglia.

Solo successivamente compresi. Infatti un pomeriggio nel suo negozio mi fece conoscere suo figlio Nicola. Un quarantenne single con un divorzio alle spalle. Un tipo pieno di progetti mai realizzati. Faceva il free lance e il reporter di guerra con una passione sfrenata per la fotografia.
Favoriti da suo padre che puntualmente ci lasciava soli nell’officina, entrammo in confidenza. Tieni conto che io uscivo dalla mia storia fallimentare con Marco e dalle mie convinzioni che non fossi capace di stare in una relazione di coppia per cui avevo estremo bisogno di stare in compagnia almeno per capire quanto in me ci fosse di sbagliato.
Una sera Nicola mi invitò per una pizza, la sera dopo andammo in birreria e da cosa nacque cosa fino a che mi ritrovai tra le sue braccia nella penombra della mia stanza da letto.
Iniziò a frequentare la mia casa così che io iniziai a frequentare la sua casa con enorme soddisfazione da parte del padre. Conobbi suo fratello, sua sorella e soprattutto sua madre, in un certo senso la mia rivale in amore nonché potenzialmente mia futura suocera. Mi resi conto immediatamente che stavo di nuovo incasinano la mia vita. Era più forte di me, tutto ciò che toccavo, cosciente o meno, diventava bollente.

Carla che era una donna anziana molto socievole, ma anche tremendamente ingenua, mi accolse nella sua casa come una figlia. Più volte rimasi a cena da loro anche quando Nicola era fuori per lavoro. E con la contentezza di Giovanni cercavo di rendermi utile apparecchiando la tavola e aiutando Carla in cucina. Mi diceva spesso che non avrebbe mai potuto chiedere di meglio dalla vita e che suo figlio si meritava una ragazza socievole, gentile e servizievole come me. Poi lei si ruppe una gamba e in quel periodo l’aiutai facendo la spesa, le faccende di casa e rendendomi utile compatibilmente col mio lavoro. Insomma diventai di casa e in qualche modo avevo soddisfatto a pieno i desideri di Giovanni.
Lui mi osservava compiaciuto come se fossi sua figlia, ma spesso, nonostante le sue remore di coscienza, mi accarezzava sotto il tavolo durante la cena oppure di sfuggita sul corridoio pretendeva che lo baciassi. In quei momenti ero terribilmente in imbarazzo, ma in fondo in fondo mi piaceva quel suo lato trasgressivo al punto che una sera durante la cena e col tovagliolo sulle gambe, mentre Carla parlava di una sua zia marchigiana e si lamentava per il dolore alla gamba, ebbi un orgasmo silenzioso al solo tatto di quel dito di Giovanni che strada facendo guadagnò le mie intimità penetrandomi segretamente. Altre volte invece, sempre quando Nicola non era in casa e quando Carla si accomodava sul divano in sala per vedere un po’ di tv, lui con la scusa di accompagnarmi fino al portone, prendeva la chiave della cantina e consumavamo velocemente il nostro amore folle nel buio di quel metro per due pieno di scatole e arnesi da lavoro. Di solito per la paura di essere scoperti, ma soprattutto per l’età si limitava a toccarmi e a farmi godere con la bocca.

Ovviamente anche Nicola non sapeva nulla di me e suo padre, tanto che spesso si lasciava andare a progetti di vita insieme. Anche con Giovanni non erano sempre rose e fiori, spesso dovevamo combattere con i nostri scrupoli di coscienza perché alla fine della giostra avevamo complicato la situazione ed ora, alla fine della fiera, ad ogni nostro rapporto tradiva non una, ma due persone. Lo pregai di non mettermi nella condizione di scegliere perché in quel momento mi stava bene così e non avrei cambiato la situazione saziandomi contemporaneamente del suo affetto e del vigore più giovane e senz’altro più appagante di suo figlio.

Quella volta fui molto schietta e lui non capì. Geloso anche dell’aria oltreché di suo figlio mi ripeteva un giorno sì e l’altro pure: “Ho fatto una cazzata, non dovevo concederti a Nicola!” Poi un giorno venne tutto trafelato a casa mia e mi disse: “O lo dici tu a Nicola oppure stasera stessa dico a Carla che siamo amanti!”
A quel punto mi spazientii e lui si fece più intraprendente, la mia sincerità lo aveva ingelosito al punto che dopo il lavoro mi cercava praticamente tutte le sere pretendendo addirittura ogni volta di fare l’amore completo. Ormai vedeva Nicola come il suo principale rivale e per la paura di perdermi voleva dimostrare a se stesso di essere ancora nel pieno delle sue capacità.
Ci fu una settimana con suo figlio all’estero che lo facemmo tutti i pomeriggi, finché un maledetto venerdì ci fu il tragico epilogo. Mi concessi a lui vestita unicamente con un paio di calze autoreggenti e gli stivali rossi, ma dopo poco, sopra di me, lo sentii rantolare, credevo fosse un orgasmo ancora più intenso e lo incitai a scoparmi allo stesso modo e la stessa intensità con la quale Nicola mi faceva godere. Nella penombra della mia stanza lo sentii arrancare, sudare, annaspare, dirmi che avrebbe voluto morire per me e così fece. Il suo cuore non resse e dopo l’orgasmo rimase immobile e pietrificato dentro di me. Lo chiamai, urlai il suo nome, non volevo rendermi conto di cosa stesse succedendo. Lo chiamai, urlai il suo nome, alla fine riuscii a divincolarmi dal suo peso e non sapendo cosa fare chiamai Carla, sua moglie.

Ti risparmio tutti gli avvenimenti successivi e del grande dolore a tratti insopportabile, a tratti devastante. Il giorno del funerale mi vestii di nero e andai in chiesa. Non avrei mai potuto rinunciare a quell’ultimo saluto, ma durante la funzione mi si avvicinò Nicola, che nel frattempo era tornato dall’estero, e con fare brusco e scostante mi strinse forte il braccio e mi disse che la mia presenza non era affatto gradita e che per volontà di sua madre e di sua sorella dovevo allontanarmi e guadagnare immediatamente l’uscita. Piansi lacrime amare. Rimasi per una settimana intera senza mai uscire di casa.


L’ANTICO MESTIERE

Ero di nuovo sola e punto accapo mi facevano compagnia esattamente gli stessi problemi che avevo prima di conoscere Giovanni. Ma questa volta avevo un’arma in più ossia la mia consapevolezza che non sarei morta di fame qualunque cosa fosse successo. E alla fine successe.
A lavoro le mie continue assenze si fecero sentire e le cose andarono sempre peggio. Finché un giorno mi arrivò una raccomandata a casa da parte del Servizio del Personale, il quale senza tanti giri di parole mi diceva che, per ragioni di riduzione del personale, ero stata LICENZIATA!

Mi crollò il mondo addosso, ma aiutata dalla consapevolezza di prima, la mattina successiva mi alzai presto e mi vestii esattamente come la prima volta con Giovanni. Mi ripetevo che non dovevo arrendermi e che la vita alle volte andava presa di petto! Sfrontata e sicura del mio fascino andai a fare colazione e del bar sotto casa mi misi seduta in bella mostra in uno dei tavolini all’aperto. E mentre aspettavo il mio cappuccino conobbi il mio secondo “amante”, ovvero il marito della mia parrucchiera Katia dove andavo ogni settimana a fare la messa in piega.
Mi chiese il permesso di sedersi al mio tavolo, mi guardò con un sorriso ammiccante ed io rispondendo al suo saluto mi sorpresi a pensare quanto fosse facile rimediare lo stretto necessario per vivere. Lui, in jeans e camicia bianca, con i capelli in ordine ed un ghigno di chi conosceva perfettamente le donne, fu molto gentile, parlammo del più e del meno, pagò la colazione e nel momento di salutarci poggiò sul tavolino il suo biglietto da visita dicendomi: “Mi piacerebbe passare qualche ora con te, lontano da occhi indiscreti.” La richiesta anche se implicita fu molto diretta per cui guardandolo mi chiesi se si fosse sparsa la voce.

Comunque lo chiamai il pomeriggio stesso e fu un gioco da ragazzi trovarmi dopo tre ore vestita di tutto punto e con la messa in piega fresca e vaporosa al Motel Girasole. Ironia della sorte, prima di andare, ero passata da Katia chiedendomi cosa mai avrebbe detto se avesse saputo che proprio lei mi stava preparando e facendo bella per un appuntamento con un uomo che non era altro che suo marito! Per il piacere della trasgressione prima di uscire dal negozio le dissi con fare confidenziale che stavo andando ad un incontro galante e lei sorridendomi rispose: “Vedrai che farai colpo!”
Infatti non sbagliò. Altro che colpo! Il giorno dopo mi ritrovai davanti alla porta di casa un enorme pianta con un biglietto rosa con su scritto: “Sei stata favolosa!” In quel frangente mi domandai perché gli uomini nonostante pagassero avessero bisogno di cercare sempre il lato romantico del sesso!

Dopo il marito della parrucchiera, che vidi regolarmente quasi tutti i venerdì pomeriggio, ci furono l’impiegato della Posta, l’amministratore del condominio, il mio dentista, il padrone di casa, l’idraulico e suo fratello. A quel punto però mi chiesi quanti amanti avrei potuto considerare tali e quale fosse il limite, il numero al di sopra del quale da amante mi sarei dovuta considerare una puttana. Mi fermai a sette e per scrupolo di coscienza iniziai a rifiutare altre offerte rimanendo nei confini di quella cerchia di amici e quindi della mia strana morale. Successivamente sempre col passaparola sostituii qualcuno con altri sempre del mio quartiere, ma non superai mai quel numero.

Le modalità erano semplicissime. Loro mi mandavano un messaggio ed io mi facevo trovare vestita, secondo i loro gusti, all’ora stabilita nel posto concordato: casa, studio, garage, negozio oppure al “Motel Girasole” che nel frattempo era diventato il mio nuovo luogo di lavoro.
Durante quel percorso e nonostante i miei frequenti incontri mi ripetevo che mai avrei fatto quel mestiere! Non considerai mai il compenso come una tariffa bensì come un regalo generoso. Certo non era sempre semplice e veloce come con Giovanni, qualcuno consumava fino all’ultimo centesimo quei 100/150 euro, qualcuno preso dall’eccitazione mi chiedeva cose extra che non sempre ero disposta a soddisfare, altri mi rimproveravano di non essere calda o partecipe, ma tornavo a casa sempre con i contanti in tasca e il sorriso sulle labbra: già era come andare al bancomat!

Comunque diventai brava al punto che non avendo più bisogno di fingere pretendevo da quei rapporti la mia dose di orgasmo. Per la mia autostima era ogni volta fondamentale e vitale raggiungere l’orgasmo per non sentire loro come clienti ed io una donna a pagamento! Anche se diverso era pur sempre amore e loro erano ben contenti di far godere una donna. E mentre davo tutta me stessa spesso mi chiedevo perché mai dovessero pagarmi, in fin dei conti anche io provavo piacere.

Ma poi le cose cambiarono, mi ripetevo che raggiunta la sicurezza economica, avrei smesso all’istante, per cui per la sola avidità di denaro allargai il mio giro e conobbi un tizio poco raccomandabile che da cliente assiduo divenne amico, amante e confidente. Col passare dei giorni si era messo in testa che fosse giunto il momento di dare una svolta alla mia carriera senza che io ne avessi la necessità. Insomma per fare più soldi avrebbe voluto che battessi il marciapiede e lui sarebbe diventato automaticamente il mio magnaccia. Ovviamente non ne avevo alcun bisogno per cui una sera, mentre eravamo in macchina, al mio ennesimo rifiuto di lavorare per lui mi picchiò e poi mi lasciò lungo il guardrail del Raccordo Anulare. Da sola, di notte e senza soldi camminai per qualche chilometro poi finalmente un’anima buona mi raccolse e mi portò fino a casa, ma quell’episodio mi fece pensare… Quel lavoro in estrema solitudine era troppo pericoloso e quindi decisi che dovevo in qualche modo cambiare strategia.


MADAME VANILLE

In fin dei conti ero sicuramente una ragazza di bella presenza per cui avrei potuto riempire le mie serate facendo qualche lavoro extra senza rischi e pericoli, ma ovviamente sotto la tutela di qualcuno che non fosse uno sfruttatore. Mi misi a cercare su internet, ma la paga per ragazza immagine, hostess per congressi, fiere ed eventi, promoter, cameriera creativa per locali notturni, era davvero misera rispetto ai miei guadagni di allora.
Cercai ancora finché cliccai su un annuncio con la grafica accattivante: “Sei giovane, bella? Alla prima esperienza? Vuoi guadagnare seimila euro al mese?” E chi mai darebbe seimila euro ad una ragazza inesperta? Mi chiesi. Per curiosità entrai nel sito. In primo piano c’era la foto di una bella signora sui cinquant’anni. Madame Vanille.
Lessi attentamente l’annuncio. Si parlava di appuntamenti e massima disponibilità per uomini di affari, riservatezza, cultura e bella presenza. Immaginai cosa avrei dovuto fare a questi clienti facoltosi. Ovviamente sul sito non era scritto, ma ormai ero esperta e il mio lavoro non sarebbe cambiato di molto se non per il fatto che quel tipo di organizzazione mi avrebbe protetta e messa al riparo da altri tipi di pericoli. Di contro però non ci sarebbero stati più sotterfugi e sarei diventata ufficialmente una escort.

Il giorno dopo decisi di andare. Mi vestii, mi truccai e scelsi una gonna di pelle corta, calza color carne, tacco alto. Sopra una sobria camicetta senza reggiseno ed una collana di perle che pendeva maliziosamente tra le mie tette. Il posto indicato nel sito era in centro per cui presi un taxi e mi feci lasciare ad un centinaio di metri dalla casa. Camminando sentivo il rumore dei miei tacchi, mi chiesi se la mia andatura fosse diversa dal solito e se la gente che incontravo strada facendo capisse che stavo andando a fare la puttana, ma poi assunsi un’aria altezzosa del resto seimila euro al mese sarebbero stati grosso modo l’equivalente della mia tranquillità.
Arrivai sul posto, il villino dei primi del novecento in stile liberty, discreto e molto signorile, era immerso in una tranquillità di verde disarmante. Mi fermai davanti al cancello nero di ferro battuto a leggere le targhe di notai, avvocati e commercialisti. Poi mi diedi ancora del tempo e feci il giro dello stabile per pensarci ancora. Poi tornai di nuovo sul luogo del delitto, mi dissi: “Gilda, ma che vuoi che sia? Un maschio vale un altro!” e alla fine entrai.

L’appartamento era al secondo piano, interno 8. Presi l’ascensore, poi giunta al piano respirai profondamente e suonai il campanello proprio sopra una scritta gotica: Madame Vanille.
Mi avvolse un’atmosfera di serenità ordinata, la signora che aprì la porta era ben vestita e percepii un intenso profumo di vaniglia. La guardai bene ed era la stessa signora della foto. Con un caratteristico accento francese mi chiese il nome, ma non mi fece altre domande pregandomi di seguirla. Entrammo in un elegante salotto stile Settecento con i mobili di legno chiaro intarsiato di fiori, un grande tappeto al centro del pavimento e degli arazzi alle pareti. Il posto era davvero di grande lusso, la signora altrettanto era molto aggraziata, le sue mani perfette, lo chignon curatissimo ed una voce calda e sussurrata. Prima di sedermi mi chiese cortesemente di togliere il soprabito e di fare due passi nella stanza scrutandomi da capo a piedi.

Poi mi pregò di sedermi e disse: “Gilda lei è molto graziosa. Ha bellissime gambe, un fisico decisamente accattivante. Se ha suonato a questa porta saprà che lavoro dovrà fare, vero?”
Imbarazzata dissi soltanto: “Lo immagino…”
“In due parole la sua missione è quella di soddisfare il cliente con l’obbiettivo di metterlo a proprio agio non facendogli mai rimpiangere il prezzo che ha pagato. Se sarà capace guadagnerà molto bene, anche di più dei seimila euro dell’annuncio, lavorando poche ore al giorno, ma voglio essere molto chiara con lei, non si tratta di un lavoro di hostess e dovrà svolgerlo dentro queste quattro mura con la piena soddisfazione del cliente. Non è consentito per nessuna ragione incontrare il cliente fuori di qui. Se la sente?”
Senza giri di parole praticamente mi disse che dovevo fare la puttana. Mi chiese se avessi già esercitato ed io mentendo le dissi che non avevo esperienza al riguardo.
Lei sorrise: “I nostri clienti sono molto raffinati e di classe, ovvio sono esigenti, ma non si sognerebbero mai di andare con donne del mestiere, preferiscono gente alle prime armi che arrotonda lo stipendio, mogli insoddisfatte e giovani inesperte, quindi in questo caso non avere esperienza è una dote e non un difetto!”
Mi guardò.
“Secondo me lei è una ragazza di cultura superiore, posso chiederle il motivo per il quale ha suonato a questa porta?”
Questa volta dissi la verità ovvero che vivendo da sola avevo bisogno di soli per rimanere indipendente dai miei genitori.
“Beh credo che questo sia un buon motivo, vuole provare? Può venire qui senza impegno. Alle mie ragazze raccomando discrezione, pulizia e puntualità e mi farebbe piacere se entrasse a far parte della nostra famiglia. Sappia che le sue future colleghe sono studentesse italiane, qui non ci sono straniere, a parte la sottoscritta, e tutte di buona famiglia. Due di loro sono sposate, ovviamente con la benedizione dei propri mariti. Posso conoscere i suoi dubbi?”
Mi venne spontaneo: “Non è facile decidere di fare la puttana!”
“Oh mia cara, la prego, non usi quella parola, le puttane sono quelle che passeggiano lungo i viali di periferia. Lei sarà orgogliosamente una hostess o se vuole un’accompagnatrice pur non muovendosi da qui. Non si preoccupi, garantisco io per la riservatezza, nessuno mai saprà i dettagli del suo lavoro e la sua vera identità.”
“Sì, ma poi?”
“Ovvio, questo è un lavoro temporaneo, deciderà lei quando iniziare e quando smettere. È giovane per cui avrà tanto tempo per dimenticare questo periodo, ma lo farà con un bel gruzzolo in banca che le garantirà futuro e sicurezza.”
Sentii la sua mano posarsi con la leggerezza di una farfalla sulla mia gamba: “Suvvia, non sia preoccupata, in fin dei conti dovrà fare l’attività più naturale di questo mondo!”
La sua voce era calda, rassicurante e soprattutto convincente.
“Mi ha convinta, allora accetto, quando devo cominciare?”
“Ora vada a casa tranquilla, ci pensi su, la notte le porterà consiglio. Se deciderà di provare venga domani alle tre. Non si preoccupi per l’abbigliamento, pensiamo a tutto noi e scegliamo i vestiti e la lingerie in rapporto ai gusti dei clienti.”


CAMILLE

Alle tre in punto suonai il campanello. Madame Vanille mi accolse con un sorriso a trentadue denti: “Ben arrivata!”
Mi disse di seguirla: “Da oggi in poi lei sarà la nostra Camille, si dimentichi il suo nome!”
Entrammo in una stanza tutta rosa con un grande letto matrimoniale ed una toletta sfarzosa da star di Hollywood. Mi spogliò completamente, poi mi fece indossare una vestaglia rosa salmone trasparente: “La indossi altrimenti prende freddo, le assicuro che si sentirà una regina.” Poi mi indicò la lingerie da indossare adagiata sul letto: un reggicalze viola, un paio di calze nere con la cucitura dietro, un coordinato lilla e un paio di pantofole dello stesso colore della vestaglia.

Fece due passi indietro, guardandomi attraverso lo specchio: “È magnifica Camille, lo farà impazzire! Ora però si distenda sul letto ed assuma una posa tipo Madame Pompadour.”
Stranamente e nonostante la mia esperienza ero emozionata, mi tremavano le gambe, ma non perché da lì a breve avrei fatto sesso, ma per il fatto che questa volta non avrei scelto io con chi farlo e quindi sarebbe stata la mia prima vera marchetta!
Lei se ne accorse e porgendomi una rivista sussurrò. “Tra poco arriva il cliente, è un primario di una clinica molto famosa, ma lei non ci pensi. So come ci si sente la prima volta. Ora stia buona qui, si rilassi, legga e cerchi di distrarsi…” Mi sorrise ed uscì.

Dopo circa venti minuti sentii la sua voce in corridoio: “Venga dottore, le ho riservato Camille, il nostro nuovo acquisto. È una studentessa alle prime armi, come piace a lei!” Dopo qualche secondo aprì la porta e spuntò dalla penombra del corridoio un uomo di circa 55 anni. Fisicamente non era male. Alto, brizzolato con una leggera barba e gli occhi di un intenso celeste mare.
Lui avvicinandosi al bordo del letto mi disse: “Camille sei davvero carina.”
Sorrisi senza parlare abbassando lo sguardo, del resto Madame Vanille mi aveva raccomandato di parlare poco. Lui rimase in piedi accanto al letto, lentamente si tolse i vestiti adagiandoli con cura sulla poltrona. Poi completamente nudo si distese accanto a me.
Iniziò a baciarmi ed a spogliarmi ed io risposi aprendo leggermente le mie labbra alla sua lingua vogliosa: “Oh sì, sei un incanto!” Madame conosce i miei gusti e lei sa che una donna senza reggicalze non mi eccita.”

A giudicare dal suo sesso già eretto mi convinsi di essere adatta a lui. Scrutò ogni centimetro della mia pelle sospirando. Cercai di invogliarlo accarezzandomi l’interno delle cosce. Quel gesto lo fece letteralmente impazzire e immediatamente chinò la testa tra le mie gambe salendo fino al mio piacere, succhiandomi disse: “Sei un dolcetto squisito.”
Un attimo dopo era già sopra di me. Avvertii il suo grosso sesso scivolare tra le mie pareti. Incredibilmente mi eccitai, lui se ne accorse: “Che bello una puttana che gode!” A quel punto affondò tutto il suo sesso. “Allora vieni dai!” Il suo ritmo era incessante. Non sapevo cosa fare, se resistere o abbandonarmi alla sua passione. Lui continuò con il suo ritmo incessante. Mi feci capiente portando le ginocchia all’altezza del suo viso. Entrava ed usciva a suo piacimento. “Sei meravigliosa, Camille, ti piace vero l’antipasto?” Ed io di rimando urlai: “Ci sono.” E venni subito dopo.

Eccitato dai miei gemiti mi baciò in bocca: “Non mi era mai capitata una puttana che si fa baciare in bocca.” Era eccitatissimo e con un salto atletico si mise seduto sul bordo del letto: “Vieni dai, sei una fantastica zoccola, inginocchiati sul pavimento e prendilo in bocca. Obbedii. “Brava così, fammi sentire la tua bocca inesperta.” Trattenni il respiro, chiusi gli occhi e lo presi maldestramente cercando di saltare il ritmo per rendere la cosa ancora più vera: “Mettici l’anima in quella bocca! Muovi il sedere…” A quel punto stanca di fare la ragazzina inesperta feci a modo mio, lo presi avidamente fino alla radice muovendo alternativamente mano e bocca.

Immediatamente il suo respiro diventò affannoso, si irrigidì, immaginai che fosse sul punto di venire e invece me lo tolse dalla bocca, mi prese di peso, mi scaraventò sul letto e iniziò a scoparmi di nuovo dicendomi che ero la sua bambina, quella mai nata, che ero un fiore mai colto. La sua voce era tremolante, mi ordinò di non assecondarlo, di mettermi un dito in bocca e di rimanere immobile, di lamentarmi e piangere come se fosse la mia prima volta: “Non dire nulla alla mamma, lei non deve sapere.” Annuii: “La mamma è andata a fare la spesa, giura che non le dirai nulla quando tornerà?” Ancora qualche secondo ed esplose dentro di me con un urlo bestiale.
Tornò in sé ed un secondo dopo era già in piedi, si rivestì in fretta ed uscì dalla stanza in silenzio senza salutarmi. Rimasi sola, mi rilassai, pensai che in fin dei conti era stato piacevole e non affatto stancante.

Giorno dopo giorno mi convinsi sempre di più di aver fatto la scelta giusta. Una, due volte al giorno, massimo tre. Venivano uomini di tutti i tipi, ognuno con la sua storia e le proprie miserie di uomini soli, ma tutti benestanti ed anche piacenti. Si confidavano con me ed io ogni volta mi chiedevo perché mai dovessero pagare per fare l’amore. Del resto di donne pensavo ne avrebbero potute avere chissà quante e il fatto che pagassero cinquecento euro mi faceva sentire importante. Per strada camminavo a un metro da terra e non solo per i tacchi altissimi. Guardavo tutti dall’alto in basso, sapevo di valere quei cinquecento euro anche se a me arrivava in tasca solo la metà. Quando qualcuno posava gli occhi su di me mi dava la sensazione di essere come un manichino in un atelier con il cartellino del prezzo che pendeva dalla manica della giacca.

Sì facevo la puttana anzi ero una puttana e si vedeva da mille miglia di distanza e non facevo nulla per nasconderlo tanto che un giorno seduta in un bar si avvicinò un uomo sui quarant’anni e mi disse che, se fossi stata libera per quella sera, avrebbe pagato in anticipo. Lo guardai e sorrisi, ma lui insistette: “Lei signora è un incanto, la prego, sono solo in città, si faccia prenotare!” Smarrita gli risposi: “Ma come fa ad essere così sicuro che sono una donna da prenotare?” Lui mi guardò le gambe, portavo una gonna fin sotto il ginocchio, poi mi disse: “Mia signora, una donna in reggicalze è abituata a ricevere simili proposte.” Mi colpì la sua arguzia per cui accettai senza però dargli la soddisfazione che il suo intuito aveva fatto centro. Mi porse il suo biglietto da visita, poi l’indirizzo dell’hotel dove alloggiava: “Stasera alle nove con cena in camera.” Quando andò via lessi il biglietto: Dottor Giovanni Pace. Sottosegretario al ministero degli Interni.


NATHALIE

In quella casa feci amicizia con Nathalie, una bellissima donna con una cascata morbida di capelli rossi e due labbra rosse da mozzare il fiato. Lei fu la prima collega che conobbi, aveva circa una decina di anni più di me, e parlando del più e del meno si instaurò tra noi una certa confidenza. Lei era alla prima esperienza. Un giorno mi confidò che Madame era attratta dalle donne e parlando mi fece il nome della sua preferita, una bella ragazza bionda che avevo intravisto in corridoio. La cosa mi inquietò per il semplice motivo che non ero mai stata con una donna e sinceramente ne avrei fatto decisamente a meno.

Qualche giorno dopo Nathalie mi raccontò la sua storia. Proveniva da una famiglia umile, suo padre faceva l’impiegato alle poste e sua madre la casalinga, ma un giorno ebbe la fortuna di incontrare un imprenditore di formaggi. L’azienda andava molto bene, lei rimase subito incinta e si sposarono. Matrimonio da mille e una favola con oltre 500 invitati.
“Mi sentivo davvero una principessa ed ogni sera prima di coricarmi mi chiedevo come mai avessi avuto tutta quella fortuna nella vita e chi mai avrei dovuto ringraziare…” Mi disse durante una pausa bevendo una tazza di thè fumante nel salotto buono di Madame Vanille.
“Poi però le cose sono cambiate, la crisi di qualche anno fa è stata un vero tsunami, mio marito mano mano è stato costretto a licenziare tutti gli operai e alla fine ha chiuso l’azienda. Ora fa il rappresentante di latticini per una grande industria. Il nostro tenore di vita era molto alto e con quella paga non riuscivamo neanche a pagare la rata di leasing delle automobili per cui siamo arrivati ad una svolta. O dovevamo ridimensionarci completamente rinunciando alle nostre soddisfazioni oppure dovevo anche io, in qualche modo, contribuire al reddito familiare.”
“E cosa hai fatto?” Mi resi subito conto, in quel contesto e dopo averlo chiesto, quanto fosse banale quella domanda. Ma in realtà mi sbagliavo perché la storia di Nathalie non era di sicuro banale.
“È arrivato tutto per caso e in maniera semplice. Durante un ricevimento di imprenditori, con i quali mio marito era rimasto in contatto, sono stata avvicinata da uno di loro, un’affascinante cinquantenne che era al corrente delle nostre condizioni economiche. Insomma non si è fatto scrupoli e mi ha detto: - Lei è molto bella Nathalie, sono anni che la desidero. - Eravamo rimasti soli in terrazza e senza guardarmi negli occhi, ammirando le luci gialle in lontananza, mi ha fatto la classica proposta indecente ossia tre mila euro!
Ovviamente ho rifiutato, lui ha insistito e alla fine ha fatto scivolare nella mia borsetta il suo biglietto da visita. – Spero non si sia offesa, se vuole può parlarne con suo marito, comunque ci pensi… L’importante che la cosa rimanga riservata. -”
“E tu?” A quel punto ero davvero curiosa!
“La cosa non mi ha lasciato indifferente. Ho raggiunto subito mio marito e fingendo un gran mal di testa l’ho pregato di andare via. Durante il ritorno a casa gli ho raccontato tutto. Lui mi ha guardata e si è messo a ridere senza dire nulla. Poi però la notte non abbiamo dormito, lo sentivo rigirarsi nel letto ed anch’io ero agitata. La mattina mentre facevamo colazione finalmente si è degnato di darmi un suo parere: - Senti Nathalie, quei soldi sono una manna piovuta dal cielo, certo che ci farebbero comodo, se a te non disturba più di tanto, non sarò di certo io a limitarti, però ad una condizione, non vorrò mai sapere il nome di chi ti ha fatto la proposta e soprattutto quando avverrà. –
Gli ho risposto che non me la sentivo, che mai avevo pensato di andare a letto con un uomo che non fosse lui e soprattutto perché quel genere di cose inevitabilmente portano a incomprensioni nella coppia. Lui non ha detto nulla si è alzato ed è andato via. In un secondo mi sono sentita tutta quella responsabilità addosso per cui ci ho pensato ancora qualche altro giorno e una bella mattina, quando mio marito era al lavoro ed io ancora nel letto, ho preso il telefono e ho chiamato il tizio.”
“Come ti sei sentita?”
“Strana e incosciente anche perché a me fare l’amore è sempre piaciuto, ma davvero non avrei mai creduto che un giorno avrei accettato di fare l’amore dietro compenso. Quindi gli ho detto che accettavo la sua proposta e lui di rimando mi ha chiesto se fossi stata disponibile per il pomeriggio stesso. Mi ha dato l’indirizzo di un appartamento in centro, una specie di garçonnière. Mi sono presentata all’ora stabilita, lui mi ha accolto in vestaglia, non mi ha dato neanche il tempo di spogliarmi ed è successo quello che doveva succedere. Certo è stato strano, neanche un bacio, un preliminare o che so io un aperitivo, mi ha subito guidata verso la finestra, ha voluto che appoggiassi i gomiti al davanzale, mi ha sollevato la gonna e mi ha presa ripetutamente lì in piedi. Pensa che il letto è rimasto intatto ed io mi sono sentita usata, ma incredibilmente non ho avvertito alcun imbarazzo, anzi ho goduto molto e continuamente. La cosa che mi eccitava di più era proprio il fatto che lo stavo facendo in cambio di soldi e che mio marito ne sarebbe stato al corrente. Quando la sera sono tornata a casa mio marito non mi ha chiesto nulla, ma mi si leggeva in faccia che non avevo passato il mio solito pomeriggio insieme alle amiche. Poi però la mattina dopo, mentre facevamo colazione, gli ho detto sorridendo che nella scatola dei Mon Chéri, anziché i cioccolatini, avrebbe trovato tremila euro. Lui non ha voluto sapere nulla, mi ha salutata baciandomi sulla guancia, ma poi la sera non mi ha chiesto di fare l’amore.”
“Ci sei stata ancora?”
“No, non mi ha più chiamata. Mio marito ogni tanto mi chiedeva se si fosse fatto risentire. Laconicamente rispondevo di no, ma mi sentivo quasi in difetto, addirittura in colpa, come se non fossi stata all’altezza della situazione. Non volevo deluderlo, per cui, quando i tremila euro sono finiti, ho tentato di fare da sola andando in giro per centri commerciali vestita in un certo modo e facendo capire che si sarei stata. Mi è capitato un ragazzo che oltre a darmi la metà della miseria che avevamo pattuito ha preteso di fare sesso nella sua auto in uno squallido parcheggio di periferia alla luce del giorno.
Decisamente quel tipo di sesso non era fatto per me, per cui ho iniziato a informarmi su internet e alla fine ho contattato Madame Vanille. Ora mio marito sa dove vado quando alle due esco di casa o quando torno tardi la sera. La cosa strana però è che da quando ho iniziato quest’attività non mi ha più chiesto di fare l’amore.”
“Ti dispiace?”
“Sinceramente sì, se tornassi indietro non gli direi nulla, so che, chiedendo la sua complicità, ho messo un macigno tra noi, ma desidero, costi quel che costi, mantenere il mio tenore di vita. Non rinuncerei mai a questi vestiti, alla mia macchina, alle vacanze, ai pranzi, alla mia bella casa, per cui adesso voglio solo lavorare sodo. Del resto anche se lui non mi cerca il sesso non mi manca, o sbaglio?”
Rise e si accese l’ennesima sigaretta.
“Tu godi con i clienti?” Dissi a bruciapelo.
“Perché tu no? Alle volte non vedo l’ora di venire qui. Mi prende una strana frenesia, sento che mi manca qualcosa. Sai non so se finora ti sia capitato quello che Madame chiama “il professore”. Ecco lui mi fa davvero impazzire, mi scopa divinamente, ci mette passione, quasi sentimento ed io di rimando do tutta me stessa. Quando scopo con lui la sera torno a casa allegra. Lo so che è sposato, ma vorrei tanto che mi chiedesse di uscire.”
“Hai paura di innamorarti?”
“Non lo so, se succede succede e non posso farci nulla, del resto sono i rischi del mestiere e credo che anche mio marito lo sappia. Comunque ripeto, di questo lavoro mi fa impazzire pensare che la mia figa possa valere così tanto! Ti rendi conto? In fin dei conti non è che ce l’abbiamo d’oro, è perfettamente uguale a quella di tante altre che la danno senza vedere il becco di un quattrino! Sai, ora che so quanto vale che senso avrebbe darla gratis, me lo spieghi?”
“Secondo te perché vengono con noi?”
“Ma è semplice! Perché siamo dei veri e propri feticci, merce rara direi, uniche donne che si vestono e si comportano esattamente come loro desiderano. Tu hai mai più visto una donna dolce, docile, disponibile e vestita con costose lingerie? Per quanto siamo accondiscendenti alla loro voglia se potessero ci sostituirebbero con delle bambole gonfiabili! Sappi mia cara, loro non pagano una donna, ma se stessi per sentirsi padroni. Visto che le loro donne, mogli o amanti che siano, hanno da tempo perso la femminilità e poi sono troppo impegnative, vogliono sempre in cambio qualcosa, attenzioni, affetto, esclusività, regali e soprattutto tanti soldi, niente a che vedere con quello che danno a noi.”
“Però col professore …”
Nathalie si guardò intorno, poi abbassò la voce.
“Camille ti confesso una cosa, ogni volta si eccita ad inventare storie e mi chiede insistentemente di vedermi fuori da qui. Lo fa impazzire l’idea di essere invitato a cena a casa mia e con la complicità di mio marito io dovrei spogliarmi e rimanere vestita con la sola lingerie. E mentre loro parlano del più e del meno dovrei toccarmi fino a raggiungere un fragoroso orgasmo urlando tutta la mia voglia di essere presa da lui con la benedizione di mio marito.”
“E tuo marito? E tu lo faresti Nathalie?”
Rise. “Per quanto mi riguarda lo farei anche domani, ma penso che per mio marito siano i soldi a fare la differenza anche se non si rende conto che la discriminante vera è un’altra, ovvero il fatto che godo ogni volta che faccio l’amore.”

Aveva ragione Nathalie, la discriminante non era il denaro, ma il fatto che godendo non ci sentivamo puttane fino all’osso. Comunque andai avanti per circa due anni, poi iniziai a prendermi delle brevi pause finché decisi che il mio conto in banca avrebbe giustificato una lunghissima e forse definitiva pausa di riflessione, anche perché il mio pensiero fisso, la sera guardandomi allo specchio, rimaneva sempre lo stesso: “Ero o non ero una troia?” Certo il mio atteggiamento era cambiato, non ero più la ragazzina timida di una volta, ma una donna consapevole del proprio fascino e della propria bellezza, ma, nonostante quel bordello, non mi rassegnavo a definirmi tale!
Del resto alla voce puttana il vocabolario era molto chiaro: sesso dietro compenso, senza distinguere la ragione per cui una persona fosse costretta a farlo. Ma comunque non me ne presi cura perché, nonostante ormai fossi dipendente dai piaceri del sesso, avevo deciso di smettere quel tipo di attività.


 
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Ogni riferimento a persone e fatti
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