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Adamo Bencivenga
Non correre
Chissà se è una storia da raccontare? Chissà perché la
sto scrivendo qui alle due del mattino, seduta sul
divano comodo della mia sala da pranzo. Giovanni e Luca
dormono, la tv è muta, manda immagini in bianco e nero
di un film degli anni quaranta, ed io qui, in
accappatoio, dopo una doccia rilassante, con un
bicchiere mezzo pieno di Sambuca ripenso a quello che mi
è successo oggi…
Tutto è successo stasera mentre
tornavo a casa con la mia Classe A bianca, ero sulla
Tangenziale e proseguivo a velocità sostenuta cambiando
più volte corsia per il traffico. Quasi zigzagando
ascoltavo la mia canzone preferita dei Pooh: “E nessuno
capirà che sto con te, E nonostante tutto e tutti, io
corro da te, Controcorrente, Contro la gente…” Certo le
parole non avevano nessuna attinenza con la mia nuova
situazione, ma mi sentivo sollevata e libera, perché
poco prima avevo chiuso il primo capitolo della mia
vita.
Tutto ad un tratto però una macchina scura
di grossa cilindrata mi lampeggia, chiede il passo e
allora mi sposto per darle strada, cambio corsia,
rallento un po’, ma lui è sempre a ruota e non mi
sorpassa. Ritorno sull’altra corsia, lui continua a
lampeggiare e a quel punto mi chiedo: “Chissà forse mi
conosce”. Guardo bene dallo specchietto retrovisore,
penso a qualche collega, un amico, poi mi viene in mente
che mio cognato ha una macchina simile a quella, stesso
colore. Mi chiedo perché mai non si accosti e si faccia
riconoscere o se non è lui perché mai mi chieda strada
senza sorpassarmi.
Rallento di nuovo, gli faccio
cenno di passare, ma lui rimane dietro, incollato a
pochi metri, tra me e me gli do dello stronzo, mi stufo
e do gas, qualche centinaio di metri e premo ancora
l’acceleratore, ma la sua macchina è più potente e dopo
poco me lo ritrovo di nuovo dietro.
Infastidita
metto la freccia e prendo la prima uscita, ma lui
continua a seguirmi. Stessa destinazione o guai in
vista? Certo mio cognato è sempre stato un burlone,
scapolo a quarant’anni suonati si gode la vita. “Sarà
senz’altro lui!” Alla prima rotonda prendo a caso la
seconda traversa, lui mi segue a ruota, non ha alcuna
intenzione di lasciarmi in pace. Sono agitata, non so
che fare, mi tremano le gambe, ho paura di perdere il
controllo e allora decido di fermarmi.
Dopo un
centinaio di metri accosto l’auto vicino ad un grosso
tronco di pino, in un grande piazzale, sotto al
cavalcavia. Purtroppo la zona è deserta, dall’altro lato
della strada c’è una caserma, un’antenna della Telecom e
una grossa rimessa di autocarri, poi il nulla che
finisce in una distesa di verde. Chiudo le sicure e
prendo il telefono.
Anche la macchina nera si
ferma a due metri da me, a questo punto non ho dubbi,
sta seguendo proprio me, ma purtroppo non è mio cognato
e non ha un viso conosciuto. Faccio per ripartire, ma
lui scende dalla macchina con un mazzo di rose gialle in
mano. Sarà alto almeno uno e novanta, ben vestito, si
toglie gli occhiali da sole e mi sorride. Poi si
inginocchia, poggia i fiori per terra, mette le mani
giunte e mi chiede scusa reclinando più volte la testa.
“Oddio, ma i matti devono capitare tutti a me?” Penso e
noto che il suo sguardo non ha nulla di minaccioso.
A quel punto prendo tutto il mio coraggio, scendo
dall’auto e lo aggredisco: “Ma si può sapere cosa
diavolo cerchi?” Lui con estrema calma mi dice: “Ero
solo curioso di sapere chi fosse quella bella donna che
zigzagava sulla Tangenziale.” “Ma come ti permetti?
Abbiamo rischiato l’osso del collo!” “Ti chiedo
scusa.” Intanto si rialza e riprende le rose. “Ecco
ora che mi hai vista possiamo andare? Che ne dici?”
“Aspetta, giuro che sono un tipo inoffensivo. Puoi
fidarti!” “Non direi proprio, anzi se non mi lasci in
pace chiamo la Polizia.” “E cosa dici? Che zigzagavi
sulla Tangenziale e hai rischiato di provocare un
incidente?” “Ma veramente sei tu che hai iniziato a
lampeggiare…” “Io, non mi sarei mai permesso, di
importunare qualcuno, forse eri distratta, ma è mancato
poco che finivamo giù dal viadotto. Comunque mi chiamo
Davide e tu?” Intanto mi offre il mazzo di rose.
“Anna, ma non pensare, dato che mi sono fermata, di
attaccare bottone!” “Mi chiedevo perché mai ti eri
fermata in questo piazzale desolato.” “Siamo davanti
ad una caserma e poi tranquillo so difendermi.”
Si volta verso la caserma, lo guardo, non ha affatto le
sembianze di un molestatore. Di aspetto non è male, ha
le spalle larghe. A dir poco un uomo affascinante e poi
ha qualcosa di sensuale, forse per come muove le mani,
il tono della voce, lo sguardo intenso… “Dai accetta
queste dono.” “Mica te la cavi con così poco e poi
dove hai preso queste rose? “Oggi è il mio compleanno
e volevo farmi un regalo.”
Mi chiedo quanto sia
strano il destino, proprio questo pomeriggio sono andata
dall’avvocato a firmare l’atto di separazione da mio
marito. Non sono passate neanche due ore e mi ritrovo
qui a parlare con uno sconosciuto che se avessi
incontrato in altre circostante, tipo un locale o se
fosse stato l’amico di una mia amica, di certo non me lo
sarei fatto sfuggire.
“Ok grazie per le rose, il
giallo è il mio colore preferito. Però ora andiamo,
avrai da fare… ti aspetteranno a casa, no?” Domando per
sapere. “Oh mia signora, sono solo e libero di
volteggiare sulla Tangenziale e alle volte infastidire
delle belle signore in Classe A.” “Quindi immagino
che non sia la prima volta…” “La prima volta no, ma
mai mi era capitato che una bella signora si fermasse su
un piazzale davanti ad una caserma…” “Sei stato
fortunato perché mio cognato ha la stessa tua auto per
cui pensavo fosse lui…” “Alle volte il destino fa
brutti scherzi… Quindi sei rimasta delusa…” “No
perché? Non è che avrei avuto tutto questo desiderio di
incontrarlo. Anzi poi per la precisione è un ex cognato.
E poi in fondo, ma molto in fondo tu non sei così
osceno…” “È un complimento vero?” “Non lo è, ma
diciamo che gli stupratori di signore per bene sulla
Tangenziale non vanno in giro con un mazzo di rose
gialle e poi si riconoscono a distanza siderale.”
“Quindi assodato che non sono un violentatore, ti posso
offrire un caffè?” “E dove? Nella caserma?”
Ridiamo. Lui si avvicina. Siamo ad un passo l’uno
dall’altro. “Scusa sono un po’ imbranato, ma tu mi
fai un effetto particolare…” “Beh non voglio
saperlo…” “Sicura?”
In realtà ora non sono più
sicura di niente… Forse, penso, mi devo abituare alla
mia nuova condizione di separata ufficiale, ma è pur
sempre uno sconosciuto e i miei 37 anni mi portano a
pensare che di occasione come queste ne avrò abbastanza
nel prossimo futuro. Quest’uomo inconsciamente mi sta
dando la misura di quanta potenzialità possa avere una
donna quando non ha più lacci morali e quanto un
incontro casuale come questo possa riservarti sorprese
piacevoli.
Comunque dico: “Si è fatto tardi, devo
andare…” “Hai qualcuno che ti aspetta?” “Ho dei
figli e una cena da preparare. E tu? Non hai altro da
fare che molestare le signore in Classe A?” “Sono un
avvocato, single e per fortuna mai sposato.” “Allora
oggi è il giorno degli avvocati!” “Perché dici
questo?” “Niente è una lunga storia… Comunque ora
devo proprio andare.”
Non chiede spiegazioni ed
io apprezzo. Intanto mi fissa, mi fa i complimenti per
come sono vestita. E a quel punto mi dice: “Qualcosa
mi dice che non sarebbe male se ci rincontrassimo,
ovviamente in circostanze diverse.” “Ah sì? Scommetto
che stai per chiedermi il numero di telefono…”
“Sarebbe banale non sono il tipo.” Ride. “E allora?”
“Se ci provassi ora avresti ancora da fare?” “Ti
darei perlomeno uno schiaffo!” “Allora vada per lo
schiaffo!” Si avvicina. “Non ti azzardare sai…” Ma
sorrido. “Sei bellissima Anna, mai avrei creduto che
dentro un’elegante Classe A ci fosse una donna
altrettanto elegante e così attraente.” Faccio per
salire in macchina, ma lui mi prende la mano.
“Smettila, non sono quel tipo di donna!” “Ah sì e
quale sei?” Senza dire altro mi bacia delicatamente
sulle labbra. Rimango impietrita, non me lo
aspettavo, serro le labbra, ma lo lascio fare. Forse era
quello che si aspettava, perché non demorde. Lo
respingo, ma lui continua a baciarmi. “Ma come fai a
pensare che io possa accettare il tuo bacio senza uno
straccio di corteggiamento?” “Perché sei diversa
dalle altre… Hai magnetismo. E poi non sono io che mi
sono avvicinato sei tu che lo hai voluto.” Rido: “Sei
un tipo buffo sai.”
Siamo in mezzo alle nostre
macchine, lui mi spinge verso la mia, non reagisco, anzi
alla fine accetto quel bacio. Mi rendo conto che è una
pazzia, ma forse è proprio il mio nuovo stato di
separata che mi fa apprezzare questa nuova libertà.
Mi lascio baciare di nuovo e lui mi sussurra: “Sai di
buono.” Dico: “Tu sei pazzo!” Lui non mi ascolta e non
molla, sento le sue dita che stanno completando l’opera.
I fiori mi scivolano dalla mano. Ora ha una mano sotto
la mia gonna, arriva al bordo della mia calza, ma non si
ferma. “Fermo, ma che fai!” Ma so perfettamente cosa
sta facendo. “Tu sai di pazzo.” Dico ancora, ma è
una pazzia che mi piace, sento che mi sto bagnando e lui
sente che avrà vita facile, nonostante siamo all’aperto,
il piazzale, la caserma, il tronco e il cavalcavia.
Lo guardo, ha gli occhi neri, grandi come due noci,
ha i capelli spettinati, un accenno di barba, certo come
prima volta non avrei potuto sperare di meglio. Penso.
Nel mentre mi chiedo quante dita abbia quella mano
illudendomi che queste due macchine e il tronco del pino
ci riparino da occhi indiscreti. Mi spinge, sento il suo
ardore, praticamente non ha mai smesso di baciarmi,
vorrei dirgli di spostarci, fare qualche passo verso
l’autorimessa, oppure di vederci stasera da me, da lui,
ma non so se mi abbia detto la verità, se è impegnato, e
sinceramente ora non mi importa nulla.
Lui
continua ed ha ragione, è solo un attimo da cogliere,
qui non c’è passato e né futuro, solo un uomo e una
donna, due sconosciuti che si cercano, perché se ci
fossimo già conosciuti non sarebbe stato lo stesso.
Conosco le dinamiche, sono stata sposata! Forse anche
lui è sposato o forse anche lui oggi è reduce dallo
studio di un divorzista, forse non cercava altro che una
donna per farsi consolare, non so, ma è sicuramente il
giorno giusto, il pomeriggio, l’ora, l’attimo per
continuare a baciarmi, e incurante di essere su un
piazzale all’aperto, per sbottonarsi i pantaloni.
Lo guardo ha l’aria disinvolta come se ci fosse
nulla di male, come se fosse naturale ora stringere il
suo piacere e rendermi conto di quanto sia
magnificamente voglioso. “Vedi l’effetto che mi fai?”
Ma non rispondo, mi sembra tutto così assurdo! Mai e poi
mai avrei creduto di trovarmi in una situazione del
genere e accettare passivamente il suo volere che a
questo punto è anche il mio. Sento il mio desiderio che
lievita, i miei umori che colano, penso che se finisse
così sarebbe bello lo stesso, ma non finisce, non può
finire, perché ora si inginocchia davanti a me, mi alza
la gonna e mi sta scosta lo slip.
Mi divarica
leggermente le gambe, mi bacia e mi guarda, i suoi occhi
hanno una luce intensa. “Sei pazzo!” Sospiro, ma sono
gemiti di voglia, stimoli per non farlo desistere. Sento
la sua lingua, gemo sempre più forte. Mi sta preparando,
aspetta il momento adatto. Sento il dolce risucchio
della sua bocca, ora sempre più insistente, finché
completata l’opera si rialza. Ha deciso che questo è il
momento ed ha ragione, non ho alcuna forza per
ribellarmi, sono sua, e lui non si fa pregare.
Ora preme maschio tra le mie cosce, mi cinge i fianchi
per tenermi ferma e senza chiedere permesso entra, come
se mi conoscesse da sempre, come se avessimo passato una
romantica serata insieme e questo fosse il giusto
epilogo. Mi guardo, ho la gonna sollevata sui fianchi,
sono praticamente nuda, ma assecondo il suo movimento,
il ritmo è quello giusto, i respiri sincroni, i fiati
umidi. Stretta in quel modo sento il suo corpo
invadermi, non credo che resisterò molto, ma non voglio
deluderlo. Stringo le palpebre, penso ad altro, penso
che sarebbe bello finire insieme. Ora mi bacia il
collo, mi stringe il seno, spunta una tetta dalla mia
camicetta, ma non ho alcuna vergogna, anzi gli dico di
scoprirmi l’altra. Voglio che sia mio, lui obbedisce e
nel contempo spinge, spinge come un forsennato, come un
cercatore d’oro, come l’assalto ad una diligenza, oltre
la lunghezza del suo pene, oltre la voglia della sua
immaginazione.
È superbo, lo sento, mi sente,
punto i tacchi sull’asfalto, cerco di tenermi in
equilibrio, scivolo sulla lamiera al ritmo dei suoi
colpi, tengo testa al suo sguardo, i respiri sono ancora
più affannosi. Lo so bene che non siamo in una suite a
cinque stelle, lo so bene che di fronte a me non c’è una
vetrata con il mare, perché sento il rumore delle auto
sulla strada, perché siamo mezzi nudi in un parcheggio,
ma il suo sesso m’invade, assesta colpi sapienti, mi
stringe forte, quasi a farmi male, aumenta il ritmo, mi
bacia e urlando veniamo insieme in un orgasmo furioso e
violento che placa ogni desiderio.
Poi tutto
silenzio, stremati ci guardiamo, imbarazzati ridiamo e
ci fissiamo negli occhi come per chiederci se davvero lo
abbiamo fatto e come sia stato possibile e quanto sia
stato bello, appagante, invadente. Mi stacco da lui,
tiro giù la gonna, voglio respirare tutta l’aria di
questo pomeriggio strano, anche se sa di traffico e di
benzina, di sudore e cavalcavia, di un amore osceno
davanti ad una caserma, della mia gonna stropicciata e
della sua camicia fuori dai pantaloni. Poi torno
indietro piena di domande, lo guardo, vorrei chiedergli
se è l’inizio di una grande storia o la fine di un
incontro così pazzo e dissacrante che non avrò il
coraggio di raccontarlo perfino a me stessa.
Cala la sera, le luci gialle della caserma si sono
appena accese. Dalla macchina prendo i miei trucchi, mi
rimetto in ordine, poi appoggiata alla mia auto mi
accendo una sigaretta. Ci guardiamo rendendoci conto che
non abbiamo nulla da dirci, eh già del resto siamo solo
due sconosciuti e non avrebbe alcun senso continuare.
Allora getto la sigaretta a terra, la schiaccio con la
scarpa, sospiro senza parlare, poi salgo in macchina,
accendo il motore, abbasso il finestrino per salutarlo.
Lui raccoglie il mazzo di rose, si avvicina e lo adagia
sul sedile posteriore. Poi mi sfiora le labbra con un
bacio e mentre sto per andare via mi dice: “Non
correre!”
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
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