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AMARSI? CHE CASINO!
VIAGGIO NEL PARADISO TERRESTRE
Distretto di Luang
Prabang (LAOS)
Io ci sono stato a Luang Prabang,
tra templi dorati e tramonti indimenticabili che ti seducono
l’anima, dove non è assolutamente vietato mangiare il frutto
dell’Albero del Bene e del Male
Io ci sono stato a Luang Prabang, passeggiando lungo
i viali saturi di odori di spezie e profumi al curry,
tra i canti buddhisti theravada e le notti insonni
dell’antica capitale del Regno del Laos e oggi
Patrimonio dell’Umanità. Templi dorati, ritmi rilassati,
tramonti indimenticabili di una città che ti cattura, ti
entra dentro e ti seduce l’anima. Sì, ci sono stato e
ricordo benissimo i sorrisi della gente, le facce
serene, i colori giallo zafferano dei monaci e le guance
delle donne cosparse di thanakha, e poi ancora il fumo
acre dei sigari, il silenzio delle vallate sterminate,
l'odore della carne cotta alla brace e delle verdure
bollite.
Sì certo ci sono stato nei piccoli
alberghi malfamati, autentici bordelli organizzati un
po’ alla buona, sottotetti sporchi con un piccolo
giaciglio senza lenzuola, con la padrona gentile e la
ragazza musona, sì certo, ci sono stato spiando dalla
mia stanza l’interminabile e silenzioso via e vai, anche
se poi il sesso, come mi racconta la padrona
dell’albergo, lo trovi a buon prezzo dappertutto e non
occorre arrivare fin qui per avere un po’ di
divertimento.
Sì certo ci sono stato a Luang
Prabang, in questo Paradiso Terrestre. Qui è tutto
possibile perché non c’è Legge e non c’è Governo, ma
solo la natura che regola ogni rapporto e l’ebbrezza,
l’istinto e il piacere di una ragazza che accoglie lo
straniero a gambe spalancate senza alcuna malizia,
perché la pratica del sesso nella cultura locale
buddista è priva di Peccato.
Mi accompagna il mio
amico Seix, lungo le stradine tortuose che dalla
Birmania portano fino a qui, tra le capanne di bambù,
tra le mosche e le zanzare, tra il caucciù, la china e
la mangrovia. Loro sono qui, sedute su sgabelli malfermi
davanti alle loro case, vestite un po’ alla buona, ma
facilmente riconoscibili. La maggior parte ha meno di
diciott’anni, alcune tra i 13 e i 14 anni.
Provengono da minoranze etniche, non sono belle, sono
contadine, braccianti, molte di loro analfabete, prive
di qualsiasi istruzione. Qui non ci sono regole di
mercato, non ci sono tariffe, il sesso è così perché è
così che deve essere, perché così va il mondo. Qui regna
l’innocenza e nessuno tenta di fregarti, anzi trovi
aiuto e sorrisi, quei sorrisi di ragazze appena
accennati, scambi di sguardi fuggevoli e dannatamente
intimi che sottintendono il piacere.
Dopo ore di
cammino finalmente arriviamo in un piccolissimo
villaggio, una ragazza fuori dalla sua abitazione
indossa un copricapo vistoso e collane tradizionali. È
bella sì, ma di una bellezza particolare, distante mille
miglia da quella tipica occidentale, il colore dei suoi
occhi è un misto di verde d’autunno e di bosco, il suo
viso un ovale perfetto, ma la mia guida Seix mi avverte
che da queste parti la poca acqua non si usa per
lavarsi. Ci fermiamo, lui parla con alcuni uomini e per
segno di benvenuto siamo invitati ad una festa nella
casa di proprietà dell’anziano del villaggio, che è
anche insegnante e allevatore di capre. Ovviamente non
possiamo rifiutare.
Durante la festa alcuni
uomini iniziano a suonare il flauto e le percussioni e
tra i partecipanti qualcuno fa passare di mano in mano
qualche coscio di capretto, accompagnato da una specie
di distillato denso in bottiglie di plastica e subito
dopo del tabacco oppiato. Alla festa di benvenuto sono
presenti una ventina di uomini locali, qualche turista
di passaggio e solo tre donne, di cui due sposate e
tutte senza velo. Gli uomini vestono con un lungo e
largo camicione di cotone con pantaloni larghi e comodi.
Le donne invece indossano il kafiro, una specie di saio
di stoffa grezza nera.
Quando si aprono le danze
alcuni uomini iniziano a ballare tra loro. Sono in
apprensione non vorrei che qualcuno mi invitasse. Qui
l’omosessualità non è vietata perché gli omosessuali non
esistono, qui esistono solo effusioni tra uomini, ma
sono considerati atti privati che non interessano la
società e il capo del villaggio. Le donne non ballano,
ma bevono vino insieme a noi. Dopo circa due ore,
improvvisamente, due uomini iniziano a litigare,
ovviamente non capisco il vero motivo, forse qualcuno
ubriaco ha allungato le mani su una delle donne, la mia
guida comunque si alza, mi si avvicina e mi prega di
andare.
Fuori il cielo è uno spettacolo mai
visto, le stelle enormi e lucenti sembrano vicinissime,
mi fermo ad ammirare questo incanto quando Seix mi
chiede se ho bisogno di amore a pagamento. Mi dice che
sulla strada principale, a due miglia dal villaggio, in
una casa dai mattoncini rossi, vivono madre e figlia che
offrono questi servizi senza alcun pericolo per il
cliente. Mi dice: “Sai qui l’amore non si offre ad ore
come in Europa, l’amore qui si conta a giorni e il
compenso avviene col sistema del baratto. Sono graditi
thè, bottiglie di vino e tabacco.” Ovviamente, pensando
allo scarso uso dell'acqua per lavarsi, ringrazio Seix,
ma rifiuto deciso l’invito. Poi ci salutiamo, lui mi
dice che andrà a dormire da una famiglia, amici dei suoi
da vecchia data, mentre io sono destinato in una stanza
chiamata generosamente pensione.
Alla reception
mi accoglie una signora anziana, mi fa capire che sono
l’unico cliente per quella notte, gli altri stranieri
presenti nel paese hanno preferito mettersi in viaggio
ed affrontare l’oscurità. Quando apro la porta della
stanza mi assale un forte odore simile a fieno
fermentato. Passano appena dieci minuti o forse meno e
sento bussare alla porta. Apro e riconosco
immediatamente la ragazza della festa quella che avevamo
visto nel pomeriggio all’entrata del paese con l’ovale
perfetto e gli occhi tinti di verde. A suo modo si
presenta, mi dice di chiamarsi Safiya, che non è una
mercenaria e soprattutto che non pretende nulla da me.
Ha l’aria tenera, due lunghe trecce nere le coprono i
piccolissimi seni. Ha indosso solo una gonna lunga
colorata e un paio di sandali. Rimane sulla porta, forse
attende un mio cenno, poi prende coraggio, mi fa segno
di non parlare e di stendermi sul letto. Avverto che il
suo odore non è sgradevole e ben consapevole di non
essere il primo e neanche l’ultimo la lascio fare e lei,
sempre in assoluto silenzio, si sfila la lunga gonna
colorata e si distende come una piuma accanto a me.
Le sue mani sono esperte, le sue labbra sanno già
dove andare, mi sfiora le gambe, i fianchi, la schiena,
ma senza stringere come se l’essenza fosse ciò che
potrebbe accadere o non accadere. Capisco immediatamente
che qui il piacere è l’attesa e il desiderio un lungo
fiume tranquillo, come per un viaggiatore attento il
tragitto vale quanto la meta. Chiudo gli occhi ed
attendo, ma la sua intraprendenza finisce lì, la sua
esperienza si consuma con qualche respiro profondo, mi
guarda intensamente negli occhi come per dire: “Ora
tocca a te!”
La guardo, inizio ad accarezzarla e
lei docilmente si lascia guidare in questa ricerca del
piacere contaminato e fuso da culture diverse. Curiosa
delle mie mani occidentali si lascia visitare come un
tempio tibetano. In punta di lingua la esploro dietro le
orecchie, sui capezzoli, lungo la schiena per poi
risalire lungo i fianchi e ripercorrendo lo stesso
tragitto vado oltre arrivando senza alcuna resistenza da
parte sua attorno al suo pube. La sento gemere e a quel
punto mi prende la testa con le mani, la spinge sulle
sue intimità, apre le gambe e mentre assaporo il suo
nettare acre e selvatico avverto, dopo alcuni secondi,
il suo respiro delicato che si contrae di spasmi e
desiderio non più trattenuto. Mi sorride, dice qualcosa
nella sua lingua, è un suono dolce e armonioso, quasi un
gemito, forse mi sta chiedendo altro, forse vorrebbe
fare l’amore oppure ripagarmi con la stessa moneta, ma
l’unica moneta in quel momento è quella della tasca dei
miei pantaloni che penzolano sulla sedia malferma
accanto al letto. Mi guarda con aria interrogativa, come
se non capisse. Ripenso alle parole di Seix: “Qui
l’amore non si offre ad ore, l’amore si conta ad ogni
passaggio di sole e il compenso avviene col sistema del
baratto: thè, bottiglie di vino e tabacco.” Mi scuso
per la mancanza di tatto, ma lei non capisce, anzi mi
sorride, accetta il dovuto, mi bacia sulla guancia,
raccoglie la sua gonna e contenta guadagna nuda la
porta.
La mattina seguente mi sveglio prestissimo
e sotto la finestra del tugurio dove ho dormito Seix mi
sta già aspettando. È ancora l'alba e insieme salutiamo
la padrona della pensione e scendiamo a valle. Il tempo
è rigido, ma il sole all’orizzonte sembra una tela
dipinta. È davvero uno spettacolo suggestivo e unico.
Alla prima sosta prendo i miei appunti di viaggio e
qualcosa mi sembra di aver capito di queste terre, la
loro filosofia di vita è estremamente semplice come del
resto lo sono i loro bisogni. Credono negli spiriti
maligni e nelle fate benevole, come del resto al vento,
al sole, alla luna e al tempo che cambia, e le stagioni
sono un motivo di festa e quindi di danza, di vino e di
divertimento. Mi è parso un popolo molto tollerante in
fatto di religione e le loro credenze pagane convivono
tranquillamente con Dio, semmai il problema, scrivo, è
che Dio non convive con loro.
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ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
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