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Lidia Poët
La prima avvocata
d'Italia
Non fu solo la prima avvocata d'Italia,
fu anche una pioniera per l'emancipazione femminile e lottò per
ottenere il suffragio femminile e spese la sua vita per gli
altri
(Perrero, 26 agosto 1855 – Diano Marina, 25 febbraio 1949)
Madame le sue origini?
Sono nata a Perrero in provincia di Torino nel 1855.
Provengo da un’agiata famiglia valdese. Sono l’ultima di
sette fratelli e i miei genitori, proprietari terrieri,
sensibili ai temi della cultura e dell’istruzione, mi
offrirono le stesse opportunità concesse ai miei
fratelli maschi. Ancora adolescente mi trasferii con la
famiglia a Pinerolo dove già risiedeva mio fratello
maggiore Giovanni Enrico, titolare di uno studio legale
avviato.
Gli studi?
Frequentai il "Collegio delle Signorine di Bonneville"
in Svizzera e, nel 1871, mi diplomai come Maestra
Superiore Normale e di lingue. Conoscevo l’inglese, il
tedesco e il francese oltre al greco e il latino. Poi
tornai a Pinerolo, i miei nel frattempo erano morti,
dove presi la licenza liceale classica. L’anno
successivo mi iscrissi alla facoltà di giurisprudenza
dell'Università di Torino, dopo aver abbandonato la
facoltà di Medicina, diretta da Cesare Lombroso.
Quindi si laureò in giurisprudenza?
Avevo 26 anni quando discussi una tesi sulla condizione
femminile e sul diritto di voto per le donne. Poi feci
praticantato nell’ufficio dell'avvocato e senatore
Cesare Bertea superando così con il voto di 45/50,
l’esame di abilitazione alla professione forense e
chiese l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati e
Procuratori di Torino.
Qui iniziano i
problemi… Esatto, la mia richiesta venne
osteggiata dai miei colleghi maschi in quanto donna,
qualcuno addirittura si dimise dell’Ordine, ma
nonostante tutto venne accolta con la precisazione che
“a norma delle leggi civili italiane le donne sono
cittadini come gli uomini.” Fu così che il 9 agosto 1883
divenni la prima donna ammessa all’esercizio
dell’avvocatura.
Immagino lo scandalo!
Già al tempo era inconcepibile che una donna potesse
esercitare la professione fino a quel momento declinata
al maschile. La notizia venne ripresa dalla stampa, tra
cui la rivista femminile “La donna”, e nel contempo, si
moltiplicarono testi e articoli contrari alla mia
avvocatura.
Poi però cosa successe?
Il procuratore generale del Regno mise in dubbio la
legittimità dell’iscrizione e impugnò la decisione
ricorrendo alla Corte d'Appello di Torino. Tre mesi dopo
venni cancellata dall’albo. Presentai immediatamente
ricorso alla Corte di Cassazione, ma la Corte confermò
la decisione della Corte d'Appello, dichiarando che “La
donna non può esercitare l’avvocatura”.
Quali furono le argomentazioni? Si
sosteneva che dato che non vi era una specifica
ammissione delle donne a tale esercizio non era
possibile interpretare il silenzio del legislatore alla
stregua di una ammissione. A conferma della sentenza vi
erano anche considerazioni di carattere lessicale: in
quanto il termine avvocato era da intendersi solo per il
genere maschile ossia avvocato e mai quello di avvocata.
Vi furono anche delle tesi bizzarre vero?
Direi tutt’altro che giuridiche e frutto di stereotipi
di genere visto che veniva sentenziato che esistono
diversità e disuguaglianze naturali tra uomo e donna;
che era inopportuno per la donna discutere di argomenti
imbarazzanti per fanciulle oneste oppure indossare la
toga su abiti, ritenuti tipicamente strani e bizzarri;
che avrebbe potuto indurre i giudici a favorire una
“avvocata leggiadra”; che a causa del ciclo mestruale,
una volta al mese una donna non avrebbe avuto
l'obiettività e la serenità necessarie per affiancare
adeguatamente i propri assistiti e ultimo, ma non
ultimo, che per sua stessa indole cagionevole e in
generale per la deficienza di adeguate forze
intellettuali e morali, non avrebbe potuto svolgere alla
perfezione la professione.
La domanda
viene spontanea… perché mai consentire a una donna di
laurearsi se poi il mestiere per cui ha studiato non
poteva essere svolto? La motivazione è
semplice: l’istruzione era consentita, ma solo per
fornire una cultura generale utile a trovare marito.
Essere colte era considerato un valore aggiunto per
contrarre un buon matrimonio, ma non per esercitare una
professione.
Cosa successe a quel punto?
La cancellazione accese un intenso dibattito e non solo
in Italia. I grandi giornali ne parlarono ampiamente ed
io stessa venni intervistata dal Corriere della Sera in
cui commentai la sentenza.
Quindi con la
sua perseveranza aveva smosso le coscienze?
All’inizio non successe nulla ed io non potei
esercitare, ma collaborai con mio fratello divenendo nel
frattempo attiva nella difesa dei diritti dei minori,
degli emarginati e delle donne. Tra le altre cose mi
occupai dei diritti dei detenuti affrontando il tema
della riabilitazione dei detenuti attraverso
l’educazione e il lavoro.
Iniziava a
diventare famosa… Venni invitata a San
Pietroburgo per partecipare al quarto Congresso
Penitenziario, lo stesso governo francese mi invitò a
Parigi e mi nominò Officier d'Académie. Aderii al
Consiglio Nazionale delle Donne Italiane (CNDI) fin
dalla sua fondazione, avvenuta nel 1903. Allo scoppio
della prima guerra mondiale prestai la mia opera come
infermiera dalla Croce Rossa italiana.
E
fu proprio la guerra a darle una mano… La
guerra scosse le fondamenta sociali in Italia e in
Europa. Il conflitto portò inevitabilmente gli uomini al
fronte, lasciando alle donne il compito di badare agli
affari e alla famiglia. E fu proprio quel cambiamento ad
influenzare le norme successive.
Finalmente la sua vittoria personale… Al
termine della prima guerra mondiale con la legge Sacchi
vi fu un primo passo verso l’emancipazione della donna.
Venne abolita l’autorizzazione maritale e autorizzò le
donne a entrare nei pubblici uffici, tranne che nella
magistratura, nella politica e in tutti i ruoli
militari. All’articolo 7 apriva alle donne le porte del
foro: “Le donne sono ammesse, a pari titolo degli
uomini, ad esercitare tutte le professioni ed a coprire
tutti gl’impieghi pubblici.
Quindi
divenne ufficialmente la prima avvocata.
Dopo aver praticato per anni la professione forense
insieme a mio fratello Giovanni Enrico, nel 1920 all'età
di 65 anni, venni ammessa finalmente all'Ordine degli
avvocati.
Lidia Poët non si sposerà e non
avrà figli: dopo una vita spesa al servizio degli altri,
morì il 25 febbraio 1949 a Diano Marina, all'età di 94
anni, dove trascorse gli ultimi anni. Venne sepolta a
Perrero nel cimitero di San Martino. L’epigrafe sulla
sua tomba la commemora come «prima avvocatessa
d’Italia».
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INTERVISTA A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FONTI:
https://it.wikipedia.org/wiki/Lidia_Po%C3%ABt
https://www.lidiapoet.it/
https://www.storicang.it/a/lidia-poet-prima-avvocata-ditalia_16020
FOTO GOOGLE IMAGE
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