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STORIE VERE
INTERVISTE IMPOSSIBILI
 
 

Il tassista
Adamo Bencivenga

 


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Ho fatto il tassista per tredici anni a Roma. È un lavoro affascinante e nello stesso tempo faticoso, ma si è sempre a contatto con le persone e tra le tantissime cose ho imparato è che il mondo si divide in due categorie ben distinte tra loro: quelli che si siedono nel sedile anteriore vicino al guidatore e quelli che prendono posto dietro, ossia la stragrande maggioranza.

Quelli che si siedono davanti sono quelli che ti vedono, si accorgono che sei una persona in carne ed ossa e non sei solo un guidatore e nella maggior parte dei casi sono quelli che iniziano a intavolare un discorso, qualunque esso sia. Certo sì, poi dipende dalla durata della corsa, dagli stati d’animo, dalle reciproche timidezze, ma quando scatta la scintilla anche parlare del tempo o del traffico ti rende vivo. Nella mia esperienza decennale ho imparato a riconoscere le persone dal loro modo di fare, da come vestono, dal profumo, dall’orario, da come parlano al telefono o da come rimangono in silenzio. Osservandole dallo specchietto retrovisore immagino le loro storie perché in fin dei conti sono tutte ombre prevedibili che appaiono e scompaiono nel breve tratto di una corsa, come se non fossero mai saliti nel mio taxi.
Ma sono coloro che si siedono davanti sono gli unici a lasciare una traccia e di solito sono gli stessi che alla fine del tragitto ti dicono: “Grazie”. Come se quel rapporto di breve durata andasse oltre il pagamento del servizio.

Sì lo so, prendere posto sul sedile anteriore è a volte sconsigliato, sia per il tassista che per il cliente, alle volte risulta un gesto troppo familiare oppure ambiguo in special modo se c’è differenza di sesso, ma è un gesto che non costa alcuna fatica: non ha importanza il posto che occupi, ma il modo con cui ti approcci all’altra persona. Ed io ho sempre amato quelli che si comportavano così, perché spesso erano persone umili che non badano ai ruoli, a volte persone in situazioni di emergenza che non erano solite prendere un taxi. Insomma persone che riconoscono la dignità del lavoro che stai svolgendo, ma anche che oltre quel semplice lavoro c’è una persona che magari proprio in quell’esatto momento potrebbe avere dei problemi personali ed una sola parola, qualunque essa sia, non solo è ben accetta, ma ti aiuta a distrarti.
Sono proprio le persone che intuiscono quanto siano fortunate del fatto che tu li stai guidando e loro si fanno guidare, ossia ruoli completamente capovolti e distanti che solo un gesto familiare può avvicinarli. Tutto questo per dire che nella mia vita è successo spesso di trovarmi nello stesso taxi con personaggi importanti e tutti in egual misura, nonostante svolgessero lavori differenti, prendevano posto nel sedile posteriore e passavano il tempo ad armeggiare col proprio telefono senza spiccicare parola. Vi giuro che la maggior parte di loro lo fa per darsi importanza e comunque mantenere le distanze sociali. Certo sì erano impegnati come del resto lo ero io in quel momento che cercavo di portarli a destinazione nel minor tempo possibile evitando intoppi ed incidenti.

Ma ricordo come se fosse ora quando, circa otto anni fa, al parcheggio della Stazione Termini, salì sul mio taxi Maurizio Costanzo. Lo riconobbi immediatamente, emozionato scesi dall’auto ed aprii lo sportello destro posteriore, ma lui mi chiese il permesso di salire davanti. Mi sono sempre chiesto perché mai mi avesse fatto quella richiesta insolita, forse soffriva di mal d’auto, ma alla fine mi resi conto che lui semplicemente non aveva bisogno di sentirsi importante.

Durante la corsa che lo portava nel quartiere Parioli, parlammo del più e del meno, anzi fu lui a chiedermi quanto fosse stancante il mio lavoro e quanto pericoloso nelle ore notturne. Gli raccontai qualche aneddoto e lui un increscioso contrattempo, ma mi accorsi che le sue domande non erano indiscrete, ma semplicemente piene di vita e desiderose di conoscenza. Certo non avrei potuto insegnargli niente, ma mi colpì la sua grande umanità nell’ascoltare le parole di un semplice tassista e mi fece un enorme piacere. La corsa durò non più di quindici minuti e quando arrivammo a destinazione mi disse semplicemente: “Grazie”.

Ecco, tutto questo per dire che non è il posto che ti fa sentire un uomo importante e rimani comunque quello che sei, ma se ti siedi davanti accanto al taxista è perché, nonostante milioni di spettatori che ti seguono, non hai bisogno di mantenere le distanze sociali e scambi due parole due col tassista.



 

 









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