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Adamo Bencivenga
I colori di un addio
E questa è l’ora che s’allunga tra gli
ombrelloni in fila indiana, a strisce gialle,
bianche e il verde si confonde con i pini, e questa
è l’ora del tramonto e un volto triste guarda il mare,
ha la barba ed un cappello, un vestito bianco panna,
e nella mano un giornale, e nei suoi occhi un velo
mesto, e cova dentro un’amarezza, che sa d’ormai
tutto è perduto, tra il pianto muto di un tormento e
quello zitto dei ricordi, una voragine profonda, e
nulla e niente e vuoto vuoto.
Accanto all’ombra
dorme il cane ma ogni tanto poi si desta, per
guardare il suo padrone, per strappargli una carezza,
per vedere se sia l’ora d’avviarsi per la cena,
e qui sta bene una canzone, la strofa che gli gira
intorno, e fa le ali e fa le piume come un gabbiano
sull’asfalto: “Allora non lo faccio più, l’amore
come poesia, che sembra quasi che non sai, io qui
chi sono e tu chi sei. La foglia, il frutto , il
fiore, il ramo.. il mare che ripete "T'Amo…"
E questa è l’ora che s’allunga e l’uomo solo guarda
il mare, ha la barba ed un ombrello se dovesse
diluviare, nel suo cuore una marea e il ricordo che
ora plana, sulla coda di un’estate, sull’albergo in
riva al mare, e qui sta bene un rimpianto che vela
gli occhi e addensa il sangue, e quella mano che ora
trema, conserva il tatto dell’odore, che s’insinua
tra la gonna, e sale sale e torna torna.
E l’uomo
tocca e la ritocca, poi la stringe e la rivuole, nel
girotondo a filastrocca, nella bocca le parole, che
si mescolano ai baci, e tace e dice e fa le rime, e
s’infila tra i ricami, lungo i lembi dei suoi versi,
e fa la tela e fa la trama, tra le gambe ospitali,
sulle code di quegli echi, di rigogli e fiati densi,
che a punte, a soffi, ad archi e fiati, sopra il guscio
di una perla, fa le curve alle sue forme, e fa le
onde a quella seta.
E questa è l’ora che
s’allunga e si sfilaccia nel ricordo, di un rosso
denso denso che s’adagia sulla sera, e qui sta bene
una pineta, un giallo ocra che scolora, nel verde
arancio di una foglia, che a tratti danza a tratti vola,
e poi ritorna e si risveglia sulla falce di una
luna, su una spina di una rosa che s’impiglia e la
fa bella, su un vento caldo che risoffia, e spiccia
a ciocche i suoi capelli, e tesse a sciami come
vespe, quei baci buoni ad uno ad uno.
E qui sta
bene un giallo ocra che sfuma lento alle sue spalle,
e lui che sogna ad occhi aperti scandendo bene le
parole, di lui che dice amore amore, tra il cono
d’ombra di una culla, e lei si lascia trascinare,
dal suono di una gemma nuova, che spunta tra quelle
sterpaglie, di grano secco e fieno fieno, e poi
ritorna il vento caldo, che fruscia l’erba e
l’accarezza, e poi s’adagia a velo raso,
galleggiando su quel corpo, come il soffio di una
brezza, nel giorno nuovo d’aria tersa.
E qui sta
bene un giallo miele appiccicoso come il sale, e
sale e scende sulla pelle, sopra il monte e giù per
valle, dove il seno s’innamora, di quel sole che lo
indora, del vento caldo che lo increspa, d’un
brivido che resta, dove un’ora è un frammento, un
gemito e un vizio, nelle sue labbra baci buoni, nei
suoi occhi una richiesta, mentre muta s’abbandona,
quando un passo vale un altro, una danza che
leggera, fa la ruota a quella gonna.
E questa è
l’ora che s’allunga, tra gli ombrelloni in fila indiana,
un bagnino che riassetta, la battigia per domani,
e qui sta bene che lui s’alzi, e cammini sulla
spiaggia, e qui sta bene che il suo cane, lo segua
stanco a passi lenti, e lasci vivo quel ricordo
sulle sdraio in riva al mare, e questa è l’ora degli
addii, o quanto meno dei rimpianti, che fa dolore e
male male, ogni volta che ci pensa.
E questa è
l’ora degli abissi, il gioco amaro delle colpe,
accuse e scuse e pentimenti, di chi è stato e che sarà,
la vita che ora scorre lenta, senza squilli e né
messaggi, e qui sta bene una visione, due versi
intinti nella rima, nella poesia una stazione, e un
treno parte ed uno torna, un tailleur che
s’allontana, la riga corre sulla calza, ed un
cappello che scompare, tra il fumo grigio del vapore.
E qui sta bene un uomo solo, un solco nuovo sul
suo viso, una lacrima lo segue e scompare nella
barba, nell’ora tarda che s’allunga, nella certezza
che domani, sarà un giorno nuovo nuovo senza alba e
senza ombra, nei suoi regni d’ampie lande, senza
querce e senza pini, poi un timido sorriso che
affiora sulle labbra, perché sa che solo lei
capirebbe quella frase.
Ma ora niente più ha un
senso, niente più colore, e gli ombrelloni sono
stinti, e la spiaggia cupa e grigia, sulla quale lui
cammina, sulla quale lui si ferma, ad aspettare
senza fretta le sue orme e la sua pena, e qui sta
bene che il suo cane lo raggiunga e lo preceda, e in
lontananza un cielo nero, domani sarà pioggia, e in
lontananza il suo albergo, le luci accese in terrazza,
e un vocio che sale sale ed è già ora per la cena.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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Photo
IraklisMakrigiannakis Il brano citato in corsivo è
tratto da "il suono" di Amedeo Minghi
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