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INTERVISTA IMPOSSIBILE
MARIE LAFARGE
La scienza condannò un'innocente?
Fu accusata di aver ucciso con l'arsenico il marito, il suo caso
giudiziario suscitò un grande interesse nel pubblico che si divise
tra innocentisti e colpevolisti...
(Parigi, 15 gennaio 1816 – Ussat, 7
novembre 1852)
Madame le sue origini?
Sono nata a Parigi, il mio vero nome è Marie-Fortunée
Capelle e sono figlia illegittima di un appartenente
alla famiglia reale francese.
La sua
adolescenza? Purtroppo all'età di dodici anni persi
mio padre, morto per un incidente di caccia. Mia madre,
che si era risposata poco dopo, morì sette anni dopo. A
18 anni fui adottata da mia zia materna, ma la
convivenza fu così difficile che mio zio, a mia
insaputa, tramite un’agenzia matrimoniale mi trovò
marito.
Chi era il suo futuro sposo? Non ero
d’accordo, ma dovetti rassegnarmi alle volontà di mio
zio e mi promisi a distanza a Charles Pouch-Lafarge, un
rozzo proprietario di una fonderia sull'orlo del
fallimento e di un castello decadente. Lui si presentò
come un ricco possidente e ovviamente mentì sulle sue
reali condizioni finanziarie, anzi si presentò a me come
un ricco maestro del ferro con proprietà del valore di
più di 200.000 franchi, ma in realtà era solo alla
ricerca di un matrimonio redditizio per pagare i suoi
creditori. In quell’occasione portò anche lettere di
raccomandazione del prete del suo paese.
Come fu
il vostro primo incontro… Trovai Charles dall’aspetto
ripugnante, ciononostante, dietro insistenza della mia
famiglia e soprattutto perché lo credevo ricco e
proprietario di una sontuosa tenuta accettai di
sposarlo. Così, quattro giorni dopo l'incontro,
annunciammo il nostro fidanzamento e ci sposammo il 10
agosto 1839.
Lei cosa fece? Giunta nella mia
futura casa trovai una situazione molto diversa da
quella sognata. La casa era un ammasso di rovine, umida
e infestata dai topi. Invece della ricchezza scoprii che
mio marito era pieno di debiti. Dai suoi parenti venni
subito considerata e trattata come un’estranea.
Perché i parenti di Charles erano diffidenti nei suoi
confronti? Beh sicuramente non ero il tipo di donna
che piaceva al mondo contadino e perché mai mi sarei
adeguata al modello di pudore che si pretendeva dalle
donne locali. Loro non vedevano di buon occhio che una
donna montasse a cavallo o si esibisse al pianoforte e
leggesse poesie romantiche davanti ai suoi ospiti.
Quindi? Sconfortata e delusa passavo le mie
giornate chiusa a chiave nella mia stanza senza mai
riuscire ad adattarmi al ruolo di moglie e una sera
decisi di scrivere una lettera a mio marito implorandolo
di liberarmi dal vincolo matrimoniale e minacciando di
suicidarmi, ma lui per pronta risposta promise solo di
non far valere i suoi privilegi coniugali finché non
avesse riportato la tenuta alle sue condizioni
originali.
Ma lei non era soddisfatta immagino.
Assolutamente no! Mio marito nel frattempo si ammalò e
dopo lancinanti dolori, crampi alle gambe e vomito, il
14 gennaio del 1840 morì e nonostante il medico avesse
diagnosticato che quei sintomi fossero dovuti al colera
i parenti di Charles sospettarono che lo avessi
avvelenato.
Come mai? Perché in quel periodo
avevo fatto comprare in una farmacia di Uzerche, tramite
un servitore, del veleno che era servito per
disinfestare il castello dai topi. I parenti di Charles
non ebbero dubbi che fossi stata io ad avvelenarlo per
cui non venni creduta e fui processata. Dopo alcune
analisi a mio favore però durante l’udienza venne
riesumato il corpo e il celebre tossicologo Mathieu
Orfìla, rettore della facoltà di medicina a Parigi,
dichiarò inequivocabilmente la presenza dell'arsenico.
Alla fine fui dichiarata colpevole dell'avvelenamento e
condannata ai lavori forzati in perpetuo, ma il re Luigi
Filippo commutò la mia condanna in ergastolo senza
lavori forzati.
Molti giornali titolarono che fu
la scienza a condannare un’innocente. Vennero
effettuate addirittura quattro analisi tossicologiche di
cui tre furono totalmente negative ossia non rilevarono
la presenza di arsenico nel corpo di Charles, solo la
quarta tramite il test di Marsh, un metodo inventato
quattro anni prima e quindi non del tutto affidabile,
rilevò una quantità irrisoria di tracce di arsenico
equivalente a quella presente normalmente nel corpo
umano di tutti gli esseri sani.
In quel periodo
fu anche accusata di furto vero? Era solo un peccato
di gioventù, ma sta di fatto che la mia vicenda era
diventata molto popolare per cui arrivò anche alle
orecchie della viscontessa de Léautaud, una delle mie
compagne di scuola, alla quale, durante la nostra
frequentazione, le furono sottratti dei gioielli.
Insomma la viscontessa leggendo i giornali si ricordò
del furto e chiese che si cercassero i gioielli in casa
mia. Quando durante la perquisizione vennero alla luce i
gioielli fui giudicata colpevole e condannata a due anni
di reclusione.
Poi però fu graziata da Napoleone
III in persona… Durante i 10 anni trascorsi in
prigione scrissi due libri, Mèmoires e Heures de prison,
e ricevetti diverse visite in carcere da parte di molti
intellettuali dell'epoca. Fui graziata nel 1852, ma ero
gravemente malata.
Marie Lafarge dopo pochi
mesi dalla scarcerazione morì proclamando ancora una
volta la sua innocenza. Inizialmente sepolta nel
cimitero di Ornolac sotto una semplice croce di legno,
il suo avvocato difensore le fece costruire un imponente
monumento funebre in marmo dove non fece mai mancare
mazzi di fiori. Negli anni ci furono diversi tentativi
di riaprire il caso e la questione è aperta ancor oggi
ed esiste una società di amici di Marie Lafarge che
chiede una revisione completa del processo. I manuali
medici, invece, insistono nel presentare questo caso
come uno dei momenti fondanti della tossicologia.
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L'articolo è a cura di Adamo Bencivenga
realizzato grazie a:
https://it.wikipedia.org/wiki/Marie_Lafarge
https://en.wikipedia.org/wiki/Marie_Lafarge
https://www.storicang.it/a/il-caso-lafarge-
scienza-condanno-uninnocente_15056
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