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RACCONTI D'AUTORE
Adamo Bencivenga
L'Amante del Prete
S’adagia buia la sera, non ha forma o
colore né voce, ma la guardo e l’ascolto sapendo ugualmente che
esiste là fuori, come il pensiero di te che mi culla e m’avvolge
seduta su questi scalini di legno antico
S’adagia buia la sera,
non ha forma o colore né voce, ma la guardo e l’ascolto
sapendo ugualmente che esiste là fuori, come il pensiero
di te che mi culla e m’avvolge seduta su questi scalini
di legno antico. Penso ai giorni che verranno e mai ci
vedranno insieme e mi ubriaco dei tuoi baci che mai più
riceverò. Temo di non resistere e mi do della folle per
essermi innamorata proprio di te, ma tu non mi vuoi,
imperterrito uomo testardo. Tu, dolcissimo sorriso di
traverso, giuro che non i cercherò più! S’adagia lenta
la sera su questo paesino dove la vita scorre lenta dove
sono nata e ci vivo da 37 anni. Qui tutto è piatto, non
ci sono picchi o valli, ma solo una landa sterminata
dove ci si perde lo sguardo ed a parte la chiesa non ci
sono posti dove incontrarci. Qui ognuno vive la sua vita
isolata e la maggior parte di noi passa giornata sui
social.
Il mio nome è Veronica, nel mio profilo
Facebook c’è scritto che sono alta 1,72 cm, ma ho
esagerato perché a quell’altezza ci arrivo solo con i
tacchi. Comunque mi piaccio, mi sono sempre piaciuta fin
da quando quasi diciassette anni fa mi sono fidanzata
con Dario. Eravamo compagni di scuola alle elementari e,
poi, nello stesso gruppo di amici. Siamo stati fidanzati
per circa tre anni e poi abbiamo deciso di andare a
convivere. Eravamo una coppia come tante, io vergine e
lui è stato il mio primo uomo. Il nostro è sempre
stato un rapporto tranquillo e lavorando entrambi
distanti da dove abitiamo non abbiamo avuto il tempo di
litigare o annoiarci, anche perché i nostri caratteri,
il mio più incostante e il suo più accomodante si sono
incastrati perfettamente e devo dire che Dario ha avuto
per tutto questo tempo la calma necessaria per gestire i
miei picchi di entusiasmo e le mie cadute di umore. In
questi lunghi quattordici anni di convivenza non ci è
mai mancano nulla, come feste, amici, vacanze e serenità
familiare vivendo in una bella villetta a schiera fuori
paese con giardino, orto, veranda e soprattutto con i
due nostri tesori, Marco e Simona, nati in questi anni.
Insomma tutto bene tranne il fatto di non esser
rimasta troppo soddisfatta dalla nostra intimità piatta,
monotona e tanto diversa da come l’avevo sempre sognata,
ma Dario del resto, riservato e distaccato, non è mai
stato un tipo passionale e il nostro rapporto si è
sempre limitato al classico sabato sera senza troppi
entusiasmi. Più di una volta mi chiedevo se la passione
di una coppia fosse tutta là o ci fosse altro, come se
le aspettative del mio essere donna avessero bisogno di
qualcosa di non definito, ma comunque mancante.
A
parte questo dicevo tutto bene, una vita che scorreva
tranquilla come il fiume che passa davanti casa nostra,
finché al compimento del quattordicesimo anno di
convivenza abbiamo deciso di sposarci. Premetto che sia
io che Dario siamo due persone credenti, ma
assolutamente non praticanti, per cui, spinta da mia
madre, avanti con l’età e, lei sì, molto religiosa, sono
stata io a prendere l’iniziativa per coronare il nostro
idillio davanti a Dio.
Così che, prima di
arrivare all’altare, come da prassi frequentammo un
corso obbligatorio prematrimoniale insieme ad altre
coppie molto più giovani di noi. Il sacerdote che ci
guidava nel lungo percorso di avvicinamento spirituale
era Don Patrizio, ossia il prete che avrebbe poi
celebrato l’unione. Dario, da sempre molto riservato,
faceva fatica a seguire il corso anche perché una buona
parte delle sedute prevedevano conversazioni abbastanza
intime e non solo di Fede, per cui più di una volta
andavo sola inventandomi scuse più o meno credibili con
il prete.
Don Patrizio sempre affabile guidava
brillantemente le riunioni mettendoci a nostro agio e
spesso per sdrammatizzare faceva battute ironiche e mai
banali. Una sera però, preoccupato dall’assenza costante
di Dario, mi chiese di restare dopo la riunione. Don
Patrizio aveva capito quanto il mio futuro marito fosse
ostico a questo genere di confidenze per cui mi pregò
con i suoi modi sempre gentili di parlare del mio
rapporto, anche perché rispetto agli altri, noi eravamo
già una coppia collaudata e secondo lui più che imparare
saremmo stati in grado di insegnare mettendo a
disposizione delle altre coppie più giovani tutta la
nostra esperienza acquisita finora.
Poi il
discorso scivolò sulla nostra intimità e non so per
quale motivo, nel segreto di quella stanza, mi aprii a
lui confessandogli appunto che, nonostante avessimo
avuto due figli e vivessi una vita serena, il nostro
rapporto era rimasto nel tempo superficiale e senza
alcuna profondità: “Dario è così, un uomo riservato di
poche parole e di poche emozioni.” Gli dissi un po’
vergognosa mentre stavo per salutarlo. Lui mi trattenne
e mi rispose che la passione nella coppia è il filo che
unisce l’anima di due persone e che l’uomo per natura e
cultura è la fiamma che brucia mentre alla donna invece
spetta di preparare la legna nel migliore dei modi
affinché quel fuoco arda sapientemente. Sì in effetti
aveva ragione, davanti al prete annuii pensando però che
in quel camino mi ritrovavo ad essere la sola che
preparava la brace, accendeva la miccia e consumava il
fuoco.
Dopo quella chiacchierata serale però le
cose cambiarono notevolmente, dalla seduta successiva
infatti mi accorsi che don Patrizio, più o meno mio
coetaneo, durante il corso continuava a fissarmi con una
certa insistenza e nei suoi lunghi sermoni mi prendeva
ad esempio coinvolgendomi e spronandomi a parlare con
sorrisi e cenni di intesa più o meno ammiccanti. Era
evidente che dalla mia confidenza era nato da parte sua
un certo interesse e più di una volta nel dubbio mi
chiesi se avessi fatto male ad aprirmi parlandogli
apertamente della mia insoddisfazione latente.
Nel bene e nel male quella situazione mi turbava, non mi
sentivo più serena perché per la prima volta iniziai a
vedere il nostro parroco sotto un’altra luce, ossia
quella di uomo e non di prete, del resto finora non
avevo avuto altre occasioni di parlare dei miei problemi
con altri, per cui lo percepivo come se fosse il custode
del mio segreto più profondo. Insomma non ero
tranquilla, anche perché, imbarazzata dai suoi modi e da
quell’attenzione insolita, mi preoccupava il fatto che
le altre coppie potessero fraintendere e malignare
chissà cosa. Ogni volta pregavo Dario di accompagnarmi,
ma dentro di me era già scattato qualcosa di indefinito
perché quegli sguardi non mi lasciavano certo
indifferente.
Beh certo, niente di peccaminoso,
ma in diversi momenti mi sorprendevo a pensare a lui
come uomo e quale vita avesse condotto finora e come
fosse stata la sua infanzia, la sua adolescenza e perché
poi avesse deciso di prendere i voti. Pensavo se avesse
mai fatto l’amore e quante storie intime avesse avuto
prima cercando di immaginarlo senza quella tonaca che
per certi versi mi incuteva timore. Come prete era molto
amato da tutti i parrocchiani per la sua serietà e la
caritatevole attenzione verso i fedeli per cui, a volte,
mi davo della pazza e che tutto ciò fosse solo frutto
del mio stato d’animo confondendo la sua proverbiale
bontà d’animo con qualcosa che risiedeva solo nella mia
testa.
Ma quegli sguardi di intesa e quei
sorrisini continuarono sempre più insistentemente al
punto che, forse solo per la mia innata curiosità,
decisi di ricambiare e toccare con mano cosa gli
passasse per la testa. Sì vero, una specie di gioco
malizioso, ma del tutto innocente, nella sicurezza che
essendo un prete non ci sarebbero stati mai dei
fraintendimenti di altro genere. Lui però notò quel mio
cambiamento e da quella volta si fece più
intraprendente. Le sue occhiate divennero sempre più
taglienti e i suoi complimenti non si limitarono più
alla profondità del mio animo e delle mie virtù, ma
spaziarono sulle mie belle mani, sulle unghie lunghe,
sulla mia pelle del viso lucente, su come portavo i
capelli ecc. Più di una volta espresse il desiderio di
accompagnarmi a casa e dopo qualche cortese rifiuto
accettai la sua compagnia. Certo la prima sera parlammo
delle iniziative della chiesa, di un pellegrinaggio a
Lourdes, dell’organizzazione della festa del Santo
Patrono, niente che mi compromettesse o mi facesse
pensare ad altro.
La sera dopo però, mentre
attraversavamo il ponte vicino casa, lui si fermò, fece
un passo verso di me, e guardandomi negli occhi iniziò a
recitare un pezzo del Cantico dei Cantici accennando
all’amore tra Salomone e Sulammita. Decantò quei passi
con estrema partecipazione e dopo un attimo di pausa mi
chiese quanto ci trovassi di spirituale in quei versi.
Scossa più dal suo trasporto e da quella vicinanza che
dai versi stessi, non seppi rispondere.
Tornando
a casa mi sorpresi però a ripetere a memoria parte di
quei versi come se inconsapevolmente mi fossero entrati
dentro: “Il mio amato infila la mano nel mio grembo/ le
mie viscere fremono per lui/ Per aprirgli mi alzo /le
mie mani colano mirra dalle dita…” Quella frase continuò
a girare nella mia testa e, nonostante pensassi che
fosse alquanto licenziosa e che mio malgrado stessi
sprofondando nel peccato, quella notte mi vennero
pensieri strani che non riuscii a fermare.
Agitata e con mio marito accanto che russava mi feci più
volte il segno della croce cercando di sostituire quei
versi bramosi con le classiche preghiere. Quella lotta
con me stessa durò alcune ore perché, nonostante la mia
devozione finora granitica, ero cosciente di quanto mi
stessi allontanando da Dio e avvicinandomi a lui. Era
effettivamente una battaglia impari al punto che mi
vergognai di me stessa quando, giuro involontariamente,
percepii chiaramente il mio seno irrigidirsi e subito
dopo un fremito più forte che inumidì le mie gambe. Cosa
stava succedendo?
Quel letto caldo e da sempre
accogliente iniziò ad essere tempestato di chiodi ed
insidie. Non volevo ammettere a me stessa che qualcosa
interiormente stesse cambiando tanto che, per ribadire
la mia fedeltà assoluta, le sere successive pretesi di
fare l’amore con Dario. Lui, stupito dalla mia
intraprendenza, la prima sera fece il suo dovere, ma la
seconda sera, quasi infastidito, mi chiese il motivo di
tutto quell’ardore. Ovvio, non dissi tutta la verità, ma
accennai al disagio che mi procuravano quelle sedute.
Lui non realizzando cosa effettivamente mi stesse
succedendo mi disse di prendere tempo consigliandomi di
non andare. Per due sedute seguii il suo consiglio e non
andai alle riunioni del martedì, ma poi per il timore
che potesse saltare il matrimonio presi tutto il mio
coraggio e tornai.
Certo sì, sapevo di mentire a
me stessa, perché la ragione principale risiedeva nel
fatto che Don Patrizio aveva effettivamente smosso
qualcosa che mi avrebbe portato a rivedere il mio
rapporto con Dario. Del resto la sua scarna attenzione
al mio stato d’animo, che mi aveva consigliato solo di
non andare, invece di calmarmi, aveva procurato
l’effetto contrario. Quindi tornai con la consapevolezza
che quel tipo di inquietudine interiore, disatteso da
Dario, potesse in qualche modo essere compreso solo da
Don Patrizio. Lui, però, quando tornai non mi chiese
nulla, intuendo, a mio parere, quanto quei versi,
declamati in quel modo l’ultima sera avessero fatto
breccia nella mia instabilità. Sta di fatto che a poco a
poco quegli sguardi tornarono insistenti come prima e
questa volta cominciarono a farmi sentire importante, o
per meglio dire, a stuzzicarmi e a far vacillare la mia
incrollabile, finora, fedeltà di pensiero, al punto che,
quando Dario mi disse, sotto mia insistenza, che non
avrebbe più partecipato a quelle sedute, in un certo
senso mi sentii sollevata.
Il giorno dopo andai
a pranzo da mia madre e tra una chiacchiera e l’altra le
chiesi velatamente informazioni su Don Patrizio. Lei, da
persona schietta e frequentatrice della comunità, mi
disse che, rispetto al vecchio parroco, non vi erano mai
stati pettegolezzi sul suo conto, nonostante fosse un
uomo affabile e le parrocchiane fossero sempre in prima
fila durante la messa. Insomma secondo lei si era sempre
distinto per essere un prete al di sopra di ogni
sospetto anche se aggiunse subito dopo: “Veronica, i
preti si giudicano solo sull’altare e quello che fanno
in sagrestia è meglio non saperlo!”
Non so per
quale motivo le chiesi quelle informazioni, anche
perché, a parte la curiosità, sapere che fosse un
donnaiolo o una persona irreprensibile non avrebbe
spostato di una virgola la situazione con lui prete ed
io futura sposa. Però quella frase finale mi lasciò gli
stessi dubbi di prima ed anche se inconfessabile, il mio
interesse nei suoi confronti rimase immutato.
Davvero don Patrizio bisognava giudicarlo solo
sull’altare? Beh sì, non avevo una risposta certa, ma
incuriosita da cosa succedesse nella sagrestia, da quel
giorno iniziai a mettere un velo di trucco, andare dal
parrucchiere e, cosa che non avevo mai fatto in quelle
riunioni, vestirmi con abiti meno ordinari. Certo niente
di appariscente, ma quella cura che ci mettevo, facendo
attenzione alla scollatura o alla lunghezza della gonna,
mi faceva sentire più donna ai miei occhi, pensando nel
contempo che, nell’imponderabilità del destino, nulla
fosse scontato. Lui vedendomi non si fece scappare
l’occasione per farmi i complimenti e la sera stessa
invece di fare il solito breve giro per arrivare a casa,
allungammo il tragitto costeggiando il fiume ben oltre
il ponte che mi avrebbe riportato a casa.
Seduti
su una panchina guardammo il fiume scorrere lento senza
parlare. Percepii quel momento come un’attesa e iniziai
a sudare. Ero cosciente che qualcosa sarebbe successo e
soprattutto chiedendomi, se fosse accaduto, come mi
sarei dovuta comportare. Lui notò il mio disagio e mi
disse: “Non devi sentirti imbarazzata, è del tutto
normale provare delle emozioni, così come fa Salomone
verso la sua amata.” Aveva capito ed io non mi feci
scappare l’occasione: “Padre, sento che c’è qualcosa di
più che un semplice trasporto spirituale.” Lui sorrise,
poi mi prese la mano, la strinse forte, la portò verso
la sua bocca e appoggiandoci delicatamente le labbra,
disse: “Che male ci sarebbe? Se succedesse è solo la
volontà di Dio, lui ci vede come due esseri celestiali
fatti di anima e non di carne.” Mi rilassai, forse
aveva ragione e mi convinsi che ciò che ribolliva dentro
di me non era affatto il mio corpo, ma la mia anima
inquieta.
Era ormai buio e non passava un’anima
viva. Lui continuò a fissarmi e guardando la mia
scollatura avvicinò la sua bocca al mio orecchio e mi
sussurrò: “Questo vestito esalta tutta la tua
femminilità…” Non dissi nulla, lui al contrario del mio
futuro marito stava dando il giusto valore al mio essere
donna. Apprezzai quell’interesse come fosse l’inizio di
un lungo viaggio e a quel punto chiusi gli occhi
aspettando chissà quale meta. Cotta e confusa pensai che
lui, nonostante fosse un prete, non mi stava vedendo
solo come anima, bensì come donna! Attesi, ma un attimo
dopo lui era già in piedi: “Farai tardi Veronica, meglio
andare.” Durante la strada di ritorno aspettai
impaziente un suo segnale, sarebbe stato sufficiente che
mi cingesse i fianchi o come aveva fatto prima elogiasse
con le sue parole la forma del mio seno insofferente, ma
non avvenne nulla.
La sera non cenai. Il suo
comportamento era stato indecifrabile e non riuscivo a
capire se quella di Don Patrizio fosse soltanto una
tattica oppure effettivamente, come diceva mia madre,
fosse un prete buono al di sopra di ogni sospetto.
Dovevo sapere, soprattutto interrogare me stessa, ma le
mie risposte erano soltanto domande, ormai ero entrata
in quel vortice dove la ragione aveva lasciato il passo
all’istinto, alla possibilità, all’ipotesi, al “se
avessi detto”, al “cosa avrei dovuto fare”. Convinta che
il suo riserbo fosse dovuto esclusivamente alla mia
immagine di donna devota e quindi inavvicinabile, nel
più breve tempo possibile dovevo assolutamente fargli
capire il mio stato d’animo e quanta donna avrebbe
trovato in me, anche perché pensavo che non ci sarebbero
state più occasioni e che dopo la fine del corso non
avrei avuto più modo di vederlo, se non il giorno del
mio matrimonio.
La mattina dopo mi alzai presto,
indossai lo stesso vestito scollato del giorno prima e
senza svegliare nessuno in casa uscii silenziosamente ed
andai in chiesa. Lui stava officiando l’Ora Prima, la
messa del mattino ed io presi posto in uno dei primi
banchi ed aspettai. Durante la funzione avvertii un
fremito di gelosia notando, seduta nella fila accanto,
una signora con cappello, rossetto e un vestito aderente
estremamente elegante che risaltava le sue forme. Non
l’avevo mai vista e mi chiesi cosa ci facesse una donna
così bella e appariscente in mezzo alle altre anonime
parrocchiane. Tuttavia per non insospettire nessuno mi
confessai e feci la comunione. Durante la confessione
dissi a Don Patrizio che avevo urgente bisogno di
parlargli, ma lui mi rispose, sempre con i suoi modi
gentili, che dopo la messa era impegnato e che mi
avrebbe ricevuto dopo un’ora.
Finita la messa lui
si intrattenne a parlare con quella signora ed io
sconsolata uscii dalla chiesa. Durante il tragitto verso
casa pensai a cosa ci fosse tra i due, sì certo lo
ammetto, ero gelosa al punto che mi domandai più volte
cosa avessi meno di lei e che, se in caso ci fosse stata
una gara, sarei stata io la prescelta! Nel bagno di casa
accentuai il rosso delle mie labbra e indossai, come la
signora, un paio di calze nere che facevano risaltare le
mie gambe.
Agitata tornai in chiesa e appena lo
vidi lui mi fece cenno di seguirlo in sagrestia. Era in
camicia bianca e pantaloni neri e in quel preciso
momento non vidi più il prete, ma un uomo a cui avrei
dedicato se fosse stato possibile tutte le mie ansie e i
miei sentimenti. Lui intuendo i miei pensieri mi disse
che durante la notte mi aveva pensata esattamente con
quel vestito: “Spero non ti scandalizzerai se ti dico
che hai un bel seno, sensuale e materno come quello di
nostra Signora.” Non ci potevo credere, ebbi un
giramento di testa e lui mi aiutò a sedermi sull’unica
sedia della stanza. Dissi: “Trovate davvero che sia
bello il mio seno, Padre?” Non so se venne fuori una
frase di assenso o stupore, ma lui non si fece pregare:
“Alle volte il paradiso è così a portata di mano che non
servirebbero preti, ma donne come te per sentirsi beati
tra le braccia del Signore.” E senza aggiungere altro
poggiò la sua mano nell’incavo del mio seno. Lì per lì
non lo percepii come un gesto erotico, ma solo di
protezione e conforto. Poi quando mi resi conto gli
dissi grazie e lui, forse indeciso oppure solo attratto,
alternò le carezze sui due seni stringendo delicatamente
la stoffa leggera del vestito. Ero in estasi e
stupita balbettai: “Non so se sia peccato, ma sento
queste carezze come un dono di Dio…” Lui con un tono
pacato e profondo non si fece scappare l’occasione: “Lo
è! Ma io devo capire bene cosa provi perché il peccato
non esiste in natura, ma dimora nella testa delle
persone.”
Eccitata e curiosa non capii
esattamente cosa intendesse e non ebbi il tempo di
replicare perché lui spostandosi era già in piedi dietro
di me. Pregandomi di rilassarmi affondò entrambe le mani
nella morbidezza della mia scollatura e, stringendo i
miei capezzoli tesi, disse: “Vedi tesoro i tuoi seni
protesi valgono più di mille parole. Ora so che non stai
pensando di peccare anzi il peccato ora sarebbe non
accontentare la volontà di nostro Signore.” Così dicendo
si inginocchiò davanti a me e sollevandomi la gonna mi
pregò di aprire leggermente le gambe. Ero così eccitata
che non mi accorsi che mi aveva sfilato le mutandine e
che quelle dita esperte vagavano sapientemente sul mio
piacere nudo.
Ero davvero in paradiso, per la
prima volta in vita mia un uomo mi stava dando piacere
con la sua bocca! Non so precisamente cosa mi aspettassi
oltre, ma quando realizzai che il suo viso era tra le
mie cosce mi irrigidii. Per me era troppo! Il mio amato
prete, la mia guida spirituale, il mio Assoluto stava
respirando i miei odori più intimi e profondi.
Sinceramente pensai a quante volte mi fossi lavata e
quale odore lui sentisse realmente, cercai di fermarlo,
Lui però provocato ed estasiato dai miei umori
abbondanti mi disse: “Dai, lasciati andare. La carne
umana è debole e Lui capirà. Vedrai che dopo ti
assolverà. Ora non ci pensare.” La sua lingua non si
fece pregare ed io ormai arresa a quel benessere
assoluto iniziai a mugolare alternando piccoli gemiti a
respiri interrotti. In quel momento pensai che Dio
avesse creato la sua lingua per il mio piacere e che
davvero avrei commesso un sacrilegio se non l’avessi
provata. Lui accelerò invitandomi a godere: “Veronica,
offrimi la tua ambrosia, cibami del nettare degli dei.”
A quel punto a briglia sciolte presi le sue mani e le
portai sul mio seno e con le gambe tremanti esplosi
nella sua bocca.
Ero sconvolta, lo guardai bene
per rendermi conto veramente che fosse il mio prete. Lui
si alzò e mi diede una leggera carezza sul viso
sorridendo: “Sei stata perfetta! Ora sai cosa intendevo
per fusione di anime. Ti sei sciolta in me, mi hai
regalato l’essenza della femmina e ti ringrazio,” Non ci
potevo credere, era lui che ringraziava me!
Completamente disorientata gli dissi: “E ora?” E lui:
“Ora nulla, so cosa stai pensando, sei sorpresa di aver
sentito interiormente quanto desiderio esiste nella tua
anima. Ora hai solo bisogno di tornare a casa e
raccogliere le tue idee. Poi mi dirai!” Non capivo: “Ma
Padre, io non sono mai stata così bene…” E lui: “Vedrai
che Dio e il Tempo ti daranno la giusta dimensione di
quello che hai fatto, ma ora è presto per pretendere
risposte.”
Andai via, estasiata per quello che
era successo, ma anche amareggiata. Lui non si era
affatto sbilanciato. Cosa pensava di me? Perché lo aveva
fatto? E come dovevo interpretare quel momento? Per me
rappresentava l’apertura di una parentesi che da
quell’istante non avrei mai voluto che si chiudesse. Per
capire non mi serviva Tempo e non mi serviva Dio, mi
serviva lui e desideravo che fosse solo mio. Ripensai a
quella donna col cappello: “E se anche a lei avesse
riservato lo stesso servizio?” Anzi andai oltre pensando
che non si era unito a me per il semplice motivo che
prima di me aveva consumato tutta la sua energia
offrendola all’altra donna.
Ormai mancava solo
una seduta alla fine del corso prematrimoniale ed io non
mi sentivo più pronta. Rimasi in attesa di un suo
segnale per giorni e più si avvicinava la data più mi
sentivo insicura. La sera dell’ultima seduta andai dieci
minuti prima e parlandoci gli confidai tutti i miei
dubbi dicendogli che stavo pensando seriamente di
rinunciare al matrimonio. Lui mi freddò col suo sguardo
e mi rispose che qualunque cosa fosse successa ancora
tra noi due non dovevo assolutamente deludere i miei
cari e tanto meno Dio. Ero nervosa e per calmarmi mi
promise che dopo il corso mi avrebbe fatto un regalo, ma
dovetti promettergli che avrei seguito per filo e per
segno i suoi consigli. Così fu.
Dopo il corso
andammo in sagrestia, lì mi prese per mano e poi salendo
le scale mi condusse nella sua stanzetta. Quando chiuse
la porta a chiave gli chiesi a brutto muso perché mai
avesse fatto trascorrere tutto quel tempo e lui rispose
che l’ultima volta si era limitato a darmi piacere
perché non ero ancora pronta: “Sai Veronica, l’attesa
aumenta il desiderio e rende le persone più disponibili.
Io ho avuto modo di assaggiare la tua anima e ora penso
che il tempo trascorso l’avrà resa ancora più
appetibile.” Non ci potevo credere! Solo in
quell’istante realizzai cosa intendesse veramente per
anima. E chissà quante di quelle anime avesse finora
consolato. Non riuscii a stare zitta e chiesi: “Padre,
anche l’anima della signora col cappello, che avete
ricevuto prima di me l’ultima volta, aveva bisogno delle
vostre cure, vero?” La sua voce era ferma, il suo
atteggiamento sicuramente più maschio ed esperto delle
altre volte. “Mia cara Dio mi ha dato questa missione e
cerco di servirlo nel migliore dei modi.” Beh sì era
stato sincero, ma quella confessione invece di farmi
allontanare da lui produsse l’effetto contrario. Lo
desideravo!
A quel punto mi spogliò nuda e senza
più ambiguità come un re tirò fuori il suo scettro e mi
ordinò di inginocchiarmi e baciare come una penitente il
bastone pastorale. Estasiata da quella visione lo baciai
così avidamente che persi più volte il ritmo, ma in quei
momenti desideravo solo dargli piacere ed essere più
brava dell’altra col cappello. Lui intuì i miei pensieri
e mi disse che ero così bella che non mi era permesso di
essere gelosa e che le anime per loro natura sono
diverse l’una dalle altre, ma ora desiderava curare solo
la mia, che poi non era anima, che poi non era spirito,
ma semplicemente quella conquista umida che avevo tra le
gambe. Qualche secondo dopo mi sollevò di peso e mi
distese con forza sul letto, e togliendomi reggiseno e
mutandine scivolò senza indugi tra le mie cosce. Chiusi
gli occhi e lo accolsi come la Provvidenza che non fa
disparità, ma arriva in soccorso di ogni persona
bisognosa. Provai una sensazione di infinito e di
abbandono, non so spiegare, come se fosse la mia ultima
volta oppure la prima. Perfettamente in simbiosi mi
muovevo al ritmo dei suoi colpi di maschio, sentivo le
mie pareti dilatarsi fino a quando per rendermi conto
che fosse davvero il mio prete aprii gli occhi e
fissandolo gli gridai tutto il mio piacere: “Vengo!
Padre mi state facendo godere! Vengo! È bellissimo!” Lui
mi disse di attendere, di resistere, di gustarmi ogni
istante e prolungarlo all’infinito, ma scossa da quel
piacere, insopportabile per quanto intenso e devastante
venni a fiumi come una grondaia sotto un temporale.
Non so poi precisamente cosa successe, ricordo che
poco dopo mi ritrovai in piedi con la faccia contro il
muro tra lo stipite della porta e un piccolo armadio.
Lui era dietro di me e più voglioso di prima mi mordeva
il collo sbattendomi con forza. Ero in delirio e lo
incitai: “Prendete tutto di me, fate che ogni mio
segreto sia la fonte del vostro piacere!” Lui non ci
pensò due volte e subito dopo sentii la mia carne cedere
ed avvolgersi magicamente al suo stecco di salice
nodoso. Respiravo a fatica, ero in estasi e gli gridai:
“Ditemi che avete sempre saputo che sarebbe finita così,
ditemi che non desideravate altro che diventassi
vostra!” Non so per quale motivo, ma mi eccitava pensare
che sin dalla prima volta mi avesse considerato una sua
preda, un oggetto di carne da gustare e deflorare. Lui
mi accontentò: “Certo che lo sapevo, ma aspettavo solo
te, ed ora sei mia!” Ed io, ormai fuori da ogni ragione
gli chiesi: “Sarò vostra anche dopo il matrimonio vero?”
Lui non rispose, ma sentii il suo vigore farsi largo tra
la mia carne.
Ero sconvolta. Le sue parole come
il suo sesso si fecero più ficcanti. Mi disse che ero il
suo bottino di guerra, il suo animale domestico, la sua
femmina più calda ed accogliente che avesse mai
conosciuto, la donna di un bordello che aveva
frequentato da ragazzo. Rivolta contro quel muro sentivo
le sue mani strette ai miei fianchi, il suo sesso
padrone che entrava ed usciva a suo piacimento, la
piacevole attesa del prossimo colpo. Urlavo, gemevo,
gridavo che sarei stata per sempre sua, che Dio era lì
presente tra noi e non era altro che carne, materia e
godimento. Lui mi rispose che Dio era solo ciò che
desideravo che fosse. A quel punto lo pregai di venirmi
dentro nell’esatto momento in cui, con un brivido più
intenso, raggiunsi il paradiso.
Aveva ragione,
quello era senza ombra di dubbio il paradiso che avevo
sempre sognato e che attraverso qualsiasi preghiera non
avrei mai potuto immaginare. Lui sentendomi godere uscì
ed esplose sulle mie gambe. Nuda davanti a lui non
provai alcuna vergogna, ero sua, totalmente sua che se
avesse voluto avrei cominciato all’istante. Mi guardai
intorno e vedendo la statua di una madonnina appoggiata
su una colonna dissi: “Padre voi siete stato il primo
dopo mio marito e nonostante lo desiderassi, mai avrei
creduto che sarebbe successo, e poi in questo posto e
soprattutto con voi!” Lui mi accarezzò una spalla e
rispose: “Non devi giustificarti perché non hai fatto
nulla di male. Tra l’altro non sei ancora sposata ed
oggi hai semplicemente ascoltato la tua voce interiore.”
Poi mi baciò sulle labbra e sospirò: “Io ho fatto del
mio meglio, ma so bene che questa non è una cura, ma
sono certo che ti servirà in futuro. Vedrai che dopo
oggi tutto sarà diverso e tu sarai pienamente cosciente
della tua femminilità e pretenderai dal tuo compagno ciò
che finora ti ha negato.”
Quindi pensai che non
ci sarebbe stata una prossima volta e che dovevo
considerare quell’incontro unico. Dissi: “E come la
mettiamo ora con i miei sentimenti?” Lui non si
scompose: “Veronica non confondere l’amore con le tue
esigenze di donna. Oggi ti sei concessa a me per il solo
motivo che ami il tuo futuro marito.” Sentivo che non
era così, tentai di ribellarmi: “Padre io vi desidero,
non posso pensare che tutto questo è successo solo per
curare le mie ansie e che tra noi ci sarà un’altra
volta.” E lui: “Conosco bene il tuo stato d’animo, non
sei la prima sposa che ha dei forti dubbi prima del
matrimonio, ma vedrai che la grazia di Dio ti guiderà e
ti dirà cosa sarà giusto per te.” Ed io: “Vi prego non
mi dite così, siete stato voi a farmi credere che
abbiamo seguito la volontà di Dio. Sono sicura che Dio
mi capirà anche dopo sposata.” E lui: “Veronica, il
matrimonio è un sacramento anche di fedeltà e tu non
puoi pretendere ciò che Dio punisce. Una volta sposata
non sarebbe la stessa cosa.” Capivo che mi stava
rifiutando, ma non capivo assolutamente il motivo! Cosa
sarebbe cambiato? Ero già di un altro uomo come lo sarei
stata dopo il matrimonio: “Quindi non mi volete più?” E
lui: “Ho preso tutto il consentito, altro sarebbe
peccato.” Tentai ancora: “Toccatemi padre, vi prego, non
vedete come il mio seno vi desidera?” Era il mio ultimo
sforzo per fargli cambiare idea, ma lui sorridendo
raccolse i miei vestiti adagiati sul pavimento e mi
pregò di rivestirmi: “Sei bella Veronica, la tua anima
mi ha saziato più di quanto avrei creduto, altro sarebbe
troppo!”
Mi rassegnai, tornai a casa con
l’amarezza nel cuore, certo sì ero stata bene, ma
riflettei sul fatto di quanto fosse criminale vivere i
momenti più belli della propria vita sapendo che
sarebbero stati gli ultimi. Pensai che la mia colpa non
fosse altro che quella di essermi innamorata di un prete
e non mi rimase che dedicarmi ai preparativi del
matrimonio, anche perché ormai mancavano solo tre giorni
al giorno fatidico.
A me sarebbe bastata una
piccola promessa, un piccolo pertugio dove infilarmi e
covare i miei sogni, ma lui era stato inamovibile e così
arrivò il giorno del matrimonio, i fiori, la chiesa, i
parenti, mia madre, i miei figli, Dario, la marcia
nuziale, il mio vestito da sposa, lo strascico, le mie
lacrime, le fedi nuziali, la promessa di fedeltà e
soprattutto Don Patrizio che senza alcun indugio e senza
un briciolo di emozione ci unì liturgicamente in
matrimonio decretando così la fine di ogni mia
aspettativa.
Durante il sermone ripensai a quei
momenti quando era dentro di me e al piacere che mi
aveva concesso, ma allo stesso tempo lo paragonai ad un
boia che inflessibile stava per azionare la ghigliottina
e dare per sempre un taglio netto tra le sue ragioni di
prete e i miei sensi che non smisero mai di ribollire,
convinta che, se me lo avesse chiesto, mi sarei concessa
anche col vestito da sposa. Finì con baci, riso, auguri,
felicità, pranzo, foto, balli, abbracci e fiumi di
spumante buono, ma quello per me, indiscutibilmente, fu
il giorno più triste della mia vita!
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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