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RACCONTI D'AUTORE
 

Adamo Bencivenga
L'Amante del Prete
S’adagia buia la sera, non ha forma o colore né voce, ma la guardo e l’ascolto sapendo ugualmente che esiste là fuori, come il pensiero di te che mi culla e m’avvolge seduta su questi scalini di legno antico
 


 



S’adagia buia la sera, non ha forma o colore né voce, ma la guardo e l’ascolto sapendo ugualmente che esiste là fuori, come il pensiero di te che mi culla e m’avvolge seduta su questi scalini di legno antico. Penso ai giorni che verranno e mai ci vedranno insieme e mi ubriaco dei tuoi baci che mai più riceverò. Temo di non resistere e mi do della folle per essermi innamorata proprio di te, ma tu non mi vuoi, imperterrito uomo testardo. Tu, dolcissimo sorriso di traverso, giuro che non i cercherò più! S’adagia lenta la sera su questo paesino dove la vita scorre lenta dove sono nata e ci vivo da 37 anni. Qui tutto è piatto, non ci sono picchi o valli, ma solo una landa sterminata dove ci si perde lo sguardo ed a parte la chiesa non ci sono posti dove incontrarci. Qui ognuno vive la sua vita isolata e la maggior parte di noi passa giornata sui social.

Il mio nome è Veronica, nel mio profilo Facebook c’è scritto che sono alta 1,72 cm, ma ho esagerato perché a quell’altezza ci arrivo solo con i tacchi. Comunque mi piaccio, mi sono sempre piaciuta fin da quando quasi diciassette anni fa mi sono fidanzata con Dario. Eravamo compagni di scuola alle elementari e, poi, nello stesso gruppo di amici. Siamo stati fidanzati per circa tre anni e poi abbiamo deciso di andare a convivere. Eravamo una coppia come tante, io vergine e lui è stato il mio primo uomo.
Il nostro è sempre stato un rapporto tranquillo e lavorando entrambi distanti da dove abitiamo non abbiamo avuto il tempo di litigare o annoiarci, anche perché i nostri caratteri, il mio più incostante e il suo più accomodante si sono incastrati perfettamente e devo dire che Dario ha avuto per tutto questo tempo la calma necessaria per gestire i miei picchi di entusiasmo e le mie cadute di umore. In questi lunghi quattordici anni di convivenza non ci è mai mancano nulla, come feste, amici, vacanze e serenità familiare vivendo in una bella villetta a schiera fuori paese con giardino, orto, veranda e soprattutto con i due nostri tesori, Marco e Simona, nati in questi anni.

Insomma tutto bene tranne il fatto di non esser rimasta troppo soddisfatta dalla nostra intimità piatta, monotona e tanto diversa da come l’avevo sempre sognata, ma Dario del resto, riservato e distaccato, non è mai stato un tipo passionale e il nostro rapporto si è sempre limitato al classico sabato sera senza troppi entusiasmi. Più di una volta mi chiedevo se la passione di una coppia fosse tutta là o ci fosse altro, come se le aspettative del mio essere donna avessero bisogno di qualcosa di non definito, ma comunque mancante.

A parte questo dicevo tutto bene, una vita che scorreva tranquilla come il fiume che passa davanti casa nostra, finché al compimento del quattordicesimo anno di convivenza abbiamo deciso di sposarci. Premetto che sia io che Dario siamo due persone credenti, ma assolutamente non praticanti, per cui, spinta da mia madre, avanti con l’età e, lei sì, molto religiosa, sono stata io a prendere l’iniziativa per coronare il nostro idillio davanti a Dio.

Così che, prima di arrivare all’altare, come da prassi frequentammo un corso obbligatorio prematrimoniale insieme ad altre coppie molto più giovani di noi. Il sacerdote che ci guidava nel lungo percorso di avvicinamento spirituale era Don Patrizio, ossia il prete che avrebbe poi celebrato l’unione. Dario, da sempre molto riservato, faceva fatica a seguire il corso anche perché una buona parte delle sedute prevedevano conversazioni abbastanza intime e non solo di Fede, per cui più di una volta andavo sola inventandomi scuse più o meno credibili con il prete.

Don Patrizio sempre affabile guidava brillantemente le riunioni mettendoci a nostro agio e spesso per sdrammatizzare faceva battute ironiche e mai banali. Una sera però, preoccupato dall’assenza costante di Dario, mi chiese di restare dopo la riunione. Don Patrizio aveva capito quanto il mio futuro marito fosse ostico a questo genere di confidenze per cui mi pregò con i suoi modi sempre gentili di parlare del mio rapporto, anche perché rispetto agli altri, noi eravamo già una coppia collaudata e secondo lui più che imparare saremmo stati in grado di insegnare mettendo a disposizione delle altre coppie più giovani tutta la nostra esperienza acquisita finora.

Poi il discorso scivolò sulla nostra intimità e non so per quale motivo, nel segreto di quella stanza, mi aprii a lui confessandogli appunto che, nonostante avessimo avuto due figli e vivessi una vita serena, il nostro rapporto era rimasto nel tempo superficiale e senza alcuna profondità: “Dario è così, un uomo riservato di poche parole e di poche emozioni.” Gli dissi un po’ vergognosa mentre stavo per salutarlo. Lui mi trattenne e mi rispose che la passione nella coppia è il filo che unisce l’anima di due persone e che l’uomo per natura e cultura è la fiamma che brucia mentre alla donna invece spetta di preparare la legna nel migliore dei modi affinché quel fuoco arda sapientemente. Sì in effetti aveva ragione, davanti al prete annuii pensando però che in quel camino mi ritrovavo ad essere la sola che preparava la brace, accendeva la miccia e consumava il fuoco.

Dopo quella chiacchierata serale però le cose cambiarono notevolmente, dalla seduta successiva infatti mi accorsi che don Patrizio, più o meno mio coetaneo, durante il corso continuava a fissarmi con una certa insistenza e nei suoi lunghi sermoni mi prendeva ad esempio coinvolgendomi e spronandomi a parlare con sorrisi e cenni di intesa più o meno ammiccanti. Era evidente che dalla mia confidenza era nato da parte sua un certo interesse e più di una volta nel dubbio mi chiesi se avessi fatto male ad aprirmi parlandogli apertamente della mia insoddisfazione latente.

Nel bene e nel male quella situazione mi turbava, non mi sentivo più serena perché per la prima volta iniziai a vedere il nostro parroco sotto un’altra luce, ossia quella di uomo e non di prete, del resto finora non avevo avuto altre occasioni di parlare dei miei problemi con altri, per cui lo percepivo come se fosse il custode del mio segreto più profondo. Insomma non ero tranquilla, anche perché, imbarazzata dai suoi modi e da quell’attenzione insolita, mi preoccupava il fatto che le altre coppie potessero fraintendere e malignare chissà cosa. Ogni volta pregavo Dario di accompagnarmi, ma dentro di me era già scattato qualcosa di indefinito perché quegli sguardi non mi lasciavano certo indifferente.

Beh certo, niente di peccaminoso, ma in diversi momenti mi sorprendevo a pensare a lui come uomo e quale vita avesse condotto finora e come fosse stata la sua infanzia, la sua adolescenza e perché poi avesse deciso di prendere i voti. Pensavo se avesse mai fatto l’amore e quante storie intime avesse avuto prima cercando di immaginarlo senza quella tonaca che per certi versi mi incuteva timore. Come prete era molto amato da tutti i parrocchiani per la sua serietà e la caritatevole attenzione verso i fedeli per cui, a volte, mi davo della pazza e che tutto ciò fosse solo frutto del mio stato d’animo confondendo la sua proverbiale bontà d’animo con qualcosa che risiedeva solo nella mia testa.

Ma quegli sguardi di intesa e quei sorrisini continuarono sempre più insistentemente al punto che, forse solo per la mia innata curiosità, decisi di ricambiare e toccare con mano cosa gli passasse per la testa. Sì vero, una specie di gioco malizioso, ma del tutto innocente, nella sicurezza che essendo un prete non ci sarebbero stati mai dei fraintendimenti di altro genere. Lui però notò quel mio cambiamento e da quella volta si fece più intraprendente. Le sue occhiate divennero sempre più taglienti e i suoi complimenti non si limitarono più alla profondità del mio animo e delle mie virtù, ma spaziarono sulle mie belle mani, sulle unghie lunghe, sulla mia pelle del viso lucente, su come portavo i capelli ecc. Più di una volta espresse il desiderio di accompagnarmi a casa e dopo qualche cortese rifiuto accettai la sua compagnia. Certo la prima sera parlammo delle iniziative della chiesa, di un pellegrinaggio a Lourdes, dell’organizzazione della festa del Santo Patrono, niente che mi compromettesse o mi facesse pensare ad altro.

La sera dopo però, mentre attraversavamo il ponte vicino casa, lui si fermò, fece un passo verso di me, e guardandomi negli occhi iniziò a recitare un pezzo del Cantico dei Cantici accennando all’amore tra Salomone e Sulammita. Decantò quei passi con estrema partecipazione e dopo un attimo di pausa mi chiese quanto ci trovassi di spirituale in quei versi. Scossa più dal suo trasporto e da quella vicinanza che dai versi stessi, non seppi rispondere.

Tornando a casa mi sorpresi però a ripetere a memoria parte di quei versi come se inconsapevolmente mi fossero entrati dentro: “Il mio amato infila la mano nel mio grembo/ le mie viscere fremono per lui/ Per aprirgli mi alzo /le mie mani colano mirra dalle dita…” Quella frase continuò a girare nella mia testa e, nonostante pensassi che fosse alquanto licenziosa e che mio malgrado stessi sprofondando nel peccato, quella notte mi vennero pensieri strani che non riuscii a fermare.

Agitata e con mio marito accanto che russava mi feci più volte il segno della croce cercando di sostituire quei versi bramosi con le classiche preghiere. Quella lotta con me stessa durò alcune ore perché, nonostante la mia devozione finora granitica, ero cosciente di quanto mi stessi allontanando da Dio e avvicinandomi a lui. Era effettivamente una battaglia impari al punto che mi vergognai di me stessa quando, giuro involontariamente, percepii chiaramente il mio seno irrigidirsi e subito dopo un fremito più forte che inumidì le mie gambe. Cosa stava succedendo?

Quel letto caldo e da sempre accogliente iniziò ad essere tempestato di chiodi ed insidie. Non volevo ammettere a me stessa che qualcosa interiormente stesse cambiando tanto che, per ribadire la mia fedeltà assoluta, le sere successive pretesi di fare l’amore con Dario. Lui, stupito dalla mia intraprendenza, la prima sera fece il suo dovere, ma la seconda sera, quasi infastidito, mi chiese il motivo di tutto quell’ardore. Ovvio, non dissi tutta la verità, ma accennai al disagio che mi procuravano quelle sedute. Lui non realizzando cosa effettivamente mi stesse succedendo mi disse di prendere tempo consigliandomi di non andare. Per due sedute seguii il suo consiglio e non andai alle riunioni del martedì, ma poi per il timore che potesse saltare il matrimonio presi tutto il mio coraggio e tornai.

Certo sì, sapevo di mentire a me stessa, perché la ragione principale risiedeva nel fatto che Don Patrizio aveva effettivamente smosso qualcosa che mi avrebbe portato a rivedere il mio rapporto con Dario. Del resto la sua scarna attenzione al mio stato d’animo, che mi aveva consigliato solo di non andare, invece di calmarmi, aveva procurato l’effetto contrario. Quindi tornai con la consapevolezza che quel tipo di inquietudine interiore, disatteso da Dario, potesse in qualche modo essere compreso solo da Don Patrizio. Lui, però, quando tornai non mi chiese nulla, intuendo, a mio parere, quanto quei versi, declamati in quel modo l’ultima sera avessero fatto breccia nella mia instabilità. Sta di fatto che a poco a poco quegli sguardi tornarono insistenti come prima e questa volta cominciarono a farmi sentire importante, o per meglio dire, a stuzzicarmi e a far vacillare la mia incrollabile, finora, fedeltà di pensiero, al punto che, quando Dario mi disse, sotto mia insistenza, che non avrebbe più partecipato a quelle sedute, in un certo senso mi sentii sollevata.

Il giorno dopo andai a pranzo da mia madre e tra una chiacchiera e l’altra le chiesi velatamente informazioni su Don Patrizio. Lei, da persona schietta e frequentatrice della comunità, mi disse che, rispetto al vecchio parroco, non vi erano mai stati pettegolezzi sul suo conto, nonostante fosse un uomo affabile e le parrocchiane fossero sempre in prima fila durante la messa. Insomma secondo lei si era sempre distinto per essere un prete al di sopra di ogni sospetto anche se aggiunse subito dopo: “Veronica, i preti si giudicano solo sull’altare e quello che fanno in sagrestia è meglio non saperlo!”

Non so per quale motivo le chiesi quelle informazioni, anche perché, a parte la curiosità, sapere che fosse un donnaiolo o una persona irreprensibile non avrebbe spostato di una virgola la situazione con lui prete ed io futura sposa. Però quella frase finale mi lasciò gli stessi dubbi di prima ed anche se inconfessabile, il mio interesse nei suoi confronti rimase immutato.
Davvero don Patrizio bisognava giudicarlo solo sull’altare? Beh sì, non avevo una risposta certa, ma incuriosita da cosa succedesse nella sagrestia, da quel giorno iniziai a mettere un velo di trucco, andare dal parrucchiere e, cosa che non avevo mai fatto in quelle riunioni, vestirmi con abiti meno ordinari. Certo niente di appariscente, ma quella cura che ci mettevo, facendo attenzione alla scollatura o alla lunghezza della gonna, mi faceva sentire più donna ai miei occhi, pensando nel contempo che, nell’imponderabilità del destino, nulla fosse scontato. Lui vedendomi non si fece scappare l’occasione per farmi i complimenti e la sera stessa invece di fare il solito breve giro per arrivare a casa, allungammo il tragitto costeggiando il fiume ben oltre il ponte che mi avrebbe riportato a casa.

Seduti su una panchina guardammo il fiume scorrere lento senza parlare. Percepii quel momento come un’attesa e iniziai a sudare. Ero cosciente che qualcosa sarebbe successo e soprattutto chiedendomi, se fosse accaduto, come mi sarei dovuta comportare. Lui notò il mio disagio e mi disse: “Non devi sentirti imbarazzata, è del tutto normale provare delle emozioni, così come fa Salomone verso la sua amata.” Aveva capito ed io non mi feci scappare l’occasione: “Padre, sento che c’è qualcosa di più che un semplice trasporto spirituale.” Lui sorrise, poi mi prese la mano, la strinse forte, la portò verso la sua bocca e appoggiandoci delicatamente le labbra, disse: “Che male ci sarebbe? Se succedesse è solo la volontà di Dio, lui ci vede come due esseri celestiali fatti di anima e non di carne.”
Mi rilassai, forse aveva ragione e mi convinsi che ciò che ribolliva dentro di me non era affatto il mio corpo, ma la mia anima inquieta.

Era ormai buio e non passava un’anima viva. Lui continuò a fissarmi e guardando la mia scollatura avvicinò la sua bocca al mio orecchio e mi sussurrò: “Questo vestito esalta tutta la tua femminilità…” Non dissi nulla, lui al contrario del mio futuro marito stava dando il giusto valore al mio essere donna. Apprezzai quell’interesse come fosse l’inizio di un lungo viaggio e a quel punto chiusi gli occhi aspettando chissà quale meta. Cotta e confusa pensai che lui, nonostante fosse un prete, non mi stava vedendo solo come anima, bensì come donna! Attesi, ma un attimo dopo lui era già in piedi: “Farai tardi Veronica, meglio andare.” Durante la strada di ritorno aspettai impaziente un suo segnale, sarebbe stato sufficiente che mi cingesse i fianchi o come aveva fatto prima elogiasse con le sue parole la forma del mio seno insofferente, ma non avvenne nulla.

La sera non cenai. Il suo comportamento era stato indecifrabile e non riuscivo a capire se quella di Don Patrizio fosse soltanto una tattica oppure effettivamente, come diceva mia madre, fosse un prete buono al di sopra di ogni sospetto.
Dovevo sapere, soprattutto interrogare me stessa, ma le mie risposte erano soltanto domande, ormai ero entrata in quel vortice dove la ragione aveva lasciato il passo all’istinto, alla possibilità, all’ipotesi, al “se avessi detto”, al “cosa avrei dovuto fare”. Convinta che il suo riserbo fosse dovuto esclusivamente alla mia immagine di donna devota e quindi inavvicinabile, nel più breve tempo possibile dovevo assolutamente fargli capire il mio stato d’animo e quanta donna avrebbe trovato in me, anche perché pensavo che non ci sarebbero state più occasioni e che dopo la fine del corso non avrei avuto più modo di vederlo, se non il giorno del mio matrimonio.

La mattina dopo mi alzai presto, indossai lo stesso vestito scollato del giorno prima e senza svegliare nessuno in casa uscii silenziosamente ed andai in chiesa. Lui stava officiando l’Ora Prima, la messa del mattino ed io presi posto in uno dei primi banchi ed aspettai. Durante la funzione avvertii un fremito di gelosia notando, seduta nella fila accanto, una signora con cappello, rossetto e un vestito aderente estremamente elegante che risaltava le sue forme. Non l’avevo mai vista e mi chiesi cosa ci facesse una donna così bella e appariscente in mezzo alle altre anonime parrocchiane. Tuttavia per non insospettire nessuno mi confessai e feci la comunione. Durante la confessione dissi a Don Patrizio che avevo urgente bisogno di parlargli, ma lui mi rispose, sempre con i suoi modi gentili, che dopo la messa era impegnato e che mi avrebbe ricevuto dopo un’ora.

Finita la messa lui si intrattenne a parlare con quella signora ed io sconsolata uscii dalla chiesa. Durante il tragitto verso casa pensai a cosa ci fosse tra i due, sì certo lo ammetto, ero gelosa al punto che mi domandai più volte cosa avessi meno di lei e che, se in caso ci fosse stata una gara, sarei stata io la prescelta! Nel bagno di casa accentuai il rosso delle mie labbra e indossai, come la signora, un paio di calze nere che facevano risaltare le mie gambe.

Agitata tornai in chiesa e appena lo vidi lui mi fece cenno di seguirlo in sagrestia. Era in camicia bianca e pantaloni neri e in quel preciso momento non vidi più il prete, ma un uomo a cui avrei dedicato se fosse stato possibile tutte le mie ansie e i miei sentimenti. Lui intuendo i miei pensieri mi disse che durante la notte mi aveva pensata esattamente con quel vestito: “Spero non ti scandalizzerai se ti dico che hai un bel seno, sensuale e materno come quello di nostra Signora.” Non ci potevo credere, ebbi un giramento di testa e lui mi aiutò a sedermi sull’unica sedia della stanza. Dissi: “Trovate davvero che sia bello il mio seno, Padre?” Non so se venne fuori una frase di assenso o stupore, ma lui non si fece pregare: “Alle volte il paradiso è così a portata di mano che non servirebbero preti, ma donne come te per sentirsi beati tra le braccia del Signore.” E senza aggiungere altro poggiò la sua mano nell’incavo del mio seno. Lì per lì non lo percepii come un gesto erotico, ma solo di protezione e conforto. Poi quando mi resi conto gli dissi grazie e lui, forse indeciso oppure solo attratto, alternò le carezze sui due seni stringendo delicatamente la stoffa leggera del vestito.
Ero in estasi e stupita balbettai: “Non so se sia peccato, ma sento queste carezze come un dono di Dio…” Lui con un tono pacato e profondo non si fece scappare l’occasione: “Lo è! Ma io devo capire bene cosa provi perché il peccato non esiste in natura, ma dimora nella testa delle persone.”

Eccitata e curiosa non capii esattamente cosa intendesse e non ebbi il tempo di replicare perché lui spostandosi era già in piedi dietro di me. Pregandomi di rilassarmi affondò entrambe le mani nella morbidezza della mia scollatura e, stringendo i miei capezzoli tesi, disse: “Vedi tesoro i tuoi seni protesi valgono più di mille parole. Ora so che non stai pensando di peccare anzi il peccato ora sarebbe non accontentare la volontà di nostro Signore.” Così dicendo si inginocchiò davanti a me e sollevandomi la gonna mi pregò di aprire leggermente le gambe. Ero così eccitata che non mi accorsi che mi aveva sfilato le mutandine e che quelle dita esperte vagavano sapientemente sul mio piacere nudo.

Ero davvero in paradiso, per la prima volta in vita mia un uomo mi stava dando piacere con la sua bocca! Non so precisamente cosa mi aspettassi oltre, ma quando realizzai che il suo viso era tra le mie cosce mi irrigidii. Per me era troppo! Il mio amato prete, la mia guida spirituale, il mio Assoluto stava respirando i miei odori più intimi e profondi. Sinceramente pensai a quante volte mi fossi lavata e quale odore lui sentisse realmente, cercai di fermarlo, Lui però provocato ed estasiato dai miei umori abbondanti mi disse: “Dai, lasciati andare. La carne umana è debole e Lui capirà. Vedrai che dopo ti assolverà. Ora non ci pensare.” La sua lingua non si fece pregare ed io ormai arresa a quel benessere assoluto iniziai a mugolare alternando piccoli gemiti a respiri interrotti. In quel momento pensai che Dio avesse creato la sua lingua per il mio piacere e che davvero avrei commesso un sacrilegio se non l’avessi provata. Lui accelerò invitandomi a godere: “Veronica, offrimi la tua ambrosia, cibami del nettare degli dei.” A quel punto a briglia sciolte presi le sue mani e le portai sul mio seno e con le gambe tremanti esplosi nella sua bocca.

Ero sconvolta, lo guardai bene per rendermi conto veramente che fosse il mio prete. Lui si alzò e mi diede una leggera carezza sul viso sorridendo: “Sei stata perfetta! Ora sai cosa intendevo per fusione di anime. Ti sei sciolta in me, mi hai regalato l’essenza della femmina e ti ringrazio,” Non ci potevo credere, era lui che ringraziava me! Completamente disorientata gli dissi: “E ora?” E lui: “Ora nulla, so cosa stai pensando, sei sorpresa di aver sentito interiormente quanto desiderio esiste nella tua anima. Ora hai solo bisogno di tornare a casa e raccogliere le tue idee. Poi mi dirai!” Non capivo: “Ma Padre, io non sono mai stata così bene…” E lui: “Vedrai che Dio e il Tempo ti daranno la giusta dimensione di quello che hai fatto, ma ora è presto per pretendere risposte.”

Andai via, estasiata per quello che era successo, ma anche amareggiata. Lui non si era affatto sbilanciato. Cosa pensava di me? Perché lo aveva fatto? E come dovevo interpretare quel momento? Per me rappresentava l’apertura di una parentesi che da quell’istante non avrei mai voluto che si chiudesse. Per capire non mi serviva Tempo e non mi serviva Dio, mi serviva lui e desideravo che fosse solo mio. Ripensai a quella donna col cappello: “E se anche a lei avesse riservato lo stesso servizio?” Anzi andai oltre pensando che non si era unito a me per il semplice motivo che prima di me aveva consumato tutta la sua energia offrendola all’altra donna.

Ormai mancava solo una seduta alla fine del corso prematrimoniale ed io non mi sentivo più pronta. Rimasi in attesa di un suo segnale per giorni e più si avvicinava la data più mi sentivo insicura. La sera dell’ultima seduta andai dieci minuti prima e parlandoci gli confidai tutti i miei dubbi dicendogli che stavo pensando seriamente di rinunciare al matrimonio. Lui mi freddò col suo sguardo e mi rispose che qualunque cosa fosse successa ancora tra noi due non dovevo assolutamente deludere i miei cari e tanto meno Dio. Ero nervosa e per calmarmi mi promise che dopo il corso mi avrebbe fatto un regalo, ma dovetti promettergli che avrei seguito per filo e per segno i suoi consigli.
Così fu.

Dopo il corso andammo in sagrestia, lì mi prese per mano e poi salendo le scale mi condusse nella sua stanzetta. Quando chiuse la porta a chiave gli chiesi a brutto muso perché mai avesse fatto trascorrere tutto quel tempo e lui rispose che l’ultima volta si era limitato a darmi piacere perché non ero ancora pronta: “Sai Veronica, l’attesa aumenta il desiderio e rende le persone più disponibili. Io ho avuto modo di assaggiare la tua anima e ora penso che il tempo trascorso l’avrà resa ancora più appetibile.” Non ci potevo credere! Solo in quell’istante realizzai cosa intendesse veramente per anima. E chissà quante di quelle anime avesse finora consolato. Non riuscii a stare zitta e chiesi: “Padre, anche l’anima della signora col cappello, che avete ricevuto prima di me l’ultima volta, aveva bisogno delle vostre cure, vero?”
La sua voce era ferma, il suo atteggiamento sicuramente più maschio ed esperto delle altre volte. “Mia cara Dio mi ha dato questa missione e cerco di servirlo nel migliore dei modi.” Beh sì era stato sincero, ma quella confessione invece di farmi allontanare da lui produsse l’effetto contrario. Lo desideravo!

A quel punto mi spogliò nuda e senza più ambiguità come un re tirò fuori il suo scettro e mi ordinò di inginocchiarmi e baciare come una penitente il bastone pastorale. Estasiata da quella visione lo baciai così avidamente che persi più volte il ritmo, ma in quei momenti desideravo solo dargli piacere ed essere più brava dell’altra col cappello. Lui intuì i miei pensieri e mi disse che ero così bella che non mi era permesso di essere gelosa e che le anime per loro natura sono diverse l’una dalle altre, ma ora desiderava curare solo la mia, che poi non era anima, che poi non era spirito, ma semplicemente quella conquista umida che avevo tra le gambe. Qualche secondo dopo mi sollevò di peso e mi distese con forza sul letto, e togliendomi reggiseno e mutandine scivolò senza indugi tra le mie cosce. Chiusi gli occhi e lo accolsi come la Provvidenza che non fa disparità, ma arriva in soccorso di ogni persona bisognosa. Provai una sensazione di infinito e di abbandono, non so spiegare, come se fosse la mia ultima volta oppure la prima. Perfettamente in simbiosi mi muovevo al ritmo dei suoi colpi di maschio, sentivo le mie pareti dilatarsi fino a quando per rendermi conto che fosse davvero il mio prete aprii gli occhi e fissandolo gli gridai tutto il mio piacere: “Vengo! Padre mi state facendo godere! Vengo! È bellissimo!” Lui mi disse di attendere, di resistere, di gustarmi ogni istante e prolungarlo all’infinito, ma scossa da quel piacere, insopportabile per quanto intenso e devastante venni a fiumi come una grondaia sotto un temporale.

Non so poi precisamente cosa successe, ricordo che poco dopo mi ritrovai in piedi con la faccia contro il muro tra lo stipite della porta e un piccolo armadio. Lui era dietro di me e più voglioso di prima mi mordeva il collo sbattendomi con forza. Ero in delirio e lo incitai: “Prendete tutto di me, fate che ogni mio segreto sia la fonte del vostro piacere!” Lui non ci pensò due volte e subito dopo sentii la mia carne cedere ed avvolgersi magicamente al suo stecco di salice nodoso. Respiravo a fatica, ero in estasi e gli gridai: “Ditemi che avete sempre saputo che sarebbe finita così, ditemi che non desideravate altro che diventassi vostra!” Non so per quale motivo, ma mi eccitava pensare che sin dalla prima volta mi avesse considerato una sua preda, un oggetto di carne da gustare e deflorare. Lui mi accontentò: “Certo che lo sapevo, ma aspettavo solo te, ed ora sei mia!” Ed io, ormai fuori da ogni ragione gli chiesi: “Sarò vostra anche dopo il matrimonio vero?” Lui non rispose, ma sentii il suo vigore farsi largo tra la mia carne.

Ero sconvolta. Le sue parole come il suo sesso si fecero più ficcanti. Mi disse che ero il suo bottino di guerra, il suo animale domestico, la sua femmina più calda ed accogliente che avesse mai conosciuto, la donna di un bordello che aveva frequentato da ragazzo. Rivolta contro quel muro sentivo le sue mani strette ai miei fianchi, il suo sesso padrone che entrava ed usciva a suo piacimento, la piacevole attesa del prossimo colpo. Urlavo, gemevo, gridavo che sarei stata per sempre sua, che Dio era lì presente tra noi e non era altro che carne, materia e godimento. Lui mi rispose che Dio era solo ciò che desideravo che fosse. A quel punto lo pregai di venirmi dentro nell’esatto momento in cui, con un brivido più intenso, raggiunsi il paradiso.

Aveva ragione, quello era senza ombra di dubbio il paradiso che avevo sempre sognato e che attraverso qualsiasi preghiera non avrei mai potuto immaginare. Lui sentendomi godere uscì ed esplose sulle mie gambe. Nuda davanti a lui non provai alcuna vergogna, ero sua, totalmente sua che se avesse voluto avrei cominciato all’istante. Mi guardai intorno e vedendo la statua di una madonnina appoggiata su una colonna dissi: “Padre voi siete stato il primo dopo mio marito e nonostante lo desiderassi, mai avrei creduto che sarebbe successo, e poi in questo posto e soprattutto con voi!” Lui mi accarezzò una spalla e rispose: “Non devi giustificarti perché non hai fatto nulla di male. Tra l’altro non sei ancora sposata ed oggi hai semplicemente ascoltato la tua voce interiore.” Poi mi baciò sulle labbra e sospirò: “Io ho fatto del mio meglio, ma so bene che questa non è una cura, ma sono certo che ti servirà in futuro. Vedrai che dopo oggi tutto sarà diverso e tu sarai pienamente cosciente della tua femminilità e pretenderai dal tuo compagno ciò che finora ti ha negato.”

Quindi pensai che non ci sarebbe stata una prossima volta e che dovevo considerare quell’incontro unico. Dissi: “E come la mettiamo ora con i miei sentimenti?” Lui non si scompose: “Veronica non confondere l’amore con le tue esigenze di donna. Oggi ti sei concessa a me per il solo motivo che ami il tuo futuro marito.” Sentivo che non era così, tentai di ribellarmi: “Padre io vi desidero, non posso pensare che tutto questo è successo solo per curare le mie ansie e che tra noi ci sarà un’altra volta.” E lui: “Conosco bene il tuo stato d’animo, non sei la prima sposa che ha dei forti dubbi prima del matrimonio, ma vedrai che la grazia di Dio ti guiderà e ti dirà cosa sarà giusto per te.” Ed io: “Vi prego non mi dite così, siete stato voi a farmi credere che abbiamo seguito la volontà di Dio. Sono sicura che Dio mi capirà anche dopo sposata.” E lui: “Veronica, il matrimonio è un sacramento anche di fedeltà e tu non puoi pretendere ciò che Dio punisce. Una volta sposata non sarebbe la stessa cosa.” Capivo che mi stava rifiutando, ma non capivo assolutamente il motivo! Cosa sarebbe cambiato? Ero già di un altro uomo come lo sarei stata dopo il matrimonio: “Quindi non mi volete più?” E lui: “Ho preso tutto il consentito, altro sarebbe peccato.” Tentai ancora: “Toccatemi padre, vi prego, non vedete come il mio seno vi desidera?” Era il mio ultimo sforzo per fargli cambiare idea, ma lui sorridendo raccolse i miei vestiti adagiati sul pavimento e mi pregò di rivestirmi: “Sei bella Veronica, la tua anima mi ha saziato più di quanto avrei creduto, altro sarebbe troppo!”

Mi rassegnai, tornai a casa con l’amarezza nel cuore, certo sì ero stata bene, ma riflettei sul fatto di quanto fosse criminale vivere i momenti più belli della propria vita sapendo che sarebbero stati gli ultimi. Pensai che la mia colpa non fosse altro che quella di essermi innamorata di un prete e non mi rimase che dedicarmi ai preparativi del matrimonio, anche perché ormai mancavano solo tre giorni al giorno fatidico.

A me sarebbe bastata una piccola promessa, un piccolo pertugio dove infilarmi e covare i miei sogni, ma lui era stato inamovibile e così arrivò il giorno del matrimonio, i fiori, la chiesa, i parenti, mia madre, i miei figli, Dario, la marcia nuziale, il mio vestito da sposa, lo strascico, le mie lacrime, le fedi nuziali, la promessa di fedeltà e soprattutto Don Patrizio che senza alcun indugio e senza un briciolo di emozione ci unì liturgicamente in matrimonio decretando così la fine di ogni mia aspettativa.

Durante il sermone ripensai a quei momenti quando era dentro di me e al piacere che mi aveva concesso, ma allo stesso tempo lo paragonai ad un boia che inflessibile stava per azionare la ghigliottina e dare per sempre un taglio netto tra le sue ragioni di prete e i miei sensi che non smisero mai di ribollire, convinta che, se me lo avesse chiesto, mi sarei concessa anche col vestito da sposa. Finì con baci, riso, auguri, felicità, pranzo, foto, balli, abbracci e fiumi di spumante buono, ma quello per me, indiscutibilmente, fu il giorno più triste della mia vita!










Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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