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STORIE VERE
L'AMORE
SBAGLIATO
Cominciò con
la luna sul posto e finì con un fiume di inchiostro. È una storia da
dimenticare. É una storia da non raccontare. É una storia un po'
complicata. È una storia sbagliata
Mi chiamo Luana, ho trentadue anni e vivo in un
piccolo paese della profonda provincia veneta. Sposata
da oltre dieci anni con Giacomo vivevo la mia vita come
la nebbia di queste parti che ovatta e smorza il minimo
entusiasmo. La mia storia iniziò nel dicembre del 2017,
quando frequentavo una palestra poco fuori dal centro
abitato. Lì incontrai per la prima volta Paola, una
bella donna dal sapore mediterraneo, mia coetanea anche
lei sposata e madre di un ragazzo David, poco più che
adolescente.
Tra i sudori e la fatica degli
esercizi e la voglia di sentirci belle e soprattutto di
mantenere la linea, iniziammo a conoscerci e parlando ci
scoprimmo reciprocamente simpatiche, confidandoci le
piccole avversità e la monotonia della vita di
provincia. Il giorno stesso, per ammazzare il tempo, le
diedi appuntamento per un caffè al bar della palestra,
lei accettò volentieri e così anche il giorno dopo e da
lì nacque tra noi una certa confidenza.
Immediatamente ci fidammo l’una dell’altra, diventammo
amiche e parlando scoprimmo le nostre vite interiori,
all’apparenza normali, ma entrambe contraddistinte da un
malessere di fondo dovuto soprattutto alle tante
insoddisfazioni e ai pochi piaceri che la vita di
provincia ci offriva. Le nostre confidenze divennero più
intime e una sera a cena, senza pudori, le parlai del
rapporto con mio marito, dell’amore piatto e noioso e
delle tante sere che per non lasciarmi andare preferivo
far finta di dormire.
Davanti a due calici di
vino rosso, le confidai senza mezzi termini che il mio
cuore romantico avrebbe voluto ancora innamorarsi,
vivere una di quelle relazioni che ti spezzano il
respiro e non ti fanno dormire. Del resto mi ero sposata
a diciannove anni e il mio matrimonio aveva deluso le
mie aspettative e ora dopo tredici anni non mi dava più
le stesse emozioni. Con l’età che avanzava avrei
desiderato sentirmi ancora al centro dell’attenzione,
magari di due occhi passionali che mi avrebbero fatto di
nuovo vibrare e sentirmi totalmente femmina.
Paola invece, al contrario di me, era più razionale e
nonostante anche lei sentisse qualcosa di incompiuto
nella sua vita, metteva la sua famiglia prima di tutto.
Insomma avrebbe voluto vivere una vita tranquilla se non
fosse stato per suo marito Renzo sempre attratto dal
fascino femminile ed a volte troppo distratto a letto, e
soprattutto da quel figlio introverso che non si
decideva a crescere e responsabilizzarsi. David
aveva quasi sedici anni e frequentava la seconda liceo
ed a scuola andava decisamente male avendo insufficienze
su tutte le materie e in particolare sulla lingua
straniera: “Pensa che nell’ultima interrogazione di
francese ha preso due!” In quel momento di tenerezza
istintivamente l’abbracciai ed anche se il mio lavoro
era quello dell’infermiera, in nome di quella amicizia,
spontaneamente sentii il dovere di aiutarla. Ed allora,
dato che conoscevo la lingua, avendo trascorso due anni
a Lione prima di sposarmi ed avendo già dato qualche
ripetizione, mi offrii di aiutare suo figlio.
Paola era incredula, mi chiese: “Davvero mi aiuteresti?
Sai tra poco David avrà l’esame di verifica di fine anno
e deve assolutamente superarlo…” Contenta per
quell’aiuto insperato mi strinse forte ambedue le mani e
mi disse più volte grazie. Non essendo impegnata con il
mio lavoro concordammo la prima lezione per il giorno
dopo.
Paola a casa raccontò il fatto a marito e
figlio, ma David, pensando che si trattasse della solita
professoressa noiosa, ovviamente non fu contento.
All’ora di pranzo ricevetti la telefonata di Paola, era
sconsolata per quel rifiuto: “Luana mi dispiace e ti
chiedo scusa.” La tranquillizzai e mi feci passare il
ragazzo al telefono. Mentre gli spiegavo con tutta la
dolcezza possibile che sarebbe stato per il suo bene e
che avrebbe potuto interrompere le lezioni in qualsiasi
momento, lui praticamente, a parte qualche mugugno, non
disse una parola, ma alla fine risultai convincente
tanto che seppur a malincuore accettò.
Alle tre
in punto di quel pomeriggio David bussò alla mia porta,
lo feci accomodare nello studio di casa e immediatamente
mi confermò l’impressione che avevo avuto al telefono
ossia che la sua timidezza fosse al limite del
patologico. Impacciato e timoroso non riusciva a
guardarmi negli occhi ed allora cercai di farlo
rilassare e come stabilito con sua madre iniziai a
parlare in francese, ma sin dalle prime battute mi
accorsi quanto il ragazzo, nonostante i cinque anni di
studio della lingua, avesse delle lacune impressionanti.
Non riusciva a sostenere la pur minima ed elementare
conversazione per cui con la santa pazienza decisi di
iniziare dalla prima lezione ovvero dai verbi.
Avendo promesso a sua madre che avrei fatto del tutto
per fagli superare l’esame mi impegnai dedicandogli più
ore al giorno e dopo la prima settimana di lezioni notai
già dei significativi progressi. Contenta ne parlai in
palestra con sua madre e Paola mi disse che oltre
all’apprendimento della lingua vedeva suo figlio meno
introverso e più sicuro di sé. Beh sì quel lavoro stava
dando i frutti sperati, ma soprattutto mi accorsi che
incredibilmente anche a me stava succedendo qualcosa.
Attratta da quella dolcezza, sentivo qualcosa di
indefinito che non sapevo spiegarmi, ma che non mi
faceva dormire la notte e sin dalle prime ore del
mattino mi portava ad attendere quasi morbosamente
l’arrivo del ragazzo. Per paura di sbagliare e
soprattutto per apparire come la sua guida assoluta,
come se fossi io l’allieva ripetevo più volte la
lezione, ma tuttavia non riuscivo a rimanere calma.
Con un’emozione latente, mai provata prima, riuscivo
a stento a sbrigare le faccende di casa, insomma mi
sentivo agitata, tanto che una sera a cena decisi di
parlarne con mio marito. Giacomo, con la sua innata
comprensione, mi ascoltò in assoluto silenzio e
conoscendo le mie fragilità, con la sua aria paternale
mi rassicurò dicendomi che era tutto normale, che
quell’atteggiamento materno era di fatto la conseguenza
della mia mancata gravidanza e i tanti tentativi
falliti: “Luana tu hai tanto amore da offrire e la colpa
è senz’altro mia, perché in questi anni non sono stato
capace ad assorbire il tuo bisogno di dare affetto.”
Forse Giacomo aveva ragione, ma dentro di me sentivo
qualcosa di insolito, quasi di peccaminoso, che non era
affatto giustificabile con la sola consapevolezza di non
essere madre. Insomma David non lo vedevo come figlio,
ma qualcosa che andava oltre e sinceramente me ne
vergognavo. Sempre quella sera, tra le sue calde
braccia, dissi a Giacomo: “Forse sarebbe meglio
smettere, domani chiamo Paola e…” E lui: “No tesoro,
sentiti libera di essere te stessa.” Ed io sapevo
benissimo cosa significasse quella frase, perché
sentirmi me stessa voleva dire intercettare l’attenzione
di quell’adolescenza, fare mia quella dolcezza
disarmante che nessun uomo maturo mi avrebbe mai potuto
offrire.
Mi interrogai più volte sul motivo
recondito scavando nel mio passato e andando fino alla
mia adolescenza. Beh sì c’era stato un episodio che mi
aveva fatto crescere in fretta, che pur non volendo mi
aveva catapultata con forza nel mondo degli adulti. E
quell’episodio era un uomo in carne ed ossa, un amico di
famiglia che aveva strappato la mia innocenza. Da soli
in casa si è era abbassato i pantaloni e dicendomi che
era tutto normale mi aveva invitato a leccarlo come
fosse un cono gelato. Impaurita, ma anche curiosa, mi
fidai di lui finché sentii uno strano sapore in bocca.
Non ci fu altro se non le sue raccomandazioni di non
dire a nessuno ciò che era successo.
Ripensando a
quell’episodio pensai che quell’attrazione verso quel
ragazzo non fosse altro che la mia parte più profonda
che strappata in fretta dal mondo dei sogni sentiva
l’esigenza di tornare bambina. Ma ovviamente ero
cresciuta, ero una donna, e lui solo un ragazzo per cui
sapevo che per attrarlo dentro la mia gabbia, convinta
che la differenza di età fosse un impedimento, avrei
dovuto giocare a pari livello e solo in un secondo tempo
sfoderare le mie armi di donna materna e sensuale. La
sera mi ripetevo che del resto i desideri dei ragazzi di
quell’età erano popolati esclusivamente da donne mature
e disponibili e che non aspettavano altro di essere
soddisfatti considerando un’occasione del genere solo
un’immensa fortuna.
Passò del tempo e tra un “Je
t'aime” e un “Moi aussi”, che gli facevo ripetere
ossessivamente e sottintesi sempre più espliciti,
cercavo di attrarre la sua attenzione, senza rendermi
conto però che per la sua timidezza e le diverse
emozioni dovute all’età, fosse quasi un’impresa ardua
entrare nelle sue attenzioni di adolescente. Lui
continuava a chiamarmi professoressa, nonostante lo
pregassi di chiamarmi Luana e darmi del tu, e
soprattutto non dare la minima considerazione alle mie
camicette semitrasparenti che ogni giorno cambiavo
meticolosamente.
Ero al limite. Calmavo i miei
desideri pregando ogni sera mio marito di fare l’amore,
ma col preciso scopo, quando lui era dentro di me, di
valicare con la fantasia i confini del proibito e del
peccato, immaginandomi nello studio con quel ragazzo che
finalmente si era deciso a prendere l’iniziativa. Sapevo
quanto la cosa fosse impossibile, ma non mi arrendevo e
una sera durante l’amore chiesi a mio marito se da
ragazzo gli fosse capitata una storia piccante con una
donna più grande. Lui involontariamente mi incoraggiò
raccontandomi i suoi impulsi nei confronti di un’amica
di sua madre, una quarantenne bella e sensuale, che però
rimasero tali: “Quindi tu avresti voluto?” E lui.
“Certo, ma mi vergognavo e non avrei mai preso
l’iniziativa, se quella donna si fosse fatta avanti
avrei perso molto prima la mia verginità.” Ecco, era
proprio quello che volevo sentirmi dire, lo ringraziai
senza che lui conoscesse il motivo.
Animata da
quelle parole, mi convinsi che sarebbe spettato a me il
primo passo. Avendo spesso mio marito in casa, chiudevo
ogni volta la porta dello studio e nel segreto di quella
stanza decisi di scoprire le mie carte di ammaliatrice,
non prima però di essermi intrattenuta in bagno e,
convinta che tacchi alti e autoreggenti fossero materia
per adulti, indossavo abiti scollati e camicette aperte,
certa che il seno materno, più o meno intravisto, fosse
la chiave più succulenta per sedurre un sedicenne. In
cuor mio desideravo più che si concentrasse sul mio seno
che sui libri, ed essendo un’indomita sognatrice non mi
rendevo conto dell’impresa, ma forse era proprio questo
che mi portava a sognare che prima o poi avrei preso
tutto il coraggio per fargli capire le mie vere
intenzioni.
Quando la prima volta mi presentai
con una maglia decisamente scollata lo vidi confuso e
balbettando uno stentato francese, per tutta la lezione,
cercò di tenere lo sguardo abbassato facendo del tutto
per non guardare la mia esuberanza. Alla fine non fui
per nulla soddisfatta di quell’approccio, ma lo
giustificai pensando che, essendo così riservato, magari
preferiva non mostrare i suoi desideri e sognarmi di
notte nel suo letto, sicuramente compiaciuto della
fortuna sfacciata che lo stava travolgendo.
Quella scollatura non proprio adatta ad una
professoressa aveva scavato il classico limite del non
ritorno per cui iniziai a chiedermi fino a dove mi sarei
potuta spingere avendo però sempre il timore che il
ragazzo potesse confidarsi a casa, anche se oltre ad
ostentare il mio seno non stavo facendo nulla di male,
mai una parola fuori posto, ma un invito esplicito.
Durante una lezione gli chiesi se avesse la ragazza
e come fosse il rapporto con sua madre, dalle sue
risposte capii che non era fidanzato e che con i suoi
non aveva alcun rapporto per cui, sollevata, pensai che
stesse vivendo quel momento in estrema solitudine e che
al massimo potesse confidarsi con i suoi amici. La cosa
mi incoraggiò al punto che per smuoverlo cambiai
strategia e un pomeriggio anziché far leva sul mio
aspetto materno indossai una gonna così corta che quando
mi sedetti si intravide il bordo di pizzo della mia
autoreggente nera. Beh incredibilmente quel bordo
malizioso funzionò alla grande! David questa volta non
abbassò gli occhi, non rimase indifferente e nonostante
il suo riserbo mi disse che ero molto bella. Non mi
pareva vero che ero in qualche modo riuscita ad avere la
sua attenzione, respirai profondamente considerando
quella frase scarna ed essenziale il miglior
corteggiamento che avevo ricevuto nella mia vita. Mi ero
sbagliata! David non mi voleva come madre, ma come femme
fatale! Emozionata mi alzai e avvicinandomi gli presi
la mano, la strinsi a me e poi tremante l’appoggiai
delicatamente sul mio seno. Dissi: “Senti come batte il
mio cuore?” Lui, forse travolto dalla sensualità di una
donna matura e nonostante sudasse abbondantemente non
tolse la mano, anzi, senza che io lo forzassi in qualche
modo, si fece spazio tra le due asole strette della mia
camicetta. In estasi gli dissi di stringere e lui non si
fece pregare. Non successe altro, ma con la certezza di
averlo conquistato, quando se ne andò, sola in casa mi
distesi sul letto, immaginando cosa sarebbe successo se
per caso avessi osato di più.
Da quel giorno le
mie avances diventarono sempre più insistenti e dal
vezzo del seno seminudo e quello dell'autoreggente,
sempre più coinvolta emotivamente, passai alle vie di
fatto. Un pomeriggio, sola in casa, mi feci trovare con
una vestaglia leggerissima così trasparente che non
lasciava molto spazio alla fantasia. Gli sussurrai senza
mezzi termini che avrei desiderato fare l’amore con lui.
Eravamo in ingresso e lui smarrito fece solo in tempo a
dirmi che non aveva mai visto il sesso nudo di una
donna, perché subito dopo gli presi la mano e anziché
nello studio lo trascinai direttamente nella mia camera
da letto.
Distesa sul letto mi tolsi la
vestaglia e allargando le gambe lo invitai nel mio
piacere, lui smarrito esitò un attimo confessandomi che
per lui sarebbe stata la prima volta. Eccitata da quella
frase lo tranquillizzai dicendogli che lo avrei aiutato
e a quel punto senza più esitazioni gli ordinai di
prendermi così, all’istante, senza imbarazzo e che poi
non se ne sarebbe pentito anzi avrebbe visto il mondo
con occhi diversi. Lui inesperto e sudato si distese su
di me muovendosi in modo del tutto confuso e a quel
punto fui io a guidarlo con la mia mano dentro il mio
piacere. Furono attimi intensi, ma quello che mi eccitò
maggiormente fino ad arrivare al primo orgasmo fu il
sapore del proibito, ossia di un qualcosa che tutto il
mondo avrebbe giudicato peccaminoso e immorale. Se ci
avessero scoperto già immaginavo i titoli dei giornali
ossia la relazione scandalosa tra l’allievo adolescente
e la bella e disinibita professoressa trentenne. Lui
concentrato più sul fatto di fare l’amore con una donna
adulta che sul suo piacere tardò a venire e prima che si
abbandonò totalmente venni altre due volte e sempre con
la stessa intensità. Gli dissi di chiamarmi amore e lui
almeno in quei momenti non si fece pregare. Era mio,
finalmente mio, avrei potuto dargli tutto il mio amore,
tutto quel sentimento che per anni avevo tenuto dentro
di me e solo lui ne sarebbe stato il beneficiario.
Perché da quel momento si trattò di una vera e
propria relazione, anche se non mi illudevo più di tanto
e quando pensavo cosa provasse per me mi rispondevo che
per lui non rappresentavo altro che un’occasione da
sfruttare e in caso vantarsi in futuro con gli amici.
Cioè ero cosciente che non fosse una vera e propria
relazione d’amore, anche perché lui nei messaggi che mi
inviava scriveva di non capirmi, di non sentire le
stesse cose che sentivo io, di non sentirsi legato
sentimentalmente a me, mentre io, la sua professoressa
di francese, ogni giorno di più mi sentivo innamorata
persa e nei messaggi rispondevo: “Vieni subito, ho messo
le autoreggenti per te! Mi sto toccando pensando a te!
Ti piace la tua troia vero?” E allora lui correva,
correva perché si sentiva fortunato, perché era
cosciente che nella vita una cosa simile succede solo
una volta e basta.
Quando lo vedevo distratto,
quando mi parlava di qualche sua compagna di classe
facevo di tutto per essere al suo pari livello, a
presentarmi come una ragazzina, indossando gonne corte,
lasciando i capelli sciolti e indossando le mutandine
bianche da adolescente e soprattutto parlando di
argomenti cari alle ragazze della sua età. Mi informavo
quali delle tante fosse la sua preferita e se un giorno
avrebbe avuto desiderio di sposarla. In cuor mio avrei
voluto che mi rispondesse che pensava solo a me, ma
anche se mi sentivo legata a lui, mani, piedi e cuore,
non era facile per pensare ad un futuro, ad una
relazione vera e propria. Se fossi uscita allo scoperto
la legge degli uomini e soprattutto quella morale mi
avrebbe condannata senza appello. Tutti avrebbero
pensato ad un abuso anche se in quel rapporto ero la
parte più fragile e totalmente assoggettata ai voleri di
un ragazzo che non solo a volte si negava, ma spesso mi
diceva bugie per sottrarsi alle mie attenzioni morbose.
Ovvio alle volte preferiva fare altro che venire da me,
giocare ai video giochi, giocare a calcio, mangiare una
pizza con i compagni di scuola ed io allora diventavo
più gelosa e quando veniva a lezione gli facevo il terzo
grado, sospettando di tutte le ragazze che avessero più
o meno la sua stessa età: “Dimmi la verità! Ti sei
scopato qualcuna? O l’hai solo baciata?” Ero pazza! Lui
a volte rimaneva in silenzio ed io su tutte le furie lo
ricattavo minacciandolo che mi sarei presentata a scuola
il giorno dopo e lo avrei baciato davanti ai suoi
compagni, oppure che avrei raccontato tutto a sua madre,
cosa che per evidenti ragioni mai avrei fatto.
Alternavo attimi di ilarità a vere e proprie voragini di
depressione e in quei momenti chiedevo ossessivamente a
mio marito se mi trovasse vecchia, decrepita e ridicola.
Lui ogni volta con estrema calma mi rispondeva: “Amore,
ma sei un fiore, gli uomini tutti senza distinzione di
età farebbero la fila per te!” Forse aveva capito! E
quelle parole erano per me una specie di droga anche se
poi mi chiedevo perché mai allora quel ragazzo fosse
così sfuggente e non si legasse a me come avrei
desiderato. Certo sì, l’amore lo facevamo, con la porta
chiusa rigorosamente a chiave mi concedevo a lui senza
risparmiarmi. Cercavo di accontentarlo in ogni modo,
renderlo felice e farlo sentire grande, ora nuda, ora
vestita secondo i suoi voleri, ora stringendolo tra i
miei seni, ora tra le mie labbra morbide, ma era più che
evidente che per lui esistevo solo in quella stanza e
fuori di lì sarei stata solo una donna per la quale
vergognarsi.
Continuammo per alcuni mesi, Davide
a scuola aveva iniziato a prendere ottimi voti e non
solo in francese, ma Paola sua madre si accorse che
qualcosa non andava in quel figlio sempre taciturno e
impaurito. Insomma pian piano le venne il forte dubbio
che David le stesse nascondendo qualcosa. Ovviamente
decise di parlarne con me: “Sai, Luana, c’è qualcosa che
non capisco, lo vedo irrequieto, a volte insofferente,
come se avesse qualche disagio inconfessabile.” Seduta
in quel bar della palestra, con estrema sicurezza
rispondevo che il ragazzo stava crescendo e che il
passaggio dall’adolescenza alla vita adulta poteva dare
certi segnali.
Insomma una spiegazione generica
che non convinse la mia amica tanto che un bel giorno
decise di mettere sotto torchio suo figlio vincendo così
le sue reticenze. Lui dopo aver negato con forza crollò,
sicuramente felice di svuotare quell’immenso segreto.
Con le lacrime agli occhi raccontò la nostra storia sin
dai primi approcci e non tralasciando i minimi
particolari da come lo avevo sedotto ai nostri rapporti
di sesso completo. Per giustificarsi le disse: “Non mi
lascia in pace, mi ricatta, mi vuole sempre con sé!”
Paola, sconvolta, la sera stessa ne parlò con suo
marito Renzo, lui dapprima sorrise poi le disse di stare
calma, di parlare con me e sentire cosa avessi da dirle.
Il giorno dopo con una voce agitata mi chiamò e mi disse
di vederci al solito bar della palestra. Dopo avermi
raccontato per filo e per segno i fatti mi chiese a
brutto muso se quella storia fosse solo frutto della
fantasia di David oppure ci fosse un fondo di verità.
Lei teneva a me per cui sperava con tutta se stessa che
fosse tutto falso e che io sentendo quella storia
assurda me ne fossi uscita con una grande risata. Ma
dentro di me sapevo che non era così e a volte la realtà
a volte supera la più fervida immaginazione tanto che in
quel momento non me la sentii di sconfessare il povero
ragazzo, ma allo stesso tempo rimasi sul vago
ripetendole che forse David stava affrontando le sue
prime esperienze amorose, i suoi primi bollori che
ovviamente scaricava su di me, essendo ormai una figura
femminile costante nella sua vita. Aggiunsi poi per
calmarla ed essere più convincente quanto David fosse un
ragazzo dolcissimo e quanto lei, Paola, fosse fortunata
ad essere sua madre.
Forse neanche io sapevo bene
cosa avessi in mente, ma di certo sapevo cosa avessi nel
cuore, ovvero di continuare a vivere la mia storia
d’amore in gran segreto e nel contempo, per il bene e la
pace di tutti, salvaguardare me stessa e il mio piccolo
amante. Tra l’altro avevo pensato addirittura di dire
tutto a mio marito, nella certezza che lui mi avrebbe
capita ed accettato quel ragazzo in casa così da poter
vivere la mia storia liberamente. Comunque per
qualche giorno, con sua madre così sospettosa e
guardinga, diradammo gli incontri. Paola era a tutti gli
effetti la mia nemica, il vero pericolo per la mia
storia segreta per cui dovevo in qualche modo
neutralizzarla. Le mie parole ormai non la convincevano
più di tanto e in quei pomeriggi di solitudine pensai
più volte a come agire e sottrarmi da quei sospetti.
Avevo bisogno di un alleato, di qualcuno che perorasse
la mia causa e inevitabilmente mi venne in mente suo
marito, il quale in qualche modo avrebbe potuto darmi
una mano. Del resto quando Paola gli aveva parlato di
David, lui si era mostrato meno aggressivo e più
razionale invitando sua moglie a sentire anche la mia
versione.
Quel pensiero scellerato divenne
sempre più insistente e fattivo per cui decisi di non
farmi scappare l’occasione. Renzo ogni tanto veniva a
riprendere Paola in palestra, a volte rimaneva in
macchina, altre seduto al bar aspettando che sua moglie
finisse la sessione di posturale. Un pomeriggio, mentre
Paola era ancora sotto la doccia, presi tutto il mio
coraggio e mi presentai dicendogli chi fossi.
Ovviamente, viste le confidenze di Paola e il suo debole
per il fascino femminile, cercai di mettere in risalto
tutta la mia femminilità. Lui sorpreso, ma gentilissimo
mi fece accomodare al suo tavolo e per tutto il tempo
non mancò di ammirare le mie gambe messe in risalto da
un paio di pantaloncini corti. Parlammo anche di David e
mi finsi molto preoccupata per la situazione, ma a conti
fatti percepii che per lui le vicende di suo figlio non
fossero affatto un argomento interessante, infatti
scherzando mi disse: “So che la storia che ha raccontato
David non è vera, penso che il ragazzo si sia inventato
tutto, ma sa cosa le dico? Se fosse stata vera, non mi
sarei sorpreso, del resto assomiglia in tutto e per
tutto a suo padre!” Sorrise credendo di aver fatto una
battuta ad effetto ed io per compiacerlo risposi con lo
stesso sorriso. Quando mi congedai mi disse che era
stato piacevolmente colpito dal mio modo di pormi e che
se avessi gradito ci saremmo potuti rivedere in
circostante molto diverse. Pensai di averlo in pugno per
cui rimasi lì in piedi ad aspettare la sua richiesta che
venne immediatamente dopo: “Se a lei non disturba
potremmo scambiarci i numeri di telefono.” Non aspettavo
altro…
Il giorno dopo immancabilmente ricevetti
un suo messaggio in cui mi chiedeva se fossi disponibile
ad incontrarlo per un caffè. Accettai e la mia unica
preoccupazione a quel punto fu quanto avrei dovuto osare
per apparire ancora più sexy e disinibita in modo da
fargli credere che osando avrebbe potuto avere ottime
possibilità di portarmi a letto. Optai per un tubino
aderente sopra il ginocchio, una calza velata e un tacco
importante. Lui quando mi vide non riuscì a resistere
alla tentazione di darmi del tu e stabilire
immediatamente un rapporto più che confidenziale. Era
evidente che, dopo il racconto di Paola su David, si era
fatto un film in testa e, vero non vero, mi credeva
senza dubbio una donna facile. Infatti baciandomi la
mano esordì: “Non sapevo che la professoressa di
francese di mio figlio fosse così affascinante. Beh sai
cosa ti dico? Che se mio figlio ha avuto delle fantasie
su di te, come dargli torto?” Mi sedetti, accavallai le
gambe e prendendo la palla al balzo risposi: “Fammi
capire, tu non avresti nulla in contrario se tuo figlio
si vedesse con una donna con il doppio dei suoi anni?”
Lui guardandomi le cosce non ci pensò un attimo: “Lo
invidierei!” Sorrisi compiaciuta, era evidente che
da quel momento avevo un alleato in più e dissi: “Paola
non sarebbe d’accordo però…” A quel punto mi guardò da
capo a piedi inumidendosi le labbra: “Mia moglie non
sarebbe d’accordo neanche se tra me e te nascesse
qualcosa!” Così dicendo chiamò il cameriere senza mai
distogliere il suo sguardo da quella che ormai
considerava la sua preda. Per rendere più verosimile
quell’incontro e perché mai avessi accettato
quell’invito iniziai a parlare di mio marito e del
nostro rapporto che da tempo ormai subiva una lunga fase
di stanca. Lui ascoltandomi disse: “Una bella donna come
te! Non posso crederci!” Ma era chiaro che i suoi
pensieri andassero oltre assaporando quanto fosse
fertile quel terreno.
Consumati i caffè continuò
con il suo corteggiamento fino a che, deciso a
verificare quanto fossi disponibile, appoggiò la sua
mano sul mio ginocchio. Certo non potevo dire che stesse
perdendo tempo e senza togliergli la mano, la risposta
fu automatica: “Dai ti prego ho già tanti casini! Paola
già sospetta di me, tuo figlio si inventa cose
inverosimili, ora non vorrei mettere altra carne sul
fuoco, ma se tu fossi bravo a calmare le acque, giuro
che ci penserei.” Insistette, mi disse che il suo sogno
sarebbe stato quello di fare con me una gita romantica
in montagna con tanto di baita accogliente, un camino
acceso, le castagne sul fuoco eccetera, ma, visti i miei
timori, si accontentò della mia promessa dicendomi che
per passare un pomeriggio con me avrebbe volentieri
tranquillizzato sua moglie.
Convinta che il
nervosismo di David fosse dipeso soprattutto
dall’atteggiamento della madre, tornai a casa contenta.
Se Renzo avesse messo una buona parola la mia storia con
David sarebbe stata salva! Così successe, nei giorni
seguenti sentii David al telefono più disponibile e dopo
alcuni giorni ricominciammo a vederci. Certo la
difficoltà in quel periodo fu tenere a bada Renzo, al
telefono mi diceva che più volte aveva affrontato
l’argomento con Paola e che era tutto a posto. Per cui
insisteva nel vedermi, ma io, non avendo alcuna
intenzione di tradire suo figlio, cercavo di rimandare
quell’appuntamento. Con David la passione ci
travolse nuovamente, facevamo l’amore quasi tutti i
pomeriggi. Lui, senza la pressione dei suoi, si
comportava da vero amante ed io pazza di lui e per
sentirmi ancora più sua decisi di non prendere più
precauzioni durante l’amore.
No no, non fu una
scelta irragionevole perché con mio marito ci avevo
provato per una decina di anni, ma non era mai successo
nulla, quindi ero più che sicura che non sarei mai
diventata mamma, anche perché mio marito in una sua
precedente storia aveva rischiato di diventare padre, ma
poi la ragazza durante la gravidanza aveva perso il
bambino. Sicura di questo fatto, a David durante
l’amore, rasentando la felicità assoluta, gli dicevo di
stare tranquillo e godere dentro di me, ma purtroppo,
dopo circa un mese, ebbi il mio primo ritardo e dopo
altri quindici giorni arrivò la tragica sentenza del
test. E fu proprio in quel momento, vedendo le due
lineette rosa, che pensai che quella storia da segreta
si era trasformata in una storia sbagliata: ero
irreparabilmente incinta!
Ero in un bel guaio!
Tra l’altro informandomi su internet avevo letto che
avrei potuto essere denunciata per abuso su minore anche
se la legge non era affatto chiara sul limite di età del
ragazzo. Lui doveva ancora compiere sedici anni per cui
a maggior ragione la mia storia doveva a tutti i costi
rimanere segreta. Mi prese il panico e l’unica mia
risorsa rimase inevitabilmente Renzo, ossia il padre del
mio amante. Essendo infermiera sapevo benissimo la
regola matematica del DNA, ossia che il figlio eredita
il cinquanta per cento, ma in quel momento per
confondere le acque accettai l’invito di Renzo. Lui mi
disse: “Allora hai deciso? Non mi illudere però. Da
quando ti ho vista la prima volta penso a te un giorno
sì e l’altro pure.” Mi inventai l’ennesimo litigio con
mio marito ed accettai.
Fu una giornata piovosa,
ma piacevole. Lui non perse tempo e già in macchina
allungò le mani ripetendomi più volte che ero bella, che
aveva avuto una fortuna sfacciata ad incontrarmi e che
avrebbe dovuto ringraziare sua moglie per avermi
conosciuta. Durante la mattina visitammo un mercatino di
antiquariato lungo la provinciale e poi pranzammo in una
baita isolata e accogliente così ospitale da offrire ai
clienti stanze col camino per il riposino pomeridiano.
Quando a tavola Renzo mi chiese se fossi stanca gli
risposi che non era il caso con quella pioggia di
rimetterci subito in viaggio, così che dieci minuti dopo
eravamo già distesi su un comodo letto. Fingendo di
leggere un messaggio presi il telefono e azionai il
registratore vocale, a scanso di equivoci sarebbe stata
comunque una mezza prova a mia discolpa! E mentre facevo
quell’operazione, per concentrare tutta la sua
attenzione su di me, gli chiesi se mi preferisse nuda o
in autoreggenti.
Lui, estasiato per quella
disponibilità, mi spogliò lentamente gustandosi con la
lingua e con gli occhi ogni centimetro della mia pelle.
Quando si distese su di me gli dissi che prendevo la
pillola e a quel punto lui, senza pensarci un attimo,
affondò il suo piacere tra le mie cosce e facemmo
l’amore senza precauzioni. Durante l’amplesso non pensai
minimamente a lui, convincendomi che quello non era
affatto un tradimento, ma solo una questione tecnica per
confondere le acque nel qual caso gli eventi fossero
precipitati. Renzo mi diceva: “Sei magnifica, mai avuto
una donna come te! Capisco perché mio figlio ha perso la
testa per te, ma non credo affatto a quella storia, tu
hai bisogno di un uomo adulto che soddisfi tutte le tue
voglie! Uno come me e non certo un ragazzino!” E poi:
“Lo senti vero? Ti piace? È tutto tuo! Che ci faresti
con quello di un sedicenne!” Quelle parole erano davvero
miele puro per le mie orecchie e forse per rendere
ancora più convincente quell’incontro o forse perché
effettivamente ne ero coinvolta nel momento dell’orgasmo
accentuai le urla del mio piacere, ma nella
consapevolezza di essermi sacrificata per il mio grande
amore che non era certamente il padre!
Decisi
così di portare avanti la gravidanza per tenere a me
David anche se lui, quando gliene parlai, sbiancò e mi
chiese, non sentendosi assolutamente in grado di
ricoprire il ruolo di padre, di abortire immediatamente.
Beh sì, per lui non fu una notizia piacevole, mi diceva
di sentirsi prigioniero, che quella storia era troppo
grande per lui e che a quel punto avrebbe desiderato
solo cancellarla dalla sua mente. Insomma mi stava
rifiutando. In poche parole mi stava lasciando e piena
di rabbia, anche se a conti fatti ero ancora in tempo
per abortire, si fortificò in me l’idea di avere quel
figlio come forma di ricatto nei confronti di David.
Certo dovevo assolutamente raffreddare i sospetti che
fosse suo e accollare a mio marito o, alle brutte, a
Renzo, quella creatura che si stava formando dentro di
me.
Passarono alcuni mesi ed io continuai a fare
la mia vita normale, a fare vita sociale, ad andare al
lavoro in ospedale, a vedere amici anche perché, essendo
una donna sposata, quella pancia che lievitava non
faceva scandalo. Ovviamente a tutti tranne che a David
il quale, anche se non più presente, mi mandava dei
messaggi chiedendomi come stessi e sperando ardentemente
di non essere lui il padre, cosa che lo avrebbe
costretto a confessare alla madre la tragica notizia. Ma
io era determinata, quella pancia rappresentava l’unico
legame che mi restava con lui. Con Renzo ci vedemmo
altre volte, certo la mia gravidanza non gli fece
affatto piacere, ma nei nostri incontri in auto mi davo
da fare riuscendo ogni volta a farlo esplodere nella mia
bocca. Il mio piano del resto non prevedeva che mi
potessi sottrarre anzi mi obbligava a sottopormi a
quelle sedute in modo da tenere sempre vivo e
soprattutto attuale quel rapporto.
Comunque senza
più vedere David, in una giornata uggiosa di novembre,
partorii il bellissimo bambino che chiamai Luca. Mio
marito ancora completamente ignaro lo riconobbe come
figlio. La nascita di quel peccato però trascinò David
nel baratro e quando apprese la notizia scappò di casa e
per tre giorni non si fece vivo. La madre preoccupata mi
chiamò in ospedale chiedendomi se sapessi qualcosa. Dopo
due giorni, in assenza di notizie, sporsero regolare
denuncia alla polizia, ma per fortuna, dopo appelli in
tv e battute di ricerca per tutto il circondario, un
contadino lo riconobbe in un casolare abbandonato.
Malvolentieri tornò a casa, ma da quel momento sua madre
non perse un minuto di tempo per pressarlo e
costringerlo a confessare il motivo del suo
allontanamento. Alla fine David crollò e questa volta
oltre ad ammettere la relazione confessò chiaramente a
sua madre l’altro pezzo di verità, ossia che quel
bambino, figlio della professoressa Luana e di suo
marito, nato da pochi giorni, in realtà era frutto di
quell’amore clandestino, di quelle ripetizioni di
francese, insomma era a tutti gli effetti suo figlio!
A Paola crollò il mondo addosso, ma come aveva fatto
precedentemente si ostinò a non credere che quel figlio
così giovane e introverso fosse addirittura padre.
Urlava tutta la sua rabbia finché David con estrema
calma prese il telefono e le fece leggere i miei ultimi
messaggi su Whatsapp: “Dove sei?” oppure: “Perché non mi
rispondi?” Oppure: “Se non mi rispondi mi ammazzo!”
Oppure "Se mi lasci dico a tutti che è figlio tuo". E
poi "I miei e mio marito sanno già tutto, tu puoi dire
quello che vuoi". Beh sì, ormai ossessionata da
quell’amore mancato e credendo di vivere una vita
inutile senza di lui lo minacciavo e quelle frasi erano
i miei ultimi appelli disperati, le mie ultime mosse per
tenerlo ancora e per sempre tra le mie braccia. Travolta
da quell’amore non mi accorgevo quanto quelle frasi
potessero fargli male senza rendermi conto che
dall’altra parte stesse leggendo uno sprovveduto e
spaurito minorenne.
Dopo la confessione di David
le cose presero un’altra piega. Renzo ebbe una posizione
più defilata sempre convinto che suo figlio avesse preso
tutto da lui. Mi chiamò più volte, ma forse perché
temeva qualche alzata di testa da parte mia e che se
costretta avrei potuto confessare la nostra relazione,
ma soprattutto perché nell’eventualità che quel figlio
potesse essere suo, non mi accusò mai di niente. Anzi mi
chiese più volte se la nascita di quel bambino potesse
in qualche modo interrompere la nostra relazione.
Paola però non fu dello stesso avviso, si rivolse ad
un avvocato e gli affidò il caso. Scattò così una
denuncia nei miei confronti per “Atti sessuali con un
minorenne!” Dopo solo tre giorni la squadra mobile bussò
alla mia porta con un mandato di perquisizione. Mi
sequestrarono il telefono e i certificati di nascita del
bambino. Coi poliziotti in casa riuscii a tenere una
calma impressionante e chiamai mio marito che non fu
affatto sorpreso. Lui sapeva, non perché glielo avessi
detto, ma sapeva, anzi aveva sempre saputo, non posso
dire che fosse consenziente, ma di certo spesso era in
casa quando, mi truccavo in bagno, quando indossavo le
mutandine trasparenti e le autoreggenti nere e quando in
quello studio mi appartavo e facevo l’amore con David!
Certo non sapeva di Renzo e per il momento non dissi
nulla.
L’unica cosa che chiesi a mio marito
davanti alla polizia fu: "Non ci toglieranno il bambino,
vero?". Il giorno stesso venni convocata al
commissariato e davanti agli inquirenti mi resi conto
che qualsiasi parola avessi detto a mia discolpa non
fosse stata adatta per spiegare quello che provavo per
David ossia quell'amore travolgente che aveva abbattuto
i muri di ogni convenzione fra una donna di oltre
trent’anni e un ragazzino. E in quella stanza fredda e
buia alla presenza di mio marito non rinnegai l’affetto
che mi legava a David e più volte dissi al magistrato
che la mia sola colpa era stata quella di aver lasciato
che lui si innamorasse di me.
Quando l'esame del
Dna confermò indiscutibilmente che il padre era David,
la mia sola preoccupazione fu il rischio che qualcuno
d’ufficio o direttamente Paola potessero chiedere il
disconoscimento della paternità con l’aggravante della
violenza sessuale nei confronti di un minore. Amavo quel
ragazzo e mi sembrava assurdo che quel mio sentimento
così intimo e profondo fosse andato in pasto a carte
bollate, ogni volta mi ripetevo come un mantra: "Non è
andata come dicono..." Ma non perché non fosse andata
esattamente come l’aveva raccontata David, ma perché mi
sfuggiva il vero significato del male che gli altri
cercavano di farmi capire.
Quei signori seduti
davanti a me erano un muro di gomma e allora fui
costretta a tirare in ballo Renzo. Presi il mio telefono
e feci ascoltare la sua voce mentre facevamo l’amore ed
esibii a scanso di equivoci alcune foto che avevo
scattato al ristorante. Non vi erano più dubbi che tra
me e Renzo vi era stata una relazione parallela.
Raccontai che fino ad allora con David c’era stato solo
qualche bacio, ma nulla di più, poi però quando lui
aveva scoperto la storia con suo padre, dissi che era
diventato irascibile e più intraprendente e per gelosia
mi mandava dei messaggi hot col telefono del padre a cui
rispondevo credendo fossero di Renzo. Poi era passato
alle vie di fatto, minacciandomi che se non fossi stata
anche con lui avrebbe detto tutto a sua madre e a mio
marito. E solo e unicamente per quel ricatto avevo
accettato di far l’amore con lui. Certo sì, dissi
una serie di bugie, ma con l’unico obiettivo di salvare
quella vita innocente. Le prove che avevo portato
convinsero il magistrato per cui la mia unica colpa
rimase quella di aver avuto una storia clandestina
essendo io la vittima e non la colpevole. Del resto un
ragazzino che si innamora della professoressa è un
classico della cronaca e della letteratura, come
l’insegnante che ha una relazione con il padre del suo
allievo, a quel punto il magistrato chiuse la pratica
con un nulla di fatto, persuaso che sarebbe stato
assurdo credere il contrario ossia a ciò che invece era
accaduto veramente.
Ora sono passati tre anni, ho
perso David, ma non Luca, il frutto di quell’amore. Vivo
in un’altra città, nessuno sa del mio caso, mio marito
mi è stato sempre vicino, solo lui conosce la vera
verità, forse è l’unico che mi ha capita veramente, ed
io nella mia incredulità continuo a pensare: “In fin dei
conti che male c’è amare?”
|
Il racconto è frutto di fantasia. Ogni
riferimento a persone e fatti realmente accaduti è puramente
casuale. © All rights reserved Adamo Bencivenga il testo in
corsivo è tratto da "Una Storia Sbagliata" di Fabrizio De André
Il presente racconto è tutelato dai diritti d'autore. L'utilizzo
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