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STORIE DI ROMA
 
 
IL CASO ARNALDO GRAZIOSI E MARIA CAPPA
Omicidio o Suicidio?
Corre l’anno 1945, la guerra si è appena conclusa e i disastri e le tragedie sono un ricordo fresco nella memoria degli italiani. Proprio nell’ottobre di quell’anno in una stanza di un hotel di Fiuggi
si consuma una tragedia dal sapore passionale che riempirà le prime pagine di tutti i giornali italiani



 


Corre l’anno 1945, la guerra si è appena conclusa e i disastri e le tragedie sono un ricordo fresco nella memoria degli italiani. Alla radio Nella Colombo canta: “Sola me ne vò per la città, passo tra la folla che non sa, che non vede il mio dolore, cercando te, sognando te, che più non ho…” Proprio nell’ottobre di quell’anno in una stanza di un hotel di Fiuggi si consuma una tragedia dal sapore passionale che riempirà le prime pagine di tutti i giornali italiani.

Lui è un pianista, nato nella città dei mostri di Bomarzo, si chiama Arnaldo ed ha ventinove anni, lei si chiama Maria, anche lei suona il pianoforte ed ha 22 anni. Si conoscono nel 1943 al Conservatorio e tra un fa diesis e un si bemolle nasce una certa simpatia. Escono qualche sera, lui la invita al ristorante e lei si fa invitare. Insomma si piacciono, si innamorano e si promettono. Una sera però, poco prima delle nozze, mentre stanno passeggiando lungo i Fori Imperiali un temporale estivo li sorprende. Mano per mano corrono e decidono di ripararsi sotto le arcate del Colosseo. Ridono, fremono, si baciano ed è proprio in quel momento che lei presa da sensi di colpa gli confessa che non è vergine, che una volta, una sola volta, smarrita e confusa, durante una giornata di mare, si è offerta ad un altro uomo conosciuto poco tempo prima sulla spiaggia di Ladispoli.
Lui è sorpreso, gli sembra incredibile che una fanciulla così pura abbia già fatto l’amore, del resto le donne al tempo si concedevano solo dopo il matrimonio. Quindi accusa il colpo, ma è innamorato di quella donna e non dice nulla anzi non chiede spiegazioni e neanche chi sia quell’uomo, si preoccupa soltanto che non ci sia stato un abuso. Lei a suo modo lo tranquillizza, niente abuso, niente violenza, solo un momento di debolezza, una musica che proveniva dal mare, la luna, le stelle, i baci…

Nei giorni seguenti lui continua a pensarci, certo che ci pensa, cerca di reprimere la sua gelosia, alla fine ci riesce e nonostante quel dubbio che si è conficcato nella sua carne viva, fissa la data di matrimonio. Ma non finisce lì, perché questa storia non ha un lieto fine.

Il 10 febbraio del 1942 si sposano. Vanno ad abitare a casa di lui, i suoi genitori appartengono a una famiglia della media borghesia romana, hanno un negozio di oreficeria e vivono in una casa molto grande. Insomma tutto bene finché, dopo la nascita della loro figlia Andreina, qualcosa sconvolge la loro tranquillità.
Maria sta male, ha dolori alle ossa, qualche sfogo sulla pelle, qualche linea di febbre, pensa ad una normale influenza di stagione, ma i dolori continuano e allora decide di farsi vedere da un medico. Si fa accompagnare dal marito, ma la diagnosi è drammatica: “Signora lei ha contratto la sifilide!” Le dice il medico. Eh già la sifilide, ossia il castigo divino per i peccati sessuali! I due rimangono in silenzio, non hanno il coraggio di parlare. Sono giorni drammatici, ma lui la ama lo stesso, anzi prende in seria considerazione l’ipotesi di essere stato lui a trasmettere alla moglie il contagio. Ripensa ai suoi amori giovanili, passa in rassegna le sue scappatelle a pagamento, qualche bordello non proprio di prima classe, e alla fine si convince scagionando così la sua consorte che nonostante quella confessione lui considera un’anima pura. Anche Arnaldo si sottopone agli accertamenti di rito e in effetti scopre di essere anche lui malato senza ovviamente sapere chi dei due abbia portato per primo quella tremenda infezione in casa.

Ma non è tutto perché alcuni mesi dopo Maria tornando a casa, prima fa finta di niente poi però, mentre prepara la cena, scoppia in lacrime e confessa al marito di aver saputo da un’amica in comune che quel tizio con cui si era abbandonata sulla spiaggia di Ladispoli è morto, ucciso dalla stessa infezione che ora affligge la coppia e purtroppo anche la loro figlia.

Da quel momento i rapporti tra i due coniugi cambiano totalmente, lei è dilaniata dal senso di colpa, passa giornate in assoluto silenzio, e lui, che fino ad allora si era aggrappato alla remota speranza che fosse lui il responsabile, perdonando sua moglie anche per il tradimento, precipita in una indifferenza glaciale. Forse è troppo per lui e non è più in grado di sopportare.

I rapporti tra i due sono al limite ed allora lei gli propone, per stemperare la tensione, un fine settimana a Fiuggi. Lui accetta, nonostante il giorno dopo abbia in programma un concerto a Roma. Insieme alla figlia Andreina di tre anni vanno alla stazione, ma, mentre sono in attesa del treno, lui si accorge di aver dimenticato la carta d’identità e cosa strana è lei che si offre di tornare a casa e recuperare il documento. Sarà vero? Noi purtroppo abbiamo la sola versione dell’uomo che dice e spiega che sua moglie una volta in casa oltre al documento mette nella sua borsetta una pistola, la Beretta automatica calibro 9 che lui teneva in casa per via del lavoro dei suoi genitori che commerciano oro.

Vabbè sarà quel che sarà, ma di certo sappiamo che i due raggiungono Fiuggi in treno e prendono una stanza nell’elegante Hotel Villa Igea. Poi escono, vanno al cinema, fanno una passeggiata e cenano in un ristorante vicino all’albergo, insomma un sabato sera sereno e di svago. Intorno alla mezzanotte tornano in stanza, la numero 22. Sappiamo che mettono a dormire la piccola Andreina, ma loro non fanno l’amore, anzi sappiamo anche che poco prima delle sette di domenica 21 ottobre l’albergo è scosso da un colpo di pistola. Il portiere corre ed entrando nella stanza trova Maria distesa sul letto. Un rivolo di sangue scorre dalla tempia e finisce sulle lenzuola. Vicino a lei una piccola pistola automatica. La donna è morta! Andreina, la bimba della coppia, è vicina alla madre e dorme ancora.

Dopo pochi minuti arrivano i Carabinieri e Arnaldo davanti al Maresciallo dice di non essersi accorto di nulla e che molto probabilmente sua moglie si è sparata mentre lui dormiva. Poi aggiunge, nella sua disarmante semplicità, che si è accorto della tragedia solo al risveglio e solo a quel punto ha letto la lettera che sua moglie aveva lasciato bene in vista sul comodino. Si tratta di una lettera in cui la donna si scusa per il gesto: «Quando leggerete queste righe il mio martirio sarà finito. Troppo a caro prezzo sto pagando la sola leggerezza della mia vita. Per mia figlia, per quelli che mi amano io debbo andarmene… Desidero che tutti quelli che mi conoscono non sappiano di questo e abbiano sempre un buon ricordo di Maria»

Una testimonianza drammatica che però cozza con l’abbigliamento del pianista, già vestito di tutto punto, con camicia, giacca e cravatta. Il maresciallo lo scruta da capo a piedi, è incredulo, ripete cento volte al novello vedovo la stessa domanda ovvero come sia possibile che non si sia accorto di nulla. Lui ripete pari pari la stessa risposta al punto che gli inquirenti paradossalmente gli credono per il fatto che se fosse stato lui ad uccidere la donna avrebbe almeno trovato una scusa più plausibile. Certo, al maresciallo vengono tanti dubbi. Quella versione fa acqua da tutte le parti. Come mai lui non ha urlato alla vista della moglie morta? Come mai non ha fatto nulla per soccorrerla? Come mai prima di dare l’allarme si era lavato e vestito?
Comunque lo lascia andare, ma per scrupolo lo fa pedinare da un carabiniere ed è proprio il giovane brigadiere che vede Arnaldo il pianista entrare in una cabina telefonica. Ovvio sta chiamando qualcuno, anzi qualcuna e dice: “Si è ammazzata. Tornerò domani. Ciao”. Beh non ci vuole molto per gli inquirenti risalire all’altra persona accertando che si tratta di un’allieva del pianista, una certa Annamaria di 18 anni. Dal suo diario la polizia scopre che i due hanno una relazione e quelle pagine sono piene di frasi del tipo “Ti voglio soltanto per me. Sono pazza d’amore e di desiderio” oppure “Tu sei l’unico mio cliente sul banco del mio mercato d’amore!”

Solo a quel punto si scopre che tra i coniugi Graziosi il clima non era dei più sereni. Maria era depressa e per questo motivo insieme al marito aveva deciso di trascorrere un fine settimana al centro termale di Fiuggi per tentare di riacquistare quella serenità che appariva ormai compromessa. I giornali di Roma escono a nove colonne sul fatto di cronaca nera a tinte rosa, in città non si parla d’altro e la folla dei lettori avidi di dettagli si spacca tra innocentisti e colpevolisti.

Ma la versione del pianista sembra sia attendibile, del resto la calligrafia con cui è scritta la lettera di addio appartiene senza ombra di dubbio alla donna. A quel punto però interviene sulla scena la madre di Maria. Lei, trovando inverosimile che sua figlia si sia tolta la vita volontariamente, è convinta che suo genero sia l’assassino ed è determinata a mandarlo all’ergastolo. Dichiara senza mezzi termini che l’uomo frequenta giri poco puliti e che quella lettera è stata scritta dalla figlia sotto dettatura. La donna per avvalorare la sua tesi fa notare agli inquirenti che la lettera non è firmata e “Maria” è solo l’ultima parola della lettera. In effetti quella lettera lascia più di un dubbio perché come messaggio di addio è scritto con una calligrafia troppo tranquilla ed ordinata, inoltre non ci sono sbavature, non c’è nessun errore ortografico ed il foglio non è spiegazzato. E poi, tra le altre cose che fanno pendere la bilancia verso l’omicidio sono i rilievi scientifici dello sparo e del conseguente foro alla tempia che presenta il tipico alone che lascia un colpo sparato a distanza ravvicinata. Insomma se così fosse è un suicidio molto strano.

Tuttavia, nonostante Arnaldo, si sia sempre proclamato innocente, viene rinviato a giudizio Il processo si svolge a Frosinone e ben presto si trasforma in un classico romanzo d’appendice in cui i protagonisti non sono due, ma lui, lei e l’altra. Nell’aula sempre affollata come una prima di teatro viene chiamata l’altra, la giovane pianista, la diciottenne Annamaria che, per allontanare da sé ogni responsabilità, dichiara che tra lei e l’Arnaldo pianista c’è solo un’amicizia e che quelle frasi sul suo diario riguardano solo un suo sfogo privato, platonico e non condiviso col maestro in quanto riservato solo alle pagine del suo quaderno.
Ma Graziosi, interrogato subito dopo, qualcosa ammette, almeno parzialmente, e parla di un bacio, ma niente di più affermando che quell’amicizia era basata soprattutto sui comuni ideali artistici.
Richiamata in aula l’Annamaria, per smentire qualsiasi illazione, si dichiara pronta a sottoporsi a una visita ginecologica, per dimostrare la propria illibatezza. Quindi niente adultero? Quindi niente uxoricida desideroso di liberarsi della propria moglie e di sposare un’altra donna? Si tenga conto che al tempo, non essendoci il divorzio, per risposarsi esistevano solo due soluzioni, o la Sacra Rota o il Paradiso. Nulla più! Comunque i giudici, popolari e togati, non credono del tutto alla versione della giovane pianista anche perché sempre in quel diario c’è una frase che continua a frullare nella loro testa, ossia: “Oggi sono andata dalle monache a ritirare il tovagliato. Come vedi, mi preparo senza indugio…” Quindi non hanno consumato, ma lei comunque si sta preparando al matrimonio?

Il processo prosegue e vengono ascoltati diversi testimoni e vengono fuori altrettanti ingredienti piccanti che saziano il morboso interesse dell’opinione pubblica, tipo: il fascino del pianista diviso tra due donne, l’amore e la brama quasi fanciullesca della giovane amante e soprattutto l’irrequietezza sessuale della vittima, descritta come una donna che si abbandona facilmente ai piaceri del sesso. A tale proposito in aula vengono lette alcune lettere passionali scritte dall’esuberante Maria: "Prendimi la bocca in un morso dolce; stringimi forte forte, tanto da farmi spasimare", oppure “Tua moglie esuberante non può davvero resistere…"

Pe farla breve il 28 novembre l’Arnaldo pianista, dopo otto ore di camera di consiglio e 67 udienze, viene condannato a scontare ventiquattro anni e 9 mesi di carcere per uxoricidio. L’anno dopo la Cassazione conferma pari pari la condanna. Lui è visibilmente stordito, crede che la pena sia ingiusta e infatti dopo un breve periodo di detenzione scappa dal carcere di Frosinone, ma viene ripreso subito dopo sui monti della Ciociaria, tramortito da fame e freddo.

Nel 1959, grazie all'impegno di sua figlia Andreina, ormai diciassettenne e cresciuta con la nonna materna, lui ottiene la grazia dall’allora presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi.
A partire dagli anni sessanta Graziosi torna con successo all'attività di musicista e di compositore, lavorando spesso anche per il cinema e componendo le colonne sonore di film come “Salò o le 120 giornate di Sodoma” nel 1975 di Pier Paolo Pasolini e “Al di là del bene e del male” nel 1977 di Liliana Cavani. Collabora anche con Fabrizio De André, suonando il clavicembalo nell'album “Non al denaro non all'amore né al cielo”. Si risposa in seconde nozze con una donna spagnola che, naturalmente, lo ritiene innocente.

Ma questa come detto non è una storia a lieto fine e infatti Arnaldo il pianista una mattina di Marzo del 1997 si toglie la vita, probabilmente a causa di una forte depressione, gettandosi dalla finestra della propria abitazione di Grottaferrata, all'età di ottantatré anni, portandosi dietro definitivamente quella verità che solo lui conosce.






L'articolo è a cura di Adamo Bencivenga
FONTI:

https://romeguides.it/2021/12/19/il-processo-di-arnaldo-graziosi/
https://noivastesi.blogspot.com/2018/11/anni-40-il-caso-graziosi-un-delitto.html
https://www.vanillamagazine.it/l-enigma-maria-cappa-fu-suicidio-o-uxoricidio/















 
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