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GIALLO PASSIONE
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LA STORIA DI LUIGI
CARBONE E BELLINDA CAMPANILE
Colpevole di non essere arrivata
illibata al matrimonio
Il dottor Luigi Carbone compì quello che ai tempi veniva definito
“delitto d’onore”: il 1 aprile 1922 uccise, dopo otto giorni di
matrimonio tagliandole di netto la gola, la giovane moglie Bellinda
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L’anno è il 1922, il paese
è Lapio, un piccolo centro in provincia di Avellino con
poco più di mille anime, il protagonista assoluto è il
medico Lucio Carbone, il quale durante la prima notte di
nozze con la sua novella sposa Bellinda Campanile si
accorse, senza possibilità di errore, che la donna non
era affatto vergine.
Colpito nell’onore e pieno
di rabbia per quella situazione non prevista incalzò la
giovane moglie intimorita ed alla fine riuscì ad
ottenere la totale confessione. Quel sospetto divenne
una certezza e non fu difficile per lui conoscere anche
il nome di colui al quale la donna si era concessa, un
certo Oreste Fusco, ufficiale di fanteria e loro
compaesano.
In quei momenti concitati luì
stordito e umiliato chiuse ogni via al perdono e pensò
dapprima che la sola via di uscita fosse la separazione
da quella donna e quindi il ritorno di lei nella casa
degli zii. Ovviamente per fare questo occorreva che lei
rendesse piena confessione ai suoi parenti. La donna
disperata in un pianto dirotto chiese più volte perdono
pregando suo marito di non dire nulla alla sua famiglia
e promettendogli che sarebbe stata una moglie fedele.
Lui fu irremovibile e durante la notte tra tormenti
e deliri, si sentì a tutti gli effetti vittima
dell’inganno come se fosse lui l’abusato e il disonorato
al punto che l’unico suo pensiero fu quello di cercare
il modo per riabilitare la sua reputazione e vendicare
il suo onore!
Ecco sì, qualcosa era cambiato
nella mente del dottor Luigi Carbone e lentamente
realizzò che la sua giovane moglie, dalla bellezza
corrotta, non avrebbe potuto tornare alla sua vita di
prima facendo la cameriera nell’osteria degli zii. Preso
da una singolare compassione pensò che la donna,
abbandonata a se stessa e con l’onta del disonore, non
avrebbe potuto che scegliere la via della perdizione.
Ipotesi che in un certo qual modo sarebbe ricaduta sul
suo onore, dato che, non essendoci al tempo il divorzio,
Bellinda sarebbe rimasta comunque e per sempre sua
moglie ed avrebbe portato il suo cognome.
Fu a
quel punto che pensò che, non trovando altra soluzione
possibile, il suo onore potesse lavarsi solo con il
sangue di sua moglie. A nulla valse la reazione della
giovane che, forse intuendo l’intenzione omicida del
marito, nella più cupa disperazione disse di essere
stata violentata. Ma Bellinda ormai era solo una
fedifraga da punire e da cancellare dalla faccia della
terra per cu stuprata o consenziente non faceva alcuna
differenza. Lei era solo la sua carnefice e la causa
della sua infamia.
Rapidamente quel pensiero
diventò implacabile tanto che iniziò a pensare quale
delle diverse modalità sarebbe stata di sua massima
soddisfazione. Certo, uccidere contemporaneamente moglie
ed amante non sarebbe stato possibile per cui decise,
fermo restando la soppressione della consorte, di
vendicarsi dell’altro colpendolo negli affetti più cari.
Quindi passò all’azione e all’alba del primo aprile 1922
sgozzò la moglie nel sonno recidendole la carotide con
un rasoio senza deturparle il bel viso. Ossia, secondo
la sua follia perversa e distorta, una morte nobile.
Compiuto il delitto, si lavò le mani rosse di
sangue, si vestì ordinatamente e uscì di casa dopo aver
detto alla madre di lasciar dormire Bellinda. Si recò
nel bar dove lavorava la sorella dell'amante di Belinda,
e dalla soglia esplose cinque colpi di rivoltella contro
Elena Fusco, ferendola a morte. Elena morirà dopo 30
giorni di agonia.
Successivamente il medico
Carbone, forse per non far apparire quel gesto come una
mera e crudele vendetta, giustificò quel secondo
omicidio attribuendo ad Elena Fusco una parte attiva
nella tresca alle sue spalle, ossia che aveva favorito
quell’incontro immorale tra Bellinda e suo fratello. Poi
si costituì. Il dibattimento durò appena otto giorni,
dal 12 al 18 giugno 1923. L’imputato non si mostrò mai
minimamente pentito dei due delitti che riteneva non
solo suo legittimo diritto, ma vero e proprio dovere.
La gente del piccolo paese non la pensò tanto
diversamente tanto che vide nel medico assassino un
purificatore di anime e un difensore dell'onore e delle
tradizioni tanto che i familiari di Bellinda non si
costituirono parte civile avendo trovato fondato il
risentimento e il conseguente gesto del medico. Per
questo motivo i giudici lo assolsero per l’uxoricidio
mentre lo condannarono a trenta mesi per l’uccisione
della sorella dell’amante. Gli stessi giudici, non
ritenendo in alcun modo il tenente di fanteria, Oreste
Fusco, responsabile, non vollero neppure conoscerlo
Insomma la sentenza aveva semplicemente avallato il
pensiero comune tanto che la pena fu ridotta a 24 mesi e
quando uscì dal carcere gli abitanti tutti lo portarono
in trionfo.
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L'articolo è a cura di Adamo Bencivenga FONTI:
https://www.bibliotecaginobianco.it/flip/NORSUD/NORSUD09-2600/34/
https://www.jomswsge.com/pdf-83372-18881?filename=18881.pdf
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