|
HOME
CERCA NEL SITO
CONTATTI
COOKIE POLICY 
ARTE PASSIONE

Un amore scolpito nel
marmo
Gian Lorenzo Bernini e Costanza Bonarelli
Gian Lorenzo e Costanza, una storia d’amore
passionale, difficile, travolgente, ma anche
una storia di tradimenti, di vendetta terribile.
Lei bellissima, incostante, torbida e
infedele, lui vendicativo, spietato,
accecato dalla passione
AEra l’estate del 1635 e
Roma vibrava sotto il sole cocente, un mosaico di strade
polverose e cantieri che pulsavano di vita, arte e
modernità. Gian Lorenzo Bernini, già consacrato come il
genio del Barocco, camminava con passo deciso lungo il
Tevere verso la sua bottega nei pressi di San Pietro. Il
suo genio era ovunque: nelle colonne del baldacchino
della basilica, nelle fontane che danzavano nelle
piazze, nei marmi che sembravano respirare sotto le sue
mani. Ma quel giorno, il suo destino avrebbe preso una
piega inaspettata.
Tra i vicoli di Borgo,
passando davanti alla bottega di Matteo Bonarelli, un
modesto scultore lucchese suo allievo, posò per la prima
volta gli occhi su Costanza, sua moglie. Matteo, un uomo
gentile, ma privo del fuoco che ardeva nel maestro,
stava mostrando alcuni disegni per i putti di un
sepolcro e Costanza era lì, intenta a sistemare tele e
attrezzi del mestiere.
Non era solo la sua
bellezza a colpire Gian Lorenzo, ma il suo aspetto, gli
occhi scuri, furbi e vivaci che sembravano contenere un
segreto, e poi i suoi capelli castani, raccolti alla
bell’e meglio che lasciavano intravedere una sensualità
naturale, domestica e non costruita. E poi quel fascino
che trascendeva i canoni classici della bellezza
dell’epoca. Non era la perfezione idealizzata delle
statue antiche, né la compostezza delle nobildonne
ritratte nei dipinti ufficiali. La sua sensualità era
viva, imperfetta, palpitante, radicata in un’energia che
si manifestava nei gesti, nello sguardo, nei dettagli
apparentemente casuali.
Gian Lorenzo decise di
entrare per scambiare due chiacchiere con il collega, ma
quando il suo sguardo si incrociò con quello di
Costanza, sentì un fremito, come se il marmo che tanto
amava gli avesse improvvisamente parlato. Lui, che era
abituato a vedere la bellezza attraverso il filtro del
suo genio creativo, riconobbe in lei una musa viva, non
un’astrazione. Lei si muoveva con una grazia che
sembrava inconscia, ma che in realtà era il frutto di
una personalità forte e indipendente.
Costanza
infatti non era una donna qualunque. Discendente del
ramo viterbese dei Piccolomini, portava con sé un’antica
di nobiltà, ma anche una libertà che sfidava le
convenzioni dell’epoca. Collaborava con Matteo nella
gestione della bottega, trattando con pugno quasi
maschile con mercanti d’arte e clienti. Bernini invece,
abituato a dominare ogni ambiente, si trovò quasi
spiazzato dalla sua presenza. Le parole che scambiò con
lei quel giorno furono poche, ma il modo in cui Costanza
inclinava il capo, il lieve sorriso che le increspava le
labbra, gli rimase impresso come un bozzetto su una tela
vergine.
La sensualità di Costanza era un magnete
che attirava chiunque incrociasse il suo cammino, era un
intreccio di grazia, audacia e libertà che la rendeva
unica e Gian Lorenzo non sfuggì a questa regola, una
forza quasi divina, capace di scuotere il suo mondo e
ispirare la parte intima della sua arte.
Nei
giorni successivi, Bernini trovò ogni scusa per tornare
da Matteo. Un consiglio su un intaglio, una discussione
su un progetto, un disegno da rivedere. Matteo era
onorato dalle attenzioni del maestro ignorando tuttavia
che Gian Lorenzo cercava semplicemente l’occasione
giusta per parlare con sua moglie, e lei lo sapeva. Da
lì i loro incontri si fecero più frequenti, dapprima
casuali, poi volutamente cercati. Una sera, mentre
Matteo era lontano per una commissione, Bernini entrò
nella bottega e si trattenne oltre l’orario consueto. La
luce delle candele tremolava sui marmi incompleti, e
Costanza, con un gesto audace e una consapevolezza di
femminilità disarmante, sciolse i capelli, lasciando che
ricadessero sulle sue spalle. Fu allora che Bernini,
incapace di resistere, si avvicinò. Le loro mani si
sfiorarono, e in quel tocco si accese una scintilla che
avrebbe bruciato ogni prudenza.
La loro passione
esplose improvvisa e travolgente come un temporale
estivo. Lui la baciò ardentemente e lei si fece baciare
concedendo alla bocca dell’artista il suo seno da
modellare. Quel giorno non andarono oltre, ma entrambi
erano coscienti che non sarebbe finita lì.
S’incontrarono il giorno dopo nello studio di Bernini e
lì esplose tutta la loro passione. Costanza che da
giovane aveva fatto la modella con pose audaci attirò
Gian Lorenzo, il quale si perse tra quella carne come un
adolescente alle prime armi.
Costanza era
diversa da tutte le altre donne che Bernini aveva
conosciuto: non era solo la sua bellezza, ma il modo in
cui si abbandonava alla vita, all’amore, alla passione,
a quei baci ardenti, con una libertà e una disinvoltura
che lo ammaliava e lo spaventava. I suoi sospiri erano
contagiosi, i suoi sguardi un invito costante, il suo
seno un richiamo quasi materno a cui era difficile
resistere. Bernini, abituato a plasmare la materia, si
sentiva per la prima volta plasmato da lei ed attratto
da quella dualità. Lei, donna sposata, legata a un uomo
che lavorava per lui, eppure si muoveva con una libertà
che suggeriva un’indipendenza rara. Questo contrasto lo
intrigava: Costanza era allo stesso tempo accessibile e
sfuggente, una sfida per un uomo abituato a vincere ogni
ostacolo
Fu in quel periodo, tra il 1635 e il
1638, mentre bruciavano il loro amore clandestino, che
Bernini decise di immortalarla. Non per un committente,
non per gloria, ma per sé stesso. Prese un blocco di
marmo candido e iniziò a scolpire il busto di Costanza.
Ogni colpo di scalpello era un atto d’amore, un
tentativo di catturare non solo il suo volto, ma la sua
essenza. La raffigurò come la vedeva nei loro momenti
più intimi: i capelli scompigliati, la camicia aperta
che lasciava intravedere la curva del seno, lo sguardo
fiero e leggermente sorpreso, come se fosse stata colta
di sorpresa da un pensiero improvviso. Le labbra,
carnose e appena dischiuse, sembravano sul punto di
parlare, di confessare un segreto. L’opera tutta era un
richiamo alla fisicità che Bernini non aveva mai osato
in altre opere. Insomma non era un ritratto idealizzato,
ma un’ode alla realtà di Costanza: una donna che non si
nascondeva, che abbracciava la propria corporeità con
una sicurezza che risultava quasi provocatoria. Ma nel
contempo non era un’opera da esibire: era un dialogo
privato, un pegno della loro passione, quasi una
confessione del loro tradimento, custodito gelosamente
nella casa di Bernini.
La passione di Bernini per
Costanza crebbe sempre di più, alimentata e rafforzata
dal contesto della loro relazione clandestina.
Incontrarsi in segreto, sfuggire agli occhi di Roma,
aggiungeva un brivido che rendeva ogni momento più
intenso. Costanza per lui era una sorta di capolavoro
vivente, un’opera d’arte che non poteva controllare
completamente. Questo lo spingeva a desiderarla ancora
di più, ma allo stesso tempo lo rendeva vulnerabile,
aprendo la strada alla gelosia che avrebbe poi distrutto
la loro storia.
Ed in effetti l’amore, come
il marmo, può nascondere crepe invisibili. Costanza era
sposata, e la loro relazione era un rischio costante.
Bernini, accecato dal desiderio, ignorava i sussurri che
circolavano tra gli apprendisti, le occhiate furtive dei
vicini. La bottega di Matteo era a pochi passi dalla
sua, e Costanza si muoveva con una disinvoltura che, se
da un lato lo seduceva, dall’altro cominciava a
insinuargli dubbi. Era davvero solo sua? La gelosia,
come un’ombra, iniziò a insinuarsi nelle sue vene.
Il colpo fatale arrivò una mattina del 1638.
Bernini, facendo il solito giro, diretto al suo studio,
si fermò di colpo vedendo Luigi, suo fratello minore,
con i capelli arruffati e un sorriso soddisfatto uscire
dalla casa di Costanza. Costanza, sulla soglia, con i
capelli in disordine e la veste slacciata lo stava
salutando con una familiarità che non lasciava spazio a
dubbi.
Il mondo gli crollò addosso. La donna che
aveva scolpito, che aveva amato con un’intensità quasi
sacra, lo stava tradendo con suo fratello! Quella
gelosia lo travolse e avvampato da una furia cieca seguì
Luigi fino all’ingresso di San Pietro. Fu a quel punto
che, deciso a vendicarsi per quell’affronto, afferrò
un’asse di ferro abbandonata tra i materiali del
cantiere e lo colpì più volte con violenza. I colpi
echeggiarono nel sagrato, e Luigi cadde, gemendo, con
due costole rotte.
Solo l’intervento di alcuni
passanti, che riconobbero il celebre scultore, impedì a
Bernini di andare oltre. Ma la sua rabbia non si placò.
Sulla via del ritorno pensò come vendicarsi di Costanza
e tornato a casa, ordinò a un servo di punirla nel modo
più crudele che potesse immaginare: ovvero sfregiarle il
volto con un rasoio, distruggendo così la bellezza che
lo aveva stregato. Il servo obbedì, e Costanza, colpita
nella sua vanità, portò per sempre i segni di quella
vendetta.
Le conseguenze furono rapide. Il servo,
esecutore materiale, fu arrestato, condannato e infine
esiliato. Luigi, temendo per la propria vita, lasciò
Roma per Bologna. Bernini, invece, protetto dal suo
genio e dal favore di papa Urbano VIII, sfuggì a pene
severe. Il pontefice, che lo considerava un tesoro della
Chiesa, gli inviò un’assoluzione scritta su pergamena,
accompagnata da un elogio che celebrava la sua virtù.
Bernini pagò solo un’ammenda, un prezzo irrisorio per un
uomo del suo calibro. Ma il vero prezzo lo pagò dentro
di sé: la passione per Costanza, che lo aveva elevato e
distrutto, lo lasciò con un vuoto che nessun marmo
scolpito avrebbe potuto colmare.
La storia con
Costanza si spense come una candela consumata. Nel 1639,
Bernini sposò Caterina Tezio, una donna che gli diede
stabilità e fedeltà per 34 anni. Con lei costruì una
famiglia, una vita ordinata, lontana dai tormenti della
passione. Ma il ricordo di Costanza non lo abbandonò mai
del tutto. Era lì, in quel marmo, in quel volto che
aveva scolpito con mani tremanti di desiderio e
disperazione. Costanza Bonarelli, la musa che lo aveva
incendiato e ferito, rimase per sempre un segreto
scolpito, un’eco di un amore che aveva bruciato troppo
forte per durare.
Bernini, forse per esorcizzare
quel capitolo della sua vita, decise di liberarsi del
busto. Nel 1640, durante un soggiorno romano di Giovan
Carlo de’ Medici, lo donò al cardinale, come se volesse
affidare a qualcun altro il peso di quel ricordo.
L’opera, così intima e unica, trovò infine casa a
Firenze, al Museo del Bargello, dove ancora oggi
racconta una storia di amore e rovina.
|

ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
© All rights
reserved



Tutte
le immagini pubblicate sono di proprietà dei rispettivi
autori.
Qualora l'autore ritenesse
improprio l'uso, lo comunichi e l'immagine in questione
verrà ritirata immediatamente. (All
images and materials are copyright protected and are the
property of their respective authors.and are the
property of their respective authors.
If the
author deems improper use, they will be deleted from our
site upon notification.) Scrivi a
liberaeva@libero.it
COOKIE
POLICY
TORNA SU (TOP)
LiberaEva Magazine
Tutti i diritti Riservati
Contatti

|
|