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LETTERA A CUORE APERTO
Una donna, in bilico tra due
uomini, l’ex marito possessivo e l’amante giovane, si confessa
"Mi chiamo Claudia, ho quarantacinque
anni, vivo a Roma e lavoro nel marketing di un’azienda
farmaceutica..."

Mi chiamo Claudia, ho
quarantacinque anni, vivo a Roma e lavoro nel marketing
di un’azienda farmaceutica. La mia vita per anni è stata
una prigione invisibile, una gabbia costruita da parole
d’amore che nascondevano controllo e gelosia. Lui, Luca,
il mio ex marito, diceva di amarmi alla follia, ma
quella follia era un cappio. Controllava ogni mio
respiro, il mio telefono, mi chiedeva spiegazioni per
ogni minuto di ritardo, per un rossetto troppo acceso o
un tacco poco più alto del normale. Mi faceva sentire in
colpa per un caffè con un’amica chiedendomi ogni volta
dettagli e infinite spiegazioni.
“È perché ti
amo!” Ripeteva, e io, come una sciocca, ci credevo. Ma
dentro di me, qualcosa si stava spezzando. Un giorno,
dopo che la sera prima avevo subito l’ennesima scenata
di gelosia, avevo confessato le mie fragilità ad un mio
collega. Lui era un uomo, diverso, gentile, molto più
giovane di me, disposto ad ascoltarmi senza esprimere
giudizi, a darmi il coraggio di guardare oltre la palude
emotiva in cui affogavo.
Con lui,
frequentandolo, ho respirato da subito un’aria nuova. Ho
ritrovato la libertà di esprimere un mio parere, le
risate, il piacere di sentirmi viva, di essere Claudia,
non solo “la Claudia di qualcuno”. Marco è stato il
gancio a cui mi sono aggrappata per uscire dalla gabbia
e con il cuore ammaccato che mi aveva spento, ho
ricominciato a provare emozioni, Marco mi faceva sentire
viva, desiderata, splendente e soprattutto una
ragazzina. Era come se qualcuno avesse riacceso una luce
dentro di me, un nuovo entusiasmo che avevo dimenticato
di possedere.
Le nostre prime uscite erano
semplici, eppure magiche. Un aperitivo in un bar del
centro, una passeggiata lungo il Tevere, una cena in un
ristorantino nascosto a Trastevere. Marco aveva un modo
di guardarmi che mi faceva sentire unica. I suoi occhi,
belli da morire, pieni di calore, non si limitavano a
vedermi: mi ammiravano. Mi diceva che ero bellissima,
che il mio sorriso illuminava tutto, e io, che per anni
mi ero sentita invisibile, ci credevo. Mi sentivo
affascinante, come se ogni gesto, ogni risata, fosse un
incantesimo. Indossavo abiti che avevo relegato
nell’armadio, un vestito rosso che abbracciava le mie
curve, i tacchi che mi facevano sentire alta non solo
nel corpo, ma nell’anima. Mi guardavo allo specchio e
vedevo una donna, non più la prigioniera di un amore
tossico, ma la femmina, sensuale e libera in grado di
far perdere la testa un ragazzo.
Con Marco, ogni
parola era un complimento, ogni tocco una promessa. Mi
prendeva la mano mentre camminavamo, e quel contatto mi
faceva tremare. Mi raccontava di sé, ma soprattutto
ascoltava me, come se ogni mia storia, ogni mio
pensiero, fosse prezioso. Mi sentivo apprezzata, non
solo per il mio aspetto, ma per chi ero. E desiderata,
oh, quanto desiderata. Nei suoi sguardi c’era una fame
che non aveva nulla a che fare con il possesso, ma con
la voglia di scoprirmi, di celebrarmi. Era come se,
attraverso i suoi occhi, stessi riscoprendo me stessa.
Alla fine, ho lasciato il mio ex. Non è stato
facile, ma è stato necessario e Marco, ha lasciato la
sua giovane moglie, sposata da appena un anno e mezzo.
All’inizio, mi sembrava un sogno: qualcuno che mi
sceglieva, che mi vedeva davvero come fossi senza il
bisogno di cambiarmi. La prima notte insieme non la
dimenticherò mai. Avevo deciso di lasciarmi andare, di
non pensare al domani, e siamo finiti in un motel di
periferia, uno di quei posti anonimi con le luci al neon
e le tende pesanti. Ma dentro quella stanza, il mondo
fuori non esisteva. C’eravamo solo noi. Quando Marco ha
chiuso la porta, mi ha guardata con un’intensità che mi
ha fatto quasi paura, non per lui, ma per la forza di
ciò che sentivo. Mi ha preso il viso tra le mani e mi ha
baciata, un bacio lento, profondo, che sapeva di
desiderio e di libertà. Le sue labbra erano morbide, ma
decise, e io mi sono persa in quel contatto, come se
stessi cadendo in un abisso dolcissimo.
Era la
prima volta che mi concedevo ad un altro uomo! Ci siamo
spogliati con una fretta che era quasi reverenza, come
se ogni centimetro di pelle fosse un tesoro da scoprire.
Nel letto, i nostri corpi si sono intrecciati, e ogni
suo tocco era un fuoco che mi accendeva. Le sue mani
esploravano la mia schiena, i miei fianchi, e io
rispondevo con un coraggio che non sapevo di avere. Mi
sentivo bella, non perché lui me lo dicesse, ma perché
lo sentivo dentro di me. Ogni bacio era una perdizione,
un abbandono totale a quel momento, a quella Claudia che
finalmente si permetteva di essere. Non c’era colpa, non
c’era paura, solo il ritmo dei nostri respiri, il calore
della sua pelle contro la mia, il battito del mio cuore
che sembrava gridare: “Sei viva.” Quella notte, in
quel motel, non è stato solo sesso, ma una celebrazione.
Di me, di lui, di ciò che potevo essere. Mi sono
addormentata tra le sue braccia, con il suo profumo
addosso, e per la prima volta dopo tanto tempo, ho
dormito senza incubi. Ero Claudia, splendente, femmina,
e per quella notte, il mondo era stato meraviglioso.
Meraviglioso sì, ma non perfetto, perché col tempo,
forse per la sua giovane età, ho realizzato qualcosa che
non avevo per nulla previsto. Mi sono resa conto che
Marco era solo un ponte, un passaggio verso la mia
libertà, ma non era l’uomo con cui volevo costruire il
mio futuro. Era troppo diverso da me, le sue aspirazioni
erano troppo diverse dalle mie, i suoi sogni non erano i
miei, e il suo amore, per quanto sincero, non mi
completava. E di lì a poco mi sono resa conto che stavo
usando lui per salvarmi, e questo mi faceva sentire in
colpa. Non volevo ferirlo, ma non potevo mentire né a
lui né a me stessa.
Quando mi vedeva triste e mi
chiedeva cosa avessi, non rispondevo e questo, nei miei
momenti di solitudine, aumentava il mio disagio per non
essere stata onesta. Poi non so per quale motivo o forse
sì lo sapevo ma mentivo a me stessa ho ricominciato a
uscire con il mio ex marito. Il suo ritorno ha riacceso
qualcosa in me, un misto di nostalgia, speranza e
confusione. E con questo, un senso di colpa verso Marco
che mi tormentava, come un’ombra che non riuscivo a
scrollarmi di dosso.
Tutto era ricominciato con
una telefonata, una di quelle che sembrano casuali, ma
che, in fondo, non lo sono mai. “Claudia, come stai?”
Mi aveva detto Luca, con quella voce calda che conoscevo
molto bene. Non era una voce che chiedeva, era una voce
che invitava. Abbiamo iniziato a parlare, prima di cose
banali, il lavoro, Roma, il tempo, poi di noi, di quello
che eravamo stati. Mi ha chiesto di prendere un caffè, e
io, contro ogni logica, ho detto sì. Quando l’ho visto,
seduto al tavolino di quel bar in Piazza Navona, con i
suoi occhi chiari, il completo bianco, una leggera barba
e quel sorriso un po’ sghembo, ho sentito un tuffo al
cuore. Era familiare, ma anche nuovo, come se il tempo
avesse levigato gli spigoli del nostro passato.
Poi, di nascosto da Marco, ci siamo rivisti ancora e
quelle uscite sono state un viaggio nella memoria, ma
anche una scoperta. Abbiamo camminato per le vie di
Campo de’ Fiori, ridendo di aneddoti che solo noi
potevamo capire, e mi sono sorpresa a sentirmi a mio
agio, come se fossi tornata a casa dopo un lungo
viaggio. Luca era diverso, o almeno così sembrava. Non
era più l’uomo che, anni prima, aveva lasciato spazio a
silenzi e incomprensioni nel nostro matrimonio. Mi
ascoltava, davvero, e nei suoi gesti c’era di nuovo
quella dolcezza che mi aveva fatto innamorare di lui
tanto tempo prima. Mi prendeva la mano, mi guardava con
un’intensità che non era solo desiderio, ma promessa.
Una sera, davanti a un bicchiere di vino in un
locale vicino a casa mia, lui si è aperto. “Claudia, so
di aver sbagliato,” aveva detto, con gli occhi lucidi.
“Non ero pronto, avevo solo paura di perderti e non ti
ho dato quello che meritavi. Ma ora lo so, e voglio
essere diverso. Voglio essere l’uomo che ti rende
felice, senza condizioni, senza errori del passato.” E
giù promesse che sarebbe stato tutto diverso, che
avrebbe imparato dai suoi sbagli, che non avrebbe più
dato per scontato il nostro amore. Parlava di un futuro
insieme, di viaggi, di serate a cucinare, di ricostruire
ciò che avevamo perso. E io, ascoltandolo, sentivo una
parte di me che voleva credergli, che voleva afferrare
quella promessa e lasciarsi andare. Quella sera, dentro
la sua auto, in un parcheggio di un supermercato, come
due adolescenti abbiamo fatto l’amore! Con lui mi
sentivo a mio agio, come se il tempo non fosse passato.
Ma una parte di me si chiedeva se fosse stata solo la
paura di restare sola a spingermi verso di lui. Il
nostro matrimonio era finito per un motivo, e non sapevo
se quelle crepe fossero ancora lì, nascoste sotto la
nostalgia. Eppure, quando ero con Luca, qualcosa si
accendeva, un calore che con Marco non avevo mai
sentito.
Ma ogni volta che pensavo a Luca, il
volto di Marco mi appariva davanti agli occhi, e con lui
un nodo allo stomaco. Marco, che aveva lasciato sua
moglie per me. Marco, che mi aveva guardata come se
fossi un dono, che mi aveva fatto sentire viva quando
ero solo un’ombra. Non lo amavo, l’avevo capito, ma
questo non rendeva il mio senso di colpa meno pesante.
Mi sentivo responsabile per il suo dolore, per la sua
scelta, per il caos che avevo portato nella sua vita.
Ogni messaggio che mi mandava, ogni sua chiamata, era un
promemoria di ciò che avevo fatto. “Ti amo, Claudia,” mi
scriveva, e quelle parole, che un tempo mi avevano
salvata, ora mi schiacciavano. Mi chiedevo se fossi
stata egoista, se l’avessi usato solo per scappare dalla
mia prigione, se meritassi davvero di cercare la mia
felicità mentre lui pagava il prezzo delle mie scelte.
Una notte, sola nel mio appartamento, ho pianto
lacrime amare. Non per Luca, non per Marco, ma per me
stessa. Per la Claudia che aveva tradito due volte, che
aveva ferito, che si era persa nel tentativo di
ritrovarsi. Mi sentivo in colpa per non aver avuto il
coraggio di essere onesta con Marco fin dall’inizio, per
aver lasciato che si illudesse, che sacrificasse tutto
per un amore che io non potevo ricambiare. Pensavo alla
sua ex moglie, alle vite che avevo indirettamente
sconvolto, e mi chiedevo se fossi una persona orribile.
Ma poi, in quel buio, ho capito una cosa: il senso di
colpa non poteva definirmi. Non potevo cambiare il
passato, ma potevo scegliere come andare avanti.
Adesso sono a un bivio, e la strada davanti a me è piena
di nebbia. So che devo fare ordine dentro di me. Ho
bisogno di capire chi sono, cosa voglio, al di là degli
uomini che hanno incrociato la mia vita. Ho ripreso a
vivere, a sentirmi leggera, ma sento anche il peso delle
mie scelte. Il senso di colpa per Marco, la confusione
per Luca, la paura di sbagliare ancora. Non voglio più
essere la donna che si lascia definire da un rapporto,
che cerca un collante delle proprie emozioni per
sentirsi intera.
Ho deciso di prendermi del
tempo. Devo parlare con Marco, essere onesta, dirgli che
non lo amo, anche se so che sarà doloroso. Devo a lui la
verità, e la devo a me stessa. Con Luca, voglio andare
piano, capire se quello che sento è reale o solo un’eco
del passato. Con lui, sto andando piano. Le sue promesse
mi scaldano il cuore, ma non voglio lasciarmi travolgere
dalla nostalgia. Devo capire se quello che sento è amore
o solo il conforto di ciò che conosco. Ma soprattutto,
voglio lavorare su di me. Per la prima volta, sento
che la mia storia non è scritta da qualcun altro. È mia,
e anche se non so ancora come andrà a finire, so che
voglio scriverla con coraggio. Non so ancora dove mi
porterà questa strada, ma per la prima volta, voglio
percorrerla con gli occhi aperti, senza paura di
guardarmi dentro.
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Questo racconto
pur basato su fatti di cronaca è opera di pura fantasia. Nomi, personaggi e
luoghi sono frutto dell’immaginazione
dell’autore e qualsiasi somiglianza con fatti, scenari e
persone è del tutto casuale.
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