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GEISHA
LA DONNA FEMMINA
Sembra incredibile che ancora oggi il mondo delle Geishe resista alla modernità. La maggior parte vive a Kyoto dove si trova una scuola per Geishe che insegna la cultura secolare fatta di riti, danze ed estetica senza eguali.

 
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Nell'immaginario popolare le Geishe sono note grazie al romanzo di Arthur Golden, “Memorie di una Geisha” e al film omonimo di Rob Marshall. Oggi sono richieste per le cerimonie del tè e per accompagnare facoltosi uomini politici durante lunghe cene. Loro rifiutano il sospetto della prostituzione e da sempre sottolineano come il loro ruolo è solo quello di ballare, ascoltare, intrattenere con musica e conversazione leggera i rappresentanti del potere.

Molto comuni tra il XVIII e il XIX secolo, esistono ancora nel ventunesimo secolo, benché il loro numero stia man mano diminuendo. Le prime figure presenti nella storia del Giappone che potremmo in qualche modo paragonare alle geishe sono le cosiddette saburuko: esse erano cortigiane specializzate nell'intrattenimento delle classi nobili, che ebbero il loro apice attorno al VII secolo per poi scomparire pochi secoli più tardi, soppiantate dalle juuyo, ossia prostitute di alto bordo, che ebbero più successo tra gli aristocratici.

Per cominciare però a parlare di una figura simile all'odierna "donna d'arte" dobbiamo aspettare fino al 1600, quando alle feste importanti, dove erano chiamate le juuyo, presero a partecipare le prime geishe: in principio erano uomini. Queste figure maschili avevano il compito di intrattenere con danze, balli e battute di spirito gli ospiti e le juuyo partecipanti, qualcosa di simile ai nostri giullari e buffoni medioevali.

Quando nel 1617 la prostituzione divenne legale in Giappone, bordelli e case di piacere cominciarono a diffondersi nelle principali città e la figura di geisha iniziò a confondersi con quella di prostituta. Nel diciannovesimo secolo furono emanate precise leggi che vietavano alle geishe di esercitare la prostituzione.

Le giovani donne che desideravano diventare geisha cominciavano il loro addestramento sin da bambine. Non appena arrivate nella Okiya, la "casa delle geishe", le bambine imparavano le attività domestiche ed in seguito quelle di intrattenimento, quali suonare, ballare la danza tradizionale, cantare e servire correttamente tè e sakè. Superato un esame accedevano al secondo livello che consisteva nella pratica di indossare il kimono e come intrattenere i clienti. Il terzo livello di apprendistato era infine quello delle maiko. Affidata ad una sorella maggiore imparava l’arte della conversazione. La maiko a questo punto poteva scegliersi un nome d'arte per esercitare la sua attività di geisha potendo così iniziare a restituire il debito contratto con la okiya, la quale, durante l'apprendistato, copriva tutte le spese dell'allieva.

Ad oggi, le geishe tradizionali giapponesi seguono all'incirca lo stesso processo di formazione anche se nel moderno Giappone si diventa geisha sempre più tardi, ossia dopo aver terminato un primo piano di studi nelle scuole statali (all'età di 15 anni), o persino l'università. Questo accade specialmente nelle città più popolate come Tokyo, dove le geishe sono in media più anziane rispetto a quelle di altre città. È raro vedere le geishe all'esterno del loro hanamachi. Nel 1920 c'erano più di 80.000 geisha in tutto il Giappone, ora si stima non siano più di un paio di migliaia e molte di loro sono ormai quasi solamente un'attrazione turistica. La diminuzione dei clienti, con l'avvento della cultura occidentale e la grande spesa che occorre sostenere per ottenere l'intrattenimento di una geisha, hanno contribuito al declino delle antiche arti e tradizioni, che sono difficili da trovare.


 







GEISHA RACCONTO DI ADAMO BENCIVENGA


Eccomi a te, eccomi geisha, ho rami di pesco tra i miei folti capelli, ho gemme di pero tempestate di luci, un trucco da maschere del teatro Kabuki, tra gli origami schiusi come fiori sul seno, tra i ricami sugli abiti e orpelli dorati, impressi alle tele rubate a Hokusai, dall’onda del mare al rosso del Fuji. Ecco sono io, la geisha, un corpo snello stretto nell’obi, una vita sottile che s’incurva sui fianchi, eccomi qui col mio viso velato, pallido rosa fior di ciliegio, pallida luna che si lascia ammirare, ecco la mia bocca forgiata di rosso, che s’apre e mostra la dolcezza del gesto, che schiude l’attesa dell’avventore impaziente, nell’incresparsi dei sensi e delle mie labbra, che indicano la strada, quella maestra, l’arteria essenziale del mio cuore che batte, e porta nell’intimo dell’anima eterea.

Eccomi a te, eccomi geisha, il sogno e il tormento, le insonnie notturne, ecco i miei occhi, grandi come una culla, marcati di nero, sfumati di rosso, un bagliore di luce lontano di anni, che sa di passato e di leziosa malizia, che sa d’orizzonti quando il sole si leva, l’essenza stessa del mio essere geisha, con i capelli a crocchia rigorosamente corvini, mi muovo leggera cadenzando il respiro, perché una geisha controlla se stessa, tutto il suo essere, anima e cuore, ogni suo gesto, parvenza ed aspetto, ogni emozione che tradisce ed inganna. Sono io la geisha, maestra di seduzione, che ostento, semmai ce ne fosse bisogno, la fragilità della carne e spirito e forza, e sussurro parole strascicate nell’aria, ora sfumate, ora troncate, perché nette si facciano pietre nei cuori.

Eccomi a te, eccomi geisha, scalza cammino danzando sospesa, al suono interiore della mia cantilena, i miei piedi sono nudi anche d’inverno, sono corde d’arpa che vibrano ai suoni, tasti di piano che compongo amore. Eccomi a te, finalmente geisha, dopo ore allo specchio, quando accuratamente mi trucco, e sfumo i colori e velo il mio viso, e raccolgo i capelli a foglia di gingko, per essere identica all’anima dentro, perché una geisha è geisha sempre, anche di notte, anche nei sogni. Eccomi a te, eccomi geisha, ecco la seta del mio prezioso kimono, il tamoto drappeggia, il fuki lo orla, la pasta di riso lo fregia e decora, le onde di stoffa fino ai miei piedi, perché nulla si vede, tutto si sogna, per questo si desidera, per questo si brama, anche se dal colletto lascio scoperta la nuca, e il collo di una donna inebria e seduce, l’attaccatura dei capelli ammicca e rapisce, e scopre l’accesso all’intimità del mio corpo.

Eccomi a te, eccomi ora, geisha sì, ma non prostituta, come Madame Butterfly, come nelle Memorie, il mio lavoro è vendere un sogno, il mio mestiere è incarnare la grazia, adattandomi all’uomo per ceto e cultura, è un modo diverso di essere donna, un raro gioiello che splende in vetrina, l’armonia della posa, la morbidezza di un cenno, l’arte che ospita e sempre intrattiene, la classe e lo stile nella legge dell’iki, perché sono un essere di regola e cultura, sono la gioia che non ha prezzo, e mai e poi mai mi venderei a chiunque, avesse l’ardire di comprare un sorriso.

Eccomi a te, eccomi geisha, ho fatto negli anni di quest’arte una vita, muovendo da maiko i miei timidi passi, ed ero bella, come una fanciulla danzante, bella come un kuki a novembre, un matsuri d’aprile, e ostentavo vezzosa acconciature da scena, e mi dipingevo la faccia vergine e bianca, facendo le prove indossando il kimono. Sono stati anni di studio e disciplina morale, anni di musica, di danza, e di canto, la cerimonia del tè, la calligrafia e l'ikebana, l’arte segreta di muovere il ventaglio, l'arte più antica di decorare con i fiori, la bellezza che dentro a specchio si mostra, e dipingo la faccia per nascondere il viso, e dipingo i miei occhi come acqua profonda, segreta di pozzo che di rado disseta.

Eccomi a te, finalmente geisha, finalmente abile nel flirtare con gli uomini, e farli ridere e farli bere, e farli innamorare, mentre accendo bastoncini d’incenso, e sussurro parole che sanno di grazia, le ricamo e le acconcio, le tesso di veli, che s’avvolgono a strati e s’avviluppano a nidi, negli intrecci di occhi e movenze leggere. Non importa cosa dicano, non servono concetti, ma rime e florilegi d’assonanze accordate, e note ed eufonie di voci e velluti, perché una geisha non parla di temi concreti, non ha mai verità da dire, lei indugia e annuisce, lei ricama il frivolo ed orna il suo gusto, nell'eleganza di stile che le compete, ignorando le mediocri certezze reali, nella purezza dell’attimo e della sua anima libera.


Eccomi a te, geisha sì, se per caso capiti da queste mie parti, entra, non indugiare, troverai la porta socchiusa, come è socchiuso, ma mai aperto, il mio cuore, e sarai accolto come il benvenuto, e sarai in una casa che non è la tua casa, ma sentirai lo stesso denso calore, ed avrai di fronte una donna che non è la tua donna, ma l’amerai più di quanto possa ammettere il tuo cuore, perché io vivo in una specie di paradiso, non esco, non ascolto notizie, non sono sposata, non sono contaminata dal mondo, che fuori grida, corre e fa male, ma non vivo ai margini, io vivo dentro l’essenza, e qui dentro c’è pace, nel mio cuore c’è pace, perché io sono la geisha, il tuo paradiso, il tuo desiderio, incorporea ed eterea ad ogni tipo di brama, sono la donna che ti illudi di avere, ma continuerai soltanto a sognare, anche fuori di qui, anche tutte le notti.

La tua Geisha










 





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ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FOTO GOOGLE IMAGE
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