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AMARSI? CHE CASINO!
 

 
 

LA LETTERA D'ADDIO DI VIRGINIA WOOL

IL SUICIDIO DI VIRGINIA
“Sono certa che sto per impazzire di nuovo. E allora faccio ciò che mi sembra la cosa migliore…”
Leonard Woolf ripercorre la discesa nell’abisso della sua amata moglie pubblicando la lettera della scrittrice indirizzata al suo amatissimo consorte prima di buttarsi nel fiume e trovare la definitiva serenità.

 


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Nel libro autobiografico, pubblicato nel 1969, Leonard Woolf descrive il suicidio della moglie e la loro vita insieme. Morirà nello stesso anno della pubblicazione. Virginia Woolf invece si era suicidata il 28 marzo 1941 lasciando al marito una breve ma intensa lettera di addio, in cui dichiara che Leonard è stato un uomo meraviglioso e completo in ogni senso, e che insieme hanno vissuto una grande felicità.

Virginia dà il suo ultimo saluto al marito Leonard, poco prima di uscire di casa, con il suo bastone da passeggio, per arrivare lungo il fiume dove, di lì a poco, si sarebbe lasciata annegare, infilandosi delle grosse pietre nella tasca della giacca. La morte, da lei definita “l’unica esperienza che non descriverò mai”, viene scelta per l’ultima e definitiva volta (in passato aveva già tentato il suicidio). Il mattino del 28 Marzo 1941 il mondo assiste impotente all’addio di una delle più tormentate menti del Novecento che, dopo cinquantanove anni di vita, non può più tollerare di farne parte.

. ….Eravamo stati costretti a lasciare Londra a causa dei bombardamenti. Da novembre cominciammo a centellinare ogni goccia di benzina e non fu più possibile andare a Londra in macchina, e anche viaggiare in treno era diventato davvero troppo pesante.

Tutto questo significò che per la prima volta nella nostra vita io e Virginia ci sentimmo dei campagnoli, dei paesani. E un’altra novità fu che ci ritrovammo del tutto privi di servitù nel senso vittoriano del termine. [...] Lavoravamo tutta la mattina, poi pranzavamo; nel pomeriggio facevamo una passeggiata o un po’ di giardinaggio, giocavamo a bocce, preparavamo la cena; la sera leggevamo, sentivamo un po’ di musica e poi andavamo a dormire. [...] Io credo che la morte, la contemplazione della morte, fosse uno dei pensieri fissi di Virginia, sempre pronto ad affiorare. Era qualcosa che derivava dalla sostanziale mancanza di equilibrio della sua mente.

Lei era «quasi innamorata della Morte benigna». Io potevo capirlo solo intellettualmente; come emozione mi era invece del tutto estranea. [...] Da anni ero abituato a riconoscere i segnali di avvertimento che dava la mente di Virginia; e i sintomi della crisi apparivano a poco a poco e con chiarezza: mal di testa, insonnia, difficoltà a concentrarsi.

Avevamo imparato che poteva evitare il crollo solo mettendosi subito in uno stato di ibernazione, o in un bozzolo di tranquillità, al primo apparire dei sintomi. Ma questa volta non ci furono segnali di preavviso. La depressione la travolse di colpo. [...] Venerdì 28 marzo (1941, ndr), lavoravo in giardino, pensando che lei fosse in casa. Ma quando all’ora di pranzo entrai dentro, lei non c’era. Trovai una sua lettera sulla mensola del camino del soggiorno.

«Carissimo, sono certa che sto per impazzire di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non mi riprenderò. Comincio a sentire le voci e non riesco a concentrarmi. E allora faccio quella che mi sembra la cosa migliore. Tu mi hai offerto la massima felicità possibile. Tu sei stato in tutto e per tutto quello che nessuno poteva essere. Non penso che due persone avrebbero potuto essere più felici di noi, fino a quando non è arrivata questa terribile malattia. Non ce la faccio più a lottare. So che sto rovinando la tua vita, che senza di me potresti lavorare. E lo farai, io lo so. Vedi che non riesco neppure a scriverlo in modo appropriato. Non posso rileggere.
Quello che voglio dire è che devo a te tutta la felicità della mia vita. Con me tu sei stato del tutto paziente e incredibilmente buono. Voglio dirtelo, lo sanno tutti. Se qualcuno avesse potuto salvarmi, quello saresti stato tu. Ho perso tutto tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita.
Non penso che due persone avrebbero potuto essere più felici di come lo siamo stati noi. V.».

Adeline Virginia Woolf, nata Stephen (Londra, 25 gennaio 1882 – Rodmell, 28 marzo 1941), è stata una scrittrice britannica.
Considerata come una delle principali figure della letteratura del XX secolo, attivamente impegnata nella lotta per la parità di diritti tra i sessi, fu sempre interessata al ruolo della donna nella società e lavorò come volontaria nel movimento che combatteva per il diritto di voto alle donne, scrisse anche opere sull’emancipazione femminile come A Room of One’s Own (Una Stanza Tutta per sé – 1929) che ebbe un grande impatto sul movimento femminista degli anni ’60 e ’70 del ‘900. Le sue opere più famose comprendono i romanzi La signora Dalloway (1925), Gita al faro (1927) e Orlando (1928). I suoi lavori sono stati tradotti in oltre cinquanta lingue. Tra i suoi traduttori si annoverano Jorge Luis Borges e Marguerite Yourcenar.
Con le stesse tecniche operate da James Joyce in Irlanda, Marcel Proust in Francia e Italo Svevo in Italia, Virginia Woolf abbandonò la narrazione tradizionale eliminando la forma comune di dialogo diretto e la struttura tradizionale della trama. Portò l'attenzione del romanzo al monologo interiore e trasformò il tempo, non più visto come uno scorrere continuo, in una serie di momenti staccati attraverso spostamenti in avanti e indietro.


 



















 





ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FOTO GOOGLE IMAGE
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Testo tratto dal libro “La Morte di Virginia” di Leonard Woolf pubblicato da la Repubblica e ripubblicato dal Foglio del lunedì http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/lenta-morte-virginia-woolf-lettera
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/09/virginia-woolf-tra-mal-di-vivere-e-lessere-donna/650367/



 














 
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