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REPORTAGE
IL SEXTING DI UNA
VOLTA
LE LETTERE EROTICHE
PORNO-LETTERE DA GRANDI
FIRME
Ian Fleming in versione De Sade, James
Joyce sogna di essere frustato, Charles Bukowski, Frida Kahlo e i
suoi tanti amori, Gabriele D'Annunzio alle prese con una prostituta,
Flaubert, le allusioni saffiche di Virginia Woolf
.
Oggi lo chiamiamo sexting, e
lo si pratica attraverso messaggi, chat, selfie. O anche
al telefono. L'obiettivo è lo stesso, scaricare una
tensione erotica e insieme far continuare a vibrare un
legame.
«Vorrei farti del male perché te lo sei
guadagnato e anche per domare l'animaletto selvatico che
è in te». Ian Fleming, il "padre" dell'agente 007
all'età di 26 anni scriveva lettere di questo tono a uno
dei suoi primi amori, Edith Morpurgo, una giovane ebrea
austriaca conosciuta a Vienna. «Attenta a te. Mi sento
come un bambino di fronte a una maliziosa governante».
«Ecco dove voglio baciarti», con labbra messe
strategicamente all'altezza di «bocca, seni e vagina»,
osserva il catalogo; oppure una porta, due paia di
scarpe, il cartello «non disturbare» e la scritta:
«Voglio fotterti».
Scrive Virginia Woolf,
allusivamente, all'amata Vita Sackville-West: «Vieni e
ti dirò tutti i milioni, miliardi di pensieri che mi
girano in testa, pensieri che scompaiono alla luce del
giorno, e riappaiono solo di notte, al buio, su un
fiume»
Esplicito invece è Flaubert. Nelle sue
lettere a Louise Colet. «L'ho succhiata con accanimento;
il suo corpo era coperto di sudore, era stanca per aver
danzato, aveva freddo...» La mattina, dopo aver passato
la notte in «sconfinate intensità sognanti»
Charles Bukowski si lascia andare a dettagli nello
spiegare a Linda King quello che vorrebbe farle con le
dita e con la bocca contro il frigorifero. «I want you,
I want you I want you», conclude temendo forse di non
essere stato abbastanza chiaro.
E poi Frida Kahlo
con le sue parole erotiche scritte al marito e
all'altro, il suo grande amore segreto: “La mia notte è
senza luna. Ti cerco, cerco il tuo corpo immenso vicino
al mio, il tuo respiro, il tuo odore. Dove sei? Dove
sei? Mi giro da tutte le parti, il cuscino umido, la mia
guancia vi si appiccica, i capelli bagnati contro le
tempie. Non è possibile che tu non sia qui. Il mio corpo
ti vorrebbe. Il mio corpo vorrebbe per un attimo
dimenticarsi nel tuo calore, il mio corpo reclama
qualche ora di serenità. La mia notte è un cuore ridotto
a uno straccio. La mia notte mi brucia d’amore.” A José
Bartoli, affascinante illustratore catalano, scrive:
“Ieri sera mi sono sentita come se tante ali mi
accarezzassero tutta, come se le punte delle tue dita
avessero bocche che baciavano la mia pelle. Gli atomi
del mio corpo sono tuoi e vibrano insieme così che ci
amiamo l’un l’altra. […] Sento di averti amato da
sempre, da prima che tu nascessi, da prima che tu fossi
concepito. A volte sento di aver partorito me stessa.”
Henry Miller dopo aver fantasticato su gambe
spalancate, prostitute con i tacchi logori e culi
indimenticabili ancora più esplicitamente dice ad Anaïs
Nin: “Tutto quello che posso dire è che sono pazzo di
te. Aspetto con impazienza di vederti. Martedì è troppo
lontano. E non solo martedì – mi chiedo quando verrai e
se passerai la notte con me. quando potrò averti per un
bel po’? È un tormento per me vederti solo poche ore, e
poi dover rinunciare a te. Quando ti vedo, tutto quello
che avrei voluto dirti se ne va in fumo – il tempo è
così prezioso e le parole sono estranee. Ma tu mi rendi
così felice perché posso finalmente parlarti. Amo la tua
vivacità, i tuoi preparativi di fuga, le tue gambe come
una morsa, il calore fra le tue cosce. Sì, Anais, voglio
smascherarti. Sono troppo galante con te. Voglio
guardarti a lungo e con ardore, toglierti gli indumenti,
coccolarti, esaminarti. Lo sai che ti ho guardata
appena? Sei rivestita ancora di una sacralità eccessiva.
Sì, Anais, pensavo come fare a tradirti, ma non ci
riesco. Voglio te. Voglio spogliarti, involgarirti un
tantino, ah non so quel che dico. Sono ubriaco perché tu
non sei qui. Vorrei battere le mani e, voilà, ecco
Anais. Voglio possederti, usarti. Voglio chiavarti,
voglio insegnarti cose. No, non ti apprezzo, Dio me ne
guardi! Forse voglio addirittura umiliarti un tantino –
ma perché? perché? Perché non mi getto in ginocchio e mi
limito ad adorarti? Non posso. Ti amo in allegria. Tutto
quello che chiedo dalla vita è un mucchio di libri, un
mucchio di sogni e un mucchio di fica. Vieni al più
presto e scopami. Godi con me. Serrami tra le tue cosce.
Riscaldami.”
Dominare o essere dominati. È questo
il sesso. È lottare per il dominio o per non perdere il
dominio, o per perderlo il più tardi possibile.
La lettera di Gabriele D’Annunzio ad una sua amica,
probabilmente una prostituta, non ha bisogno di molte
spiegazioni: la destinataria benché sia stata pagata,
pare restia a concedere i propri favori: «Perché,
perché, o mia crudele Amica, non vi lasciate mettere
l’Uccello, in quella ricca e opulenta fica, che nel suo
genere è il perfetto bello? Portate di bellezze un gran
tesoro, via, via, prendere un pugno di denaro, e
lasciatemi entrar nel vostro foro».
James Joyce
non era da meno, il 13 dicembre 1909 scrive alla
fidanzata Nora «Vorrei che tu fossi forte, amore,
molto forte, con un seno enorme e due cosce grandi e
tornite. Come vorrei che tu mi frustassi, Nora amore,
scopami quando sei tutta vestita con tanto di cappello e
veletta, la faccia tagliata da freddo vento e pioggia e
magari con gli stivaletti infangati, certo calzerai
anche quelli, soprattutto perché poi terrai le gambe
larghe il giusto mentre io me ne sto bellino e seduto e
tu t’avvicini alla mia sedia e pum-mi-monti e vai su-giù
poi mostri le mutandine, dovrebbero essere possibilmente
quelle che ti dice la moda dell’anno col pizzo ben in
vista, e il mio cazzo si conficca bello rigido nella tua
fica, però va bene la cosa si potrebbe fare anche mentre
te ne stai comoda sulla spalliera del divano. Scopami
nudo con il tuo cappello e le calze, sul pavimento,
indorata con un fiore, cavalcandomi come un uomo, su un
imponente destriero. Scopami indossando la vestaglia
(spero tu abbia quella bella) senza niente sotto,
aprendola all’improvviso, e mostrandomi petto e cosce e
schiena e pretendendomi a te sul tavolo della cucina.
Fatti fottere da dietro, capelli sciolti al vento del
profumo che arriva dalle tue mutandine rosa ben aperte
svergognatamente là dietro e mezze calate sul culo che
tò! eccolo finalmente…»
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ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FOTO GOOGLE IMAGE
.FOTO COLOR ADOLFO VALENTE
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