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GIALLO PASSIONE
STORIA DI UNA POETESSA
La Contessa Lara
Innamorata dell'amore
«Le rose che de' suoi baci hanno odore.
Non mi bastano più: lui solo io voglio.» Evelina Cattermole,
poetessa italiana, scrisse anche novelle e opere in prosa. La
parte più rilevante della sua produzione è firmata con lo pseudonimo
Contessa Lara
(Firenze, 26 ottobre 1849 – Roma, 30 novembre 1896)
Adamo chi era la Contessa Lara?
Qualche giorno fa mi è capitato per caso un suo libro di
poesie tra le mani e mi sono appassionato alla sua
incredibile vicenda. Chi era? Una poetessa Innamorata
dell'amore, ben inserita nell’alta società di fine
Ottocento.
Dove nacque? Il
luogo e la data sono stati per anni controversi. Lei
stessa andava dicendo di essere nata a Cannes spostando
per vanità l’anno di nascita al 1858, ma in realtà
furono trovati successivamente alla sua morte il
certificato originale di nascita, che pone con estrema
certezza la sua nascita a Firenze il 26 ottobre 1849.
Chi erano i suoi genitori? Il
padre era lo scozzese Guglielmo Cattermole, console a
Cannes, che in terze nozze aveva sposato a Firenze Elisa
Sandusch, eccellente pianista.
L’infanzia? Eva fu molto precoce
nell'apprendimento della musica (dalla madre) e delle
lingue straniere (dal padre): imparò fin da giovanissima
l'inglese, il francese, lo spagnolo e l'italiano. A soli
diciotto anni pubblicò la raccolta “Canti e ghirlande”
creandosi una reputazione di giovane scrittrice
neoromantica..
Come conobbe il suo primo
marito? A Firenze Evelina frequentava i
salotti più rinomati, riuscendo a conciliare poesia e
mondanità. Tra questi quello della poetessa Laura
Beatrice Oliva moglie del patriota, giurista ed avvocato
Pasquale Stanislao Mancini, primo sostenitore del
“centrosinistra”. Eva divenne amica delle loro figlie
e successivamente conobbe il tenente dei bersaglieri
Francesco Saverio Eugenio Mancini del quale si innamorò.
Si sposarono nel 1871 nonostante l'avversione della
famiglia di lui. Insieme condussero una vita mondana
e avventurosa, con lunghi soggiorni a Napoli, a Roma,
dove l’uomo fu nominato capitano dei bersaglieri.
Poi definitivamente Milano… Fu
proprio a Milano che Evelina entrò in contatto con
l’ambiente letterario della Scapigliatura, che le
consentì di esprimere liberamente il suo anticonformismo
e la sua spregiudicatezza. Frequentò diversi salotti,
tra cui quello di casa Maffei. Attorno a Evelina si
creò una corte di ammiratori, che la adoravano per la
sua bellezza e la sua grazia ammaliante, mentre il
marito disertava sempre più spesso la casa per giocare
d'azzardo o incontrare le ballerine dei «cafè
chantant»..
Aria di tradimento?
Già. In uno di questi salotti Eva conobbe il giovane
veneziano Giuseppe Bennati, impiegato al Banco di
Napoli. Forse per i continui tradimenti del marito se ne
innamorò cedendo al corteggiamento del veneziano che tra
le altre cose era un amico di lunga data del marito.
Il marito lo venne a sapere?
Altro che! I due amanti si vedevano quasi ogni giorno
nelle ore pomeridiane quando il marito di lei faceva la
siesta. Il luogo era una camera a ore poco distante
dalla casa della donna. In caso di allarme la cameriera
di casa Mancini aveva il compito di avvertire subito la
signora. Non conosciamo le circostante, forse una
spiata da parte della cameriera, ma sappiamo che Eugenio
Mancini vide con i propri occhi i due amanti. Questo gli
dava diritto a sfidare a duello l’amante. Il duello
terminò tragicamente con la morte del giovane. Nel
conseguente processo Eugenio Mancini fu assolto per
omicidio d'onore.
Ed Evelina?
Per il dolore si tagliò i capelli e andò a depositarli
con delle ghirlande di fiori sulla tomba dell'amato
dove, per diversi giorni, si recò a pregare.
Naturalmente il marito la cacciò di casa e chiese il
divorzio. La notizia passò di bocca in bocca e lei
dovette fuggire da Milano coperta di vergogna. Si
rifugiò a Firenze, ma suo padre non la volle accogliere
a casa e visse poveramente in una camera ammobiliata.
Come si manteneva? Pubblicava
saltuariamente poesie ed articoli su riviste, ma era ben
poca cosa. Iniziò poi a collaborare con diversi
quotidiani iniziando la sua breve vita da giornalista.
Leggo che lentamente tornò a frequentare i
salotti bene. Durante questo periodo,
Evelina collezionò diversi flirt e storie d'amore più o
meno stabili, sempre cercando la felicità e il vero
amore, ma, per sua sfortuna, incontrando anche persone
che approfittavano della sua ingenuità e generosità.
Dopo alcuni anni la troviamo a Roma…
I suoi romanzi iniziarono ad avere un discreto successo.
E finalmente ebbe una relazione tranquilla, l’unico
amore sereno della sua esistenza, con il giovane
letterato Giovanni Alfredo Cesareo che durò diversi
anni.
Ma la passione era sempre alle
porte.. Già, conobbe Giuseppe Pierantoni,
pittore di modesto talento, che avrebbe dovuto
illustrare il suo libro “Romanzo della bambola”.
Chi era costui? Un povero diavolo!
Aveva 25 anni all'epoca e conduceva una vita di stenti.
Aveva studiato all'Istituto di Belle arti ma riusciva
solo ad imbrattare tele. Menava una vita da bohèmien e
non aveva né casa né studio. Se la faceva per Toledo e
la sera tardi andava a dormire da sua sorella. Mangiava
quando poteva e ciò non avveniva quotidianamente.
Conservava i mozziconi delle sigarette. Eva si
appassionò alla sua vita e cominciò ad aiutarlo,
raccomandandolo ai suoi amici.
Poi cosa
accadde? Dopo qualche tempo il giovane si
trasferì a Roma ed Eva incoraggiò il timido giovane,
proponendogli di cenare da lei anziché saltare i pasti.
Naturalmente ci furono anche i “dopo-cena” che furono
l’inizio della loro storia, ma anche l'epilogo della
tragedia. I due decisero di convivere. Ma ben presto
l'atmosfera diventò cupa per via delle frequenti
“assenze” della contessa. Una volta però il pittore ebbe
la prova provata, tramite una lettera intercettata,
della natura di quelle assenze. Ci fu una violentissima
scenata di gelosia con tanto di percosse. Il pittore
tornò alla calma solo quando si convinse che si era
trattato di un appendice ad una vecchia relazione ormai
sepolta per sempre.
Ma le percosse
continuarono vero? Ogni pretesto era buono,
l’uomo diventò manesco e possessivo. Eva non riusciva ad
allontanarsi da lui, nonostante l'avesse persino chiuso
fuori di casa in un'occasione: l'uomo era rientrato con
la forza passando da una finestra. Alcuni amici la
consigliarono di recarsi alla Questura e di denunciarlo,
ma lei non si fidava e temeva che lui poi si vendicasse.
Poi cosa accadde? Nell'estate
del 1896, lei si recò in vacanza in Liguria, dove
incontrò il suo amico Ferruccio Bottini. Eva gli confidò
i suoi problemi, e lui intuendo il pericolo la invitò a
lasciare il convivente e a rifugiarsi nella sua casa di
Livorno. Per ogni evenienza le regalò un revolver da
tenere in borsetta. Quando tornò a Roma decisa ormai
a trasferirsi a Livorno scoppiò l’ennesima litigata con
il pittore. Eva gli intimava di andarsene e di
lasciarla in pace, ma il giovane in preda all’ira
afferrò il revolver di lei e sparò colpendola
all'addome.
Morì sul colpo?
No. La pistola era di piccole dimensioni, e il
proiettile non provocò la morte immediata. Il giorno
dopo fu operata, ma non si salvò per il tardivo
intervento dei soccorsi. Eva durante l’agonia ebbe modo
dire a chiare lettere al delegato della Pubblica
Sicurezza che il gesto dell’uomo era stato dettato solo
ed esclusivamente da interesse economico e non da motivi
passionali, in modo che la giuria, visto le leggi di
allora, non applicasse alcuna attenuante alla condanna.
Che dire? Una vita movimentata con un
epilogo degno della letteratura del tempo…
Soprattutto un’agghiacciante coincidenza tra letteratura
e vita, lei morì proprio della stessa morte violenta che
tante volte aveva descritto nelle sue opere conferendo
alla sua biografia e alla sua memoria un alone di
tragica e ineluttabile fatalità.
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INTERVISTA A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FONTI:
www.italiadonna.it www.letteraturaalfemminile.it
www.torreweb.it digilander.libero.it/trombealvento
it.wikipedia.org
FOTO GOOGLE IMAGE
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