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GIALLO PASSIONE
STORIA DI UNA DONNA
ROMANTICA
Rina Fort
La belva di Via San
Gregorio
Il 29 novembre 1946 all’ora di cena la
«belva» di via San Gregorio perde amante e lavoro, si vendica
con una strage. E poi un mistero, irrisolto.
“Adamo, quando scoppia il caso?”
"Era una mattina umida e fredda del 30 novembre 1946.
Milano. Via San Gregorio 40. La commessa del negozio di
stoffe di Giuseppe Ricciardi, come tutte le mattine,
bussa invano alla porta dell’abitazione del titolare per
farsi consegnare dalla moglie le chiavi del negozio. Non
ottenendo risposta e visto che la porta era socchiusa si
introdusse nell’appartamento."
"E cosa
scoprì?" "Mancò poco che svenisse! Avvolti
in un lago di sangue vide la moglie di Ricciardi ed uno
dei figli riversi sul pavimento. Scappò immediatamente
chiedendo aiuto in strada. Gridava che c’erano due
cadaveri…"
"…Ma in realtà erano quattro?"
"Infatti, quando arrivò la polizia vide i corpi senza
vita della donna e dei suoi tre figli: Giovanni e
Giuseppina, di sette e cinque anni, e Antonio, di soli
dieci mesi. Un cronista del Corriere della sera
presente sul posto riportò un inquietante indizio: sul
pavimento era stata trovata una fotografia stracciata
che ritraeva i coniugi Ricciardi il giorno delle nozze.
Subito venne avanzata l’ipotesi di un delitto a scopo
passionale."
"Quindi niente rapina?"
"L’assassino era sicuramente un conoscente in quanto la
vittima oltre ad avergli aperto la porta le aveva
offerto del liquore. Furono trovati infatti tre
bicchierini sporchi sulla tavola. Anzi a questo punto
gli assassini potevano essere due. La scena del delitto
si presentava come una vera e propria vendetta.
Qualunque rapinatore avrebbe quantomeno risparmiato il
più piccolo dei figli, che mai avrebbe potuto
testimoniare data la tenera età. Altro particolare
fondamentale per le indagini fu la scoperta di una
ciocca di capelli lunghi neri che la vittima stringeva
nel pugno chiuso. Quindi gli inquirenti si convinsero
che doveva esserci di mezzo una donna."
"Scusa,
ma il marito dov’era?" "Giuseppe Ricciardi
si trovava a Prato per motivi di lavoro. L’ipotesi che
si trattava di un delitto passionale si faceva strada
man mano che la polizia indagava sul passato di Giuseppe
Ricciardi."
"Cosa scoprì nel suo
passato?" "Ricciardi, commerciante siciliano
di stoffe, approdò a Milano in fuga da Catania occupata
dagli americani. Si era stabilito in via San Gregorio,
una delle vie popolari costruite sulle macerie del
Lazzaretto. Qui conduceva una vita praticamente da
scapolo. Le indagini confermarono quanto si diceva in
giro: Ricciardi tradiva la moglie, rimasta a Catania,
con frequenti scappatelle. Durante queste indagini
ricorreva spesso il nome di un ex commessa del negozio
di stoffe."
"Rita Fort?"
"Già. La loro relazione sentimentale era di dominio
pubblico, tanto che la moglie, venuta a conoscenza della
cosa, decise di trasferirsi insieme ai figli in pianta
stabile a Milano e obbligò il marito a licenziare la
bella commessa. Poi tutto tornò alla normalità. La
coppia ebbe un altro figlio ed era in attesa di un
quarto."
"Quindi abbiamo trovato
l’assassina e il movente?" "Caterina Fort,
per tutti Rina, in un colpo solo avevo perso l’amante e
il lavoro e, per la polizia non c’erano dubbi. Venne
immediatamente arrestata. Durante le oltre cento ore di
interrogatorio Rina confessò e ritrattò più volte.
Raccontò comunque di essere stata l’amante del
Ricciardi, quando questi era solo a Milano. Avevano
anche convissuto, a partire dal settembre 1945. Poi con
la salita della moglie tutto era terminato."
"Dell’omicidio, ovviamente, non sapeva nulla?"
"Ripeto dopo cento ore e più crollò. Stremata ed
affamata, umiliata e minacciata si decise a confessare
solo parzialmente dove il suo ruolo si riduceva a
complice, con l’incarico marginale di accompagnare
l’assassino fino alla casa della vittima, e di
convincere la moglie di Ricciardi ad aprire la porta.
Fece il nome di Carmelo Zappulla, esecutore materiale, e
soprattutto indicò in Giuseppe Ricciardi il mandante
degli omicidi."
"Che interesse aveva il
Ricciardi ad uccidere la moglie?" "Voleva
liberarsi della moglie o comunque spaventarla e farla
tornare in Sicilia. Nel corso della confessione modificò
la sua deposizione: gli affari al negozio andavano
parecchio male, e i creditori non intendevano più
aspettare. Allora Ricciardi aveva convinto lei e Carmelo
ad andare nell’appartamento per inscenare una rapina.
Lui, nel frattempo, si sarebbe tenuto per un po’ lontano
da Milano, giusto per crearsi un alibi."
"Colpo di scena! Fu creduta?" "I due vengono
arrestati e condotti a San Vittore. Rimasero in carcere
per un anno e mezzo per poi uscirne senza nessun
addebito di colpa."
"Come andarono gli
interrogatori dei due?" "Ricciardi
continuava a ripetere che era una pazza isterica. In
effetti aveva avuto tantissimi problemi anche
psicologici. Seviziata dal primo marito poi finito in
manicomio era venuta in città per fare la cameriera ma
era stata oggetto di ricatti sessuali dal suo datore di
lavoro. Secondo il Ricciardi, la Fort non aveva
sopportato di essere stata scaricata anche da lui e si
era voluta tremendamente vendicare sulla moglie e i
figli."
"E la posizione Rina Fort?"
"Fu l’unica imputata del processo che si svolse nel
gennaio del 1950. Quando entrò nella sala dell’udienza
la gente assiepata chiese a gran voce la pena di morte.
Durante il processo la donna inceppò in numerose
contraddizioni fino ad ammettere la sua colpevolezza, ma
continuando a sostenere il coinvolgimento dei due
complici."
"Cosa disse?"
"Disse che mentre rincasava fu avvicinata da Carmelo.
Lui è offrì una sigaretta probabilmente drogata in
quanto avverì immediatamente un senso di stordimento
così forte da seguire Carmelo, che la condusse
nell’appartamento. Da quel momento naturalmente non
ricordava nulla."
"Fu credibile?"
"Assolutamente no! Pensa che durante il riconoscimento
del complice la Fort invece di indicare Carmelo additò
con convinzione niente meno che uno dei poliziotti!"
"La sentenza?" "Canterina Fort
era colpevole di omicidio volontario nei confronti della
signora Franca e dei piccoli Giovanni, Giuseppina,
Antonio, e di simulazione di reato per quanto riguardava
la rapina e di calunnia a danno di Carmelo Zappulla. La
condanna fu l’ergastolo con isolamento diurno per sei
mesi, interdizione perpetua dai pubblici uffici e
interdizione legale. In separato giudizio civile
sarebbero poi state valutate le spese per i risarcimento
danni. La condanna fu poi confermata in Appello e in
Cassazione."
"Ma lei non confermò mai il
pieno conivolgimento?" "Dal carcere di
Perugia scrisse molte lettere al suo avvocato. Tra le
tante frasi, forse la più inquietante fu: “Non è la
quantità della pena che mi spaventa. C’è una parte del
delitto che non ho commesso e non voglio”."
"Rimase per sempre in carcere?" "No,
nel ’75 ottenne la grazia per buona condotta, dopo aver
scontato 28 di carcere. Uscì pochi mesi dopo la morte di
Ricciardi, si cambiò nome in Caterina Benedet e andò a
vivere a Firenze. Morì di infarto nel marzo del ‘88,
portandosi dietro la sua versione dei fatti mai creduta.
La sua ostinata ed ultima versione fu sempre quella di
aver agito sotto la spinta materiale e morale di un
complice del Ricciardi."
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A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FONTI: www.storiadimilano.it
www.corriere.it www.poliziastato.it www.crimine.net
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