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INTERVISTA
IMPOSSIBILE
Diane Arbus
La fotografa dei mostri
Diane Arbus, fotografa statunitense di
origini russe, famosa per le sue foto ai fenomeni da baraccone,
come travestiti, nani, giganti e prostitute, ritardati mentali e gemelli così come normali cittadini
in pose e atteggiamenti che trasmettono la sgradevole sensazione
che qualcosa è seriamente sbagliato
(New York, 1923 - Greenwich V. 1971)
Allora Diane, lei proviene da una ricca
famiglia ebrea di New York… Trascorsi i primi anni in
un’infanzia iperprotetta, tra gli agi e attente e severe
bambinaie. Mio padre David Nemerov e mia madre Gertrude
Russek erano proprietari della catena di grandi
magazzini di pellicce chiamata Russek's dal nome del
fondatore, ovvero mio nonno materno.
Famiglia
benestante ma anche legata al mondo dell’arte… Ero la
seconda di tre figli, mio fratello maggiore, Howard
Nemerov, diventerà uno dei maggiori poeti americani,
mentre mia sorella Renée divenne una famosa scultrice.
Anche mio padre David, dopo essersi ritirato dagli
affari abbracciò l’arte della pittura con un discreto
successo commerciale.
Frequentò le migliori scuole di
New York… La Culture Ethical School e poi la
Fieldstone School, scuole il cui metodo pedagogico si
basava sulla filosofia umanistica religiosa dando nel
contempo un ruolo preponderante al nutrimento spirituale
della mia creatività artistica.
A 14 anni conosce
Allan Arbus… Allan aveva cinque anni più di me,
lavorava come commesso nei magazzini di mio padre. Me ne
innamorai.
Questa relazione non fu ben vista dai
suoi genitori… Beh loro lamentavano il diverso
livello sociale, ma pur di stare insieme ad Allan
litigai con i miei e mi rifiutai di andare
all’università. Lo sposai nel ’41 appena compiuti i 18
anni.
Tutti e due appassionati di fotografia.
Veramente fu lui che mi introdusse in quel mondo. Ne
rimasi affascinata. Il primo lavoro fu un servizio
fotografico pubblicitario per i Grandi magazzini
Russek's. Il nostro rapporto funzionava alla grande sia
dal lato professionale che affettivo. Poi Allan fu
chiamato a fare il servizio militare, era scoppiata la
seconda guerra mondiale. Era in Birmania quando nacque
nostra figlia Doon Arbus.
Dopo la guerra metteste
su uno vero e proprio studio fotografico. Lo
chiamammo “Diane & Allan Arbus”. All’inizio mi limitai a
fare da assistente a mio marito, poi iniziai a studiare
l’arte della fotografia riprendendo tra l’altro i miei
studi di moda e disegno.
Nel ’55 la svolta…
L’incontro con Lisette Model fu determinante per la mia
carriera. Finché non studiai con Lisette sognavo solo di
far fotografie, ma non le facevo davvero. Lisette mi
disse che dovevo divertirmi nel farlo... Mi incoraggiò a
ricercare dentro me stessa i miei soggetti e il mio
stile, a fotografare la mia paura. Grazie a lei superai
la mia timidezza e le mie foto cominciarono riempire
riviste come Glamour, Seventeen e Vogue.
Dicono
che lei a fine anni cinquanta lavorasse ancora con una
nikon 35mm Dapprincipio mi piaceva la grana. Ero
affascinata dal suo effetto nella stampa, perché tutti
quei piccoli punti formavano un arazzo e ogni dettaglio
andava letto attraverso di essi. La pelle era come
l'acqua e il cielo e si aveva più a che fare con la luce
e l'ombra che con carne e sangue…
Intanto nacque
la sua seconda figlia Amy nacque il 16 aprile del
1954. Fu un parto doloroso anche perché rifiutai
l’anestesia e fu una delle migliori esperienze della mia
vita!
Subito dopo il suo matrimonio va in crisi…
Professionalmente collaborammo fino al ’56. Ero stanca
del rigore formale, della perfezione tecnica e del mondo
patinato della moda. Ci separammo definitivamente nel
’59. Immediatamente mi sentii libera di spaziare,
indagare il proibito e muovermi attraverso luoghi fisici
e mentali che da sempre erano stati oggetto di divieti,
mutuati dalla rigida educazione ricevuta.
Leggo
che esplorò i sobborghi frequentati dai poveri, gli
spettacoli di quart'ordine. Scoprii per caso il Club
'82 e successivamente l'Hubert's Museum, un baraccone
delle meraviglie situato all'angolo fra la 42^ a
Broadway, dove si esibivano una serie di figure bizzarre
e particolari che naturalmente fotografai. Grazie ad
Emile De Antonio, un impresario di cinema, vidi
“Freaks”, un cult movie del 1932 di Tod Browning. Ne
rimasi affascinata. La pellicola corrispondeva
perfettamente alla mia concezione di estetica. Rividi il
film centinaia di volte.
Quindi fenomeni da
baraccone, nani e ballerine… Personaggi non certo
facili! Inizialmente venivo vista con sospetto, ma
poi riuscivo a instaurare un rapporto di confidenza, a
volte, nella mia insaziabile ricerca dell’estetica,
anche intimo. Fra i primi soggetti ci furono “Miss
Stormé de Larverie, la donna che si vestiva da uomo”
“Moondog”, un gigante cieco con una grande barba e corna
da vichingo che passava otto ore al giorno fra la 50 ma
ovest e la Six Avenue, il nano messicano “Cha cha cha”
ecc.
Immagino che non fu facile pubblicare quelle
foto! Visti i soggetti così inconsueti i miei servizi
venivano puntualmente cestinati. La mia prima
pubblicazione è “The Vertical Journey”, sei foto
pubblicate nel 1960 sulla rivista Esquire e fu merito
solo grazie all’insistenza di Marvin Israel, art
director della rivista e mio caro amico molto intimo.
Quale fu il risultato? Lettere di protesta e
qualche disdetta dell'abbonamento alla rivista.
Ma nel ’63 arriva la sua prima borsa di studio da parte
della Guggenheim… Il MOMA, il Museum of Modern Art di
NY nel ’65 espose tre mie fotografie dal titolo
“Acquisizioni recenti”. La reazione del pubblico non fu
di indifferenza. Ogni giorno le fotografie dovevano
essere pulite dagli sputi dei visitatori.
Venne
chiamata la “fotografa di mostri” Beh non solo,
nonostante il successo di pubblico nel ’67 con una
mostra chiamata “New Documents” e successivamente con il
servizio di sosia di personaggi famosi, i critici
continuavano ad insistere che la mia arte era frutto
dell’abuso di farmaci per le mie crisi depressive.
Comunque fece anche foto su commissione di ritratti
di personaggi famosi, vero? Paradossalmente in queste
fotografie concentrai tutta la mia eccentricità
mostrando i soggetti ritratti senza la minima ricerca
dell'abbellimento estetico, anzi andandone
consapevolmente a cercare l'estremo opposto, fino ad
arrivare alla provocazione consapevole.
Negli
anni settanta diventa un mito per il movimento
giovanile… Diventai una specie di idolo inserendomi
nella tendenza del periodo contro le rassicuranti e
noiose convenzioni borghesi. Fotografai disabili in un
istituto, prostitute e i clienti di alcuni bordelli
sadomaso schierandomi attivamente contro ogni moralismo.
Ormai la depressione di cui ha sempre sofferto
si è fatta più grave. Il 26 luglio 1971 si suicida
ingerendo una forte dose di barbiturici e tagliandosi i
polsi nella vasca da bagno. La troveranno un paio di
giorni dopo, con il corpo già in avanzato stato di
decomposizione. La consacrazione di Diane Arbus
avviene solo dopo la morte. Prima la Monografia della
Aperture e poi l'esposizione delle sue foto alla
Biennale di Venezia, la proiettano direttamente
nell'olimpo dei grandi. Nel 2006 Nicole Kidman ha
interpretato la fotografa nel film Fur - Un ritratto
immaginario di Diane Arbus diretto da Steven Shainberg.
La storia si propone di mostrare come Diane abbia potuto
apprezzare il mondo della diversità entrando
gradualmente nel mondo dei freaks. Ci lascia un vasto
impero di foto e documenti. In soli undici anni vengono
numerati più di settemila provini e cinquecento rullini.
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INTERVISTA A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FONTI:
http://it.wikipedia.org/wiki/Diane_Arbus
http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=1332&biografia=Diane+Arbus
FOTO GOOGLE IMAGE
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