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INTERVISTA
IMPOSSIBILE
Anita Garibaldi
Per amore, solo per
amore
Lasciò il marito per seguire Garibaldi.
Restò sempre accanto a lui. Fu
anche fatta prigioniera ma riuscì a fuggire. Quando nel 1842
rimase vedova sposò Garibaldi, dal quale ebbe quattro figli.
Incurante del pericolo, rimase accanto a lui anche nei momenti
più terribili.
Morì a Ravenna e i suoi resti furono traslati a Roma e deposti
accanto a quelli del marito sotto il monumento erettole sul
Gianicolo.
Oggi il mio capo mi ha incaricato di fare
un'intervista, di solito manda sempre un mio collega
perché crede che io non sia all'altezza; il caso però ha
voluto che il solito raccomandato oggi sia malato e
quindi eccomi qui con il mio blocco notes e la mia biro
pronta per la nuova esperienza. Quando finalmente mi
consegnano l'indirizzo ed il nome del personaggio che
devo intervistare mi prende un colpo!: Anita Garibaldi!
Come inizio non c'è male devo dire; ho timore,
ma soprattutto ho paura di non essere all'altezza.
Arrivo a Ravenna. Scorgo la fattoria già dalla strada.
In perfetto stile brasiliano si erge bianca e maestosa
con il suo patio ricco di fiori di ogni specie. Poco più
in là un recinto con tre cavalli, uno è bianco, uno
stallone stupendo! Mentre scendo dall’auto, una ragazza
si avvicina al recinto e con fare affettuoso lo
accarezza.
Il mio autista se ne va lasciandomi
davanti all'entrata dell'enorme casa. Un omino dai
tratti indios si avvicina con fare servizievole e mi
chiede se ho un appuntamento. Confermato l'appuntamento
mi fa strada e mi fa accomodare nel patio dove già mi
aspettano un meraviglioso divano intarsiato con cuscini
blu indaco e un vassoio con due bicchieri di tè freddo.
"Buon giorno (in portoghese)" Davanti a me la
donna che avevo visto prima avvicinarsi al recinto dei
cavalli: i suoi occhi sono scuri e penetranti, i suoi
capelli neri raccolti sulla nuca, porta due bellissimi
orecchini di corallo rosso che si intonano con il suo
scialle fiorato elegantemente legato ad incrocio sul
petto. E’ bella certo, ma mi colpisce il suo portamento,
la sua fierezza!
"Come saprà il mio
collega non è potuto venire… spero che il nostro
incontro sia altrettanto gradevole e che io riesca a
fare una bella intervista. Mi incuriosisce la sua
infanzia e soprattutto come mai fu costretta a sposarsi
per la prima volta a soli quattordici anni."
"La mia famiglia era di origini modeste, figlia di
immigrati portoghesi sono nata nella provincia di Santa
Caterina in Brasile, mio padre Benito faceva il
mandriano, ma morì giovane insieme a tre miei fratelli
maschi, così insieme a mia madre e due sorelle rimaste
sole e senza sostentamento, mi trasferii nella città di
Carniza con le speranza di trovare lavoro. Poco dopo mia
madre, che non riusciva a metter su il pranzo con la
cena e con i debiti che aumentavano giorno per giorno,
mi consigliò di sposare un calzolaio benestante della
cittadina di Laguna: il Sig. Manuel Durante de Aguiar.
Non le dico che tormento! Lui era molto più grande di me
ed aveva anche idee monarchiche… io odiavo i monarchici!
Pensi avevo solo quattordici anni ma già sentivo il
fuoco della rivoluzione. Meno male che solo dopo tre
anni di matrimonio Manuel si arruolò nell'esercito
imperiale, lasciandomi finalmente sola."
"A diciotto anni se non sbaglio incontrò un certo
Giuseppe Garibaldi l'amore della sua vita?"
"Quando ci incontrammo io e Josè restammo entrambi
silenziosi, ci guardavamo come se l'altro ci ricordasse
una persona sempre conosciuta. Lui veniva dall'Italia,
dall'altra parte del mondo! Era approdato con le sue
navi a Laguna per unirsi alla lotta di noi Repubblicani.
Anni dopo mi disse che mi aveva già vista con il
cannocchiale prima di salpare e che aveva fatto di tutto
per sapere chi fossi. Poi fece del tutto per incontrarmi
in casa di amici comuni per un caffè. Da quel giorno io
e Josè fummo una cosa sola. Io gli insegnai cosa
voleva dire andare a cavallo, non per vantarmi ma di
cavalli me ne intendo, e lui mi insegnò l'arte militare.
Così sono riuscita a stargli dietro per ben dieci anni."
"Certo che dobbiamo riconoscerle un bel
carattere e coraggio da vendere… cosa davvero insolita
per una donna dei suoi tempi. Come riusciva a far
convivere la sua femminilità combattendo come
responsabile delle munizioni dell'esercito
repubblicano?" "La femminilità la
trasmettevo con la passione per le cose che facevo
concedendomi corpo ed anima, ma soprattutto non
rinunciando mai ad essere donna anche nei momenti
peggiori. Amavo il mio uomo dimostrandole la mia
sensualità anche con il fucile in mano! Tentavo in
qualsiasi occasione di tenere alla cura della mia
persona per il minimo che mi era permesso, pettinavo i
miei lunghi capelli ogni sera sciogliendoli sopra i mie
seni affinché Josè ne fosse attratto e la mattina li
raccoglievo per potermi muovere meglio durante le
battaglie."
“Ci può raccontare cosa
avvenne durante la battaglia di Curitibanos? E’ vero che
fece breccia nel cuore di un comandante e questo le fu
utile per salvarsi la vita?" "Era il 1840,
venni fatta prigioniera, ma grazie al comandante nemico
che aveva per me un debole, forse dovuto anche a come mi
aveva vista combattere, gli feci credere che mio marito
era tra i caduti in battaglia e che gli sarei stata
grata per sempre se mi avesse dato il permesso di
cercarlo. Così fu. Il comandante mi accordò il permesso.
ma invece di cercare il cadavere afferrai al volo un
cavallo, complice la distrazione di alcune sentinelle, e
scappai via come un fulmine fino a che raggiunsi Josè al
campo di Vicaria nel Rio Grande Do Sul.
“Non le nascondo la mia ammirazione ma credo che tutto
questo comunque la abbia portato delle rinunce a dei
sacrifici, o sbaglio?” “Se ci sono state
rinunce non mi sono pesate perché non avrei voluto altra
vita di quella che ho vissuto: ho avuto un uomo
fantastico che mi amava, quattro figli stupendi, ma
soprattutto ho avuto modo di lottare per le idee che
avevo e per la libertà non solo del mio paese. Come mio
marito ho combattuto dove c’era bisogno di me dove era
necessario far finire i soprusi sulla povera gente,
credo e credevo nella rivoluzione come unica arma per
raggiungere la libertà anche se questa porta con se
morte e distruzione, non si può sperare di cambiare le
cose senza combattere, senza dolore.
“E’
vero che riuscì a fuggire una seconda volta agli
imperialisti?" “Sì, fu dopo la nascita del
mio primo figlio Menotti. Può immaginare perché Josè lo
volle chiamare così. Ero in casa con il piccolo quando
mi accorsi di essere circondata a quel punto mi restava
solo una cosa: presi Menotti e me lo legai al seno poi
come un diavolo presi il mio cavallo e scappai in mezzo
al fuoco nemico raggiungendo il bosco dove rimasi per
ben quattro giorni fino a che arrivò Josè a portarmi
via.
“Ci racconti i sette anni dopo aver
lasciato l’esercito repubblicano." “Beh che
dire, sicuramente furono anni bellissimi perché mi sono
finalmente sposata con l’uomo che amavo, perché ho dato
alla luce altri due figli, ma furono anche anni tristi
perché spesso Josè andava in Italia e durante uno dei
suoi viaggi morì Rosita la mia bambina di due anni.
Si interrompe un attimo. Il suo piglio è
ancora duro ma nonostante tutto una lacrima scende da
sola e lei si appresta ad asciugarla cercando di
nascondere la sua debolezza di madre. Cerco di distrarmi
sul mio notes per non invadere quel momento così intimo
di tristezza.
“Dopo la morte della mia
bambina e la nascita della terza figlia, Teresita,
decisi di raggiungere Josè in Italia. Avevo bisogno di
stargli vicino, di lottare con lui per l’unità d’Italia.
Lottai fino alla fine dei miei giorni, il mio spirito
era indomito, ma il mio corpo mi abbandonò anche perché
avevo appena partorito il mio ultimo figlio Ricciotti
Garibaldi e durante il travaglio avevo nascosto il mio
patimento perché eravamo in fuga dai franco-austriaci
che avevano invaso Roma sconfiggendoci sul Granicolo.”
“E poi?” “Arrivai a Ravenna in
fin di vita con una febbre che mi tolse anche la
ragione. Josè restò vicino a me fino alla fine dei miei
ultimi respiri. Ricorderò sempre come mi stringeva i
polsi per riuscire a percepire quel poco di vita che
poteva ancora essere in me. Il mio Josè ne uscì
distrutto. Anche se aveva avuto altre donne, altri
figli, sono certa che per il mio Josè sono stata l’unica
donna importante della sua vita. L’unica che ha amato
veramente. Questa convinzione mi ha confortato nel dover
lasciare la vita a soli 28 anni.
Mentre Anita
parla vedo in lontananza un uomo biondo con la barba che
si avvicina a cavallo. Ha il busto eretto un portamento
da perfetto cavallerizzo, la guardo di nuovo e vedo i
suoi stupendi occhi neri illuminarsi di gioia. Credo di
capire nel suo sguardo chi possa essere quell’uomo e
soprattutto cos’è l’amore…
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INTERVISTA A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FONTI:
FOTO GOOGLE IMAGE
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