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AMARSI? CHE CASINO!
INTERVISTA IMPOSSIBILE
Claretta Petacci
Ne sarà valsa la pena?
Clara Petacci detta Claretta, vero nome
Clarice, è nota per essere stata l’amante di Benito Mussolini, da
lei idolatrato fin dall'infanzia. Per amore volle seguirlo fino
all’ultimo, fino alla tragica morte. Aveva 33 anni e non importa se
taluni la considerano solo una povera vittima mentre altri solo
un’amante perché lei, fosse solo per l'epilogo della sua vita, un
posto nella storia se lo è guadagnato eccome!
(Roma, 28/2/1912 -
Giulino di Mezzegra, 28/4/1945) .
Iniziamo dalle sue origini,
madame? Provengo da un'antica famiglia che vantava
origini aristocratiche, ma che socialmente apparteneva
all'alta borghesia romana. Sono figlia del medico
Francesco Saverio Petacci, archiatra di Pio XI e di
Giuseppina Persichetti, che proveniva da una famiglia
benestante di costruttori edili. Mio padre aveva un
carattere mite, riservato, amante del quieto vivere,
mentre mia madre era una donna energica ed ambiziosa.
Aveva due fratelli… Il maschio, Marcello,
studiava medicina, mentre mia sorella minore Myriam
aspirava a diventare una attrice.
Come fu la sua
adolescenza? Io ero la primogenita e sognavo per me
grandi cose. Studiavo violino e pianoforte con il
maestro Corrado Archibugi, mi interessavo di pittura e
sognavo di diventare attrice. Curavo il mio vestiario e
la mia persona, nuotavo, sciavo, giocavo a tennis. Amavo
l’arte e alle volte scrivevo poesie e mi dilettavo a
dipingere.
Insomma una ragazza della Roma-bene…
E come tutte nel mio ambiente ammiravo Mussolini. Lo
vedevo come un «grand'uomo» alle volte mitizzandolo come
un principe azzurro.
Facciamo un salto ed
arriviamo direttamente nel 1932? Già, avevo venti
anni quando conobbi per la prima volta Benito Mussolini.
Fu un incontro fortuito. Lo ricordo ancora, con la mia
famiglia e il mio fidanzato, il tenente dell'Aeronautica
Riccardo Federici, andammo, con la nostra macchina
targata Città del Vaticano e guidata da un autista in
uniforme, a fare una gita ad Ostia. Ero vestita di
bianco ed appena scesa dall’auto, sulla rotonda, lo
vidi. Era un uomo affascinante dallo sguardo magnetico
consapevole del proprio fascino. Riuscii ad avvicinarmi
nonostante la sicurezza e imbarazzatissima gli dissi la
prima cosa che mi venne in mente, ovvero che tempo prima
avevo inviato a Palazzo Venezia un quaderno di poesie
dedicate a Lui, il Duce, ma che non avevo ottenuto
risposta. Lui vinse di ricordare ma in realtà mi stava
divorando con gli occhi.
Per lei un colpo di
fulmine… Stravedevo per lui sin da ragazzina e da
tempo gli inviavo montagne di lettere, purtroppo
intercettate e censurate dalla segretaria.
A quel
punto lui cosa fece? Tramite un sottoposto si fece
dare il mio numero di telefono. Comunque si vedeva che
era rimasto colpito dalla mia intraprendenza. L'
incontro finì con qualche frase di circostanza, e
sinceramente non speravo quasi più che quell’incontro
avesse un seguito quando Qualche giorno dopo squillò il
telefono di casa: “Posso parlare con la signorina Clara?
Sono quel signore di Ostia.” Sconvolta e balbettante,
seppi che Mussolini aveva ritrovato le mie poesie e mi
invitava a Palazzo Venezia per discuterne. Aveva trenta
anni più di me!
Quindi andò all’appuntamento?
Ovvio! Ci andai accompagnata dalla madre fino al
portone. Salendo quelle scale da sola tremavo
dall’emozione, lui mi fissava in modo strano. Poi mi
disse: “Lo sapete che quella notte non ho dormito
pensando a voi?” E aggiunse che ero molto giovane ed
avevo la stessa età di sua figlia Edda. Poi ci rivedemmo
più volte durante i mesi che seguirono.
Lei era
sempre fidanzata con il tenente Federici, immagino…
Divenni sua moglie nel 1934 e vissi con lui a Orbetello,
ma quel matrimonio fu un vero disastro. Del resto lui
non mi risparmiava le sue scene di gelosia e ad un certo
punto decise di andare volontario in Africa ed al
ritorno, nominato da Mussolini addetto aeronautico a
Tokyo partì chiedendo la separazione legale.
Quindi libera di frequentare il Duce! Ero una moglie
separata e ripresi le mie visite a Palazzo Venezia sotto
forma di “udienze” che lui mi concedeva nel suo studio
di Capo del Governo, ma prima che lui si decidesse
convocò mia madre e, guardandola negli occhi, le chiese:
«Signora, mi permettete di amare Clara?». Solo a
permesso accordato la passione raggiunse il suo
traguardo.
Ma anche il duce era sposato… Lui
era sposato dal 1915 con rito civile e dal 1925 con rito
religioso. Sua moglie, Rachele Guidi, l’aveva conosciuta
già dall'infanzia.
Lei era al corrente delle sue
numerose amanti? Quelle importanti erano storie
vecchie e passate come quella con Ida Dalser. Quando ci
mettemmo insieme aveva da poco concluso una lunga
relazione con Margherita Sarfatti, donna della borghesia
veneziana di origine ebrea.
E’ vero che
nell’intimità lo chiamava Imperatore e alle volte
Cesare? Lui era il mio universo, la mia luce, il mio
senso della vita. Anche nei momenti di tristezza e di
rabbia, lo consideravo un essere superiore, una
divinità. Ed io la sua ombra.
Politicamente era
d’accordo con le sue scelte? Della politica non me ne
fregava assolutamente nulla. Io ero innamorata dell’uomo
quello forte e quello bisognoso ed insicuro, quello
narcisista e quello in preda ad attacchi d’ira. Benché
ci fossero trent’anni di differenza lui s’affidava a me
come un bambino.
Era un bugiardo vero? Direi
incallito perché non era in grado egli stesso di
riconoscere una menzogna. Mi giurava la sua fedeltà
anche quando c’erano prove evidenti di tradimento.
Si racconta che lei lo aspettasse pazientemente ogni
giorno alle volte inutilmente… Per più di sette anni
fu una relazione intensa. Ogni giorno mi recavo a
Palazzo Venezia e, passando da una porta posteriore,
salivo nel suo appartamento, che era poi una camera con
bagno. Mi mettevo in vestaglia e restavo fino a sera ad
ascoltare dischi e a leggere libri, in attesa che Lui
trovasse, tra un impegno e l'altro, il tempo per fare
l'amore con me. Alle volte non riusciva a raggiungermi
per impegni di Stato. Ero comunque gelosissima ma
consapevole di essere una donna fortunata ed invidiata.
Stare con un uomo così importante e pieno di fascino
comportava sicuramente degli onori ma anche dei rischi.
E la domenica? Quando non aveva impegni di
famiglia andavamo d’estate a fare il bagno sulla
spiaggia privata di Castelporziano portandoci dietro mia
sorella Myriam per salvare le apparenze. D' inverno,
invece, andavamo a sciare al Terminillo, dove l'Albergo
Impero teneva sempre a nostra disposizione le stanze
migliori: singola per Myriam, matrimoniale per noi.
Era felice? Avevo conquistato il mio idolo e ne
ero innamorata e mi sentivo al settimo cielo quando lui
mi chiedeva un parere, o m'incaricava di leggere i
giornali stranieri e di segnare gli articoli
interessanti.
Pretese mai che Mussolini lasciasse
sua moglie? Amavo Benito, per lui mi separai
ufficialmente da mio marito nel 1936, quattro anni dopo.
Non pretesi mai, dico mai, di essere la sua donna
ufficiale mi accontentavo di essere la sua compagna
segreta e di condividere con lui i momenti più intensi.
Anche se soffrivo quando lui partiva per i viaggi di
Stato. Restavo appesa al telefono ad aspettare una
chiamata che spesso non veniva. E questo ovviamente mi
provocava accessi di gelosia furibonda.
In quei
sette anni ci fu anche un brutto momento tra di voi…
Rimasi incinta e abortii non senza qualche
complicazione. Ma le sue attenzioni mi ripagarono della
sofferenza fisica e psichica e tutto ricominciò come
prima.
La notizia della vostra relazione corse
veloce lungo i corridoi del Potere! Diversi gerarchi
del fascismo non vedevano di buon occhio la nostra
relazione per quanto segretamente tollerata da donna
Rachele. La consideravano inopportuna e scandalosa.
Ci furono accuse di favoritismi e corruzione… Beh
ero pur sempre la donna del duce no? Ed era naturale che
ricevessi dei favori e vivessi in un posto appropriato e
di conseguenza ne fosse favorita anche la mia famiglia.
Ci parli di Villa Camilluccia… Ci trasferimmo in
quella villa verso la fine del 1939. Un regalo splendido
di Benito! Era enorme divisa in 32 locali distribuiti su
due piani. Nel sottosuolo, come nella residenza del duce
di Villa Torlonia, era ricavato un rifugio antiaereo,
mentre nell'ampio parco si perdevano nel verde una
piscina, un campo da tennis, un giardino fiorito che
curavo personalmente.
Ma nel parco c’era anche
una dependance… o meglio la vostra alcova… L’avevo
arredata personalmente. Il bagno era rivestito di marmo
nero con una vasca molto grande nel centro, tipo le
vasche termali romane, mentre la camera da letto era
arredata da specchi e mobili color rosa.
Che fine
ha fatto quella villa? Dopo la caduta del fascismo fu
confiscata e poi demolita per far posto ad un complesso
di edifici che ospitano le ambasciate dell'Iraq presso
l'Italia e il Vaticano
Arriviamo a Luglio del
1943 ovvero la caduta del fascismo… Purtroppo la mia
storia personale è legata a quella dell’Italia. Venni
arrestata, ma poi quando i tedeschi mi liberarono il 9
settembre, chiesi solo di poter tornare al fianco del
mio uomo.
Insieme alla sua famiglia abbandonò
Roma… Ci trasferimmo al Nord, ritenuto più sicuro
poiché controllato dalle forze tedesche. Mi trasferii
dapprima in una villa a Gardone, non lontano dalla
residenza di Benito e dalla sede del governo
repubblicano a Salò e poi a Milano.
Quindi
tornaste insieme… L’uomo che ritrovai non era più
quello di prima. Era imbarazzato e quasi infastidito
dalle mie attenzioni. La nostra storia era stata resa
pubblica e le rimostranze di donna Rachele lo rendevano
incerto e quasi vergognoso. Gli rimasi comunque accanto
nonostante un violento litigio con sua moglie.
Dopo qualche mese la sua famiglia volò a Barcellona,
come mai lei rimase lì? Non avrei mai potuto lasciare
Benito da solo. Lo amavo troppo. Su insistenza dei
tedeschi dovetti però abbandonare la villa sul Garda e
mi trasferii al Vittoriale, dove rimasi completamente
isolata. Mia sorella Myriam intanto era riuscita a
strappare alle autorità spagnole la promessa dell’asilo
a tutta la mia famiglia.
Lei cosa fece? Era il
21 aprile 1945, nonostante Benito mi avesse ingiunto di
fermarmi al Vittoriale, disobbedii e raggiunsi
segretamente a Milano.
Ma Milano non era più
sicura… Infatti tentammo di riparare in Svizzera
nascosti in una colonna di automezzi tedeschi, ma fummo
bloccati a Dongo da una brigata partigiana.
Dicono che anche in quel caso le fu offerta una via di
scampo… Che importanza ha tutto questo? Ripeto, mai e
poi mai lo avrei lasciato.
Poi cosa successe?
Venimmo catturati e nascosti in un casolare. Quella fu
l’ultima notte che passammo insieme. La mattina seguente
qualcuno arrivò alla cascina dicendo d’essere venuto per
liberarci e che avremmo dovuto seguirlo.
Ci
credeste? Per un attimo sì, del resto non avevamo
altra speranza. Ci fecero salire su una macchina, ma
vicino ad un frutteto con un cancello chiuso fummo fatti
scendere. Benito aveva un soprabito color nocciola, io
ero impacciata per via delle scarpe di camoscio nero con
i tacchi alti. Camminammo per un breve tratto poi ci
ordinarono di fermarci davanti all'ingresso di una villa
di Giulino di Mezzegra, dove partirono le raffiche di
mitra…
Erano le 16,10 del 28 Aprile 1945
Mussolini e Clara furono fucilati, sebbene su Clara non
pendesse alcuna condanna. Si racconta che Clara provò a
proteggere Mussolini con il proprio corpo. I loro corpi,
dopo essere stati oltraggiati dalla folla, furono
esposti a Milano in Piazzale Loreto, appesi per i piedi
alla pensilina del distributore di carburante Esso.
Don Pollarolo, cappellano dei partigiani, non appena
comprese che c'era l'intenzione di appendere per i piedi
anche il cadavere della Petacci alla pensilina, chiese a
una donna presente tra la folla, una spilla da balia per
fissare la gonna. Tale soluzione si rivelò però
inefficace e così intervennero i pompieri e mantennero
ferma la gonna con una corda.
Clara Petacci,
forse per la nobile scelta di restare insieme al suo
uomo, anche nella tragedia più cupa, resterà per sempre
al di sopra di ogni giudizio politico sul fascismo. Da
questo legame non ha ottenuto nulla per sé, a parte le
continue mortificazioni e la tragica fine. Come una
qualsiasi amante è stata costretta a nascondersi e non
ha vissuto il suo amore alla luce del giorno. Accusata e
offesa persino dalle varie spasimanti del duce. Ne sarà
valsa la pena?
FINE
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ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
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.http:/www.ripensandoci.com http://biografieonline.it
http://it.wikipedia.org
http://xoomer.virgilio.it/parmanelweb/petacci.htm Giovanni
Cavallotti per “il Giornale”
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