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INTERVISTA IMPOSSIBILE
 
 

 

Dora Maar
L'Amante di Pablo
Henriette Théodora Markovič, in arte Dora Maar, fotografa e pittrice famosa per essere stata l’amante di Pablo Picasso
  (Tours, 22 novembre 1907 - Parigi, 16 luglio 1997)


 
Madame lei nasce in Francia…
Nacqui a Tours, mia madre era francese e mio padre croato. Vissi in famiglia fino a 18 anni poi mi trasferii a Parigi per frequentare l’Ecole Photographique Passy, e l’Ecole d’Art Décoratif Julian

Come mai cambiò nome?
Incontrati Cartier-Bresson nello studio del pittore André Lhote il quale mi suggerì di abbreviare il mio nome.
Nacque così Dora Maar.

Si sentiva già un’artista?
Le riviste parigine, tra le quali Madame Figaro, avevano cominciato a pubblicare le mie prime foto. Con l’aiuto del fotografo ungherese Brassaï avevo aperto un mio studio fotografico. Agli inizi operavo nel settore moda e della pubblicità ,ma divenni famosa per le mie istantanee con la Rollei che ritraevano la mondanità francese

Ebbe modo così di frequentare artisti famosi…
Divenni la compagna del regista Louis Chavance e in seguito del poeta Georges Bataille, nel frattempo frequentavo una cerchia di artisti surrealisti e conobbi Breton, Eluard, Leiris e Man Ray.

Come l’accolsero?
Direi piuttosto bene, presi parte all’attività del gruppo con alcune foto e fotomontaggi; ritoccavo i negativi, utilizzavo solarizzazioni, collage, fotomontaggi e sovrapposizioni.

Divenne anche modella, vero?
Posai per Man Ray e Rogi André.

Nel gennaio del 1936, al Caffè les Deux Magots, un luogo di incontro per artisti e scrittori, Paul Eluard le presentò Pablo Picasso...
Pablo mi vide mentre giocherellavo con un coltello che lasciavo ricadere tra le dita aperte della mia mano, appoggiata su uno dei tavoli del caffè, come in una parodia di roulette russa sbagliai un colpo e i miei guanti si tinsero di rosso. Pensi che nella vetrinetta dello studio, dove Picasso conserverà i suoi ricordi, c'è ancora in bella mostra quel paio di guanti neri a fiorellini rosa.

Immagino che Picasso la raggiunse al suo tavolo…
Dopo essermi ferita mi tolsi i guanti e Pablo notò le mie unghie laccate di rosso. In quel gioco masochista mi domandò quali fossero stati i colpi giusti, ovvero quelli che mi avevano ferito o gli altri…

Lei aveva ventotto anni…
...E Pablo cinquantaquattro con il suo caratteristico ciuffo beffardo sulla fronte. In quel periodo Picasso si trovava in bilico tra il naufragio del suo matrimonio con un'aristocratica danzatrice di balletti russi, Olga, e il declino della sua relazione con la sua amante Marie-Thérèse Walter, che lo amava pur detestando i suoi quadri. E per complicare ancora più le cose, aveva appena avuto una figlia da Marie Therese.

E tra voi?
Condividevamo gli stessi ideali politici, entrambi di estrema sinistra. Ne rimasi affascinata e anche a lui feci lo stesso effetto. Mi arresi senza resistere e diventammo ben presto amici ed amanti.

Cosa successe?
Lui, per un anno smise di dipingere e iniziò a scrivere poesie, mentre io smisi di fotografare e iniziai a dipingere. Fu una sorta di connubio artistico, creammo insieme un numero incredibile tra fotografie, dipinti, disegni e poesie. Pablo mi ritraeva in diverse pose, io lo fotografavo durante il lavoro. La nostra relazione era sublime, passionale, piena di affinità artistiche e intellettuali, ma anche molto tormentata, a causa del carattere difficile di Pablo.

La ritrasse in varie opere…
La donna che piange, la donna con il gatto, la donna con il cappello, con il volto deformato da spigoli e diagonali, occhi sbarrati e spiritati… ecco quella sono io! Sono la donna verde dei quadri del genio, sono l’idea stessa del dolore: il mio, il suo, il dolore del mondo.

Il 1936 fu un anno particolare…
Trascorremmo insieme un’estate felice, splendida, che sfociò in un periodo assai fecondo sul piano artistico: Pablo iniziò a dipingere Guernica, una trasposizione pittorica contro le crudeltà della guerra e testimonianza delle atrocità subite dalla popolazione civile spagnola durante i bombardamenti.

E lei?
Ero al suo fianco, solo io potevo fotografarlo e lo feci di continuo, riprendendolo solo, mentre lavorava, mentre stava con gli amici. Sono l’unica testimone delle varie fasi del dipinto e della sua evoluzione. Fotografai tutte le fasi della progettazione, gestazione, e realizzazione di Guernica facendone un diario fotografico unico che costituisce ancora oggi un dossier prezioso e famosissimo.

Ma lui non troncò mai definitivamente la relazione con Marie Therese?
Era la madre di suo figlio e poi Pablo era stato sempre allergico a ogni tipo di rottura. Identificava la rottura con la morte. Sistemò Marie Thérèse in un sobborgo e si dedicò completamente a me anche se non mancò mai di scriverle lettere infuocate e passionali.

In quale modo si dedicò a lei?
Oddio... Pablo era un tipo molto particolare, lui divideva le donne in due categorie: dee e pezze da piedi, e godeva a farle precipitare da una categoria all'altra.

Cosa le diceva per umiliarla…
Ero vittima del suo genio creativo. Alle volte mi diceva: “Sei troppo alta, troppo bella, troppo libera...” e per indebolirmi, mi convinse ad abbandonare la fotografia per la pittura, dove lui dominava indiscutibilmente il campo. Subivo quotidianamente le sue critiche impietose. Gli piaceva umiliarmi facendomi ingelosire. Dipingeva Marie Thérèse con i miei vestiti, oppure mi dipingeva piangente. Ed io ne ero addolorata ma allo stesso tempo affascinata.. quasi un gioco di autodistruzione. Una volta confessai a Eluard: “Solo io so quello che lui è… Pablo è uno strumento di morte, non è un uomo, è una malattia”.

Spesso la picchiava vero?
Eh già, mi picchiava fino a farmi svenire. Lui sosteneva che le donne erano macchine per soffrire. Andammo avanti per qualche mese poi caddi in una grave depressione. Ma Pablo andava in giro dichiarando ai suoi amici: «Era pazza molto prima di diventare pazza!»,

Non finirono qui le crudeltà di Picasso…
Si divertiva a farmi incontrare il suo nuovo amore, la giovanissima Françoise Gilot e un giorno per abbattere le sue resistenze e portarsela a letto mi costrinse persino a dichiarare, di fronte a lei, che tra noi due tutto era finito.

Quindi Françoise Gilot divenne la sua nuova amante…
Non solo.. quando Francoise rimase incinta, lui la esibì in pubblico fiero di quella gravidanza!

E lei?
Ne soffrivo, anche perché ero sterile. Mi ripetevo “Io sono per lui l’aridità, il deserto, io sono il luogo dove si getta il seme e non fiorisce “.

Nel 1943 avvenne la rottura definitiva…
...E nel 1946 venni ricoverata in una clinica psichiatrica e sottoposta ad elettroshock. Tempo dopo lo psicanalista Jacques Lacan mi prese in cura e riuscì, se non a guarirmi, a farmi convivere con la malattia. Ormai vestivo solo di nero e passavo lunghi periodi in estrema solitudine.

Si convertì al cattolicesimo…
Nella mia follia mi ripetevo: «Dopo Picasso c'è solo Dio».

Incontrò ancora Picasso?
Lo rividi un’unica volta, nel 1954, nel castello di Douglas Duncan. Anche in quell’occasione mi disse che ero una persona molto fragile dando la colpa per il mio stato all'irrazionalismo dei surrealisti che, secondo lui, mi aveva spinto verso la follia. «La vita, commentava, è fatta così, elimina automaticamente i disadattati».

Quattro anni dopo la morte di Picasso, Marie-Thérèse si impiccò. Tredici anni dopo Jacqueline, l'ultima compagna, si sparò alla tempia. Dora sopravvisse a Picasso, chiusa nel suo appartamento tra le opere dell'amato. Più tardi lei stessa confermerà: “Ho migliaia di ritratti fatti da lui, ma nessuno è Dora Maar. Sono tutti Picasso.”
Muore a Parigi il 16 luglio 1997, in una casa per anziani, senza lasciare eredi. Nel ricovero in cui è ospitata le suore che l’accudiscono non sanno neppure chi sia. Una contadina iugoslava, lontana parente della Maar, non conoscendo Picasso, rinunciò all'eredità che consisteva in centinaia di schizzi e dipinti del maestro.
Riassumendo il loro legame, aveva detto: «Io non sono stata l'amante di Picasso. Lui era soltanto il mio padrone».

“Si avvertiva immediatamente quando ci si trovava in sua presenza che quella non era una donna comune. Non era bella in senso classico, ma era un tipo che non si dimenticava facilmente. C’era nei suoi occhi una luce, uno sguardo straordinariamente luminoso, limpido come il cielo di primavera. Aveva una bella voce, una voce singolare, unica. Non ho mai conosciuto nessun altro con una voce come la sua. Era come un gorgheggio nel canto degli uccelli.”
Chi scrive è James Lord, lei è Henriette Theodora Markovich


 







INTERVISTA A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FONTI:
http://www.artericerca.com
http://www.albumdiadele.it/cammino/dora_maar.htm
http://www.ilsole24ore.com
FOTO GOOGLE IMAGE






 
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