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INTERVISTA
IMPOSSIBILE
Eleonora Duse
La passione che divora
Considerata una fra le più grandi
attrici teatrali di tutti i tempi, Eleonora Duse ha rappresentato
con la sua profonda sensibilità recitativa opere di D’Annunzio,
Verga, Dumas ed Ibsen. Nasce in una camera d’albergo dove la
madre, un’attrice itinerante, si ferma per partorirla (Vigevano, 3 ottobre 1858 –
Pittsburgh, 21 aprile 1924)
Alla fine d'ogni tempo Andrea si chinava verso di
lei per legger nel programma ch'ella teneva spiegato fra
le mani; e, nell'atto, le premeva il braccio, sentiva
l'odore delle viole, le comunicava un brivido di
delizia...." (Il Piacere, Libro III, cap. 3)
Eleonora Duse nasce il 3 Ottobre del 1858 in una camera
d’albergo di Vigevano, in provincia di Pavia, dove la
madre, un’attrice itinerante, si ferma per partorirla.
La piccola Eleonora sale per la prima volta sul palco a
soli quattro anni, interpretando il ruolo di Cosetta in
una riduzione scenica de “I Miserabili” di Victor Hugo.
Nel 1870, a dodici anni, sostituisce la madre malata
nei ruoli da protagonista interpretando Francesca da
Rimini e Pia Dè Tolomei. Il primo grande successo lo
ottiene nel 1879 interpretando Teresa Raquin di Zola.
A partire dal 1880, dopo l’incontro con l’attrice
rivale Sarah Bernhardt, la sua fama cresce notevolmente
anche all’estero. Nel 1881 sposa un attore della sua
compagnia ma l’unione, dalla quale nasce una bambina, si
rivela presto infelice.
Tra i suoi maggiori
successi si annoverano “La Signora delle Camelie” di
Dumas, “La Cavalleria Rusticana” di Verga, “Antonio e
Cleopatra” di Shakespeare, “Casa di Bambola” di Ibsen.
Attrice sensibilissima, sceglie di rafforzare con la
cultura le sue doti innate. A trentasei anni si lega
sentimentalmente a Gabriele D’Annunzio ed interpreta i
drammi che lui scrive appositamente per lei. Eleonora
recita, guadagna e si indebita pur di portare in scena
le fallimentari opere teatrali del suo amato che però
sperpera il denaro alle sue spalle vivendo nel lusso più
sfrenato. E’ qui di fronte a me, questa donna che è
diventata un mito. Se ne sta lì seduta, con
quell’espressione assorta ed imperscrutabile. Tiene
nella mano sinistra un fiore, credo sia una camelia, ci
giocherella distrattamente, quasi fosse sopra pensiero.
Confesso che ho un po’ di timore a rompere il silenzio
che ci avvolge.
Eleonora, vorrebbe raccontarmi
della sua difficile infanzia? Quali sono i suoi ricordi
più struggenti? Ecco l’ho fatto… Pronunciando la
prima domanda ho spezzato quel silenzio perfetto. Lei
non sembra turbata e mi risponde senza distogliere lo
sguardo dal piccolo fiore che tiene ancora fra le mani.
Inaspettatamente sorride, ma è un sorriso amaro. Sono
figlia d’arte, i miei genitori erano attori itineranti e
a cinque anni avevo già veduto moltissimi luoghi. Non ci
fermavamo mai, la nostra unica casa era il palcoscenico.
Era una vita difficile, soprattutto per una bambina.
Immagino che fosse quasi inevitabile per lei
divenire un’attrice, essendo cresciuta in
quell’ambiente… Non avrei potuto essere nient’altro.
Ho vissuto per il teatro ed il teatro mi ha plasmata
dando senso alla mia vita.
Vorrebbe raccontarmi
del suo esordio sulle scene? Avevo soltanto quattro
anni quando calcai le scene per la prima volta, ma il
ricordo è nitido ed indelebile. Recitai il ruolo di
Cosetta nella trasposizione scenica dei Miserabili di
Hugo e per farmi piangere come richiesto dal copione mi
bacchettarono ripetutamente le gambe. Se chiudo gli
occhi posso sentire ancora quelle fitte pungenti. In
quel momento ho imparato che il teatro è passione e
gioia ma anche e soprattutto sacrificio e sangue.
Quando invece recitò per la prima volta da
protagonista? Accadde in modo inaspettato, quando mia
madre si ammalò ed io dovetti sostituirla. Ricordo
che la paura mi divorava prima di entrare in scena ma
una volta sul palco Eleonora non esisteva più, esisteva
soltanto il personaggio che interpretavo. Prima
Francesca da Rimini, poi Pia Dè Tolomei, poi tutte le
altre. Io ero ognuna di quelle donne.
Dunque
quando recitava la separazione tra donna ed attrice
sfumava e l’immedesimazione era pressochè totale…
Quelle povere donne delle mie commedie mi sono talmente
entrate nel cuore e nella testa che mentre io
m'ingegnavo di farle capire al meglio a quelli che
m'ascoltavano, quasi volessi confortarle, sono esse che
adagio adagio hanno finito per confortare me.
Per
quale ragione non si truccava mai in scena? Perché io
non ho mai avuto bisogno di orpelli o di maschere. La
mia recitazione veniva dall’anima, senza filtri,
emergeva dal profondo e si traduceva nella mimica del
viso, nel saper giocare con le espressioni e nel non
aver paura dei segni del tempo. Mi sono battuta tutta la
vita per un teatro più vero, un teatro “senza trucco”,
purificato e naturale, proprio come ero io quando salivo
sul palco senza il belletto.
E’ vero che lei non
disdegnava affatto il viola? A differenza della quasi
totalità delle mie colleghe attrici io non sono mai
stata scaramantica. Il viola è in effetti un colore come
tutti gli altri.
Mi dica una cosa che ama, la
prima che le viene in mente. Amo i fiori, amo
spargerli sul palcoscenico, amo indossarli appuntati sui
vestiti. Amo le viole.
Posa nuovamente lo
sguardo sulla piccola camelia sorridendo
impercettibilmente, poi chiude gli occhi inalandone
l’intenso profumo. Stacca i petali, uno alla volta, con
estrema lentezza, osservandoli scendere a terra e
depositarsi ai suoi piedi. Appoggia i gomiti sulle
ginocchia come a volte faceva anche in scena, senza
timore di sembrare sfrontata, quindi mi guarda
attendendo una nuova domanda.
Si dice che aver
amato l’uomo sbagliato abbia segnato la sua vita per
sempre. Cosa vuole raccontare del suo difficile legame
sentimentale con Gabriele D’Annunzio? Non esistono
uomini sbagliati. Esiste l’amore. Esiste la passione. Ho
amato un uomo crudele ed immorale ma non me ne pento,
perché non ho avuto scelta.
Come vi conosceste?
Vi fu un primo contatto epistolare e qualche tempo dopo,
nel 1894, l’incontro fatale a Venezia.
Cosa provò
durante quel primo incontro? Rimasi incantata. E mi
resi conto che la mia vita sarebbe cambiata per sempre.
Poi cosa accadde? Mi lasciai travolgere dalla
passione, totalmente. Lasciai che quel legame fatto
d’amore e di arte assorbisse ogni mia energia. Solo
molto tempo dopo trovai il coraggio di staccarmi da lui,
esasperata dal suo egoismo, dalla sua presunzione e dai
suoi ripetuti tradimenti.
Come definirebbe il
vostro rapporto? Distruttivo, profondo, ambivalente.
Non avrei mai potuto amare nessun altro così totalmente,
perciò ho lasciato che mi ferisse rinunciando alle mie
difese.
Cosa amava di lui? Amavo ogni cosa di
lui. Anche il suo sarcasmo, la sua ambizione, i suoi
pensieri deliranti. Sono sempre stata consapevole della
negatività che emanava, eppure non potevo fare a meno di
lui.
Quale fu il suo peggiore affronto? Furono
molti gli affronti che dovetti subire. Quando scrisse il
romanzo autobiografico “Fuoco” mise in piazza la nostra
relazione rendendo pubblici anche i momenti più intimi e
privati. Ma fu il tradimento artistico che mi costrinse
ad allontanarmi per sempre da lui: affidò il ruolo
principale ne “La città morta” alla mia rivale, Sarah
Bernhardt. E non si fermò lì. Mi tolse anche la parte
della protagonista ne “La Figlia di Iorio” che aveva
scritto appositamente per me, proprio quando stavo per
portarla in scena. Mi mandò un fattorino al quale
dovetti riconsegnare il costume e che mi lasciò un
biglietto…
Cosa c’era scritto in quel biglietto?
“Il teatro è un mostro che divora i suoi figli: devi
lasciarti divorare”.
Fu molto crudele! E mi
dispiace davvero per lei, non è una frase di
circostanza. Trovo profondamente ingiusto che una donna
così straordinaria abbia dovuto subire tutte quelle
umiliazioni proprio dall’uomo che amava. E’ forse questo
l’amore? Lasciarsi distruggere dall’altro? Ma metto
subito da parte le mie considerazioni e mi rivolgo di
nuovo a lei per porle l’ultima domanda.
Riuscì
mai a perdonarlo? Alla fine lo perdonai. Gli perdonai
di avermi sfruttata, rovinata e umiliata oltre ogni
limite. Gli perdonai tutto, perché avevo amato.
Francesca Panzacchi
Nel 1909 il ritiro
dalle scene: dopo la rottura del legame con D’Annunzio
la Duse si tiene lontana dal palcoscenico per più di
dieci anni. Riappare recitando nell’unico film
“Cenere”, che ha però scarso successo. Torna al teatro
soltanto nel 1921 con “La donna del mare”. Si spegne
nel 1923 a causa di una polmonite contratta mentre era
in tournée negli Stati Uniti. Quanto a D’annunzio,
devastato dai rimorsi, fece portare in Italia le spoglie
dell’attrice pronunciando una frase inaspettata quanto
veritiera: “E’ morta quella che non meritai”. E’
sepolta ad Asolo, in provincia di Treviso.l
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INTERVISTA A CURA DI FRANCESCA PANZACCHI
FONTI:
FOTO GOOGLE IMAGE
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