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INTERVISTA
IMPOSSIBILE
Lucille Fay LeSueur in arte
Joan Crawford
Adoro interpretare le
prostitute
"C'è un po' di prostituta in ogni donna.
E molto in ogni uomo."
(San Antonio, Texas, 23 marzo 1904 - New York, 10 maggio 1977)
Alta e di bell'aspetto è stata una
delle più famose, ambiziose e affascinanti attrici
statunitensi, vincitrice di un premio Oscar.
Dall’ampia vetrata s’intravedono i grigi grattacieli di
Manhattan. Fuori sta nevicando. Joan è seduta sul divano
stretta nel suo ampio cappotto. Chiama la reception e
parla con un addetto. Nonostante io stia sudando lei
urla al telefono che ha freddo. Sa di essere diva e
si comporta come tale. L’addetto dell’hotel si
precipita, ma non c’è soluzione alle sue richieste.
“Qui a Manhattan non ci sono più i servizi di una volta.
Ai miei tempi in questi alberghi esclusivi ti sentivi
una regina. La prego iniziamo subito l’intervista. Le
posso concedere solo un quarto d’ora. Devo presenziare
un party di beneficenza al Central Park. La MGM vuole
consegnarmi l’ennesimo premio.” Prendo il mio
blocco note dalla borsa e inizio subito l’intervista.
Con me sembra abbastanza disponibile e non vorrei che
cambiasse umore e si rivolgesse a me come ha trattato
poco prima il fattorino.
Dalla sua
biografia leggo un’infanzia piuttosto difficile ed uno
sfrenato amore per il ballo. Mia madre Anne
venne abbandonata dal marito prima che nascessi. Si
risposò anni dopo con un gestore di un piccolo teatro di
provincia a Lawton in Oklahoma.
È qui che
lei inizia ad amare la danza? Volevo fare la
ballerina nonostante avessi difficoltà a camminare per
via di un taglio al piede con una bottiglia di vetro che
mi aveva reciso il muscolo e i tendini.
Nel 1917 la sua famiglia si trasferisce a Kansas City...
Sono stata costretta dalla vita a cavarmela sempre da
sola. A 16 anni frequentai, come studentessa
lavoratrice, il college femminile di Columbia in
Missouri. Prende una sigaretta e la infila in un
bocchino lungo e nero. Aspira avidamente. Non ho mai
visto un fumo così denso!
Cosa le ricorda
“Innocent Eyes”? Una rivista musicale in
scena a Broadway dove debuttai come ballerina di fila.
Proprio lì venni notata da un talent scout che mi
presentò alla Metro Goldwyn Mayer. Qui venni sottoposta
ad estenuanti provini. Toccai il cielo con un dito
quando mi fecero firmare un contratto di ben cinque
anni!
Ad Hollywood Lucille Fay LeSueur
diventa Joan Crawford. Posso chiederle come avvenne la
scelta del nome? Avevo già debuttato al
cinema con piccole parti da controfigura e ruoli minori.
Il nome d’arte di Joan Crawford venne adottato sulla
base di un concorso popolare con tanto di premio finale
indetto dalla stessa Metro Goldwyn Mayer
Stava nascendo una stella? Vede, io non mi
sono mai accontentata nella vita! Al tempo avevo
ventiquattro anni e un carattere ambizioso che mi
spronava ad affinare la mia recitazione e soprattutto a
rendermi conto di quanta strada dovevo ancora percorrere
per lo scopo che mi ero prefissato. Anche le mie umili
origini furono sicuramente uno stimolo. Inizio a
sentirmi a mio agio. Prendo coraggio e sostengo il suo
sguardo. Gli occhi grandi ed espressivi, le labbra
carnose. Ora capisco i tanti uomini che hanno perso la
testa per lei..
Il 1928 fu il suo anno
fortunato… Eh sì… Nonostante il parere
contrario dei miei genitori sposai l'attore Douglas
Fairbanks Jr. che contribuì ad inserirmi definitivamente
nel mondo della celluloide. Douglas mi aprì le porte del
magico mondo di Hollywood, ottenendo il lasciapassare
per gli ambienti più esclusivi dell’alta società. Nello
stesso anno recitai una parte importante nel muto “Le
nostre sorelle di danza” (Our Dancing Daughters). In
questo film diedi tutta me stessa. Sapevo che era mia
occasione! Interpretavo una giovane ballerina dell'età
del jazz determinata a vivere la vita come meglio
credeva e ostinata quanto bastava per affrontare le
avversità della vita.
Si lasciò
definitivamente alle spalle la ragazza tenace ed
arrivista, ma allo stesso tempo ingenua. Col
tempo acquistai la consapevolezza del mio fascino, ma
soprattutto perfezionai la recitazione, rendendola
maggiormente ricca di sfaccettature.
Il
vero successo arriva qualche anno dopo… Con
il film Grand Hotel, dove interpreto una sensuale e
spregiudicata dattilografa che si lascia corteggiare da
un barone ladro. Rappresentavo una donna dolce e
femminile, ma anche indipendente e sfacciata. Insomma un
nuovo modello di donna che visto il successo replicai a
più riprese in una fortunata serie di commedie e
melodrammi, spesso al fianco di Clark Gable. Ricordo la
ragazza capricciosa e incostante in "La donna è mobile"
, che, abbandonata all'altare, riesce quasi a sbagliare
matrimonio due volte. Oppure la profumiera opportunista
in “Donne” che ruba il marito ad una donna dell'alta
borghesia.
Secondo lei a cosa doveva il
suo successo? Ero considerata un modello da
seguire per tutte le donne americane, perché ripeto
impersonavo personaggi di donne indipendenti e
sfrontate, legate ai sani valori americani che non si
lasciavano mettere i piedi in testa, ma usavano il loro
sex-appeal e la loro disinvoltura per farsi strada nella
vita e nel lavoro. In fondo, credo, ciò che
effettivamente ero nella realtà.
Nacque
così una nuova e più matura Joan Crawford.
Mi presentavo con le labbra carnose sottolineate
pesantemente da abbondante rossetto. Gli occhi truccati
per farli apparire più grandi e soprattutto la scelta
dei ruoli più audaci e passionali contribuirono in modo
significativo alla mia fama.
Il suo
matrimonio non durò molto? Per la prima
volta vedo nella sua espressione un attimo di
incertezza. Mi sposai per altre tre volte. Due
attori: Franchot Tone e Philip Terry e con Alfred
Steele, dirigente della Pepsi Cola alla quale prestai
più volte il volto per molti spot pubblicitari.
Quattro mariti e quattro figli…
Ormai diva affermata, trovai il tempo di dedicarmi alla
mia famiglia. Nel tempo adottai: Christina che chiamavo
affettuosamente Mommy Dearest (Mammina cara), Philip e
Cathy e Cindy che per me resteranno per sempre "le mie
gemelline".
Perché cambiò il nome a
Philip? Lo chiamai Christopher dopo il
divorzio da Philip Terry
Nel 1945 arrivò
finalmente l’Oscar con Mildred Pierce Fu una
gioia immensa. Lo vinsi come migliore attrice
impersonando una sofferta e sensibile donna divorziata
alle prese con le sue due figlie: una muore tragicamente
e l'altra dimostra uno spietato arrivismo. Avevo l’età
giusta per quel ruolo tanto da rappresentare il dolore
con toni realistici! Purtroppo non partecipai alla
premiazione perché fui costretta a letto da una grave
polmonite.
L’avvento della televisione la
penalizzò fortemente… I cinema cominciavano
a svuotarsi. Dopo un periodo alla Warner tornai alla MGM
dove mi esibii nel musical "La maschera e il cuore", in
cui, oltre a recitare e ballare, non faccio per
vantarmi, sfoggiai una silhouette ancora invidiabile.
La maschera tragica di Joan Crawford
nascondeva in realtà una forza di volontà senza pari…
Affrontavo con coraggio il passare del tempo mantenendo
sempre vivo il mio personaggio. Nel 1954 fu la volta
di "Johnny Guitar" e nel 1962 "Che fine ha fatto Baby
Jane?” diretto magicamente da Robert Aldrich Nel primo
ero l'audace proprietaria di un saloon nel western,
un'opera insolita che segna una svolta nel genere. Nel
secondo interpretavo un'ex-star del cinema paralitica,
vittima delle angherie della sorella pazza.
Nel 1970, si ritira dalle scene…
Dopo la morte del mio ultimo marito, Alfred Steele,
presi il suo posto nella dirigenza della Pepsi Cola.
Furono anni oscuri… Da tempo ero vittima di problemi
nervosi e da dipendenza di alcolici. Le mie continue
crisi depressive mi spinsero a dedicarmi attivamente ad
una setta religiosa.
Le luci della ribalta si
sono spente. E’ ora di chiudere il mio blocco note. Non
ci sono più domande da fare ad una donna che ha vissuto
da diva per tutta la vita. Joan Crawford si ammalò
di cancro allo stomaco e morì Il 10 maggio 1977 per
arresto cardiaco in completa solitudine nella sua casa
di New York. Nel testamento diseredò la figlia
Christine e il figlio Christopher (per i motivi che loro
sanno, scrisse) lasciando ogni sua sostanza alle altre
due figlie, Cindy e Cathy, le famose gemelline. Il
suo corpo riposa nel cimitero di Hartsdale, a New York.
L'anno dopo la sua morte, la figlia adottiva Christine,
amareggiata per esser stata esclusa dal testamento,
scrive un inquietante libro rivelatorio dal titolo
"Mammina Cara" (in originale "Mommie Dearest"), che dà
della Crawford un'immagine di donna e di madre poco
edificante. In breve tempo il libro diventa un
best-seller, e nel 1981 ne viene realizzata una
trasposizione cinematografica che si avvale della
splendida interpretazione di Faye Dunaway nella parte di
Joan Crawford. Con lei è scomparsa una delle ultime
vere stelle di Hollywood. |
INTERVISTA A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FONTI:
it.wikipedia.org/wiki/Joan_Crawford www.joancrawfordbest.com
www.mymovies.it biografie.leonardo.it
FOTO GOOGLE IMAGE
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