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INTERVISTA
IMPOSSIBILE
Kiki di Montparnasse
La donna che non ebbe
mai una sua camera da letto
Il suo vero nome era Alice Ernestine
Prin, la Reine de Montparnasse, l'incarnazione della schiettezza,
dell'audacia e della creatività. Amante e musa di Man Ray la
ritroviamo nella celebre foto: Violon d'Ingres. Ritratta come un
violoncello, il suo corpo diventa uno strumento da suonare, un
concetto molto lontano dalle idealizzazioni classiche. Ernest
Emingway disse di lei: "Kiki fu la regina di Montparnasse più di
quanto la regina Vittoria lo fosse dell'era vittoriana".
Chatillon-sur-Seine, 2 ottobre 1901 - Sanary-sur-Mer, 29 aprile 1953
Kiki che parla sotto un cappello di
paglia, è vestita d’estate di bianco e celeste, il suo
viso sa di impressionismo e d’Orsey, d’Olympia che
aspetta, di stazione rifatta, seduta sul bordo di Ile de
la Citè, dove la Senna apre le gambe, e sembra una donna
che ignara s’impregna, d’arte e cultura del centro del
mondo.
Niente a che vedere con l’arte ufficiale,
quella a comando di artisti ruffiani, quella del Louvre
ricco opulento, dei tanti Luigi al Palais de Royal.
E’ bella Kiki d’una bellezza sincera, a tratti volgare a
tratti indecente, come s’ama una donna di tutti e
nessuno, quando si è certi d’avere l’anima intatta, di
modella in balia dell’arte a pretesto, per scoprire le
gambe per un letto accogliente, per scoprire i suoi seni
per un brodo più caldo.
E’ lei la regina dei
primi anni Venti che infiamma le voglie della Paris
bohéme, finendo dentro quadri e pièce teatrali, dentro
poesie, film e soprattutto lenzuola,di gente come
Picasso, Soutine, e Derain, di Léger, Prévert, Desnos e
principalmente Man Ray, che la ritrasse come un violino,
perché lei era la musica, l’assenzio, la colonna sonora
della passione sfrenata, anarchica dentro, dal cuore
alle gambe...
Mi guarda, la guardo, davanti a me
non c’è Alice ma Kiki, la cornice e la tela senza
mutande, l’Arte che si nutre dei suoi bassifondi,
modella e puttana dal labile segno, la regina indiscussa
di Montparnasse, lo scandalo fuori e la purezza di
dentro, la voglia di riuscire sempre e comunque. Mi
guarda, la guardo… le sue labbra di porpora antica
affondano dentro un gelato al pistacchio. Mi dice di
darle del tu. Faccio fatica.
Madame, da
figlia illegittima a regina di Montparnasse, come è
potuto accadere? Sono nata nel 1901 in
Borgogna, mia madre mi chiamò Alice. Ben presto rimasi
sola. Lei partì per Parigi in cerca di fortuna ed io
venni allevata dai nonni. In quella casa non c’era
affetto e tanto meno da mangiare, si tirava avanti con
la carità delle suore che ci offrivano spesso un piatto
di minestra.
A dodici anni finalmente
Parigi! Fui richiamata da mia madre ed
iniziai subito a lavorare in una stamperia dove
rilegavano libri. Sa quale fu il mio primo lavoro?
Assemblare pagine di un’edizione clandestina del
Kamasutra.
Ride
Poi altri lavori…
Lavorai in una caserma militare dove rimettevo a nuovo
gli scarponi dei soldati. Li disinfettavo, ammorbidivo
la pelle con l’olio e li rimettevo in forma. Mangiavo
nelle mense popolari e ricordo ancora che calzavo un
paio di scarpe pesanti da uomo numero 40. Dondola la
sua scarpina bianca col tacco, sembra impossibile
crederle!
Era dura vero?
Specialmente quando a quattordici anni venni assunta in
una panettiera. Non era tanto il fatto di svegliarmi la
mattina alle cinque, quanto il dovermi difendere dai
garzoni del negozio che mi palpeggiavano continuamente
nel retro bottega.
Nel suo libro
autobiografico Souvenirs lei stessa racconta cosa abbia
fatto per non cedere a quelle insidie. Per
non cadere alle tentazioni scoprii involontariamente
l’amore solitario. Ricordo ancora la prima volta, era un
un pomeriggio caldo ed afoso, chiusi le persiane e nella
penombra mi sono rotolata sul letto. E' stato
bellissimo! Ma poi mi sono sentita strana ed ho avuto
tanta paura.
Dopo quell’episodio si
sentiva già grande, vero? Iniziavo a
guardare i ragazzi e sentivo il piacere di essere
guardata. Cominciai ad annerirmi le sopracciglia e le
ciglia con la punta dei fiammiferi bruciati. Ricordo che
la padrona della panettiera mi scoprì mentre mi stavo
truccando. Mi disse “Puttana” ed io reagii sferrandole
un pugno.
Naturalmente perse il lavoro?
Di nuovo in strada guadagnavo qualche franco posando per
un anziano scultore. Mia madre un giorno fece irruzione
nell’atelier e mi sorprese completamente nuda. Non mi
volle più vedere ed io rimasi di nuovo sola.
Da quel giorno ha iniziato una nuova vita… per
così dire. Trovai rifugio in una baracca. Mi
resi conto che potevo guadagnare qualche franco senza
compromettermi tanto. Portavo i clienti nei cortili,
dentro i portoni, e per pochi spiccioli facevo vedere il
seno, scoprivo le gambe e per un’altra manciata mi
facevo accarezzare. Loro naturalmente si toccavano ma a
me ormai non faceva alcun effetto.
La sua
amica Eva fu una tappa fondamentale della sua vita…
Anche lei si arrangiava... Come prima esperienza si
concesse ad un macellaio del quartiere. Lui ogni volta
sborsava 2 franchi e le regalava una treccia di
salsicce. Eva ed io vivevamo nella stessa baracca per
cui mi capitava di assistere a quegli incontri ed ero
invidiosa.
Era ancora vergine, vero?
La mia verginità stava diventando un peso e desideravo
liberarmi per dare una svolta alla mia unica fonte di
guadagno. Eva ormai era diventata esperta e mi dava
consigli preziosi. Secondo lei dovevo farmi deflorare da
un vecchio: “I vecchi fanno meno male.” Mi ripeteva ogni
volta.
E così le presenta un signore
cinquantenne che fa di mestiere il clown...
Quegli incontri furono patetici. Il clown mi dava da
mangiare, mi metteva a letto, mi rimboccava le coperte
suonandomi la ninna-nanna con la chitarra. Ogni tanto
accennava a qualche giochino, ma nulla di irreparabile.
Ed io rimanevo in attesa……
Lei
naturalmente non fu soddisfatta? Dopo giorni
di attesa mi stancai e mi misi a seguire un pittore, un
certo Robert. Ci conoscemmo e lui mi ospitò nella sua
casa.
Come andò la prima notte?
Sul più bello quando ero già a letto venni colta da una
crisi di riso guardando Robert spogliarsi. Aveva le
calze tagliate in punta, come se fossero mezzi guanti,
capisce?
Ride ancora.
Ma Robert
era deciso nel suo intento e a quanto pare non si
scoraggiò… La sera rimorchiò due vecchie
puttane e voleva che io imparassi, come dire, la tecnica
di fare all’amore. Naturalmente mi rifiutai.
Anche i successivi tentativi fallirono.
Iniziò a picchiarmi e a tenermi segregata. Ormai era
fuori di sé. Forse per vendetta avrebbe voluto vedermi
sopra un marciapiede come le sue amiche prostitute. La
situazione stava prendendo una brutta piega. Mi sentivo
persa finché una notte Robert non rientrò in casa e
improvvisamente scomparve per sempre.
Si
sentì libera o di nuovo sola? Tornai ad
abitare a Montparnasse in un'altra catapecchia. Rubavo
il pane, mi lavavo nei bagni dei bistrot e iniziai a
frequentare La Rotonde, punto di ritrovo degli artisti.
Lì mi prese in simpatia il pittore russo Soutine, amico
di Modigliani.
Finalmente iniziò a posare
per artisti di un certo rilievo… Era
comunque miseria nera, fame e freddo anche se ogni tanto
mi offrivano un letto caldo. Finalmente conobbi il
pittore polacco Maurice Mendjizky. Con lui persi la
verginità. Fu lui a cambiarmi il nome.
Dal quel momento il mestiere di modella le sembrò quello
più appropriato alla sua indole. Mi piaceva
farmi ammirare e, per qualche soldo, mi spogliavo
volentieri.
Mi racconti del pittore Moise
Kisling. Una sera, entrando a La Rotonde
vidi uno strano personaggio appoggiato al bancone del
bar che mi apostrofò gridando: “Ecco la nuova puttana di
Montmartre”. Lo affrontai senza timore, ma alla fine
nacque una certa simpatia tra noi.
Era un
polacco che godeva di un momento di celebrità
nell’ambiente artistico parigino... Anche
lui era un amico di Modigliani e mi assunse come modella
per tre mesi.
Negli stessi giorni ebbe
un’avventura con il pittore giapponese Foujita...
Mi invitò nel suo atelier, posai per lui. “A proposito
le dispiace se leggo un passo dalle sue memorie?”
Con le dita dei guanti e una delicatezza estrema
sfoglia il libro di Foujita. Legge. “Entrò nel mio
studio, silenziosa, con timidezza, le punte delle
piccole dita infilate nel rosso della bocca, muovendo
con orgoglio le anche. Si tolse il cappotto e sotto era
completamente nuda, un fazzolettino colorato appuntato
nello scollo del soprabito mi aveva dato l’impressione
che avesse un vestito”.
Vorrei che lei
raccontasse quel piccolo dettaglio che ha scritto nel
libro. Ride. Al momento di mettersi a
dipingere Foujita si accorse che non avevo peli sul
pube. Presi una matita nera e me li disegnai sulla
pelle, dicendogli: “Cresceranno durante la posa”.
Lui era incuriosito vero? Spesso
mi veniva vicino piazzando il naso a due centimetri dal
mio sesso per controllare se i peli fossero cresciuti
durante la seduta. Con la sua strana vocetta esclamava:
“Molto divertente, niente pelini!”.
Foujita la dipinse in Nu couché de Kiki.
Toccai davvero il cielo con un dito. Era un quadro di
grandi dimensioni, esposto poco dopo al Salon d’Automne.
Fruttò 8 mila franchi e io fui degnamente ricompensata.
Naturalmente lui avrebbe voluto continuare la
collaborazione, ma rifiutai perché avevo un impegno con
Kisling.
Ormai era un personaggio. La
definivano: volgare, scurrile e svergognata. Posso
sapere perché non indossava le mutande? Sa,
i caffè al tempo non avevano la toilette per signore e
allora bastava sollevarsi le gonne per fare pipì in un
angolo della strada……
Ride godendosi le ultime
leccate di pistacchio.
Mi racconti
dell’episodio quando ha sentito piangere quella povera
donna a La Rotonde. Si lamentava di non
avere soldi per pagare il funerale di suo figlio. Mi si
intenerì il cuore. Senza dire nulla entrai nel vicino
ristorante e girai per i tavoli alzando la gonna
chiedendo qualche spicciolo per “lo spettacolo”. Poco
dopo tornai al caffè con il cappello pieno di banconote.
Le consegnai alla donna dicendole: “Qui ci sono soldi
per pagare il funerale, e anche per comprarti un
vestito”.
Nel 1921 ebbe un altro incontro
importante... Ero seduta a un tavolino di un
caffè assieme a una mia amica; ero senza cappello e il
cameriere non mi voleva servire. Gli dissi: “Non ci
vuole servire perché pensa che siamo due puttane?” Nel
mentre mi sono sfilata le scarpe e ho appoggiato un
piede sul tavolo e un altro su una sedia. Alla scena
stava assistendo un signore straniero. Era Man Ray,
giunto da pochi giorni dagli Stati Uniti per unirsi al
movimento dadaista. Mi ha subito invitato a posare per
lui, mi ripeteva che ero bellissima e voleva
fotografarmi al più presto.
Come ha preso
quella proposta? Ero riluttante perché non
avevo mai fatto la modella ad un fotografo, e temevo che
la macchina fotografica mettesse in risalto i miei
difetti fisici.
Poi tutto si appianò in
una camera d’albergo….. Mentre mi spogliavo
dietro il paravento lui era seduto sul bordo del letto,
con la macchina fotografica. Quando uscii mi fece cenno
di sedermi accanto a lui. Mi cinse con un braccio e io
feci lo stesso, le nostre labbra si incontrarono e ci
lasciammo cadere sul letto. Quel pomeriggio non facemmo
neanche uno scatto.
La vostra relazione
durò sei anni…. Mi sentivo apprezzata come
modella e come donna. Man Ray mi ritrasse in migliaia di
foto; il ritratto più noto è quello in cui mi vedo nuda
di spalle, trasformata in un violoncello con le due effe
dello strumento sovra impresse sulle anche. Il titolo?
Le violon d’Ingres.
Ma allora perché si è
innamorata di un giornalista americano ed è fuggita
negli Stati Uniti? Mi pentii quasi subito.
Spedii da Saint-Louis un telegramma a Man Ray con tre
lettere soltanto: “Sos”.
Quelle tre
lettere erano una richiesta di aiuto per la passione
amorosa o perché aveva deciso di bruciare ogni
esperienza con l’aiuto dell’alcol e della droga?
Non saprei dire. Ma sicuramente era un buon periodo per
me. Tornai a Parigi. Il nostro amore visse un nuovo
impulso di perdizione e magia. Nel frattempo mi esibivo
al Jockey, un locale notturno dove ballavo il can-can, e
cantavo canzoni molto spinte. Spesso ubriaca, mi
scordavo le parole. Ma il momento clou dello spettacolo
era quando salivo su un tavolo e con la testa in giù
alzavo le gambe. Lo stupore era assicurato, in
considerazione del fatto che non portavo le mutande.
E Man Ray cosa ne pensava di queste sue
stravaganze? Lui era sempre presente,
gelosissimo, ma non poteva evitare che io facessi la
"civetta con i clienti", come diceva lui... Alle volte
ci scappava anche qualche appuntamento e la lite era
assicurata! Lui mi picchiava davanti a tutti ed io
rispondevo sferrandogli calci.
Ma neanche
Man Ray aveva la purezza dell’agnellino… Al
tempo faceva la corte a Lee Miller, una splendida
indossatrice giunta a Parigi per imparare a fotografare.
Una sera al Caffè La Coupole mi accorsi che tra loro
c’era un’intesa non solo professionale e reagii in
maniera plateale. Gli feci davanti a tutti una scenata
di gelosia. Gli sferrai un pugno in faccia e poi, mentre
lui si riparava sotto un tavolo, gli scagliai contro
piatti e bicchieri.
Qui leggo che nel
1924 si è esibita in un’opera teatrale di Francis
Picabia con scarso successo e nel 1927 si è cimentata
nella pittura. Fu un’idea del mio nuovo
amante, il disegnatore Henry Broca. Al vernissage
intervenne tutto il mondo che contava, compreso il
ministro dell’Interno, Albert Sarrault. Ma in uno scatto
d’ira contestai i rappresentanti del governo con
parolacce ed insulti. Fu uno scandalo clamoroso! A
quell’ambiente affettato preferivo il mio locale,
l’Oasis, dove mi divertivo cantando canzoni oscene.
Ormai era famosa e anche economicamente non
si poteva lamentare. Interpretai anche otto
film nei ruoli di femmina perduta. Nel 1929 scrissi le
mie memorie con la prefazione di Ernest Hemingway.
A proposito di quella prefazione, azzardo se
dico che anche il romanziere americano è passato per la
sua camera da letto? Ringrazio Ernest per le
belle parole. Lui mi descrisse così. “Del suo corpo
splendidamente bello, della sua voce gradevole, adatta a
parlare più che a cantare. Kiki ha certamente dominato
l’era di Montparnasse più di quanto la regina Vittoria
abbia dominato quella che si chiama era vittoriana”.
Comunque alla sua domanda rispondo con il titolo di
questa intervista: Kiki, la donna che non ebbe mai una
sua camera da letto.
L’intervista si
interrompe qui, a noi piace ricordarla così, nel suo
massimo splendore, evitando domande sulla sua vita dopo
i trent’anni quando la sua stella comincia a non
brillare e lei inizia rapidamente ad ingrassare. Si
allontana da tutti, vive lunghi periodi da sola. Viene
arrestata per aver picchiato un commissario di polizia.
Rimane dentro dieci giorni. E poi il periodo della
Resistenza quando per aver distribuito manifestini
contro i nazisti deve rifugiarsi in Borgogna con la
Gestapo che la insegue. Nel 1945, dopo la fine della
guerra, è di nuovo arrestata per traffico di
stupefacenti. A cinquant’anni, diventata enorme, con il
ventre gonfio, e si riduce a leggere la mano ai clienti
dei bistrot. Viene ricoverata in ospedale dove muore per
una emorragia interna nel marzo del 1953. Il corteo
funebre attraversa le strade di Montparnasse fino al
cimitero di Thiais, ma dietro al feretro, dei suoi tanti
amici di un tempo, c’è soltanto Tsuguharu Foujita.
|
INTERVISTA A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FONTI:
www.dagospia.com http://biografieonline.it
http://www.ilmessaggero.it
www.lettera43.it/cultura/linda-lovelace
http://it.wikipedia.org/wiki/Linda_Lovelace
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