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Adamo Bencivenga
Hotel Melià
Sarà
che stasera il vento di fuori, ulula come una cagna in
amore, e soffia fischiando tra le serrande più scure,
sulle vetrate appannate di questo albergo di Roma, di
quest’alcova che dà gioia e calore, e ti fa sentire
davvero come se potessi essere altrove, magari a Touzer
se ci arrivassero i treni, a bere di gusto nettare e
palma, lungo lo stupore di un miraggio che corre, tra il
lago salato ed il deserto che incombe. Perché
quest’albergo è della stessa catena, ed ogni oggetto ti
ricorda quel posto, la penna la carta il posacenere
nero, la spalliera del letto di radica e pelle.
Ma sarà che l'attesa è sempre la stessa, ovunque tu
vada, ovunque lo aspetti, perché lo sai che è sposato e
stasera non viene, e tu hai fatto chilometri per
ritrovarti da sola, e li hai fatti in un fiato
attraversando la neve, lasciando alle spalle montagne
più alte, dove il giorno si tinge tra gli squarci di
cielo, e dalla finestra si vede stentato, uno spicchio
di luce che confondi col mare. Lo sai che è sposato e
non può chiamarti nemmeno, che è lì a due passi e
tremendamente distante, ma lui non sa che ci vieni ogni
tanto, perché il ricordo sia vivo, consistente e reale,
e si nutra di cose che il sogno attutisce.
Questa
stanza è impregnata del suo odore di talco, di una sera
la sola che ci hai fatto l’amore, e alle volte ti chiedi
quanti clienti nel tempo, ci hanno dormito, hanno riso e
poi pianto, e tu ogni volta che senti limpido e intatto,
l’odore che prende dalle parti del cuore, ti imbraca e
ti abbraccia e ti sussurra negli occhi, che sei bella
davvero nell’anima dentro, che sei la sola ad averlo
distratto. E tu che ci credi perché non avrebbe alcun
senso, dirti ti amo senza averglielo chiesto, e tu che
ci credi e non c’è voluto del tempo, baciargli la fronte
e sentirgli le labbra, che calde impacciate, socchiuse
nel freddo, hanno avvolto discrete il tuo bisogno
d’amore.
E tu che ci credi in un ristorante di
Roma, in abito nero e la voglia evidente, d’essere
femmina per sentirlo più uomo, d’essere madre per
sentirlo più bimbo. E lui che ti guarda e t’accarezza
leggero e sbircia il tuo seno finalmente capace,
d’amoreggiare con gli occhi che paiono lame, che
penetrano dentro i tuoi petali schiusi, come rosa
d’inverno al primo raggio di sole. E tu che ci credi e
lasci che il tempo, non abbia le ore per chiedere
quanto, può durare una notte prima che l’alba, e
rischiari un uomo dentro questa vetrata, e rischiari una
donna che è bella davvero e fanno l’amore, eccome lo
fanno, e fanno l'amore di labbra e di fiati, senza che i
corpi si rendano conto, d’essere solo strumenti d’un
sogno che cuce e rammenda due anime in cerca.
Lo
sai che è sposato e domani è diverso, ma giuri non conta
non ha senso stasera, se quei gemiti intensi si
mischiassero insieme, tra la pioggia che fuori batte e
ribatte, e nitido senti quanto è bello il rumore, d'un
treno che passa, d'un'autostrada che corre. Sarà che
stanotte ti lasci cullare, dalla smisurata certezza
d’averlo, perché senti il suo odore, che netto trasuda
tra la pelle del cuore, come se ora chiamasse il
portiere, e ti dicesse signora perdoni il disturbo, ma
un uomo a quest’ora sta salendo le scale. E senti i suoi
passi, Dio che bello il rumore, e ti chiama col nome che
ti sussurrava la notte, e ti chiama Eva anche se non è
questo il tuo nome, ma poco ci manca e glielo lasci
gridare, perché sazi i suoi occhi e li scambi di posto,
gli scomponi i capelli contandoli a ciocche.
E
senti i suoi passi, sarà lui davvero, chi mai nella
notte potrebbe essere certo, che in quest’albergo di
Roma c’è una donna che aspetta, che è pronta e che
chiede, d’essere femmina bella, ancora una volta, tra le
braccia, le sole, che ti piace sentire, che ti stringono
dove è più vivo il dolore, di anni passati a chiuderti a
riccio, ad aprirti a chiunque t’offrisse una rosa. E
senti i suoi passi, non puoi più sbagliarti, ti metti
soltanto un filo di trucco, un tocco di rosso sulle tue
labbra perfette, e chiudi la luce e scalza cammini, e
socchiudi la porta e lo aspetti nel letto, perché non
c’è luogo per accoglierlo meglio, non c'è posto per
sentirti più donna, per sentire l’odore e consumarlo di
fretta, che avido chiede, che sazia trattieni.
E
senti i suoi passi e lo aspetti in silenzio, per
sentirgli il respiro che ti bacia e ti prende, che ti
recita a mente parole d’amore, che sanno di uomo, di
sesso e d’umore, che sanno di donna che nuda si offre in
un vortice fitto di baci e parole. Poi tutto silenzio
finché l’alba ti inonda e rischiara la stanza e il tuo
viso sereno, un ghigno che ride e la mano che stringe,
un uomo stanotte che è venuto a trovarti, in un albergo
di Roma mentre fuori pioveva.
Sarà che stanotte
hai sentito più forte, le mani impazienti che ti
raschiavano il cuore, ed ora in quest’alba che ti bagna
di luce, abbracci il cuscino e ti fai coccolare, e
limpido senti l’odore di talco, come se fosse ancora qui
nel tuo letto, come se davvero avessi passato la notte,
come un’amante che accoglie il suo uomo. Gli baci le
rughe quando ride con gli occhi, gli baci la barba, il
mento, la fronte, mentre giuri convinta d’averci fatto
l’amore, poi un attimo dopo ricominci a pensare, e
scaldi la parte più fredda del letto, per non lasciare
al tuo dubbio di pensare se è vero, che il portiere
stanotte abbia chiamato qualcuno, che il rumore di passi
l'hai sentito nel sogno, e la porta s’è chiusa con un
colpo di vento, senza una mano che l’accompagnasse da
dentro, senza che un uomo s'infilasse nel letto, perché
non avrebbe senso pensare che invece, nulla di niente è
successo stanotte, e ciò che c’è stato non fosse altro
che un sogno.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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